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I fattori di rischio nell’attività lavorativa

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Academic year: 2021

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CAPITOLO PRIMO

I fattori di rischio

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1.1 La definizione di rischio

Sin dai tempi più remoti, l’attività d’impresa è stata caratterizzata da elevata incertezza e aleatorietà. Tuttavia, sebbene la crescente complessità e dinamicità dei contesti abbia portato a un incremento del livello di rischio in tutte le aree di gestione, l’approccio al fenomeno si è manifestato a lungo soltanto con una considerazione e una rilevanza piuttosto marginale. La gestione del “rischio” si concretizzava prevalentemente nella sua accezione negativa e l’obiettivo del management era proteggere il business minimizzando o eliminando i rischi soprattutto in circoscritte aree di interesse, in primis la sfera finanziaria. L’analisi del rischio risultava quindi parziale e disgiunta, completamente incapace di valutare la portata dello stesso sull’intero complesso aziendale. Per di più tale attività assumeva una natura prettamente operativa, con l’inevitabile conseguenza di essere scarsamente di ausilio alla pianificazione strategica.

L’origine dei fattori che determinano il rischio rappresentano un primo criterio con cui distinguere:

- rischi esterni; - rischi interni.

I primi provengono dall’ambiente esterno, sebbene inevitabilmente si ripercuotono sui valori economici e patrimoniali dell’azienda stessa.

Tipici sono gli effetti prodotti dall’andamento del ciclo economico o da qualsiasi altra variabile macroeconomica o del mercato finanziario, come anche quelli derivanti da progressi tecnologici o eventi naturali. Essi si caratterizzano per l’impossibilità di influenzarne la manifestazione, gli eventi stessi. È logico come ad esempio una singola azienda non possa controllare in nessuna maniera il trend dei tassi di interesse o il verificarsi di una catastrofe naturale. Ciò non si traduce tuttavia in una impossibilità di gestione di tali tipi di rischi in quanto, nonostante le fonti di rischio non siano influenzabili, è possibile intervenire limitando quelle conseguenze economiche e patrimoniali che impattano sull’azienda, in special modo attraverso operazioni di copertura.

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I rischi interni sono quelli che nascono all’interno dell’azienda e possono essere influenzati dalle scelte e decisioni del management. Ne sono classici esempi i rischi relativi al regolare funzionamento del sistema informativo aziendale, al grado di efficienza produttiva, alla sicurezza dei lavoratori.

È interessante analizzare come le fonti di rischio interne possano essere determinate a loro volta da variabili esterne. Ne è un emblema appunto il tema della sicurezza sul lavoro, oggetto di studio nella presente tesi, la quale può dipendere parzialmente, come vedremo, dal verificarsi di eventi naturali. Ciò che rende tuttavia rilevante questa distinzione tra tipologie di rischi è proprio la parziale possibilità del management di influenzare gli eventi che caratterizzano le fonti di rischio interno.

Il rischio è radicato in tutte le attività umane con le quali ha un legame indissolubile. Ciascuno di noi ne ha una idea intuitiva, generata dall'esperienza quotidiana, ma la parola "rischio" assume un significato soggettivo, in base alla sfera sociale, economica, tecnica, alla formazione ed al bagaglio culturale propri dell'individuo.

Per qualunque evento o situazione, la definizione di rischio, correlata ad esso, che ciascuno darà, sarà certamente discordante da tutte le altre. Una percezione di un rischio ben definito in maniera univoca appare una realtà logicamente impossibile; ciò che invece sarebbe possibile fare è fornire una definizione astratta, ma precisa e linguisticamente comprensibile, in modo da delimitare concretamente l'applicabilità nell'ambito di tutta una serie di attività umane, lavorative ma non solo.

Pertanto si può passare a definire:

Pericolo = potenzialità di una determinata entità (processo lavorativo, apparecchiatura, sostanza, ecc) di causare un danno;

Rischio = combinazione della probabilità e della gravità (magnitudo) delle

conseguenze di un evento che causi o possa causare un danno (in altri termini: probabilità * gravità).

Come si può facilmente intuire dalle definizioni, il concetto di pericolo contiene una forte componente oggettiva, legata in modo quasi esclusivo alla presenza di

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una certa fonte di pericolo, mentre il rischio appare maggiormente legato alla complessità di una situazione ed alla sua evoluzione.

