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Diagnostica per immagini delle spondilodisciti in età geriatrica C 27

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Academic year: 2022

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Diagnostica per immagini delle spondilodisciti in età geriatrica

Maria Assunta Cova, Cristiana Gasparini, Massimiliano Braini

Le spondilodisciti sono processi infettivi che coinvolgono contemporaneamente sia le strutture ossee vertebrali che il disco interposto. La localizzazione scheletrica di un’in- fezione dipende dal tipo di microrganismo patogeno coinvolto e dall’età del paziente:

negli adulti e negli anziani prevale il coinvolgimento assiale, mentre nell’infanzia e nel- l’adolescenza è più frequente l’interessamento dello scheletro appendicolare.

La diagnosi di spondilodiscite è in larga parte affidata alla diagnostica per immagi- ni che tuttavia, da sola, non consente il riconoscimento dell’agente infettivo, anche se la distribuzione e le caratteristiche morfologiche delle lesioni possono talvolta far ipo- tizzare il tipo di infezione [1]. Attualmente la diagnostica per immagini apporta un significativo contributo nella diagnosi precoce e nel bilancio d’estensione di questa patologia, disponendo del contributo della radiologia tradizionale, della medicina nucleare (MN) [8, 10] e della tomografia computerizzata (TC) [2] oltre che dell’appor- to fondamentale della risonanza magnetica (RM) [3, 4].

Questo capitolo è suddiviso in una prima parte che descrive l’eziopatogenesi e la clinica delle spondilodisciti e in una seconda parte che contiene una sintesi delle varie tecniche di diagnostica per immagini utilizzate nella valutazione di questa patologia, con particolare interesse nei confronti della RM.

Eziopatogenesi

Le spondilodisciti rappresentano circa il 4% di tutte le infezioni ossee. Gli uomini sono maggiormente colpiti rispetto alle donne (M:F = 3:1) e l’età più colpita è quella com- presa tra la V e la VI decade di vita, anche se possono essere colpiti i bambini, i ragazzi e spesso gli anziani [5]. I maggiori fattori di rischio sono rappresentati dal diabete mel- lito [6], dall’immunodepressione [7], dalla terapia steroidea, dalle batteriemie [8], dalle infezioni della cute, dell’apparato respiratorio e del tratto genito-urinario [9, 10], dall’a- buso di droghe, dalla dialisi, dall’esecuzione di una procedura strumentale (cateterismo, cistoscopia) [11] o di un’indagine diagnostica (mielografia, discografia) o, ancora, di un intervento chirurgico a livello addominale [12], pelvico, toracico o vertebrale [13]. La popolazione anziana è spesso coinvolta in un complesso di patologie multiorgano la cui prevalenza aumenta con l’aumentare dell’età. Nell’anziano si sommano, quindi, più fat- tori predisponenti per l’insorgere di infezioni a livello della colonna vertebrale [14, 15].

Il tratto lombare della colonna vertebrale è la sede anatomica più colpita, seguita, in ordine di frequenza, dal tratto toracico e da quelli sacrale e cervicale. L’infezione si localizza principalmente a livello del corpo vertebrale, risparmiando i peduncoli posteriori.

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Gli agenti patogeni più frequentemente implicati nella genesi della spondilodiscite sono i batteri piogeni Gram positivi, in particolare lo staphylococcus aureus, ma anche lo streptococco (soprattutto nei pazienti con endocardite) e lo pneumococco; più raramente sono coinvolti batteri Gram negativi, quali i meningococchi e i gonococchi, l’escherichia coli, lo pseudomonas, la klebsiella, la salmonella e la brucella; tra i batteri non piogeni va infine ricordato il bacillo di Koch, patogeno che più frequentemente colpisce la popo- lazione anziana [16].

La propagazione alla colonna vertebrale dell’agente patogeno può avvenire per via ematica, per contiguità, per un’infezione postoperatoria e per localizzazione diretta. La localizzazione batterica per via ematogena è la modalità di infezione più frequente, soprattutto nei giovani, e può avvenire per via arteriosa o per via venosa.

All’interno delle vertebre la vascolarizzazione arteriosa prevale in prossimità delle regioni subcondrali; quindi, la localizzazione dei focolai infettivi è più frequente nei settori anteriori dei piatti vertebrali [17]. Una volta localizzatosi a livello vertebrale l’agente patogeno determina un focolaio iniziale che poi supera il piatto vertebrale e diffonde alla vertebra contigua estendendosi in sede peri- e paravertebrale. La dis- seminazione batterica per via arteriosa è ritenuta responsabile anche delle localiz- zazioni primitive ai dischi vertebrali (discite) per la presenza di vasi perforanti i piatti vertebrali. Nel bambino è infatti presente un sistema di vascolarizzazione dis- cale che non è più riconoscibile nell’adulto e ancor meno nell’anziano, dove di soli- to i dischi appaiono degenerati [1].

