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I foyer per lavoratori migranti

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Academic year: 2021

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Capitolo 5

I foyer per lavoratori migranti

Oggi un corpo umano prenderà la strada del ritorno. Viaggia in una scatola metallica. I suoi sogni sono portati via dai bambini. C'è ancora un avanzo di vita da raccogliere, da impacchettare in un foglio di alluminio, da legare con lo spago e rispedire al paese. Non dimenticate l'etichetta e il profumo.

Tahar Ben Jelloun, Le pareti della solitudine (1990)

5.1 Alloggiare i “senza famiglia”

L'approccio all'alloggio per lavoratori celibi (o forse si dovrebbe dire “celibizzati”1, nel

senso di forzatamente celibi, ma spesso con moglie e figli nel paese d'origine) si distingue nettamente da quello alle famiglie, trattato fin'ora. Tale distinzione riposa sull'assunto per il quale le due migrazioni siano essenzialmente diverse, rispettivamente denominate come categorie separate e distinte: immigrazione per lavoro e immigrazione familiare. La prima inevitabilmente “inassimilabile”, mentre la seconda, grazie alla famiglia come fattore di somiglianza culturale, potenzialmente “assimilabile”2.

La separazione tra celibi e famiglie è vista come indispensabile per la conservazione dei “buoni costumi”. Il celibe è, dal punto di vista dei poteri pubblici e dell'imprenditoria, fonte d'inquietudine a causa della sua mobilità sociale e geografica. L'alloggio costituisce, in questo senso, un mezzo di sedentarizzazione, separazione e controllo3.

I “senza famiglia” - non limitandoci adesso ai migranti, ma, più in generale, considerando coloro con pochi denari da spendere, le classi popolari - sono stati storicamente destinatari di forme di controllo e inquadramento attraverso l'alloggio. Apposite strutture a prezzo calmierato erano loro destinate, quando l'igienismo soppiantò gli immondi locali di affittacamere e affittaletti. In Francia, bisogna attendere l'inizio del XX° secolo per vedere apparire un abitato specificatamente per celibi, degli “alberghi

1 Cfr. Bernardot M. (1995) Enquête: le mode de vie des résidents en foyers pour isolés à la SONACOTRA : rapport

final.

2 Sayad A. (2002), p. 99.

3 Bernardot M. (2008a), Loger les immigrés. La Sonacotra 1956-2006, Éditions du Croquant, Collection

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popolari per uomini”4.

In Inghilterra, questi alloggi esistono a Londra dal 1892 e si chiamano Rowton Houses, dal nome del loro promotore. A New York, il Mills Hotel, costruito nel 1898, comprendeva 1.554 camere, messe a disposizione dei locatari dalle ore 17 in poi. A Milano l'Albergho populare è costruito nel 1901 sulle basi delle Rowton Houses. A Vienna, l'Hotel Mannerheim riceve 180 persone e un ufficio è preposto all'accoglienza dei locatari, includendo la preparazione dei pasti.

A Parigi era stata costruita una “Casa delle impiegate” di telefoni, poste e telegrafi, su iniziativa dello stesso Ministero delle Poste e dei Telegrafi5. La situazione della donna

lavoratrice si può considerare, per alcuni versi, vicina a quella del lavoratore migrante. La donna “fuori casa” era considerata immorale e, come i migranti, ritenuta soggetto da inquadrare e contenere6. Così, anche in questo senso, l'alloggio svolge una funzione di

controllo.

L'immigrazione coloniale conferisce una specifica dimensione alla questione della protezione, del controllo e della selezione dei migranti celibi. I primi foyer destinati specificatamente agli immigrati compaiono nel 1947 col nome di camps d'hebergement, appellativo che rende bene il loro carattere di precarietà e improvvisazione7. Essi sono

gestiti dall'ispettorato del lavoro, e dunque con un chiaro intervento dei poteri pubblici, che crescerà costantemente con le presenze di immigrati, seppur “interni”, in quanto indigeni dei possedimenti lontani.

L'alloggio collettivo appare subito la soluzione più adatta per alloggiare queste popolazioni, ma i camps d'hebergement non offrono miglior comfort dell'habitat prevalente in quel periodo per i migranti, passato in rassegna. L'iniziativa presa da Eugène Claudius-Petit nel 1956 rappresenta, dunque, agli occhi dei pubblici poteri, un notevole progresso rispetto alla situazione anteriore: il foyer-hotel avrebbe dovuto garantire a ciascun residente una camera individuale e norme di comfort elevate.

La pressione del riassorbimento delle bidonvilles e dell'abitato insalubre, dove principalmente abitavano algerini, essenzialmente manovali nel settore BTP (Bâtiment et travaux publics), fa sì che inizialmente la morfologia della popolazione dei foyer rispecchi necessariamente queste presenze, proprio come voleva la strategia del controllo8. Nel 1966, 4 Ivi, p. 10.

5 Schiavi A. (1985), Op. cit., p. 161.

6 Cfr. Duby G., Perrot M. (1991), Storia delle donne in Occidente. L'Ottocento, vol. IV a cura di Fraisse G., Perrot

M., Laterza, Roma-Bari.

7 Barou J., “Foyers d’hier, résidences sociales de demain”, Ecarts d'identité, n°94, 2000-2001. 8 Bernardot M. (2008a), p. 55.

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su 69 foyer della Sonacotra in servizio, dei quali 22 nella sola regione di Parigi, i nord-africani rappresentano il 77% della popolazione residente, nelle seguenti percentuali: 64% algerini, 9% marocchini, 3% tunisini, 2% originari dell'Africa francofona, 10% europei e 12% francesi, tra i quali numerosi lavoratori originari dei DOM-TOM9.

Gli algerini rappresentano ancora la nazionalità più numerosa tra i residenti dei foyer, anche se la loro presenza tende a diminuire regolarmente10. Mentre negli anni '70

costituivano il 60% dei residenti dei foyer Sonacotra, oggi non costituiscono più del 33%11.

In parte, la loro diminuzione in questo tipo di alloggio si spiega con le possibilità che riescono a trovare altrove, cioè presso i loro connazionali, contando sull'insieme delle solidarietà che sanno di poter mobilitare. Gli immigrati dell'Africa nera, invece, arrivati in Francia più di recente, non hanno altra risorsa per alloggiare che il foyer12.

La molteplicità degli operatori amministrativi dell'alloggio e degli statuti applicati ai foyer rendono difficile la compilazione di un quadro esatto e completo dell'arcipelago delle strutture. Le risorse statistiche sono molto ridotte e frammentarie, perciò, prendendo di riferimento principalmente le opere di Sayad13 e Bernardot14, si cercherà di tracciare i

meccanismi alla base della creazione e del funzionamento dei foyer.

La formula del foyer

L'obiettivo dichiarato della Sonacotral era di “procurer aux travaillers originaires d'Algérie des conditions d'habitations analogues à celles des travailleurs métropolitains”15.

