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LA GENETICA DELLA DISCINESIA CILIARE PRIMARIA

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C a p i t o l o I I

LA GENETICA DELLA DISCINESIA CILIARE PRIMARIA

2.1 - GENETICA DELLA DISCINESIA CILIARE PRIMARIA

La Discinesia Ciliare Primaria è una condizione estremamente eterogenea dal punto di vista clinico e genetico, al punto che, sebbene l’identificazione del primo gene in causa, il gene DNAI1, risalga al 1999 [97] e nonostante gli enormi progressi fatti da allora, le sue basi genetiche non sono state ancora completamente chiarite. La modalità di trasmissione più frequente è l’ereditarietà autosomica recessiva, ma sono stati riportati anche rari casi di trasmissione X-linked e autosomica dominante. Inoltre, sempre più frequentemente vengono descritti casi caratterizzati da una eterozigosi composta, in cui sono contemporaneamente presenti due diverse mutazioni bialleliche a carico dello stesse gene. Non si esclude, infine, la possibilità dell’ereditarietà digenica, caratterizzata da una doppia eterozigosi su geni diversi.

Gli studi sulla genetica della DCP sono resi molto complicati non solo dalla complessità delle modalità di trasmissione, ma anche dalla numerosità dei geni coinvolti e dalle enormi dimensioni di alcuni di essi (in media circa 23 esoni): oggi si ritiene che l’assonema ciliare sia costituito da almeno 250 polipeptidi diversi, la cui struttura, assemblaggio e funzioni metaboliche sono controllate dall’espressione di un numero di geni stimabile tra 250 e 800 unità, ognuno dei quali, se mutato, potrebbe determinare una specifica alterazione morfo-funzionale del ciglio, dando ragione dell’eterogeneità fenotipica di questa condizione [98].

In questo contesto la ricerca si è basata, fino a pochi anni fa, da un lato sulla ricerca di geni candidati identificati mediante studi su geni coinvolti nella determinazione dell’ultrastruttura e della funzione ciliare nell’alga Chlamydomonas e in modelli animali e, dall’altro, sulla ricerca di regioni genomiche e dei relativi geni potenzialmente coinvolti sulla base di studi di linkage eseguiti su famiglie affette. Queste tecniche, ancorché utili, sono gravate da costi elevati e da tempi di esecuzione molto lunghi. Con l’introduzione del Sequenziamento di Nuova

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esoma (la porzione del genoma codificante proteine) in 3 - 4 settimane e un singolo gene in 7 - 14 giorni. Non stupisce quindi il fatto che, dei 28 geni patogenetici per la DCP descritti fino a questo momento, circa la metà siano stati descritti negli ultimi due anni. Secondo alcuni autori, in futuro il NGS potrebbe addirittura diventare un vero e proprio test diagnostico per la DCP, da affiancare al sospetto clinico e ai ridotti livelli di nNO [98, 99]. Tuttavia, il NGS non è ancora sufficientemente diffuso e, in ogni caso, si stima che i geni finora identificati siano complessivamente responsabili di appena il 50 - 60% dei casi di DCP: di conseguenza, per il momento le raccomandazioni europee suggeriscono di limitare l’impiego dei test genetici quali test di conferma da eseguire sulla base del fenotipo funzionale e ultrastrutturale ciliare [34].

Nei prossimi decenni un’ottimale e completa caratterizzazione genetica della DCP non permetterà solo di ottenere diagnosi più precoci, ma anche di comprenderne appieno le correlazioni genotipo/fenotipo e quindi di realizzare trattamenti personalizzati.

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2.2 - PCD-CAUSING GENES

I 28 geni responsabili della DCP identificati fino ad oggi (“PCD-causing genes”) codificano per proteine strutturali dell’assonema, per proteine necessarie per le funzioni metaboliche del ciglio e per proteine necessarie per il preassemblaggio e per l’assemblaggio del ciglio. Tali geni possono essere suddivisi in 4 gruppi a seconda della struttura dell’assonema cui la loro espressione è dedicata [98]; due geni sono considerati a parte in quanto in causa in patologie sindromiche (Tab. 1):

- Geni che codificano per proteine necessarie per la corretta struttura e funzione dei bracci esterni di dineina, che, se mutati, provocano deficit isolati del braccio esterno di dineina (sono i geni più frequentemente in causa nella DCP): DNAH5, DNAH11, DNAI1, DNAI2, DNAL1, TXNDC3, ARMC4, CCDC103, CCDC114