Una delle conseguenze dell'incertezza connaturata al concetto di rischio, riguarda l'accettabilità stessa del rischio, infatti ognuno di noi è portato al rifiuto di una situazione di rischio, anche se si tratta di un elemento con cui, in maniera consapevole od inconsapevole, ci confrontiamo quotidianamente.

La percezione del rischio è un fenomeno complesso poiché dipende da molteplici fattori non quantificabili né perfettamente identificabili, in quanto per larga parte generati da fattori emotivi spesso non razionalizzabili.

Da ciò deriva il concetto di accettabilità del rischio, ovvero, in base a quali parametri un rischio può essere definito ragionevolmente accettabile?

A tale proposito vale la pena ribadire come molte persone nella vita quotidiana non si preoccupino sostanzialmente dei fattori di rischio magari maggiormente rilevanti, mentre sono propensi al contrario, ovvero a non accettare quelli di entità molto più superflua se questi sono imposti. Appare lampante come un comportamento del genere derivi dalla personale libertà di scelta che viene limitata, ad esempio, in un contesto lavorativo.

Un altro aspetto interessante lo si deve all’apprezzamento del beneficio derivante dall'accettazione di una attività caratterizzata da una componente di rischio. Spesso siamo disposti ad accettare il rischio solo se il beneficio correlato è elevato e rinunciarci rappresenterebbe un sacrificio.

Operando nel campo della tutela della salute e della sicurezza ed incolumità fisica delle persone, bisogna prendere atto dei problemi derivanti dalla complessità tecnica ed organizzativa di un sistema di gestione del rischio; non si può ignorare il delicato equilibrio tra esigenze delle corrette politiche di gestione del rischio e le esigenze di sopravvivenza economica dell’attività “rischiosa”. Per rimediare a questa bipartizione, è necessario riflettere non soltanto in termini di conformità alla legge, quanto piuttosto considerare la sicurezza come una componente sistemica, in grado di migliorare continuamente i processi produttivi, anche e soprattutto in una logica di minori costi sociali, economici e di immagine.

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Aldilà di queste considerazioni generali sul concetto di rischio e sulla sua percezione, i rischi che dobbiamo tenere conto e a cui siamo interessati sono quelli relativi agli ambienti di lavoro ed ai processi lavorativi. Essi fanno parte della categoria più vasta dei rischi puri, quelli non speculativi, al cui interno è possibile trovare più classificazioni a seconda del contesto operativo.

Ai fini della gestione della sicurezza potremo distinguere i rischi in:

eliminabili o eludibili; riducibili;

ritenibili; trasferibili.

Eludere od eliminare un rischio alla fonte, nella maggior parte dei casi, permette di garantire un’intatta operatività del sistema, la quale tuttavia ne subisce una variazione in termini di dinamica produttiva e pianificazione del lavoro.

Tipici casi di elusione ed eliminazione del rischio sono la rinuncia a utilizzare determinate sostanze pericolose o la loro sostituzione con altre meno pericolose. Se un rischio non è eliminabile, urge comunque ridurlo, operando sull'interazione uomo-entità e sull'organizzazione del lavoro. Con la separazione uomo-entità indubbi vantaggi si presentano sottoforma di una minore esposizione diretta del lavoratore (ad esempio mediante delimitazione delle aree di accesso a zone pericolose, confinamento di processi chimici, eccetera). Se tale tipo di separazione riscontra notevoli difficoltà nella messa a punto, il rischio può essere ridotto adottando altrimenti misure preventive, sulle macchine e sugli impianti, e protettive, sulle persone esposte.

Il rischio può essere ridotto anche agendo sull'organizzazione del lavoro e considerando direttamente anche il «fattore uomo», facendo dunque leva sull’informazione e formazione, sull'addestramento, sulla responsabilizzazione, in modo da escludere il più possibile le probabilità di manifestazioni di errori umani.

Con il termine ritenzione del rischio, si intende quella circostanza in cui l’organizzazione rinuncia a intervenire accollandosi l’onere delle eventuali conseguenze o perdite dovute al verificarsi dell'evento dannoso. Rappresenta una

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scelta di politica aziendale, più o meno giustificabile, ed è generalmente limitata ai rischi con bassa probabilità e magnitudo. Esiste anche una ritenzione di fatto che non deriva da particolari scelte, ma che è frutto della non conoscenza o della sottovalutazione di alcuni rischi presenti. Una carenza metodologica nell'analisi del rischio può condurre ad una ritenzione di fatto del rischio.