Per adempiere tale scelta si doveva trovare un modello abitativo, sia sul piano architettonico che su quello gestionale. I fattori che hanno portato alla formula del foyer16

sono molteplici. Primo tra tutti l'esempio degli alloggi già in funzione - si ricordino i dormitori degli anni '20 e '30, citati nel terzo capitolo -, a cui si aggiungono l'assenza di legislazione in materia (fino al 1966 nessun testo, nemmeno regolamentare, definiva gli alloggi-foyer), i limiti materiali imposti dai mezzi di costruzione e i vincoli di prezzo. Inoltre,

9 Ivi, p. 81.

10 Infra, par. 3.2, “Il blocco dell'emigrazione e la politica del ritorno”. 11 Barou J., “Foyers d’hier, résidences sociales de demain”, cit. 12 Sayad A. (2008), p. 66.

13 Sayad A. (2002), La doppia assenza. Dalle illusioni dell'emigrato alle sofferenze dell'immigrato, Raffaello Cortina

Editore, Milano.

14 Bernardot M. (2008a); Id. (1995) Enquête: le mode de vie des résidents en foyers pour isolés à la SONACOTRA :

rapport final.

15 Bernardot M. (2008a), p. 51.

16 Si è deciso di conservare il termine francese “foyer”, che indica una particolare forma di alloggio per

immigrati, perché tra le nostre istituzioni e nella nostra lingua non esistono equivalenti precisi che lo traducano adeguatamente. Vedremo nel prossimo capitolo le funzioni e le caratteristiche assolutamente specifiche di questi luoghi.

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come precedentemente suggerito, la formula del foyer, prima di essere misura specifica per migranti, si inscrive nelle tecniche d'intervento sociale destinate all'inquadramento e all'educazione degli operai celibi17.

In questo contesto, assume notevole importanza l'influenza di Le Corbusier sul presidente del Consiglio di amministrazione della Sonacotral, Claudius-Petit. Dell'impianto teorico del padre del modernismo viene ripreso il connubio di tre logiche: il controllo, la solidarietà nazionale (declinata nell'integrazione) e la ridefinizione del territorio.

Dalle prime due scaturisce il concetto di igiene, sempre presente nelle azioni della Sonacotra come “traccia tangibile della civilizzazione”18. Il progresso sanitario si salda con

quello morale in una architecture de réinsertion, che potremmo anche definire “ingegneria sociale”. Le Corbusier propone a tale scopo delle “derive metaforiche” della caserma e dell'ospedale.

Uno dei primi progetti che Le Corbusier si vede attribuire e dove esprime tale indirizzo teorico è la Cité de Refuge per l'Armée du Salut (Esercito della Salvezza)19. Questo edificio

servirà da referenza centrale a Claudius-Pétit nell'ideazione del “prodotto” Sonacotral.

Cité de Refuge, Parigi. Foto di Symon Glynn, 2001. http://www.galinsky.com/buildings/refuge/index.htm Il progetto per la Cité de Refuge è del 1929 e terminerà nel 1933. Fino a quel momento il solo edificio che superava la Cité per dimensioni e complessità era il Centrosoyus di Mosca, uno stabile di uffici per un effettivo di 2.500 persone. La Cité de Refuge resta comunque più rilevante, in quanto inclusiva della totalità degli spazi essenziali del quotidiano - che Le Corbusier definisce “prolungamenti dell'abitazione”, ovvero lavoro, approvvigionamento, divertimento, educazione, sanità, giardini20 -, e costituirà un reale condensamento di quello 17 Cfr. Hmed C. (2006), “Tenir ses hommes. La gestion des étrangers «isolés» dans les foyers Sonacotra après

la guerre d’Algérie", Politix, vol.19, n° 76.

18 Bernardot M. (2008a), p. 52.

19 Per approfondimenti si veda http://www.armeedusalut.fr/histoire.html. 20 Le Corbusier (1971), pp. 57-63.

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che poteva essere l'abitato collettivoin un contesto urbano volto verso il futuro21. Lo stabile

doveva ospitare provvisoriamente da 500 a 600 persone, tra uomini e donne, così come ristoranti, servizi sociali, negozi, uffici e alloggi per il personale. Era a disposizione inoltre un asilo dove le donne nubili potevano lasciare i propri figli, al fine di poter lavorare durante la giornata22.

L'edificio fu la prima illustrazione del concetto di città-giardino verticale o di unità d'abitazione23. Dal punto di vista architettonico, la Cité doveva offrire un'immagine del

benessere fisico “moderno” attraverso l'utilizzo di materiali simboleggianti l'igiene e la salute: impiego della ceramica bianca e pareti a vetrate o traslucide (luce e limpidezza); ossatura indipendente d'acciaio o di cemento (leggerezza, economicità, sobrietà); il legno rivestirà le pareti delle costruzioni in serie (comfort); domina l'angolo retto (purezza, linearità); copertura piana e terrazza-giardino con scolo delle acque verso l'interno (efficienza).24

Questo vocabolario quadrava del tutto con l'obiettivo di rieducazione e reinserimento sociale di chi era candidato a soggiornarvi. Come asserisce Tafuri, “il est par ailleurs établi que l'idée de ville chez Le Corbusier poursuit directement la longue et laborieuse recherche de contrôle du comportement sociale menée par le stratèges du XIXe siècle”25.

Constateremo quanto sia netta la prossimità concettuale tra l'edificio dell'Armée du Salut e i primi foyer per lavoratori migranti.

Funzione e struttura del foyer

Due principi supportano l'esistenza stessa dei foyer e definiscono contemporaneamente lo status dell'immigrato: il lavoro come fattore imprescindibile dalla presenza dell'immigrato; la relazione di dipendenza tra lavoro e alloggio. Il migrante viene ridotto unicamente alla sua funzione di lavoratore e la percezione ne determina la rappresentazione dell'ambiente. L'alloggio dell'immigrato finisce per rivelare l'idea stessa che si ha della persona e contribuisce a perpetuarla26. Il lavoratore immigrato resta solo temporaneamente,

dunque il suo spazio è provvisorio, l'intero progetto dei foyer ruota attorno al concetto di provvisorietà.

21 Lucan J. (a cura di) (1987), Le Corbusier: une encyclopédie, Centre George Pompidou, voce « Armée du Salut »,

p. 48 e segg.

22 Ibidem.

23 Cfr. Le Corbusier (1971), Maniera di pensare l'urbanistica, Laterza, Bari. 24 Ivi, pp. 31-33.

25 Tafuri M., “Machine et mémoire: la ville dans l'œuvre de Le Corbusier”, in Lucan J. (1987), pp. 460-469. 26 Cfr. Sayad A. (2008), p. 49 e segg.