Il sistema venoso vertebrale è costituito da una rete di vene che confluiscono nel ples- so venoso paravertebrale che si anastomizza con le vene del sistema cavale ponendo così in comunicazione il sistema venoso pelvico con quello vertebrale. In caso d’o- struzione cavale, per esempio in presenza di voluminose masse neoplastiche, evenienza più frequente nella popolazione anziana, si verifica un considerevole aumento di flus- so attraverso il sistema venoso centrale (privo di valvole), con modificazioni di pres- sione e di direzione che determinano un rallentamento del circolo e una maggiore predisposizione per la localizzazione batterica.

L’infezione per contiguità è un’evenienza rara nella quale l’infezione delle vertebre e dei dischi vertebrali è causata dalla propagazione di un processo settico paraverte- brale. Si tratta solitamente di un’infezione, tubercolare o micotica, localizzata primiti- vamente alla colonna vertebrale, con successiva diffusione nei tessuti circostanti, che poi penetra in altri corpi vertebrali.

Le infezioni postoperatorie sono complicanze rare, con un’incidenza variabile dall’1 al 3%, conseguenti a diversi tipi d’intervento eseguiti a livello della colonna vertebrale e, più frequentemente, a livello discale. Il processo flogistico interessa primitivamente il disco intervertebrale e, successivamente, i piatti vertebrali contigui e i tessuti molli para- vertebrali. La clinica è caratteristica in quanto dopo un intervallo postoperatorio privo di sintomi i pazienti accusano la comparsa di un’intensa sintomatologia dolorosa loca- le, associata o meno a febbre, senza deficit neurologici.

L’infezione diretta è la conseguenza di manovre strumentali come la discografia eseguita a scopo diagnostico o eseguita come guida per la terapia di chemionucleo- lisi; può anche conseguire a interventi di nucleoaspirazione o infiltrazione di anti- dolorifici a livello delle radici nervose. In questi casi la sede iniziale del processo infettivo è rappresentata dal disco intervertebrale e la vertebra è interessata solo suc- cessivamente.

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Sintomatologia

Il quadro clinico delle spondilodisciti varia in relazione al tratto di rachide coinvolto, all’e- stensione del processo,al grado di virulenza dell’agente patogeno e alla resistenza dell’ospite.

La spondilodiscite esordisce talvolta in modo acuto, con dolore al rachide e segni di infezione sistemica, ma di norma si osserva un inizio subdolo e un decorso gradual- mente progressivo. Nei giovani l’esordio è preceduto per alcuni giorni dai segni e dai sin- tomi di una sepsi generalizzata, mentre negli adulti le prime manifestazioni sono quel- le riferibili all’interessamento osseo e, perciò, spesso negli anziani sono interpretate come l’espressione di una patologia di tipo degenerativo. Il sintomo locale più preco- ce è il dolore, che può essere continuo o intermittente, localizzato o irradiato. Il dolore di solito è esacerbato dal movimento e dalla pressione sulle apofisi spinose corrispon- denti ma può essere continuo e presente anche a riposo. Altri sintomi locali consisto- no in una contrattura muscolare antalgica riflessa e in sintomi neurologici espressivi del livello della compressione midollare. I sintomi generali comprendono febbre, anoressia, malessere generale e calo ponderale.

Gli esami di laboratorio dimostrano un aumento di velocità di eritrosedimentazio- ne e leucocitosi. L’emocoltura può dimostrare l’agente batterico causa dell’infezione, ma spesso risulta negativa. Una maggiore positività è ottenibile mediante puntura aspi- rativa a livello della sede d’infezione.

Diagnostica per immagini

La diagnosi d’infezione della colonna vertebrale può essere effettuata grazie all’utiliz- zo della radiologia tradizionale, allo studio con radionuclidi e alla TC ma si avvale soprattutto dell’impiego della RM.

La radiologia tradizionale, pur offrendo un contributo importante nella diagnosi delle spondilodisciti, non rappresenta l’indagine diagnostica di scelta nel sospetto cli- nico di infezione della colonna vertebrale, ma deve essere supportata da altri tipi di indagini. Nella fase precoce della malattia il quadro radiografico rimane muto fino a 4- 6 settimane dall’esordio clinico della sintomatologia e, quindi, in questa fase non for- nisce elementi diagnostici utili.