- Geni che codificano per proteine necessarie per la corretta struttura e funzione dei bracci esterni ed interni di dineina, che, se mutati, provocano deficit dei bracci esterni ed interni di dineina: DNAAF1, DNAAF2, DNAAF3, LRRC6, HEATR2, SPAG1, DYX1C1, C21orf59, ZMYND10

- Geni che codificano per proteine necessarie per la corretta organizzazione dell’assonema e per la struttura e funzione dei bracci interni di dineina, che, se mutati, provocano una disorganizzazione dei microtubuli associata a deficit dei bracci interni di dineina: CCDC39, CCDC40, CCDC164, CCDC65

- Geni che codificano per proteine necessarie per la corretta struttura e funzione dell’apparato centrale e dei radial spokes, che, se mutati, provocano alterazioni della coppia centrale: RSPH1, RSPH4A, RSPH9, HYDIN

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2.2.a - Geni che codificano per proteine necessarie per la corretta struttura e funzione dei bracci esterni di dineina

- I geni DNAH5 (Dynein, Axonemal, Heavy Chain 5; locus: 5p15.2; 79 esoni) [100] e DNAH11 (Dynein, Axonemal, Heavy Chain 11; locus: 7p15.3; 83 esoni) [101] codificano rispettivamente per la catena pesante 5 e 11 del braccio esterno della dineina ciliare. Le mutazioni di DNAH5 possono provocare la completa assenza dei bracci esterni di dineina e/o un loro accorciamento perché la proteina mutata non può essere correttamente trasportata lungo l’assonema: le ciglia risultanti sono immobili oppure presentano un residuo movimento assimilabile ad un tremolio. Le mutazioni di DNAH11 sono invece in grado di provocare la malattia in assenza di alterazioni ultrastrutturali, in quanto il braccio esterno di dineina è presente, ma funzionalmente alterato: in questo caso le ciglia presentano un tipico pattern di movimento rigido ed ipercinetico.

- I geni DNAI1 (Dynein, Axonemal, Intermediate Chain 1; locus: 9p13.3; 20 esoni) [97] e DNAI2 (Dynein, Axonemal, Intermediate Chain 2; locus: 17q25.1; 14 esoni) [102] codificano rispettivamente per la catena intermedia 1 e 2 del braccio esterno della dineina. Le mutazioni di questi geni provocano l’assenza dei bracci esterni di dineina e, quindi, immobilità ciliare o marcata riduzione della frequenza del battito ciliare. In caso di mutazione del gene DNAI1, l’assenza dei bracci esterni è limitata al compartimento prossimale del ciglio.

- Il gene DNAL1 (Dynein, Axonemal, Light Chain 1; locus: 14q24.3; 8 esoni) [103] codifica per la catena leggera 1 del braccio esterno della dineina ciliare: quando mutato, è in grado di determinare una ridotta stabilità della catena leggera che, di conseguenza, interagisce in maniera inappropriata con la catena intermedia della dineina e con la tubulina del tubulo A, esitando in un accorciamento o nell’assenza dei bracci esterni di dineina.

- Il gene TXNDC3 (Thioredoxin Domain-Containing Protein 3; locus: 7p14.1; 18 esoni) [104], noto anche come NME8, codifica per una porzione delle catene leggere e intermedie della dineina contenente un isoenzima appartenente alla famiglia delle tioredoxine, importante per il metabolismo ciliare in quanto coinvolto nei processi di ossidoriduzione (le tioredoxine sono

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proteine-disolfuro reduttasi). In caso di mutazione a carico di questo gene, le anomalie

ultrastrutturali corrispondenti sono l’assenza o l’accorciamento dei bracci esterni di dineina in circa il 70% delle ciglia, che sono di conseguenza immobili (le poche ciglia mobili mostrano, invece, un pattern di movimento normale).

- I geni CCDC103 (Coiled-Coil Domain-Containing Protein 103; locus: 17q21.31; 4 esoni) [105] e CCDC114 (Coiled-Coil Domain-Containing Protein 114; locus: 19q13.33; 14 esoni) [106] codificano per proteine che prendono parte ai processi di assemblaggio dei bracci esterni di dineina in quanto fattori necessari per l’ancoraggio del braccio esterno ai microtubuli: le loro mutazioni provocano un accorciamento o l’assenza dei bracci esterni di dineina, con conseguente immobilità ciliare a carico della quasi totalità delle ciglia.