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Il primo direttore generale della Sonacotral, Jean Vaujour, afferma:

On était convaincus, à l'époque que ces gens-là, ayant achevé leur part de vie en France, allaient repartir dans leur pays. C'est qu'il y avait beaucoup de Kabyles et ces derniers effectivement rentraient chez eux, en Kabylie, lorsqu'ils avaient fait une certaine « pelote ». Il fallait leur donner des conditions de vie très acceptables du point de vue du loyer ou redevance car ils envoyaient à leur famille une part importante de leurs gains et ressources. Cette part importante [...] faisait qu'ils ne pouvaient consacrer à leur logement une somme très grande. Donc, idée: on construit de logements. Et dans chacun d'eux, on met plusieurs célibataires.27

Ciò viene messo in pratica optando per la costruzione di prodotti immobiliari collettivi, adattati temporaneamente ai celibi, ma riadattabili alle famiglie al momento in cui i lavoratori immigrati se ne fossero andati. Questo modello è detto Logeco, “logement économique des familles”, consistente in appartamenti a cinque o sei vani (F5 o F6, nel linguaggio tecnico francese). Sul modello di un “comfort condiviso”28, si faceva in modo

che in un appartamento ci potessero vivere, in una “famiglia artificiale”, dai sei ai dieci uomini “senza famiglia”.

Una camera di 9 m² veniva divisa in due “box individuali” da 4,5 m² ciascuno, utilizzando dei tramezzi, divenuti oggetto di litigio perché “fragili e sottili, lasciano passare il rumore, la luce, gli odori e perché fatti spesso di materiale infiammabile”29. Ciascuna unité

de vie30 si componeva anche di un soggiorno, una cucina, un bagno. In un secondo

momento vennero costruiti edifici con appartamenti F1/2, raggruppanti per corridoi dalle 16 alle 40 persone, in camere a due letti di 14 o 15 m², poi divise in “box individuali” da 7-7,5 m² ciascuno. Infine, troviamo appartamenti F1 sul modello delle costruzioni HLM, divisi in camere dai 9 ai 12 m².31

La Sonacotra giustifica il rimedio dei tramezzi di divisione affermando la necessità di “assicurare ai residenti una relativa intimità (cioè almeno un isolamento visivo), mantenendo un prezzo giornaliero compatibile con le risorse degli immigrati”32. La

compatibilità con le risorse dei migranti è l'argomento più invocato come alibi di ogni mediocrità.

27 Bernardot M. (2008a), p. 58. 28 Ivi, p. 122.

29 Sayad A. (2008), p. 51. L'escamotage della divisione delle camere con tramezzi era già stato utilizzato alla

Cité Napoleon di Lille (1860): destinata ai poveri, esempio di adattabilità e flessibilità delle cellule abitative, era stata dotata di divisori mobili nello spazio di 4 metri x 4 attribuiti a ciascuna famiglia. Tafuri M., cit.

30 Un'unità di vita raccoglie solitamente cinque o sei camere individuali attorno a una cucina e sanitari

comuni.

31 Bernardot M. (1995), p. 132. Per approfondimenti si veda l'intero capitolo. 32 Sonacotra, Dossier 4: les points sur les foyers, Settembre 1977, p. 5. Ibidem.

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La camera è uno spazio privativo, piuttosto che privato33: pensata unicamente come

luogo del sonno, per un “corpo senza beni”, è dotata di un letto a una piazza, basso e spesso ribaltabile, un armadio, una sedia e, più raramente, un tavolo34. L'elemento di

decorazione più diffuso è la foto di famiglia, a cui seguono poster, quadri, immagini e oggetti religiosi35.

Le parole del romanzo di Jelloun36, nel quale l'autore raccoglie i risultati di un anno di

lavoro presso un centro di consulenza psicologica e sociale per immigrati magrebini a Parigi, sono significative dello stato d'animo dei residenti dei foyer:

La camera. Una scatola quadrata appena illuminata da una lampadina attaccata al soffitto. Gli strati di pittura che si sono sovrapposti sui muri si scagliano, cadono come piccoli petali e diventano polvere. Quattro letti sovrapposti a due a due. Una finestra in alto.

La mia camera è un baule dove ripongo le mie economie e la mia solitudine. [...] La mia povera vita si organizza con poco: una scorza di ricambio, qualche frase di una canzone e dei sacchi di sabbia. [...] Il mio letto è sfondato. La mia schiena

33 Bernardot M. (1995), p. 207. 34 Sayad A. (2008), p. 57.

35 Bernardot M. (1995), p. 246. Per approfondimenti sull'approccio dei residenti alla camera e sulle diverse

forme di appropriazione del luogo, si vedano, in particolare, p. 240 e segg.

36 Jelloun T.B. (1990), Le pareti della solitudine, Einaudi, Torino. Decine di incontri, interviste, storie si

intrecciano e compongono un quadro della condizione dello straniero, dell'uomo. Non il lavoratore nella fabbrica o sul cantiere, ma quello stesso uomo fuori dalle ore di lavoro: la sera, le domeniche e i giorni festivi. E' allora che “l'estrema solitudine” prende tutto il suo posto, “si appropria degli oggetti e avvolge il corpo di un velo di umidità”.

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è rotta dalla fatica. [...] Preparo da mangiare nel baule. Mangio e parlo ai miei stivali. Canto nei miei stivali. Urlo nei miei stivali. Piscio anche negli stivali. Per ordine prefettizio (o altro) devo lasciare il baule. Mi propongono una gabbia in un fabbricato dove i muri lebbrosi e affaticati devono dare ricovero a qualche centinaio di solitudini. Non c'era niente da traslocare: qualche vestito e delle immagini; un pezzo di sapone e un pettine: una corda e qualche molletta da bucato.37

Il foyer non si limita alla sola funzione dell'alloggio. La struttura sottende sempre anche una funzione “educativa” per un occupante straniero che, “tenuto conto delle sue origini (l'immigrato è sempre originario di un paese povero, sottosviluppato, “selvaggio”, del terzo mondo ecc.) e delle sue caratteristiche sociali (l'immigrato è spesso un uomo di campagna, un ex contadino, un uomo proveniente da un'economia e da una società cosiddette tradizionali, solitamente analfabeta ecc.)”38, necessita sempre di un'azione di questo tipo.

Il foyer non è un alloggio spoglio perché ammobiliato, ma neanche può considerarsi meublé, nel senso comunemente attribuito alla stanza ammobiliata presa in affitto, per l'innegabile collettività e l'imposta condivisione degli spazi. Non è un albergo, ne ha solo la gestione. Offre prestazioni a questo supplementari (messa a disposizione di cucina collettiva, lavatrice, luogo di preghiera), mentre altre mancano (pulizia delle stanze e lavaggio panni individuali).

Il foyer si rivela una struttura sempre più particolare, che Sayad non esita a definire “d'eccezione”, ma anche “d'urgenza”, “provvisoria”, “economica, sobria (per non dire sommaria)”, “povera”39.