La MN diventa positiva pochi giorni dopo la comparsa dei sintomi e presenta una sen- sibilità elevata, ma la sua specificità è bassa e i risultati sono spesso equivoci se non si utilizzano traccianti marcati con Gallio 67 citrato o i leucociti marcati con Indio 111 [18].

La TC permette di documentare in fase più precoce della radiologia convenzionale alcuni aspetti semeiologici delle spondilodisciti permettendo di definire meglio l’estensione del processo flogistico sia a livello vertebrale che paravertebrale. Nelle spondilodisciti la TC è importante, non per la diagnosi (il suo ruolo è stato infatti notevolmente ridimensiona- to dall’introduzione nella pratica clinica della RM), ma come guida all’agobiopsia, al posi- zionamento di drenaggi per le raccolte fluide e nella pianificazione chirurgica [2].

La diagnosi precoce è il punto di forza per risolvere una spondilodiscite settica e la RM rappresenta lo strumento diagnostico più sensibile per questo tipo di patologia.

Attualmente, la RM rappresenta la tecnica di prima scelta nella diagnosi delle spondi- lodisciti per la sua elevata sensibilità, specificità e accuratezza diagnostica. Questa tec-

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nica offre inoltre la possibilità di eseguire controlli che permettono un’adeguata valu- tazione dell’evoluzione e dell’estensione del processo flogistico a livello dell’osso, dei dischi e dei tessuti molli paravertebrali [1, 3, 4, 19-22].

Radiologia tradizionale

L’esame radiologico della colonna vertebrale va eseguito nelle due proiezioni antero- posteriore e latero-laterale e completato con proiezioni oblique e radiografie mirate.

Nelle spondilodisciti da piogeni sono necessarie 4-6 settimane perché le alterazioni anatomo-patologiche si rendano visibili sul radiogramma, la diagnosi è pertanto tardi- va. Negli stadi iniziali i segni radiologici consistono in una riduzione dell’altezza del disco intervertebrale e in una perdita della normale definizione della lamina ossea subcon- drale, con presenza di piccoli focolai di rarefazione in prossimità dei piatti vertebrali (Fig.

1a). Con l’ulteriore diffusione dell’infezione, la distruzione progressiva del corpo vertebrale e del disco intervertebrale diventa evidente (Fig. 1b) e il processo infettivo finisce con l’interessare anche le vertebre adiacenti. Nelle fasi più avanzate si osserva una distruzio- ne ossea più evidente, sino al collasso del corpo vertebrale e al coinvolgimento di tutto il disco intervertebrale. In una discreta percentuale di spondilodisciti da piogeni e, in misu- ra ancora maggiore, nelle forme tubercolari si può osservare l’estensione del processo infettivo nei tessuti molli. Le spondilodisciti tubercolari si caratterizzano per il coinvol- gimento di un corpo vertebrale che manifesta inizialmente segni di distruzione sino al crol- lo vertebrale con modificazione a cuneo del corpo. Il disco si riduce in altezza fino all’o-

Fig. 1. Spondilodiscite L4- L5. Radiogrammi eseguiti nella proiezione latero- laterale, rispettivamente 2 mesi (a) e 5 mesi (b) dopo l’insorgenza della sinto- matologia. a I piatti verte- brali affrontati di L4 e L5 appaiono sfumati, in parti- colare la metà anteriore del piatto vertebrale superiore di L5. b Dopo 5 mesi si apprezza un’ulteriore evo- luzione del quadro con ampi fenomeni di sclerosi e lisi della limitante soma- tica superiore di L5 e, in minor misura, di quella inferiore di L4

a b

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bliterazione dello spazio discale. Le forme tubercolari esitano classicamente in cifosi spes- so marcata; in questa fase si osservano anche importanti segni di sclerosi.

Se viene instaurata una terapia antibiotica appropriata compaiono i segni di riparazione e guarigione sotto forma di osteosclerosi più o meno marcata, fino alla eburneizzazione.

In assenza di una terapia precoce ed efficace si assiste, invece, alla completa osteolisi e al crollo dei corpi vertebrali, all’obliterazione dello spazio discale, alla deviazione e deformità della colonna vertebrale, nonché alla formazione di ascessi massivi dei tessuti molli.