Quando parliamo di trasferimento del rischio ci si riferisce infine non al trasferimento fisico del rischio stesso, ma il ricorso a coperture assicurative che indennizzano e compensano le eventuali conseguenze economiche scaturenti dal manifestarsi di un evento dannoso concreto. Facendo un semplice ragionamento in termini di valutazione economica, appare chiaro come tale prassi divenga una ottima soluzione solo nel caso in cui i rischi coperti siano assai sporadici e di magnitudo non rilevante.

1.2 Il processo di valutazione del rischio

La valutazione dei rischi altro non è che una procedura consistente in una serie di tappe logiche e sequenziali che permettono di osservare in una logica d’insieme tutti i pericoli pertinenti ad una qualunque attività lavorativa. L’obiettivo primario, una volta identificati e valutati tutti i rischi, è quello di agire allo scopo di eliminarli o ridurli a un livello ritenuto accettabile. Quando questo processo viene ripetuto diventa un processo iterativo, allo scopo di rimuovere i pericoli, ove possibile e per quanto consentito, e mettere in atto le misure di sicurezza.

Un’analisi dei rischi procura le informazioni indispensabili alla valutazione dei rischi, che, a sua volta, serve a formulare il giudizio sulla sicurezza del processo. In qualsiasi attività di lavoro è necessario individuare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori e valutarli, facendo attenzione che questa valutazione sia effettuata:

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- preventivamente (all’atto della scelta dell’elemento che si intende introdurre nel processo di lavoro);

- costantemente (diventa utile strumento di gestione della realtà aziendale, e non un obbligo di cui ricordarsi di tanto in tanto).

Ai sensi della normativa concernente il miglioramento della sicurezza e della salute, i datori di lavoro sono tenuti a effettuare una regolare valutazione dei rischi (direttiva quadro 89/391/CE, recepita negli ordinamenti giuridici nazionali – In italia con il D.Lgs. 81/08 “Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro); tale valutazione deve essere fatta entro 90 giorni dall’inizio dell’attività, con attenzione alle differenze di età, genere e provenienza culturale dei lavoratori, nonché tener conto di particolari condizioni individuali (come, per esempio, una lavoratrice in gestazione o un portatore di una disabilità che abbia riflessi sui rischi già presenti).

Il Testo Unico, di cui si parlerà più dettagliatamente nel prossimo capitolo, definisce all’art. 2 la valutazione dei rischi come una valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la loro attività, finalizzata a individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a consentire un miglioramento, nel tempo, degli stessi livelli di salute e sicurezza, e sottolinea che questa deve riguardare tutti i possibili rischi (compresi quelli collegati allo stress da lavoro).

In altri termini, tale valutazione rappresenta lo strumento per permettere al datore di lavoro di conoscere situazioni, sostanze ecc. che, in relazione alle modalità di svolgimento dell’attività o alle caratteristiche dell’ambiente di lavoro, potrebbero arrecare danno ai propri dipendenti, ove per danno si intende la perdita di un qualsiasi elemento che contribuisce alla conservazione della salute.

Valutare un rischio significa come prima cosa analizzare cos’è, da dove si origina e come si presenta, in modo da potergli assegnare un livello di gravità. Questo dà modo d’individuare i punti critici su cui poi s’interviene, per la prevenzione, applicando le misure di tutela.

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La valutazione dei rischi è quindi un processo di conoscenza e lettura della realtà, che poi, una volta definita, viene descritta nel relativo documento. Per individuare i pericoli presenti e comprendere come questi agiscono, nella realtà aziendale, è necessario analizzare in dettaglio l’attività lavorativa e ricostruire i rapporti tra le varie attività che compongono il lavoro: muoversi dalla visione generale al particolare, andando ad analizzare il processo di lavoro e a scomporlo nelle sue attività basilari. In ogni fase è molto più agevole individuare i pericoli anche nascosti, perché l’attività viene osservata più da vicino e inoltre, avendo composto l’articolazione delle varie attività in uno schema logico, è possibile ricostruire i rapporti che intercorrono tra le varie fasi e i rischi che derivano anche dagli elementi organizzativi (per esempio, l’organizzazione dei tempi di lavoro).