Una comunità imposta/impossibile

L'articolazione tra spazi individuali e collettivi è la formula organizzatrice dei foyer. Nella concezione architettonica di Le Corbusier la realizzazione dell'individuo avviene in seno alla collettività, attraverso l'articolazione tra “espaces privatifs” ed “espaces de la communauté”40, e così avviene nei foyer. L'esempio dei pasti e dell'uso o meno della cucina

è esemplare per comprendere il reale utilizzo degli spazi collettivi e delle pratiche quotidiane messe in atto dai residenti. Le dinamiche che portano il migrante a scegliere il pasto individuale, nella propria camera (seppur vietato dal regolamento), o il pasto collettivo, sono molto complesse. Sayad parla di “commensalità impossibile” per indicare il

37 Ivi, pp. 7-10.

38 Sayad A. (2008), p. 50. 39 Ibidem.

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disagio dei residenti nella condivisione dei momenti dei pasti e il loro isolamento in sé stessi, non potendo isolarsi in altro modo41. Fattore di socializzazione, il momento del

pasto mette in gioco la costruzione dell'identità del soggetto, ne mostra il tenore di vita. Secondo l'inchiesta elaborata da Bernardot, il 29% dei residenti dei foyer Sonacotra consumano i pasti individualmente nella propria camera e più il reddito è basso più si opta per tale scelta42.

La coabitazione imposta raggruppa gli individui in spazi esclusivamente collettivi (eccetto i pochi metri della camera) e la struttura propone loro attività necessariamente comunitarie: la sala della televisione, il circolo delle riunioni, il circolo-bar, il luogo di preghiera, un campo sportivo o una palestra43. Secondo un'inchiesta realizzata nel 1973, il

72% dei residenti dei foyer della Sonacotra passano la quasi totalità del tempo libero isolandosi nella propria camera. Questo dato è indicativo della “distanza sociale” tra gli occupanti dei foyer, nonostante la “prossimità spaziale”. La predeterminazione dello spazio per un uso particolare si oppone alla ricostituzione spontanea di forme di solidarietà e di attività realmente comunitarie44. In questo caso, Sayad parla del foyer come “comunità

impossibile”45.

Significativa è l'intervista di Sayad a un immigrato, lavoratore in Francia da ventotto anni e ormai vicino al pensionamento, che ha abitato “nel caffè di uno del paese” fino alla sua demolizione, per poi passare al foyer di Romainville (dipartimento Seine-Saint-Denis, Ile de France):

Vado d'accordo con tutti [tutti i residenti del foyer]; ma quando arrivo, salgo in camera mia e non esco più. Se lascio la camera, è per guardare un po' la televisione, solo la televisione, e poi risalgo da me [...] nel caffè [l'intervistato continua a chiamare con il termine elqahwa, “caffè moro”, la sala nel seminterrato che tutti gli altri residenti di solito chiamano “bar”, secondo la terminologia ufficiale] c'è troppo rumore, troppo baccano; lì giocano a carte, a domino, bevono, non puoi star tranquillo [...]

E poi bisogna bere e a me non piace [...] Non ha alcun senso. Un caffè lo prendo con te, con un amico, con gli amici che mi fa piacere incontrare, con qualcuno con cui ho voglia di chiacchierare. [...] Il caffè lo bevo in camera mia o in cucina.

Ma hai visto la cucina? Hai visto com'è sporca? Se potessi non ci metterei mai piede. [...] Tu ti prepari il pasto, va bene; meglio se lo fai in cucina piuttosto che in camera - la camera resta sempre pulita -, ma dopo bisognerebbe poter portare tutto quanto su in camera, per mangiare in pace [...]

41 Sayad A. (2008), p. 68.

42 Bernardot M. (1995), pp. 213-214. 43 Sayad A. (2008), p. 61.

44 Ivi, p. 68. 45 Ivi, p. 59.

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Mi piacerebbe molto invitarti in camera mia, prepararti un caffè, un bicchiere di tè; potremmo prenderlo assieme, ma è proibito. Tu vieni a trovarmi qui da me - ti ho dato il mio indirizzo, ti ho detto che abito in un certo posto -, sei venuto, ma io non sono a casa mia. Un posto non è casa tua, quando arriva qualcuno alla tua porta e gli dici: “Vieni, usciamo a chiacchierare, a prendere un caffè, a mangiare”. E' una cosa che non capisco; sono cinque anni che abito qui [nel

foyer] e ancora non l'ho capito. Prima, dove abitavo, non era bello, non era “di

lusso”, ma era casa mia. [...]

Siamo amici, siamo dello stesso paese, siamo fratelli, fuori, quando siamo tra di noi; ma, se fuori siamo tra di noi, quando rientriamo ognuno riprende il suo posto.46

Sayad osserva un parallelismo in tal senso: il foyer, come l'alloggio di tipo HLM, si riempie secondo un processo amministrativo, tenendo conto soltanto degli individui (ogni residente è un'unità) e della loro solvibilità; l'appartamento ammobiliato, invece, così come la bidonville, accoglie immigrati che già si conoscono, originari di una stessa regione, appartenenti alle stesse unità sociali e spesso uniti da legami di parentela prossima. Mentre nel primo caso la comunità tra i residenti è da creare sulla base dello spazio comune e delle condizioni di vita, nel secondo caso, la comunità tra i collocatari preesisteva alla coabitazione e di certo le sopravvivrà47.

5.2 Gestire spazi e corpi

La disciplina collettiva, il controllo, l'utilizzazione artificiale e normalizzata degli spazi permettono il raggiungimento di una modalità di esistenza totalizzante, pianificata, “messa in ordine”, da una tecnica onnisciente e onnipresente. Le proposte di Le Corbusier degli anni '30, da cui i foyer prendono forma, sembrano tendere a quella società “regolata” di cui parla Foucault48. Assicurando l'essenziale delle funzioni sociali elementari e soddisfacendo

la maggior parte dei bisogni primari, il foyer, come una caserma, un pensionato, una prigione o un manicomio, costituisce un “universo totalitario” secondo le parole di Goffman49.

Come suggerisce Bernardot,

les foyers de travailleurs migrants remplissent deux fonctions articulées de ségrégation spatiale et d'insertion sociale. Ségrégation et insertion sont en réalité les effets, sur les populations hébergées, d'une offre de logement discriminatoire par le coût et par la nationalité, qui impose le célibat aux immigrants et induit des logiques de survie ou de résistance collective qualifiées

46 Ivi, p. 63. 47 Ivi, p. 61.

48 Foucault M. (1976), Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino.

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de “solidarité”, voire de “replis” communautaire.50

I foyer rappresentano la volontà di rendere invisibili le presenze migranti, l'approccio discriminatorio le esclude totalmente dalla società, riducendole a mera forza-lavoro disciplinata. Solo le forme di resistenza collettiva, cui accenna Bernardot, riusciranno a scardinare piccoli pezzi dell' “impalcatura” del controllo.

Gli enti gestori e i direttori dei foyer

I foyer sono, in linea di massima, proprietà di società di HLM, ma anche di ministeri o altri proprietari istituzionali, con l'eccezione della Sonacotra (rinominata Adoma dal 200751),

che è proprietaria e amministratrice della maggior parte dei suoi foyer (detiene circa il 61% del totale). La gestione delle strutture è affidata ad associazioni di origine professionale o caritativa, senza scopo di lucro - cosiddette associazioni “loi 1901” - le uniche abilitate, secondo la legge, ad “affittarli o subaffittarli in appartamenti ammobiliati”52.