- Il gene ARMC4 (Armadillo Repeat-Containing Protein 4; locus: 10p12.1; 20 esoni) [107] codifica per una proteina dell’assonema importante per il corretto assemblaggio e ancoraggio dei bracci esterni di dineina: le sue mutazioni provocano l’assenza dei bracci esterni di dineina, con conseguente immobilità ciliare.

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2.2.b - Geni che codificano per proteine necessarie per la corretta struttura e funzione dei bracci esterni ed interni di dineina

- I geni DNAAF1 (precedentemente noto come LRRC50) (Dynein, Axonemal, Assembly Factor

1; locus: 16q23.3-q24.1; 12 esoni) [108], DNAAF2 (precedentemente noto come KTU/PF13)

(Dynein, Axonemal, Assembly Factor 2; locus: 14q21.3; 3 esoni) [109] e DNAAF3 (Dynein,

Axonemal, Assembly Factor 3; locus: 19q13.42; 12 esoni) [110] codificano per i fattori 1, 2 e 3

d’assemblaggio della dineina, che sono espressi nella porzione apicale della cellula: le loro mutazioni provocano un’alterazione del processo di assemblaggio delle ciglia, risultando in un deficit parziale dei bracci esterni ed interni di dineina e conseguente immobilità ciliare.

- I geni LRRC6 (Leucine-Rich Repeat-Containing Protein 6; locus: 8q24.22; 12 esoni) [111] e HEATR2 (Heat Repeat-Containing Protein 2; locus: 7p22.3; 13 esoni) [112] codificano per due proteine importanti per il preassemblaggio citoplasmatico dei bracci esterni ed interni di dineina e per il loro trasporto verso l’assonema. LRRC6 è espresso nel citoplasma e nel corpuscolo basale e svolge numerose funzioni regolatorie, tra cui anche la down-regolazione dell’espressione di altre proteine dei bracci di dineina. HEATR è espresso in tutto il citoplasma e fa parte di un gruppo di proteine che si occupano del trasporto dei complessi dineinici. Le mutazioni a carico di questi due geni provocano deficit dei bracci esterni ed interni di dineina con conseguente immobilità ciliare o marcata riduzione della frequenza del battito ciliare. - Il gene DYX1C1 (Dyslexia susceptibility 1 Candidate 1; locus: 15q21.3; 10 esoni) [113] è associato alla dislessia in quanto coinvolto nella migrazione neuronale durante lo sviluppo della neocorteccia. Recentemente la sua espressione è stata rilevata anche nel citoplasma delle cellule ciliate: le sue mutazioni provocano un’alterazione dei processi di preassemblaggio dei bracci di dineina con conseguente deficit dei bracci esterni ed interni di dineina ed immobilità ciliare o marcata riduzione della frequenza del battito ciliare.

- Il gene SPAG1 (Sperm-Associated Antigen 1; locus: 8q22.2; 19 esoni) [114], il gene C21orf59 (Chromosome 21 Open Reading Frame 59; locus: 21q22.11; 7 esoni) [115] e il gene ZMYND10 (Zinc Finger Mynd Domain-Containing Protein 10; locus: 3p21.31; 12 esoni)

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[116] codificano per proteine probabilmente coinvolte nel preassemblaggio citoplasmatico dei bracci di dineina e nel loro trasporto all’assonema: quando mutati provocano deficit dei bracci esterni ed interni di dineina e conseguente immobilità ciliare o marcata riduzione della frequenza del battito ciliare. Nel caso di ZMYND10, in presenza di omozigosi della mutazione p.Val16Gly (c.47T>G) il battito ciliare risulta rigido e con frequenza ridotta.

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2.2.c - Geni che codificano per proteine necessarie per la corretta organizzazione dell’assonema e per la struttura e funzione dei bracci interni di dineina

- I geni CCDC39 (Coiled-Coil Domain-Containing Protein 39; locus: 3q26.33; 20 esoni) [117] e CCDC40 (Coiled-Coil Domain-Containing Protein 40; locus: 17q25.3; 20 esoni) [118] codificano per proteine assonemali importanti per il corretto assemblaggio dei bracci interni di dineina, dei legami di nexina e dei ponti radiali; la loro mutazione determina assenza dei bracci interni e alterazione del complesso regolatore nexina-dineina, con conseguente disorganizzazione dell’assonema con assenza o dislocazione della coppia centrale e/o dislocazione delle coppie periferiche. Il pattern di movimento ciliare risultante è caratterizzato da ciglia completamente immobili accanto a ciglia con movimento rigido.