In termini economico-aziendali se ne può parlare in termini di processo, le cui fasi possono essere così sinteticamente individuate:

- identificazione dei pericoli;

- individuazione dei conseguenti potenziali rischi di esposizione in relazione allo svolgimento delle lavorazioni, sia per quanto attiene ai rischi per la sicurezza e per la salute e l’identificazione dei soggetti esposti a rischi potenziali;

- valutazione in senso stretto dei rischi;

- studio delle possibilità di eliminare o ridurre i rischi, definendo una scala di priorità degli interventi;

- adozione di opportune azioni preventive e correttive; - verifica del grado di efficacia delle azioni intraprese.

Tale processo di valutazione può portare, per ogni ambiente o posto di lavoro considerato, a uno dei seguenti risultati:

- assenza di rischio di esposizione (non sussistono problemi per lo svolgimento di tali lavorazioni);

- presenza di esposizione controllata entro i limiti di accettabilità previsti dalle normative (la situazione deve essere mantenuta sotto controllo periodico);

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- presenza di un rischio di esposizione (si dovranno attuare i necessari interventi di prevenzione e protezione secondo una definita scala di priorità).

Data la sua importanza, appare necessario che l’espletamento dell’intervento finalizzato alla valutazione dei rischi, sia svolto secondo precisi criteri procedurali, tali da rendere possibile un omogeneo svolgimento delle varie fasi operative che costituiscono il processo di valutazione.

In questa ottica è importante sottolineare che l’obiettivo finale di una valutazione dei rischi non può essere solo quello di compilare un documento formale obbligatorio, ma quello di realizzare una vera stima dei rischi e di definire, sulla base di tale analisi, concrete linee di intervento, volte sia a ridurre i rischi individuati e sia a promuovere un miglioramento continuo delle condizioni di lavoro, per favorire un maggiore stato di benessere fisico, mentale e sociale dei lavoratori.

A conclusione della valutazione deve essere redatto un apposito documento che deve contenere:

a) una relazione sulla valutazione dei rischi relativi all’attività lavorativa svolta, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa. Tale relazione deve fornire indicazioni su:

- le realtà operative considerate, eventualmente articolate nei diversi ambienti fisici, illustrando gli elementi del ciclo produttivo rilevanti per l’individuazione e la valutazione dei rischi, lo schema del processo lavorativo, con riferimento sia ai posti di lavoro e sia alle mansioni;

- le varie fasi del procedimento seguito per la valutazione dei rischi;

- il coinvolgimento delle componenti aziendali, con particolare riferimento al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza;

- le professionalità e risorse interne ed esterne cui si è fatto eventualmente ricorso;

b) l’individuazione delle misure di prevenzione e di protezione sulla base della valutazione effettuata, precisando anche:

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- gli interventi necessari a seguito della valutazione e quelli programmati per conseguire un’ulteriore riduzione dei rischi residui;

- l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere sulla base di adeguate competenze e poteri;

- le conseguenti azioni di informazione e formazione dei lavoratori previste; - l’elenco dei mezzi di protezione personali e collettivi messi a disposizione

dei lavoratori;

- l’individuazione delle mansioni che eventualmente possono esporre i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, una specifica esperienza, adeguate attività di addestramento e formazione;

c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, illustrando in particolare: - l’organizzazione del servizio di prevenzione e protezione;

- il programma per l’attuazione e il controllo dell’efficienza delle misure di sicurezza poste in atto;

- il piano per il riesame periodico od occasionale della valutazione, anche a seguito dell’azione di controllo.

Tale documento, che deve essere custodito presso l’unità produttiva alla quale si riferisce, dovrà essere rielaborato in caso di modifiche del processo produttivo o dell’organizzazione del lavoro significative ai fini della sicurezza e della salute dei lavoratori o in relazione ai cambiamenti della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni significativi o, ancora, quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità.

Nella valutazione dei rischi appare evidente come la formulazione e il rispetto delle norme, inserite nel relativo documento, a fronte della complessità dei problemi prevenzionistici, debbano tener conto anche delle tipologie di organizzazioni interessate. In effetti, in realtà caratterizzate da un’alta intensità di conoscenze, quali quelle operanti, ad esempio, nei settori nucleari, energetici, informatici, a fronte di rischi anche di notevole gravità, altrettanto elevato è il

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grado di professionalità dei soggetti ai quali il piano dei rischi è diretto, concretandosi in una sorta di “autotutela”.