Alcune delle principali associazioni che gestiscono i foyer sono state, e sono ancora, oltre alla Sonacotra: Soundiata (dal nome del fondatore dell'Impero del Mali), Adatarelli (Association d'aide aux travailleurs étrangers de la région lilloise), Adef (Association pour le développement des foyers du bâtiment et des métaux), Aftam (Association pour l'accueil et la formation de travailleur migrants), Assotraf (Association pour l'aide sociale aux Travailleurs Africains)53.

Molte altre associazioni si sono costituite nel tempo, 47 di queste, comprensive di circa 130.000 persone alloggiate, si sono raggruppate nell'Unafo (Union des professionnels de l'hébergement social)54. A Parigi, invece, è fallita economicamente e politicamente l'Association

des foyers de région parisienne (AFRP), struttura storica della città. La Sonacotra, sollecitata dai poteri pubblici, ha ripreso in gestione alcuni foyer, divenendo il primo ente gestore di Parigi, con 16 strutture55.

Fino al momento di rottura a metà degli anni '70, quando, a seguito di scioperi

50 Bernardot M., “Les foyers de travailleurs migrants à Paris. Voyage dans la chambre noire”, Hommes &

Migrations, n° 1264, Nov.-Dic. 2006; p. 57.

51 In occasione del 50° anniversario dell'impresa, la Sonacotra ha cambiato il proprio nome in Adoma,

termine derivante dal latino “domus”, casa. Questo passaggio è giustificato in un comunicato stampa del Gennaio 2007: “parce que l'acronyme Sonacotra n'a plus de sens”, in ragione del debole tasso dei residenti aventi un impiego (30%); “parce que le nome est connoté et freine le développement”, “parce que le nome renferme et cristallise trop d'idées reçues qui génèrent pour les publics logés souvant la stigmatisation voire de la discrimination”. Si veda la sezione “Notre histoire” sul sito ufficiale della società: http://www.adoma.fr/.

52 Sayad A. (2008), p. 70-71.

53 Due siti ufficiali utili dove trovare informazioni sull'attuale attività delle associazioni:

http://www.adef-hebergement.com/e http://www.aftam.fr/.

54 Per saperne di più: http://www.unafo.org/.

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dell'affitto e numerose manifestazioni, qualcosa cede nella struttura di gestione, una gerarchia di potere e controllo era ben salda anche all'interno dei foyer.

A partire dagli anni '60 si era instaurata infatti una “gestione diretta” dei foyer da parte degli enti gestori, a seguito di difficoltà finanziarie derivanti dalla consuetudine di delegare ad associazioni specializzate la gestione delle strutture. Nasce un vero e proprio “corpo”: i direttori dei foyer. Incaricato della gestione e dell'amministrazione dei residenti e dei luoghi, il direttore incassa gli affitti, attribuisce i compiti riguardanti i lavori interni alla struttura, è il garante del buon funzionamento quotidiano56.

Per quanto riguarda la Sonacotra, un dipartimento specifico è creato nel 1958 in seno alla direzione, il département à la gestion et à l'action sociale (DGAS). Diretto da un vecchio amministratore dei servizi civili d'Algeria, coadiuvato dal 1962 da un paracadutista passato per la Guerra d'Algeria, il dipartimento assicura il reclutamento, la formazione e l'assistenza dei gestori dei foyer57. Aver servito nell'esercito coloniale, se possibile essere in pensione, ed

essere sposati, questi i criteri selettivi. Nonostante gli appelli ufficiali non menzionino mai tali criteri, essi sono pubblicati quasi esclusivamente su riviste destinate ad un pubblico militare58.

Il reclutamento di veterani dell'amministrazione coloniale nel sistema del welfare per immigrati è la regola. Nel 1972, il 95% dei direttori delle residenze Sonacotra aveva avuto una carriera militare in Indocina, Africa Occidentale o Nord Africa: 143 direttori di foyer su 151 sono passati dagli eserciti coloniali59.

Portatori del capitale che “permette loro di rivendicare una competenza specifica”, continuano a esercitare questo ruolo fino agli anni '80, quando la funzione di direttore di foyer è sostituita da quella di assistant d’unité de gestion e gli ultimi vecchi militari lasciano la Sonacotra60.

La misura in cui l' “abilità coloniale” di queste persone, caratterizzate dalla doppia esperienza coloniale e dell'istituzione militare, abbia contribuito a costituire delle “strutture di inquadramento” specifiche emergerà nell'analisi dei meccanismi di funzionamento degli stessi foyer.

56 Ibidem.

57 In realtà, nessuna formazione particolare è impartita ai direttori, che si trovano ad applicare il regolamento

interno con poteri discrezionali. Questo si esplica nell'attualizzazione delle disposizioni da loro interiorizzate nel personale percorso lavorativo e dunque in una riconversione delle pratiche di gestione degli uomini in situazioni di guerra, nello spazio del foyer. Hmed C. (2006), “Tenir ses hommes. La gestion des étrangers «isolés» dans les foyers Sonacotra après la guerre d’Algérie", cit.

58 Ibidem.

59 Cfr. Hmed C. (2006); Lyons A.H. (2004), p. 336; Sayad A. (2008), nota 31 p. 124. 60 Hmed C. (2006).

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L'affitto e lo statuto dei residenti

All'indeterminatezza giuridica della natura dei foyer, corrisponde la situazione, anch'essa indeterminata e senza uno statuto preciso, degli immigrati.

Nulla del lessico utilizzato per indicare il foyer, il residente o la natura giuridica del legame tra i due, deve identificare la struttura come vero alloggio. Infatti, il residente non deve essere identificato come un vero locatario e il contratto su cui si fonda implicitamente l'occupazione della camera come un affitto o un contratto di locazione61. A questo scopo

vengono prese infinite precauzioni. Non si concede mai all'immigrato un vero contratto di locazione, mai la posizione di locatario, ma solo “garanzie equivalenti”. Il termine residente è sostituito con quello di locatario; l'affitto è definito a volte come “canone”, a volte come “contributo” o “partecipazione alle spese di gestione”. Il contratto è assimilato a un impegno di adesione al regolamento interno o, nella migliore delle ipotesi, a un “contratto di residenza”, a un “titolo di occupazione scritto e firmato”62.

L'affitto - rendendo il suo nome alla transazione in questione - viene calcolato alla giornata, come in un albergo. La Sonacotra afferma di essersi data come obiettivo quello di fissare un prezzo equivalente a circa un'ora di lavoro. La cifra, qualunque essa sia, sarà sempre troppo elevata per il servizio offerto.