La radiologia tradizionale offre un contributo importante nella diagnosi delle spon- dilodisciti per la sua ampia disponibilità, immediatezza di indagine e basso costo, anche se la sua sensibilità è limitata nella fase clinica iniziale. Il processo flogistico, finché è con- finato in sede subcondrale e al disco, non dà segni radiologici se non quando compare la riduzione in altezza dello spazio discale che rappresenta quindi il segno più precoce. La sensibilità è ancora più limitata nelle forme postoperatorie, dove i segni più tipici (erosioni dei piatti vertebrali e sclerosi subcorticale, restringimento dello spazio discale) diventa- no apprezzabili solo dopo uno o due mesi (Fig. 1). Esistono poi delle problematiche di diagnostica differenziale, soprattutto negli anziani in cui il rachide presenta spesso i segni tipici della patologia degenerativa, tra le spondilodisciti da piogeni, le forme granulo- matose da brucellosi, le criptococcosi, le infezioni fungine e le infezioni tubercolari. In tutte queste malattie è possibile, peraltro, fare diagnosi differenziale sulla base del quadro clinico e/o mediante puntura aspirativa e coltura del materiale ottenuto.

Tomografia computerizzata

La tecnica di esame TC prevede sia uno studio dettagliato della regione anatomica colpi- ta dal processo con l’esecuzione di sezioni assiali contigue, mediante strati dello spessore di 3-5 mm, che l’esecuzione di ricostruzioni con una buona risoluzione spaziale nei piani sagittale e coronale. Le immagini TC vengono ricostruite con programmi dedicati e docu- mentate sia per le strutture scheletriche, per poter visualizzare in modo ottimale le lesio- ni osteolitiche e osteoaddensanti caratteristiche della malattia,sia per le parti molli,per poter evidenziare l’estensione del processo nei tessuti paravertebrali. La somministrazione di mezzo di contrasto (MDC) per via endovenosa consente di documentare la presenza di eventuali ascessi paravertebrali, infatti il classico enhancement periferico a orletto con- sente una migliore delimitazione della lesione ascessuale dalle strutture contigue [1, 2].

Nella fase precoce si possono riconoscere diverse aree osteolitiche ipodense, di pic- cole dimensioni, rotondeggianti o ovalari, a volte confluenti, a contorni sfumati, loca- lizzate a livello dei piatti vertebrali più frequentemente nella metà anteriore. In alcuni casi, anche se raramente, la spondilite tubercolare si localizza prevalentemente all’arco posteriore, risparmiando quasi completamente il corpo vertebrale. La presenza di gas intravertebrale va differenziata dalla dissezione gassosa rilevabile nei crolli vertebrali di natura ischemica, nei quali il gas si dispone in una fissurazione trasversale del corpo vertebrale, reperto frequentemente riscontrabile nella popolazione anziana. Nelle spon- dilodisciti, invece, le raccolte gassose, distribuite in piccole bolle, sono localizzate sia all’interno della spugnosa vertebrale che in sede extravertebrale.

Nella fase conclamata, caratterizzata da un quadro radiologico sempre positivo, si osserva la distruzione più o meno estesa della spongiosa del corpo vertebrale le lesio- ni osteolitiche presentano margini irregolari e/o sfumati con alcune aree di sequestro

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nel loro contesto; inoltre, è ben valutabile la reazione sclerotica ai margini del focolaio osteodisgregante. L’estrema distruzione ossea, con evidenza di frammentazione del- l’osso residuo sino al crollo vertebrale, rende più difficile la valutazione TC delle alte- razioni vertebrali, essendo limitata a pochi piani assiali in relazione alla riduzione in altez- za del corpo vertebrale. A seconda dell’agente eziologico e dell’entità del processo flo- gistico si osserva una lesione confinata al corpo vertebrale, oppure estesa al di fuori delle limitanti corticali in sede paravertebrale. Nelle spondilodisciti tubercolari si evi- denziano analoghe lesioni litiche, ma il corpo vertebrale presenta anche sclerosi più o meno diffusa. Caratteristiche di queste forme sono le tumefazioni paravertebrali, che con- figurano gli ascessi ossifluenti patognomonici della malattia, e le calcificazioni nel con- testo della massa paravertebrale, che agevolmente vengono documentate in TC.

Nella fase cronica compaiono i segni di riparazione che, analogamente a quanto si osserva sul radiogramma, consistono in fenomeni di osteosclerosi più o meno marca- ta fino all’eburneizzazione. La sclerosi può circondare le aree litiche oppure può mani- festarsi come addensamento diffuso del corpo vertebrale nei casi di crollo vertebrale.