Circa i criteri e i metodi per realizzare la valutazione dei rischi, a partire dall’emanazione della L. n. 626/1994, enti, associazioni di categoria, società. Di consulenza si sono impegnati a cercare di definire linee guida applicative. In particolare l’ISPESL (Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro), che ha tra i suoi compiti istituzionali quello di promuovere la diffusione di informazioni e di documentazioni relative alla sicurezza sul lavoro, ha provveduto a definire singoli profili di rischio per un buon numero di attività, viatico per una corretta stesura del documento di valutazione dei rischi, ovviamente da adattare alle specifiche condizioni delle singole attività.

Un ulteriore punto di domanda è: quali metodi dobbiamo utilizzare per un’adeguata ed efficace valutazione dei rischi?

Sicuramente i più idonei risultano i metodi qualitativi, sebbene la migliore soluzione sia rappresentata da un’integrazione tra metodi qualitativi e quantitativi.

Quest’ultimi sono indicati quando si prevedono gravità ed entità dei danni particolarmente elevate. Sono utili per confrontare misure di sicurezza alternative, e per individuare quali tra queste assicurano la migliore protezione. L’applicazione dei metodi quantitativi tuttavia non è illimitata. Essa dipende infatti dalla quantità di dati utili disponibili, ne consegue che in numerose applicazioni la valutazione dei rischi potrà essere svolta soltanto in versione qualitativa.

Come detto in precedenza, la valutazione dei rischi comprende l'analisi dei rischi, che a sua volta deve considerare:

1) la determinazione dei limiti del processo; 2) l'identificazione dei pericoli;

3) la stima dei rischi.

Le informazioni necessarie a procedere alla valutazione dei rischi, opportunamente aggiornate in linea con lo sviluppo della progettazione, devono includere, dove opportuno:

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a) i limiti del processo;

b) i requisiti indispensabili per suddividere le fasi di vita del processo; c) le informazioni reperibili su processi analoghi;

d) la casistica degli infortuni e degli incidenti relativi a quel dato processo; e) qualsiasi informazione relativa ai danni alla salute riscontrati per quel dato

processo o per singole fasi dello stesso.

È spesso possibile fare confronti tra situazioni pericolose simili, associate a tipi diversi di processo, a condizione che siano disponibili sufficienti informazioni sulle circostanze di pericolo e di infortuni in quelle situazioni.

L'assenza di una casistica degli infortuni, o un basso numero di infortuni o un basso livello di gravità degli infortuni non devono generare l'automatica presunzione di un basso rischio.

Per l'analisi quantitativa, è possibile usare i dati provenienti da banche dati, manuali, specifiche di laboratorio e/o dei costruttori delle apparecchiature necessarie al processo a condizione che i dati siano ritenuti affidabili. L'incertezza associata a questi dati deve essere registrata nella documentazione. Per integrare i dati qualitativi, è possibile utilizzare i dati basati sul consenso di opinioni di esperti derivante dall'esperienza (ad esempio la bibliografia esistente sul quel determinato processo).

Dunque, riassumendo, in linea generale una corretta valutazione dei rischi, terrà conto dei seguenti fattori:

• i limiti del processo, includendo sia il funzionamento corretto delle fasi progettate del processo sia le conseguenze di un malfunzionamento ragionevolmente prevedibile;

• tutti gli usi prevedibili delle macchine e delle apparecchiature utilizzate nel processo, da parte di persone autorizzate, considerando anche eventuali limitazioni delle capacità fisiche (per esempio menomazioni della vista o dell'udito);

• il livello di formazione, esperienza o capacità degli operatori prevedibili, incluso il personale di manutenzione, il personale tecnico, gli allievi;

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• l'esposizione di altre persone ai pericoli associati al processo, inclusi visitatori ed altre persone non autorizzate, quando può essere ragionevolmente prevista. Pertanto tutti i pericoli, le situazioni e gli eventi pericolosi associati al processo devono essere identificati. Gli esempi forniti nella seguente tabella, possono essere di aiuto nell'esecuzione di questo compito.