Il rigore della regola amministrativa e contabile impone la riscossione a scadenza fissa dei canoni mensili, facendo scattare la macchina burocratica in caso di mancato pagamento. Il pagamento regolato in anticipo per un certo periodo assicura l'alloggio, ma il direttore del foyer può sempre rifiutarsi di prolungare la permanenza, così come può decretare l'espulsione del residente63.

Il Regolamento

Tutti i foyer hanno un regolamento interno, che i residenti sono tenuti a sottoscrivere insieme al contratto di occupazione. I campi regolamentati sono circa sempre gli stessi e nelle stesse modalità in ogni foyer. Alcune informazioni al riguardo sono riportate da Sayad64, estratti significativi di un regolamento sono in mostra alla Cité Nationale d'Histoire de

l'Immigration, a Parigi65.

61 Cfr. Bernardot M. (1995), pp. 205-206. 62 Sayad A. (2008), p. 53.

63 Ivi, p. 67.

64 Sayad A. (2008), p. 72 e segg.

65 Foyer de travailleurs. Extraits du Règlement intèrieure, Maison du travailleur étranger, 15 Rue Dauphine, Lyon. Si

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Il regolamento viene anche evocato da Jelloun, mescolando reali documenti burocratici a frammenti del linguaggio comune, dando vita ad uno straordinario effetto surreale, ma quantomai vicino alla concretezza dei foyer:

All'entrata del fabbricato ci hanno dato il regolamento:

E' vietato farsi da mangiare in camera (c'è una cucina in fondo al corridoio); E' vietato ricevere donne (c'è un postribolo, Chez Maribelle, non lontano da qui);

E' vietato ascoltare la radio dopo le nove;

E' vietato cantare di sera, sopratutto in arabo o in cabilo;

E' vietato sgozzare un montone nel fabbricato (aspettate di essere a casa vostra per far colare il sangue agli agnelli);

E' vietato masturbarsi in camera (andate al cesso per questo); E' vietato praticare lo yoga nei corridoi;

E' vietato ridipingere i muri, manomettere i mobili, rompere i vetri, sostituire le lampadine, ammalarsi, avere la diarrea, fare politica, dimenticarsi di andare al lavoro, pensare di far venire su la famiglia, far dei bambini con donne francesi, fare la corte alle ragazze in chiesa, uscire in pigiama per strada, lamentarsi delle condizioni obiettive e soggettive di vita, avere simpatia per i gruppuscoli di sinistra, leggere o scrivere frasi ingiuriose sui muri, litigare, picchiarsi, maneggiare il coltello, vendicarsi;

E' vietato morire in questa camera o nelle pertinenze dell'edificio (andate a morire altrove; a casa vostra, per esempio, è più comodo);

E' vietato suicidarsi (anche se vi rinchiudono nel carcere di Fleury-Mérogis); la vostra religione lo proibisce, e noi anche;

E' vietato arrampicarsi sugli alberi;

E' vietato dipingersi di azzurro, di verde o di violetto;

E' vietato circolare in bicicletta nella camera, giocare a carte e bere vino (tranne lo champagne);

E' vietato travestirsi o cambiare strada per tornare a casa dal lavoro;

Siete avvertiti, Vi consigliamo di rispettare il regolamento, altrimenti sarete rispediti nella cantina e nel baule, poi sarà l'internamento in un campo in attesa del rimpatrio.66

Partendo dalla suggestione di Jelloun, esaminiamo gli aspetti più significativi dei regolamenti.

Nei foyer Sonacotra, dove la residenza viene strettamente subordinata al lavoro, “per essere ammessi al foyer-albergo di ..., occorre dar prova di un impiego regolare o della condizione di lavoratore che beneficia delle prestazioni delle istituzioni della previdenza sociale (art. 1 del regolamento interno)”. Per quanto riguarda i foyer direttamente legati alle imprese, “gli operai sono ammessi nel centro di accoglienza su richiesta del loro datore di lavoro [...]. Gli impresari rilasciano nei cantieri dei biglietti d'alloggio [...] (art. 1, 2, 3 del regolamento dei foyer dell'edilizia”67.

Le prime norme regolano solitamente l'ingresso, la partecipazione alle spese di gestione

66 Jelloun T.B. (1990), pp. 11-12. 67 Sayad A. (2008), pp. 55-56.

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e la cauzione, precisando che questa “sera remboursée au départ, déduction faite du dommage causés ou de journées d'hébergement en retard”68.

Il corpo sostanziale del regolamento s'incentra sulle funzioni “di internato” ed “educative” del foyer: molte sono le clausole morali, comprendenti l'ordine, la pulizia e l'igiene personale; non mancano istruzioni dettagliate, dal tono più che didascalico, sui comfort moderni delle abitazioni (gas, riscaldamento..). Prendiamo di riferimento il regolamento della Maison du travailleur étranger di Lione (documento n° 1).

Si parla di hygiène-propreté-prophylaxie (art. IV). Alcune frasi hanno letteralmente dell'incredibile. O, al contrario, basta considerare il peso delle circostanze storiche che hanno dato vita ai foyer per comprenderli nel loro essere, necessariamente coloniale, e dunque impregnato delle dinamiche di superiorità, civiltà - inferiorità, inciviltà.

“Les usagers sont astreints aux soins de propreté et hygiène corporelle, des douche sont à leur disposition”. I residenti sono “costretti”, astreints, a lavarsi. “La propreté des chambres individuelles est à la charge de l'occupant. Le sols doivent être balayés et régulièrement passé à la serpillière”. E infine, “il est interdit de faire la cuisine à l'intérieur des chambres ou des dortoirs”69.

Bon usage des locaux et du mobilier (art. V). E' vietato apportare qualunque tipo di modifica alla stanza, tendervi fili all'interno, introdurvi mobili personali, fare asciugare i panni ovunque non sia luogo preposto, utilizzare riscaldamenti elettrici. L'articolo si suddivide poi in sezioni e per ciascuna se ne spiega l'uso o il comportamento da tenere in relazione ad essa: acqua, wc, luce, gas, eventuali guasti, perdita delle chiavi, assenze personali dal foyer. “Pas de graffiti” nel wc, scritto oltretutto in stampatello per metterlo in evidenza, sembra quasi appartenere alle norme suggerite da Jelloun.

Maintien du bon ordre (art. VI). L'accesso ai locali è severamente vietato alle donne e a tutte le persone estranee al foyer, salvo autorizzazione del gestore.

“Non essendo il foyer un luogo pubblico, l'accesso ai locali per le persone non munite della tessera di occupante è subordinato alla esplicita autorizzazione dell'amministratore. E' severamente proibito a ogni persona non munita della tessera di occupante passare la notte in una camera” (Sonacotra, art. 6)70. “Le visite nelle camere, per ragioni di moralità, sono

severamente proibite alle donne. Le visite di uomini sono ammesse durante la settimana dalle h 18 alle h 21, e nei giorni festivi dalle h 9 alle h 21, su autorizzazione del sorvegliante

68 Articolo III, Extraits du Règlement intèrieure, Maison du travailleur étranger, cit. 69 Articolo IV, ibidem.

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dell'edificio” (Adef, art. 11)71.