- Il gene CCDC164 (o DRC1) (Coiled-Coil Domain-Containing Protein 164; locus: 2p23.3; 23 esoni) [25] codifica per una subunità del complesso regolatore nexina-dineina e, quando mutato, provoca un deficit isolato dei legami di nexina: il movimento ciliare risultante è solo lievemente alterato e caratterizzato da una ridotta escursione ciliare, sebbene meno severa rispetto al caso delle mutazioni di CCDC39 e CCDC40 (è apparentemente normale al microscopio ottico a contrasto di fase).

- Il gene CCDC65 (o DRC2) (Coiled-Coil Domain-Containing Protein 65; locus: 12q13.12; 8 esoni) [119] è coinvolto nell’assemblaggio dell’N-DRC. Le mutazioni a carico di questo gene risultano in una ultrastruttura ciliare apparentemente normale, associata, però, ad un pattern di movimento ciliare rigido ed ipercinetico.

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2.2.d - Geni che codificano per proteine necessarie per la corretta struttura e funzione dell’apparato centrale e dei radial spokes

- Il gene RSPH1 (Radial Spoke Head 1; locus 21q22.3; 8 esoni) [120] codifica per una componente proteica delle teste dei ponti radiali coinvolta nel signalling del calcio. Quando questo gene è mutato, fino all’85% delle ciglia appare normale al TEM, e le ciglia rimanenti mostrano prevalentemente difetti della coppia centrale e/o una trasposizione di una coppia periferica. Il movimento ciliare risultante è circolare e ha frequenza solo lievemente ridotta o normale.

- I geni RSPH9 (Radial Spoke Head 9; locus: 6p21.1; 5 esoni) e RSPH4A (Radial Spoke Head

4A; locus: 6q22.1; 6 esoni) [121] codificano entrambi per componenti proteiche delle teste dei

ponti radiali e, quando mutati, determinano l’assenza della coppia centrale e/o una trasposizione delle coppie periferiche (configurazione 9+0 o 8+1), anche se l’anomalia non è riscontrabile in tutte le ciglia esaminate. Il corrispondente pattern di movimento ciliare è tipicamente circolare. - Il gene HYDIN (Hydrocephalus-Inducing; locus: 16q22.2; 86 esoni) [122] codifica per una proteina strutturale della coppia centrale: in particolare, le sue mutazioni provocano la perdita della proiezione C2b della coppia centrale che è visualizzabile solo con la tomografia elettronica (al TEM l’ultrastruttura ciliare appare normale): in questo caso le ciglia si presentano immobili solo in piccola parte, mentre quelle mobili presentano frequenza del battito ciliare normale (o lievemente ridotta), con pattern di movimento rigido.

2.2.e - Geni associati a sindromi

- Il gene RPGR (Retinitis Pigmentosa GTPase Regulator; locus: Xp11.4; 25 esoni) [123] e il gene OFD1 (OroFacioDigital Syndrome 1; locus: Xp22.2; 23 esoni) [124] sono rispettivamente in causa in fenotipi di DCP associati alla retinite pigmentosa e alla sindrome oro-facio-digitale di tipo 1 con ritardo mentale. In entrambi i casi il movimento ciliare risulta disorganizzato: la mutazione di RPGR provoca un deficit del coordinamento e dell’orientamento ciliare, mentre

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2.3 - CORRELAZIONE GENOTIPO-FENOTIPO NELLA DCP

Le caratteristiche fenotipiche dei pazienti con DCP sono state ampiamente descritte negli ultimi vent’anni, sebbene in casistiche eterogenee e spesso numericamente limitate. Tuttavia, la DCP è ormai universalmente ritenuta una condizione estremamente eterogenea: già nel 2006 il prof. Andrew Bush aveva affermato in un editoriale che è ragionevole considerare la DCP come un continuum in cui coesistono fenotipi severi accanto a fenotipi lievi che possono manifestarsi con difetti ultrastrutturali minimi e con disfunzione ciliare modesta [125]. Tale ipotesi è stata ampiamente confermata da studi successivi e oggi si stima che fino al 30% dei pazienti affetti da DCP abbia un’ultrastruttura ciliare sostanzialmente normale e/o alterazioni lievi della funzione ciliare: di conseguenza, è lecito domandarsi se questi soggetti abbiano davvero una forma più lieve di malattia e quindi una prognosi migliore [13, 32, 77].