PERICOLI GENERALI PER LA SICUREZZA DELLE PERSONE, legati a:

zone di transito spazi di lavoro

scale e sistemi di sollevamento macchine, impianti e attrezzature attrezzi manuali

impianti ed equipaggiamenti elettrici apparecchi a pressione

impianti di depurazione e filtrazione

reti e apparecchiature di distribuzione gas mezzi di trasporto, carico e scarico

manipolazione manuale di oggetti attività di immagazzinamento di oggetti attività di movimentazione rifiuti

pericolo di incendio ed esplosione pericoli per la presenza di esplosivi pericoli chimici

esposizione ad agenti chimici esposizione ad agenti biologici esposizione ad agenti cancerogeni esposizione a radiazioni ionizzanti esposizione a radiazioni non ionizzanti esposizione a rumore

esposizione a vibrazioni

microclima termico ventilazione industriale

climatizzazione locali di lavoro illuminazione

micropolverosità carico di lavoro fisico carico di lavoro mentale

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lavoro ai videoterminali organizzazione del lavoro

compiti, funzioni e responsabilità analisi, pianificazione e controllo formazione, informazione e

addestramento

partecipazione

norme e procedimenti di lavoro manutenzioni e collaudi

gestione trasporti

peculiarità legate alle tecnologie

specifiche

dispositivi di protezione individuale attività di ricerca e sperimentazione energy management

gestione delle emissioni gassose e liquide gestione e smaltimento dei rifiuti e residui

delle lavorazioni

impatto dei processi su aria, acqua e suolo gestione fornitori in chiave ambientale e di

sicurezza

1.3 Linee guida dell’ISPESL per l’elaborazione del

documento di valutazione dei rischi

Il documento di valutazione dei rischi (DVR) esprime e riassume il processo di valutazione effettuato, indicando almeno i seguenti elementi:

- quali rischi sono stati valutati, e in quale modo (la scelta dei criteri di valutazione deve essere spiegata in modo sintetico, ma chiaro);

- quali misure sono già state adottate al momento della valutazione;

- quali misure si intende adottare per il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza (programma o piano di miglioramento), comprensivo delle funzioni aziendali coinvolte (es. manutenzione, ufficio personale, servizio prevenzione e protezione, ecc. a seconda dei diversi interventi ipotizzati) e delle eventuali procedure per attuare le misure previste;

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- se (in base alla valutazione fatta) siano presenti mansioni particolarmente delicate che richiedono capacità ed esperienza specifica, e quindi un addestramento particolare.

Tra i rischi nuovi che è necessario individuare e valutare, compare espressamente il rischio di stress lavoro-correlato.

Il DVR può anche essere tenuto su supporto informatico. In ogni caso deve avere una data certa e, a tale scopo, oltre a essere sottoscritto dal datore di lavoro che ne ha responsabilità, conterrà le firme degli altri soggetti della prevenzione, se esistenti, e le cui verranno analizzate nel capitolo successivo.

Il processo di valutazione dei rischi deve essere aggiornato a ogni modifica dell’attività lavorativa (dal punto di vista logistico, tecnico e organizzativo) rilevante per la salute e la sicurezza dei lavoratori, con conseguente revisione del documento entro 30 giorni dalle modifiche svolte. Per alcuni rischi specifici (per esempio il rischio cancerogeno e mutageno) sono previste specifiche periodicità di revisione.

Riguardo l’individuazione dei rischi presenti nelle attività lavorative, gli stessi possono essere distinti in:

a) Rischi per la sicurezza: sono responsabili del potenziale verificarsi di

incidenti o infortuni. Le cause di tali rischi sono da ricercare, almeno nella maggioranza dei casi, in un non idoneo assetto delle caratteristiche di sicurezza presenti e attinenti all’ambiente di lavoro, le macchine o le apparecchiature utilizzate. Si pensi a:

- rischi connessi alle caratteristiche degli ambienti di lavoro (esempi: scarsa illuminazione, pavimenti scivolosi ecc.);

- rischi connessi ad impianti, macchine, attrezzature (esempi: malfunzionamenti, carenze di istruzioni ecc.);

- rischi connessi alla manipolazione di sostanze pericolose; - rischi connessi a problemi di sicurezza elettrica;

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Lo studio delle cause e dei relativi interventi di prevenzione e protezione per tali tipi di rischi, può orientarsi nella ricerca di un idoneo equilibrio tra fattori umani, strutturali e tecnici, sulla base anche dei più moderni concetti ergonomici.

L’ergonomia è una disciplina volta ad adeguare macchine, postazioni, organizzazione del lavoro e in generale i sistemi di produzione, alle esigenze dell’uomo. I principi ergonomici si applicano perciò alla concezione e realizzazione di condizioni di lavoro idonee ad assicurare il benessere dell’individuo, durante lo svolgimento della sua attività nell’arco del proprio orario di lavoro, tenuto conto anche del progresso tecnologico e delle esigenze economiche.