Cas d'expulsion. Al foyer lionese sono ritenuti casi di espulsione immediata: la detenzione di armi o munizioni; l'attività politica(affissioni, distribuzione materiale, etc...); introduzione di clandestini; ubriachezza, uso di stupefacenti; rissa, scandalo, flagranza di furto; attentato ai buoni costumi (introduzioni di libri o immagini oscene); giochi con scommessa. Per infrazioni ripetute al regolamento interno si può venire espulsi dopo più richiami, ma già dopo due avvertimenti l'alloggio può non essere rinnovato il mese seguente.

L'organizzazione e la partecipazione ad attività politiche sono meticolosamente messe al bando. “Ogni vendita di oggetti, distintivi, giornali, pubblicazioni o periodici è vietata nel centro [...]; ogni propaganda a carattere politico, distribuzioni di volantini, colletta di ogni tipo è proibita nel centro” (Adef, artt. 12 e 13). “Il residente si impegna [...] a non esercitare nello stabilimento alcuna azione politica, sindacale o confessionale con riunioni, affissione di manifesti, distribuzione di volantini” (Aftam, art. 5)72.

Conseguenza diretta dell'imposizione di una tale disciplina, l'applicazione del regolamento richiede una sorveglianza costante dei residenti, in ogni momento della giornata. L'amministrazione si riserva infatti il diritto di introdursi sempre, di giorno e di notte, nelle camere. “Per consentire l'applicazione degli articoli 4,5 e 6 del presente regolamento [cioè, rispettivamente, l'obbligo di uniformarsi alle raccomandazioni del gestore sulla pulizia, l'utilizzo dei luoghi, l'ordine, ecc.; l'obbligo di non cucinare nelle camere; il divieto di ospitare qualunque persona], l'amministratore avrà la facoltà di introdursi, in qualsiasi momento, nelle camere dell'edificio” (Sonacotra, art. 8)73. “I

sorveglianti dello stabile, i responsabili del centro e il personale di direzione [...] hanno il permesso di introdursi a ogni ora del giorno e della notte nei dormitori e di verificare l'identità delle persone che vi si trovano” (Adef, art. 8)74.

L'uso di un vocabolario che sfuma il reale75 e di un regolamento volto a disciplinare una

permanenza, nei fatti costrittiva e controllata, ci conduce alla somiglianza della regolamentazione dei foyer con quella dei Centri di Permanenza Temporanea italiani (oggi Centri di Identificazione ed Espulsione). In particolare, riportiamo le parole scritte nel

71 Ibidem. 72 Ivi, p. 73. 73 Ibidem. 74 Ivi, p. 74.

75 Federica Sossi in Autobiografie negate. Immigrati nei lager del presente, Manifestolibri, Roma (2002), sostiene che

la confusione terminologica che circonda l'universo del trattenimento, va interpretata come una forma di slittamento semantico. Il passaggio dall'accoglienza alla detenzione è avvenuto anche grazie a una specie di transazione semiotica, di un meccanismo linguistico che è in grado di condizionare e insieme creare il reale. Paone S. (2008), Città in frantumi. Sicurezza, emergenza e produzione dello spazio, Franco Angeli, Milano, p. 125.

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cartello che compariva nel centro di Lampedusa nel 2004:

Cari ospiti, ora vi trovate nel centro di prima accoglienza dell'isola di Lampedusa (Italia). Dovrete restare qui finché non verrete trasferiti in un altro centro per l'identificazione certa e dove potrete spiegare il motivo del vostro arrivo in Italia. Durante la vostra permanenza riceverete una prima assistenza medica e potrete usufruire di un barbiere. Nel rispetto delle persone che verranno in questo centro dopo di voi, vi raccomandiamo di fare attenzione a tutti i materiali e alle strutture utilizzate. Per preservare la vostra salute e quella degli altri, lavate e tenete puliti il vostro corpo e i vostri vestiti. Vi chiediamo di essere pazienti e di collaborare con il personale che lavora per voi durante la vostra permanenza.76

Un'istituzione totale per il migrante decolonizzato?

Partiamo dalla definizione di “istituzione totale” proposta da Goffman:

Un'istituzione totale può essere definita come il luogo di residenza e di lavoro di gruppi di persone che - tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo - si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato77.

Essa comprende un ampio ventaglio di istituzioni e l'autore stesso precisa che nessuno degli elementi da lui descritti sembra tipicamente peculiare alle istituzioni totali, né può essere condiviso da tutte. “Ciò che è tipico nelle istituzioni totali è che ciascuna di esse rivela, ad un altissimo grado, molti elementi in comune in questo tipo di caratteristiche”78.

E' interessante osservare, per quanto riguarda i foyer, i tratti che rendono il funzionamento di tali strutture molto vicino all' “azione inglobante” delle istituzioni descritte da Goffman. Le istituzioni totali vengono raggruppate in cinque categorie: primo tipo, quelle nate a tutela di “incapaci non pericolosi” (ciechi, vecchi, orfani, indigenti); secondo, i luoghi istituito per coloro che, “incapaci di badare e sé stessi, rappresentano un pericolo”, non intenzionale, per la comunità (tubercolotici, lebbrosi, psichiatrizzati). Il terzo tipo di istituzioni serve a “proteggere la società da ciò che si rivela un pericolo intenzionale nei suoi confronti, nel qual caso il benessere delle persone segregate non risulta la finalità immediata dell'istituzione”79. Qui sembrano poter rientrare i foyer. Il quarto e quinto tipo

sono, rispettivamente, le istituzioni create allo scopo di svolgervi un'attività (collegi, campi di lavoro, piantagioni coloniali..) e i luoghi di preparazione per religiosi (abbazie, monasteri..).

76 Consorzio Italiano Solidarietà (2005), La protezione negata. Primo rapporto sul diritto d'asilo in Italia,

Feltrinelli, Milano, p. 98; citato in Paone S. (2008), pp. 125-126.

77 Goffman E. (2003), Asylum. Le istituzioni totali: i meccanismi dell'esclusione e della violenza, Einaudi, Torino; p.

29.

78 Ivi, p. 35. 79 Ivi, p. 34.

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Apparentemente luogo di residenza, abbiamo già detto quanto il foyer non si riduca solo a questo, ma vada molto oltre. Il tempo che il migrante non trascorre a lavoro è impiegato quasi totalmente nel foyer, e dunque da questo gestito. Un tempo disciplinare, direbbe Foucault80, che nel foyer non è scandito a fini produttivi, ma esclusivamente di controllo.

Non si lavora nella struttura e non vi si è trattenuti 24 ore su 24, ma la marginalità spaziale delle strutture, l'esclusione sociale degli stessi lavoratori e la carenza di servizi di ogni tipo (cultura, trasporti, attività ludiche..), non lasciano molta scelta ai residenti81.