Inevitabilmente, quindi, accanto all’enorme sviluppo degli studi sulla genetica della DCP, è cresciuto altrettanto rapidamente l’interesse per la comprensione delle correlazioni genotipo-fenotipo di questa condizione, ciò al fine, da un lato, di definirne meglio la prognosi e, dall’altro, di sviluppare trattamenti personalizzati: non a caso alcuni autori affermano che “siamo nel bel mezzo di una rivoluzione per la diagnosi della DCP e per la comprensione della

sua correlazione genotipo/fenotipo” [126].

I primi tentativi di descrizione delle correlazioni genotipo-fenotipo nella DCP risalgono ai primi anni del 2000, ma questi lavori, gravati innanzitutto dalla scarsa numerosità delle popolazioni studiate, sono dedicati quasi esclusivamente alla correlazione dei diversi difetti ultrastrutturali con il fenotipo clinico. Nel lavoro di Tamalet, per esempio, si sostiene che, in una popolazione di soggetti con infezioni respiratorie ricorrenti e alterazioni ultrastrutturali parziali (fino a un massimo del 50% delle ciglia studiate), i deficit della coppia centrale sarebbero associati ad una maggiore ricorrenza delle infezioni respiratorie e ad una maggior incidenza delle bronchiectasie (che appaiono anche più estese) rispetto ai pazienti con deficit parziali dei bracci di dineina o delle coppie periferiche [127]. Che i deficit della coppia centrale possano rappresentare un marker di severità viene sostenuto anche in un lavoro più recente relativo alle manifestazioni otorinolaringoiatriche della DCP [48]: in questo studio i pazienti

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media acuta ed una maggiore incidenza di otite media effusiva rispetto ai pazienti con deficit dei bracci di dineina. Anche in questo caso, però, la casistica è piuttosto modesta. Nel 2003 il gruppo di Chilvers ha, invece, provato a correlare le alterazioni ultrastrutturali con gli specifici pattern di movimento ciliare e, nel far ciò, ha anche descritto le caratteristiche cliniche dei soggetti, limitandosi però a pochi parametri generici (incidenza del SVI, interessamento delle vie aeree superiori ed inferiori) [21].

Il primo vero studio di correlazione genotipo-fenotipo nei pazienti con DCP ha visto la luce quasi dieci anni dopo: nel 2012, infatti, è stato pubblicato un lavoro in cui viene descritto in maniera dettagliata il fenotipo clinico dei pazienti con DCP mutati nei geni CCDC39 o CCDC40, sostenendo la sostanziale sovrapposizione delle manifestazioni cliniche nei due gruppi [128]. Nel 2013, inoltre, un gruppo francese ha provato a confrontare retrospettivamente in una casistica pediatrica il fenotipo clinico di 36 soggetti con DCP con assenza dei bracci di dineina con quello di 24 soggetti con alterazioni della coppia centrale, dimostrando che la comparsa dei sintomi respiratori è più tardiva nei soggetti con alterazioni della coppia centrale (9,5 mesi versus 0,5 mesi), i quali, tuttavia, presentano una clinica più severa alla diagnosi (maggiore incidenza di infezioni respiratorie, di rinosinusite, di otite, di bronchiectasie bilaterali) [129]. Sfortunatamente, in questo studio non vengono presi in esame i soggetti affetti da DCP con ultrastruttura ciliare normale: ad essi si è invece recentemente rivolto un gruppo belga, che ha analizzato e confrontato retrospettivamente le caratteristiche fenotipiche di 68 soggetti con DCP e ultrastruttura normale con quelle di 90 soggetti con DCP e deficit dei bracci di dineina e con quelle di 41 soggetti con DCP e anomalie della coppia centrale [99]. In questa casistica i soggetti con ultrastruttura normale rappresentano il 33% di tutti i soggetti con DCP e le loro caratteristiche cliniche non si differenziano significativamente da quelle dei pazienti con ultrastruttura ciliare patologica. Tuttavia, questo studio è gravato da un bias sostanziale: solo 23 dei 68 soggetti con ultrastruttura normale sono stati caratterizzati geneticamente, nonostante sia noto che i soggetti di questo gruppo possono essere mutati in almeno tre geni diversi (DNAH11, CCDC65 o HYDIN), ciascuno dei quali, quando mutato, esita in un diverso pattern di movimento ciliare.