L’ergonomia del posto di lavoro sta acquisendo sempre più importanza da parte anche degli specialisti in igiene del lavoro, anche se ancora pochi sono i riferimenti legislativi su questo tema.

Il Testo Unico richiama, in particolare, questo tema con riferimento all’utilizzo di videoterminali in ordine alla postura assunta dallo stesso lavoratore.

b) Rischi per la salute o igienico-ambientali: sono responsabili della potenziale

compromissione dell’equilibrio biologico del soggetto addetto a operazioni o lavorazioni che comportano l’emissione di fattori ambientali di rischio, di natura chimica, fisica, biologica con conseguente esposizione del personale addetto. Tali rischi si possono suddividere in:

- rischi legati ad agenti chimici (sostanze irritanti, corrosive, tossiche, nocive);

- rischi connessi all’esposizione a grandezze fisiche che interagiscono in vari modi con l’organismo umano (rumore, vibrazioni, radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, climatizzazione dell’ambiente di lavoro, presenza di fluidi sotto pressione come aria, vapore, liquidi compressi ecc.);

- rischi connessi con l’esposizione (ingestione, contatto cutaneo inalazione) a organismi e microrganismi patogeni o non presenti nell’ambiente di lavoro (rischio biologico); si può parlare in tali casi di: emissione involontaria (ad esempio nell’impianto di condizionamento), emissione

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incontrollata (esempi: impianti di depurazione delle acque, impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti, manipolazione di materiali infetti in ambiente ospedaliero ecc.);

- trattamento o manipolazione volontaria a seguito di impiego per ricerca sperimentale in “vitro” o in “vivo” o in sede di vera e propria attività produttiva.

Lo studio delle cause e dei relativi interventi per i rischi collegati alla salute sembra doversi orientare verso la ricerca di un idoneo equilibrio tra fattore umano e condizioni dell’ambiente di lavoro.

c) Rischi per la sicurezza e la salute: sono individuabili all’interno del rapporto

tra il soggetto e l’organizzazione del lavoro in cui è inserito; tali rischi possono essere riconducibili a:

- la stessa organizzazione del lavoro (processi di lavoro usuranti, i programmi di controllo e monitoraggio, le procedure e i protocolli di comportamento, le movimentazioni dei materiali, il lavoro ai videoterminali ecc.);

- fattori psicologici (monotonia, ripetitività del lavoro, situazioni di conflittualità ecc.);

- fattori ergonomici (ergonomia delle attrezzature, delle postazioni di lavoro ecc.);

- fattori legati a condizioni di lavoro difficili (lavori in condizioni climatiche esasperate, in atmosfere con pressioni superiori al normale ecc.).

Una volta individuate le diverse tipologie di rischio, la linea guida elaborata dall’ISPESL specifica nel dettaglio le fasi operative della valutazione dei rischi:

- Identificazione delle sorgenti di rischio.

Tale identificazione comporta un’accurata descrizione del ciclo lavorativo svolto, evidenziando:

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- la finalità della lavorazione, con la descrizione del processo tecnologico, delle macchine, impianti e attrezzature utilizzate, delle sostanze impiegate e/o prodotte;

- che nella descrizione del ciclo tecnologico delle lavorazioni devono essere considerate anche le operazioni di pulizia, manutenzione, trattamento e smaltimento dei rifiuti;

- la destinazione operativa dell’ambiente di lavoro (reparto di lavoro, laboratorio ecc.);

- le caratteristiche strutturali dell’ambiente di lavoro (superficie, finestre ecc.);

- il numero degli operatori addetti alle lavorazioni e/o operazioni svolte in quell’ambiente di lavoro;

- le informazioni fornite, se presente, dalla sorveglianza sanitaria; - la presenza di movimentazioni manuali di carichi.

Tale descrizione può consentire di avere una visione d’insieme delle lavorazioni e delle operazioni svolte nell’ambiente di lavoro preso in esame, una vera e propria “mappatura”, e quindi poter svolgere un esame analitico, per la ricerca della presenza di eventuali sorgenti di rischio, per la sicurezza e la salute dei lavoratori.

- Individuazione dei rischi di esposizione.

