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Discrimen » Una pena per rieducare, secondo i principi di una democrazia liberale

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Academic year: 2022

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NA PENA PER RIEDUCARE

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SECONDO I PRINCIPI DI UNA DEMOCRAZIA LIBERALE *

Elio R. Belfiore

A fronte della decisione interlocutoria della Corte Costituzionale, che con ri- guardo all’ergastolo ostativo ha riconosciuto l’illegittimità di quel trattamento perché

“disumano” e confliggente con la funzione rieducativa della pena, può essere utile in- terrogarsi sul tema dei rapporti tra fenomeno punitivo e dinamiche politiche da in- tendere nel senso più ampio.

La drammaticità della situazione carceraria in cui versa il Paese chiama tutti a riflettere sul divario esistente tra i principi che “in astratto” governano la pena nel nostro ordinamento e il “reale” modo di funzionamento dell’istituzione penitenziaria.

Fino a che punto la pena carceraria può dirsi oggi veramente utile?

L’interrogativo trova ragion d’essere nella sproporzione per eccesso con cui ad essa il nostro legislatore è solito ricorrere per “curare” (questa la “pretesa”) i mali della società. In questo quadro un dato appare fuori discussione: gli atteggiamenti verso il

“punire” sono frutto del clima culturale nel quale essi maturano e risultano fortemente condizionati dai contesti storici e politici di riferimento.

Se guardiamo alla fase temporale che stiamo vivendo ci troviamo di fronte ad una netta divaricazione di posizioni. Da una parte c’è una minoranza politico-cultu- rale intellettuale che mostra crescente sfiducia nei confronti della pena classica e del modo con cui essa viene gestita. A questa minoranza appartiene senz’altro la quasi totalità del ceto accademico dei professori di diritto e procedura penale, cui vanno aggiunti, oltre agli Avvocati (e non solo) delle Camere Penali, anche i Magistrati di sorveglianza: e cioè quelli che per mestiere si occupano di esecuzione penale.

Ma voci critiche si levano con sempre maggiore frequenza pure da altri settori dell’amministrazione della giustizia: direttori di carcere particolarmente evoluti oltre ad educatori, psicologi, sanitari, cappellani presenti a vario titolo con la loro opera all’interno delle strutture carcerarie denunciano di continuo la condizione catastrofica

“da saga degli orrori” in cui versano i soggetti detenuti.

* Testo dell’articolo pubblicato dal quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno del 24 aprile 2021.

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I pubblici ministeri non mostrano invece alcun interesse al problema della pena e – come dice Giovanni Fiandaca – non se ne tormentano. Ma non se ne tormentano neanche quei giudicanti che non di rado hanno un atteggiamento burocratico e rou- tinario nei confronti dell’atto del punire, del quale preferiscono privilegiare la dimen- sione general-preventiva e di difesa sociale dalla criminalità in senso lato.

I vivaci contrasti sorti in tema di ergastolo ostativo costituiscono la riprova più evidente della suddetta divaricazione. Contrasti culminati, come noto, nella pronun- cia dell’ordinanza dello scorso 15 aprile della Corte Costituzionale che ha dichiarato (ancorché al momento in via meramente interlocutoria) l’illegittimità di quel tratta- mento perché contrastante con gli artt. 3 e 27, 3° comma, Cost. e con l’art. 3 della Convenzione EDU.

Il conflitto ha interessato, da un lato, coloro che hanno posto in luce l’illegitti- mità di una normativa vistosamente afflittiva: tra questi innanzi tutto la Corte euro- pea. Ma non va dimenticato come (ancor prima della recente ordinanza) la Consulta, oltre a diversi giudici di merito e di legittimità, avessero già in più occasioni ribadito l’incostituzionalità di quel trattamento perché “disumano” e, come tale, difficilmente conciliabile con i postulati di fondo dello Stato democratico.

Sul fronte opposto invece i pubblici ministeri. E, più in generale, i magistrati d’ac- cusa impegnati (congiuntamente alle forze di polizia) nell’attività di contrasto alle asso- ciazioni criminali che, grazie anche al fortissimo ruolo di sostegno esercitato dalla maggior parte del sistema mediatico, hanno scatenato una campagna dai toni a volte molto accesi nei confronti di chi senza mezzi termini ha duramente criticato (fin dalla prima appari- zione risalente all’inizio degli anni Novanta) quel “fine pena mai” da vivere inesorabil- mente come castigo senza speranza. Il che vuol dire che (anche) all’interno di quell’uni- verso non esiste omogeneità nel concepire lo stesso costituzionalismo penale: e ciò sia sul versante del c.d. costituzionalismo penale nazionale sia su quello sovranazionale.

Il termine intimato al legislatore affinché “riveda” il meccanismo dell’ergastolo ostativo potrebbe essere il segnale dell’inizio di un chiarimento complessivo su un tema nevralgico per la nostra democrazia come quello legato al (non più procrastina- bile) “deciso” riconoscimento del ruolo spettante alla funzione rieducativa della pena nel quadro dei valori costituzionali.

Qualunque sia la decisione che il Giudice delle Leggi sarà chiamato a prendere il prossimo anno, non vedo tuttavia una primavera nel futuro del terzo comma dell’art.

27 Cost.

Però lo spero tanto.

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