In particolare, è necessario ricordare che le mutazioni del gene DNAH11 si associano a un movimento ciliare tipicamente rigido ed ipercinetico. Nel caso del gene CCDC65 il pattern di

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movimento è analogo a quello del gene DNAH11, ovvero rigido, ma con frequenza del battito lievemente inferiore (intorno ai 14 Hz), mentre se le mutazioni sono a carico del gene HYDIN, si osservano ciglia con pattern di movimento rigido, ma con frequenza del battito ciliare normale, associate a ciglia immobili e a ciglia con movimenti circolari. E’ verosimile quindi che, sebbene il risultato sul trasporto muco-ciliare sia sempre complessivamente negativo, in ciascun caso la percentuale di ciglia più o meno discinetiche e con gradi qualitativamente e quantitativamente variabili di discinesia possa determinare la comparsa di un fenotipo clinico più o meno severo.

Infine, nel 2014 un gruppo americano ha pubblicato uno studio di correlazione genotipo-fenotipo nei soggetti con DCP mutati nel gene RSPH1 [130]: in questo studio è stato dimostrato che i pazienti con mutazioni in questo gene presentano un fenotipo clinico più lieve rispetto ai casi di DCP sostenuta da mutazioni in altri geni, presentando una prevalenza inferiore di distress respiratorio neonatale (50% versus 75%), un esordio più tardivo della tosse catarrale quotidiana e parametri ventilatori migliori. Inoltre, i livelli di nNO sono risultati 5 volte più alti rispetto ai pazienti con mutazioni in altri geni (98,3 nl/min versus 20,7 nl/min) e in 10/16 pazienti sono risultati addirittura normali, mentre non sono state riscontrate differenze per quanto riguarda le restanti manifestazioni cliniche (frequenza delle infezioni rino-sinusali, comparsa precoce delle bronchiectasie).

Sebbene questo studio non prenda in esame la severità delle bronchiectasie e dell’interessamento dei seni paranasali, si tratta comunque della prima descrizione di un fenotipo globalmente più lieve di DCP, che rappresenta anche un memorandum rispetto alle insidie della diagnosi di DCP (in questi pazienti, infatti, l’ultrastruttura ciliare, la frequenza del battito ciliare e l’nNO sono normali!).

Questo studio ha aperto la strada ad ulteriori studi analoghi e a breve vedranno sicuramente la luce molti studi relativi alla descrizione dei fenotipi della DCP, in cui non mancherà un’analisi accurata della residua funzione ciliare (cambiando il paradigma da

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2.4 - IL GENE DNAH11

Correva l’anno 2002 quando un paziente molto particolare attirò l’attenzione di un gruppo di ricercatori guidato da Lucia Bartoloni: si trattava di un bambino di 7 anni con grave insufficienza respiratoria cronica, destrocardia e una diagnosi di Fibrosi Cistica posta sulla base del riscontro della mutazione F508del in omozigosi nel gene CFTR (Cystic Fibrosis

Transmembrane Conductance Regulator), dovuta alla disomia uniparentale del cromosoma 7 (il

paziente aveva ereditato due identiche copie del cromosoma 7 dal padre, portatore sano di FC). Qualche anno prima era stato descritto il modello murino lrdiv/iv, caratterizzato da SVI [131]: in questo modello era stato dimostrato che una mutazione mirata del gene Dnah11 provoca l’immobilità delle ciglia del nodo embrionale e, quindi, la soppressione del flusso di fattori di trascrizione che determina nell’embrione la corretta disposizione degli organi asimmetrici, la quale, di conseguenza, diventa casuale [132].

Il gruppo della Bartoloni decise quindi di eseguire sul DNA di questo bambino il sequenziamento degli 83 esoni del gene umano omologo al gene Dnah11 murino, localizzato proprio nel cromosoma 7 (7p15.3-21) (Fig. 3) riuscendo a rilevare nell’esone 52 la mutazione nonsenso R2852X in omozigosi. Ne conclusero che il gene DNAH11 dovesse essere coinvolto nella comparsa del SVI anche nell’uomo.