Tale analisi è finalizzata a definire se la presenza nel ciclo lavorativo di sorgenti di rischio e/o di pericolo, identificate nella fase precedente, possa comportare nello svolgimento della specifica attività, un rischio di esposizione per quanto attiene la sicurezza e la tutela della salute nelle lavorazioni prese in esame. Al riguardo potranno essere oggetto di analisi:

- le modalità operative seguite nello svolgimento della lavorazione (manuale, automatica, ecc.) o dell’operazione (in ambiente chiuso, protetto ecc.);

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- l’entità delle lavorazioni in funzione dei tempi impiegati e delle quantità di materiali utilizzati nell’arco della giornata lavorativa;

- l’organizzazione dell’attività svolta (tempi di permanenza nell’ambiente di lavoro, contemporanea presenza di altre lavorazioni ecc.);

- la presenza di misure di sicurezza e/o di sistemi di prevenzione e protezione già attuate per lo svolgimento delle lavorazioni in conformità alle norme di “buona tecnica”;

- le documentazioni presenti nell’ambiente di lavoro.

Si tratta di individuare i rischi che derivano non solo dalle intrinseche potenzialità di rischio delle sorgenti (macchine, impianti, sostanze chimiche ecc.) ma anche i potenziali rischi residui che permangono tenuto conto delle modalità operative seguite, delle caratteristiche dell’esposizione, delle protezioni e misure di sicurezza esistenti. In effetti, anche i casi di incidenti che non hanno determinato danni per le persone devono essere valutati come probabili generatori di danno (rischi che possano ripetersi generando un danno).

- Stima dei rischi di esposizione. Tale stima può essere eseguita mediante:

- una verifica del rispetto dell’applicazione delle norme di sicurezza durante lo svolgimento delle attività lavorative;

- una verifica dell’accettabilità delle condizioni di lavoro, in relazione all’entità e alla durata delle lavorazioni, alle modalità operative svolte e a tutti i fattori che sono in grado di influenzare i livelli di esposizione;

- una verifica delle condizioni di sicurezza e igiene esistenti nell’ambiente di lavoro;

- una vera e propria “misura” dei parametri di rischio che porti ad una loro quantificazione oggettiva e alla conseguente valutazione attraverso il confronto con opportuni indici di riferimento (indici igienico-ambientali, norme di buona tecnica, ecc).

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Un metodo comunemente utilizzato per la stima dei rischi tiene conto, da un lato, della probabilità (P) o frequenza che si verifichi l’evento dannoso (basandosi anche sullo studio dei dati riguardanti gli infortuni accaduti all’interno dell’azienda) e della magnitudo dello stesso o gravità delle conseguenze derivanti dal verificarsi dello stesso evento (D). Di conseguenza entità del rischio (R) è funzione della probabilità e della gravità del danno, per cui risulta:

R = P • D

Ciascuna delle due grandezze, probabilità (da raro a più frequente) e danno (da più lieve a più grave), può essere valutata su una scala numerica (ad esempio da 1 a 4).

In tal modo, l’entità del rischio può assumere valori compresi, nell’esempio considerato, tra 1 e 16 determinando la definizione di una priorità di interventi. Al termine di queste fasi, sulla base dei dati ottenuti, si potrà procedere alla definizione di programmi di prevenzione integrata, considerando le dimensioni tecniche, organizzative, procedurali ecc., secondo le priorità individuate.

In tale ottica per cercare di tenere sotto controllo le diverse situazioni di rischio si potrà far riferimento a un mix di elementi:

- monitoraggio continuo dei processi, dell’ambiente di lavoro e delle condizioni di salute;

- promozione di pratiche di lavoro sicure; - formazione e addestramento del personale; - programmi di manutenzione periodici; - fornitura di dispositivi di protezione;

- riduzione alle esposizioni attraverso modifiche ai sistemi di lavorazione; - utilizzo di materiali meno rischiosi.

Occorrerà, poi, predisporre programmi di rivalutazione periodica dei rischi e di controllo delle misure adottate, in termini di:

- rivalutazione dei rischi nei casi di variazioni nei cicli produttivi o di introduzione di nuove macchine o attrezzature;

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- revisione dei programmi di formazione e informazione del personale in relazione alle variazioni delle condizioni di lavoro e dei rischi;

- revisione delle misure di prevenzione in rapporto al progresso tecnico o ad una modifica delle condizioni di rischio;

- ricerca del miglioramento delle misure di prevenzione adottate nel caso in cui si verifichino infortuni che mettono in evidenza delle carenze in alcune aree di lavoro.

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