Le sfere di vita si riducono sostanzialmente a due: il lavoro e l'alloggio. La sfera del divertimento, dello svago, è completamente omessa e snaturata, in quanto imposta e “confinata” nello stesso luogo del sonno, con un gruppo di persone fisso, che compie sempre le medesime cose.

Lo scambio sociale è impedito in ogni sua forma, attraverso la barriera che il foyer pone al mondo esterno. L'interdizione delle visite rappresenta l'appropriazione di parte del tempo e degli interessi di coloro che dalla struttura dipendono, “offrendo in cambio un particolare tipo di mondo”82.

Questa impostazione di chiusura è la prima forma di quella “riduzione del sé”, che Goffman assume come tratto centrale delle istituzioni totali, nei confronti di un attore sociale da lui considerato soprattutto un “virtuoso della sopravvivenza in un mondo quotidiano irto di pericoli potenziali per il suo rispetto di sé o, ciò che è la stessa cosa, per il rispetto del suo sé”83. Nelle istituzioni totali si rompe lo schema dei ruoli, se ne viene privati

nello stesso momento in cui non è più possibile mantenere rapporti col mondo esterno in maniera autonoma e libera. Come le istituzioni di Goffman, il foyer “manipola” i bisogni umani per mezzo della sua organizzazione burocratica, che da comunità residenziale diviene concreta organizzazione formale.

Alla perdita dei ruoli si sommano altri tipi di “perdite” o di mortificazioni del sè. Quella che Goffman definisce “procedura d'ammissione” è presente, a suo modo, anche nei foyer. La schedatura e l'assegnazione di un numero sono i preliminari all'ingresso nella residenza (vedi foto). Come l'internato, anche il residente viene contornato da oggetti standardizzati e uniformemente distribuiti. Mentre, però, al primo vengono sottratti i propri possessi, il lavoratore migrante è supposto non avere nulla di proprio, solo la sua valigia da viaggio84. 80 Foucault M. (1976), Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino; p. 162 e segg.

81 Bernardot indaga anche l'aspetto della socialità dentro e fuori i foyer Sonacotra: Bernardot M. (1995),

rispettivamente, p.259 e segg. e p. 278 e segg.

82 Ivi, p. 33.

83 Ivi, Prefazione di Dal Lago A., p. 16.

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Carte di identificazione dei residenti di un foyer Sonacotra di Vaulx-en-Velin (banlieue di Lione), 1992. Foto scattata alla Cité Nationale de l’Histoire de l’Immigration (CNHI), Gennaio 2009.

Al momento dell'ammissione comincia anche la cosiddetta esposizione contaminante. Mentre nel mondo esterno l'individuo può venire a contatto con oggetti/azioni/pensieri che gli danno un sentimento di sé, “nelle istituzioni totali questi territori appartenenti al sé sono violati, la frontiera che l'individuo edifica fra ciò che è e ciò che lo circonda è invasa e la incorporazione del sé profanata”85. L'ospite, come l'internato, è costantemente osservato

e ascoltato, condivide con altri soggetti una forzata intimità, spesso è sottoposto a perquisizioni.

Un'altra caratteristica che ritroviamo anche nei foyer è quella che Goffman definisce “frattura tra staff e internati”86. La presenza del gestore, ma soprattutto la sua nota

estrazione da ambienti militari e coloniali, rende necessariamente antagonistico il rapporto con i residenti. Il residente è escluso dall'autodeterminazione di molte sue scelte, a partire dalla permanenza nel foyer, in quanto il gestore è dotato di strumenti decisionali e di controllo che gli permettono l'espulsione del lavoratore. Le norme fissate dal regolamento negano evidentemente la maturità e l'abilità dei residenti, sono intrise di “paternalismo autoritario” - le cui origini sono da ricercare proprio nell'esperienza coloniale -, che riduce i lavoratori a dei bambini, sprovvisti di ogni cognizione della vita in un'abitazione moderna.

Istituzione totale sui generis (ma quale istituzione totale non lo è?), la struttura che si propone come soluzione abitativa è, a nostro avviso, ascrivibile al sistema disciplinare ritorno dell'immigrato, un'indennità per il suo trasloco e nemmeno per un eventuale bagaglio eccedente. Sayad A. (2008), p. 56.

85 Goffman E. (2003), p. 53. 86 Ivi, p. 37.

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foucaultiano, volto ad assoggettare i corpi per dominare le molteplicità umane e manipolare le loro forze. La ripartizione degli individui nello spazio ha, nel foyer, esattamente la funzione “di stabilire le presenze e le assenze, di sapere come e dove ritrovare gli individui, di instaurare le comunicazioni utili, d'interrompere le altre, di potere in ogni istante sorvegliare la condotta di ciascuno, apprezzarla, sanzionarla, misurare le qualità o i meriti. Procedura, dunque, per conoscere, padroneggiare, utilizzare. La disciplina organizza uno spazio analitico”87.

Lungi dall'essere abitazione nel suo senso proprio, per le dimensioni sopra citate, il foyer si avvicina più alle strutture dove vengono alloggiati i migranti di oggi, tutte quelle “zone di attesa”, improntate a “un'idea di separazione, rimozione e controllo”88. Con la sostanziale

differenza che il foyer ha lo scopo di mantenere il migrante in Francia con l'unico fine di farlo lavorare; i campi per stranieri di oggi hanno la funzione di permettere il perpetuarsi dello sfruttamento di chi resta, minacciando l'espulsione.

Interessante è l'analisi di Bernardot89, che inscrive la specificità francese dei foyer per

lavoratori migranti in un “ensemble de lieux potentiels d’internement”, sorti con la fine della Prima Guerra Mondiale, che aveva mostrato il campo come spazio di internamento per i cittadini dei paesi nemici. A popolare questi nuovi luoghi sono, secondo l'autore, in particolare profughi e soggetti coloniali presenti nello spazio metropolitano, due categorie di soggetti che occupano una posizione del tutto anomala rispetto all’opposizione secca tra cittadini e stranieri, di cui mostrano anzi le incrinature. Il campo analizzato da Bernardot ha dunque uno statuto per definizione ambiguo, costituendosi nel punto di incrocio tra una logica essenzialmente repressiva e una logica umanitaria, di protezione. Se da una parte sorge per separare dallo spazio della cittadinanza gruppi di popolazione presentati come pericolosi, dall’altra esso è lo spazio in cui lo Stato si fa carico della presenza sul suo territorio di popolazioni bisognose di assistenza. Mise à l’ecart e messa sotto tutela si intrecciano, fino a confondersi, nella definizione del “campo per stranieri”90. E il foyer non

rappresenta esattamente questa volontà?

87 Foucault M. (1976), pp. 155-156.

88 Si veda Paone S. (2008), per un'analisi di nuovi campi (tra cui i Cpt), zone di attesa e “contenitori per

marginali” .

89 Bernardot M. (2008b), Camps d’étrangers, Éditions du Croquant, Collection TERRA,

Bellecombe-en-Bauges.

90 Mezzadra S. (2009), “Les camps d’étrangers ou les frontières intérieures de l’Europe”, La Revue

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