Inoltre, avendo studiato le ciglia respiratorie di questo bambino, rilevarono che alla microscopia elettronica esse si presentavano perfettamente normali, mentre si mostravano immobili al microscopio ottico a contrasto di fase: ne dedussero che il gene DNAH11 fosse anche in grado di provocare la DCP e rappresentasse quindi il terzo gene patogenetico per questa condizione descritto fino a quel momento. Gli autori conclusero lo studio ammettendo le proprie perplessità sull’effettivo ruolo del gene DNAH11 nel causare la DCP oltre che il SVI in questo bambino, in cui la grave patologia respiratoria cronica poteva già essere ampiamente spiegata dalla diagnosi di Fibrosi Cistica.

Ogni dubbio svanì con la pubblicazione del lavoro di Schwabe, che, nel 2007, descrisse 6 soggetti appartenenti alla stessa famiglia tedesca (età compresa tra 12 e 27 anni), affetti da DCP con mutazioni in eterozigosi composta nel gene DNAH11. In questi pazienti era stata esclusa la diagnosi di FC e di immunodeficit [101] e lo studio della funzione ciliare aveva dimostrato, a

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differenza dello studio del gruppo della Bartoloni, un pattern di movimento ciliare non flessibile, con scarsa escursione (rigido) e frequenza del battito ciliare aumentata (fino a 20 Hz). L’ultrastruttura ciliare era risultata invece nella norma: si trattò del colpo di grazia per il vecchio paradigma dell’esame ultrastrutturale quale gold standard diagnostico per la DCP.

Il gene DNAH11 codifica, infatti, per la catena pesante 11 della dineina, proteina che prende parte alla costituzione del dominio motore della dineina: in caso di mutazione la proteina viene espressa e correttamente incorporata nel braccio di dineina (ultrastruttura normale), ma, risultando funzionalmente alterata per l’instabilità dell’anello di domini AAA, impedisce alla dineina di esercitare la forza necessaria per lo scivolamento della coppia di microtubuli adiacente (Fig. 4).

Figura 3 - Il gene DNAH11: localizzazione cromosomica e distribuzione degli esoni

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Figura 4 - Rappresentazione schematica della proteina DNAH11 e del suo dominio globulare (da:

Schwabe GC et al, Hum Mutat. 2008; 29: 289-98): il dominio motore della proteina è costituito da

quattro domini AAA, da un gambo che presenta il sito legame al microtubulo B e dai domini AAA5 e AAA6 che, insieme all’estremità C-terminale, garantiscono la stabilità della struttura. L’estremità N-terminale è legata alle altre catene dineiniche, che sono ancorate al microtubulo A.

Lo studio di Schwabe, tra le altre cose, descrive anche le manifestazioni cliniche di questi soggetti: tutti presentano una storia di infezioni respiratorie ricorrenti, di sinusite cronica esordita nell’infanzia e di bronchiti e broncopolmoniti esordite durante gli anni successivi; in tre soggetti venivano riportati poliposi nasale e otite media acuta ricorrente durante l’infanzia. Tutti i soggetti tranne uno presentavano una storia di asma bronchiale; uno aveva il SVI. Inoltre, tre pazienti presentavano bronchiectasie alla TC del torace. Gli autori imputarono la variabilità della clinica di questi soggetti a fattori genetici (geni modificatori?) e ambientali.

Qualche anno dopo il nostro gruppo ha descritto altri tre bambini con DCP caratterizzata da mutazioni in eterozigosi composta nel gene DNAH11, sottolineando ancora una volta il ruolo fondamentale di questo gene nella diagnostica dei casi di DCP caratterizzati da ultrastruttura ciliare normale e pattern di movimento rigido ed ipercinetico [133]. Due di questi soggetti sono fratello (B, 9 anni e 4 mesi) e sorella (A, 15 anni e 5 mesi); tutti i soggetti avevano il SVI e una storia di infezioni respiratorie ricorrenti. Il soggetto A aveva una storia caratterizzata da rinite purulenta dalla nascita, rino-sinusite precoce, otite ricorrente, bronchiectasie alla TC del torace e pansinusite alla TC dei seni paranasali. Il soggetto B aveva invece anamnesi patologica caratterizzata da polmoniti e bronchiti ostruttive ricorrenti e, come la sorella, bronchiectasie alla TC del torace e pansinusite alla TC dei seni paranasali. Il soggetto C (8 anni) aveva avuto,

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invece, distress respiratorio alla nascita e otiti e polmoniti ricorrenti a partire dai 18 mesi; la TC del torace mostrava una stria fibrotica a livello del lobo medio e quella dei seni paranasali una sinusite mascellare e sfenoidale associata ad agenesia dei seni frontali. In tutti e tre i soggetti le colture cellulari mostravano sferoidi incapaci di migrare e/o ruotare; in tutti i soggetti, inoltre, si rilevavano livelli ridotti di nNO (33,7, 26,9 e 19,8 ppb).

Infine, nel 2012 Knowles ha valutato la prevalenza delle mutazioni in DNAH11 in una popolazione di 163 soggetti con fenotipo clinico compatibile con DCP, di cui 58 con ultrastruttura ciliare normale, 76 con difetti di ODA + IDA, 6 con deficit della coppia centrale e dei radial spokes e 23 senza caratterizzazione ultrastrutturale ma con SVI (n = 17) o bronchiectasie e/o ridotti livelli di nNO (n = 6) [134]. Sono stati studiati anche 13 soggetti sani con eterotassia isolata allo scopo di indagare il ruolo di DNAH11 nell’insorgenza di difetti isolati della lateralità. Mutazioni nel gene DNAH11 sono state rilevate in 17 soggetti con ultrastruttura ciliare normale: 13 (22%) presentavano due mutazioni in DNAH11 (2 in omozigosi, 11 in eterozigosi composta) e 4 una eterozigosi semplice. Inoltre, mutazioni patogenetiche sono state rilevate anche in tre dei 23 soggetti con ultrastruttura ignota (1 in omozigosi, 1 in eterozigosi composta e 1 in eterozigosi semplice) ma in nessuno dei soggetti con deficit ultrastrutturali o difetto isolato della lateralità [134]. Gli autori ipotizzano che in 5 soggetti affetti da DCP e portatori di una sola mutazione in eterozigosi semplice nel gene DNAH11 la malattia possa essere stata determinata da una seconda mutazione non rilevabile con il sequenziamento classico, oppure da una mutazione biallelica in un altro gene, oppure dall’effetto sinergico di una mutazione in eterozigosi semplice in un altro gene (eredità digenica).

Per quanto riguarda le caratteristiche cliniche dei soggetti con ultrastruttura normale mutati in DNAH11, tutti presentavano un’anamnesi tipica per DCP (elevata prevalenza di distress respiratorio alla nascita, otite cronica e sinusite, tosse catarrale produttiva, bronchiectasie, difetti della lateralità, infertilità) e bassi livelli di nNO.

In conclusione, al momento attuale è difficile stabilire con precisione la percentuale di pazienti affetti da DCP con ultrastruttura normale (è ragionevole pensare che in passato in molti di questi soggetti la diagnosi sia stata erroneamente esclusa proprio per l’assenza di deficit

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del gene DNAH11. Tuttavia, in alcune casistiche è stato stimato che il 25 - 33% dei soggetti con DCP abbia ultrastruttura normale [42, 99, 135] e, secondo la casistica di Knowles, circa il 22% di questi è mutato in DNAH11, che rappresenterebbe, quindi, il 6 - 7% di tutti i soggetti con DCP [42, 134].

Con l’introduzione del NGS e con la realizzazione di studi basati sulla sua applicazione in tutti i soggetti con bronchiectasie idiopatiche (oltre che nei casi di DCP ancora non caratterizzati genotipicamente) il numero delle diagnosi e, quindi, delle casistiche, è destinato ad aumentare notevolmente, permettendo finalmente ai diversi gruppi di ricercatori di stilare delle tabelle più corrette sulla prevalenza delle diverse mutazioni.

Figura

Tabella 1 - Geni patogenetici nella DCP
Figura 3 - Il gene DNAH11: localizzazione cromosomica e distribuzione degli esoni   (da: Bartoloni L et al
Figura  4  -  Rappresentazione  schematica  della  proteina  DNAH11  e  del  suo  dominio  globulare  (da:

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