A livello dello spazio discale si può rilevare una lieve ipodensità del disco (in corso di spondilodiscite risulta di circa 38 unità Hounsfied, UH, contro le 70 UH del disco sano) che va correlata con l’edema, con la necrosi e con la presenza di una raccolta infiammatoria nello spazio discale sede di infezione. Questo segno, quando presente, risul- ta essere relativamente specifico per una patologia infiammatoria, non essendo stato mai riportato alterato in altre patologie. Nella patologia degenerativa, tipica dell’età avan- zata, la densità del disco rimane inalterata o appare nettamente negativa in presenza di vacuum phenomenon. Il coinvolgimento del disco intervertebrale è caratteristicamen- te cospicuo nelle forme da cocchi piogeni, mentre nelle forme tubercolari è solitamen- te meno notevole. In alcuni casi di spondilodiscite tubercolare il disco può addirittura non essere coinvolto dal processo infettivo, in quanto l’infezione si estende a più corpi vertebrali lungo il legamento longitudinale anteriore senza interessare il disco. Il coin- volgimento di più corpi vertebrali e la localizzazione preferenziale alle porzioni poste- riori possono rendere impossibile la diagnosi differenziale tra la spondilodiscite tuber- colare e le metastasi o la spondilite da actinomiceti che a sua volta si propaga prefe- renzialmente lungo il legamento longitudinale. In questi casi un’accurata valutazione dei dati clinici risulta indispensabile ai fini di un corretto inquadramento diagnostico.

Nello studio delle spondilodisciti la TC fornisce un ottimo contributo nella valutazione di estensione paravertebrale del processo flogistico e di eventuali ascessi che possono osser- varsi a livello paravertebrale, epidurale, sottodurale e intramidollare (Fig. 2).

Fig. 2. Spondilodiscite C4-C5. Tomografia computerizzata (TC), scansione con mezzo di contrasto (MDC) a livello di C4. Alterazio- ne strutturale del corpo vertebrale con tume- fazione prevertebrale. Il processo infettivo si estende nello speco vertebrale compri- mendo il sacco durale

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L’estensione del processo spondilodiscitico in sede paravertebrale è relativamente frequente, in particolare nelle forme tubercolari dove sono presenti le classiche tumefazioni paravertebrali. Le raccolte ascessuali sono caratterizzate da una zona ipodensa che dopo somministrazione di MDC risulta circondata da un orletto periferico iperdenso, parti- colarmente spesso e irregolare nelle forme tubercolari. Nelle complicanze paraverte- brali della spondilodiscite con quadro clinico di compressione midollare in cui non sia possibile eseguire una RM (per esempio in pazienti anziani portatori di pacemaker) al fine di valutare l’estesione del processo e i suoi rapporti con il midollo e le radici, è di note- vole aiuto l’iniezione di MDC non ionico nello spazio subaracnoideo. Questa tecnica è infat- ti particolarmente valida nello studio del tratto cervicale o dorsale, dove il grasso epidurale è scarsamente rappresentato e le varie strutture appaiono isodense tra loro.

La TC, rispetto alla radiologia tradizionale, permette l’identificazione del processo spondilodiscitico in una fase più precoce, offre una migliore valutazione delle lesioni ver- tebrali e dell’estensione del processo nei tessuti molli paravertebrali, consente il dre- naggio di raccolte ascessuali paravertebrali e il prelievo diretto di materiale biologico dal focolaio spondilodiscitico (Fig. 3).

Fig. 3. Drenaggio di raccolta TC-guidato in spondilodiscite L2-L3 postoperatoria. Scansioni diret- te, a paziente prono. a, b Documentazione per strutture scheletriche che dimostra lisi ossee a livel- lo del corpo vertebrale. c, d Documentazione per parti molli che evidenzia a sinistra, in prossimi- tà della sede della pregressa emilaminectomia, area disomogeneamente ipodensa a pareti ispes- site che esprime la presenza di una raccolta. Nelle immagini b, d drenaggio della raccolta

a b

c d

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Il suo ruolo è stato tuttavia notevolmente ridimensionato dall’introduzione nella pratica clinica dalla RM, la quale presenta dei notevoli vantaggi rispetto alla TC nello stu- dio della patologia infettiva scheletrica e, in particolare, nelle spondilodisciti.

Risonanza magnetica

La RM è divenuta indagine di scelta nella valutazione della patologia infettiva della colonna vertebrale e del midollo spinale. La metodica si caratterizza per un’elevata sen- sibilità nel riconoscere precocemente un focolaio di osteomielite vertebrale, molto prima della radiologia convenzionale e della TC, con sensibilità pressoché sovrapponibili a quella delle metodiche radioisotopiche. Alcuni autori affermano che la RM ha una sensibilità del 96%, una specificità del 92% con un’accuratezza diagnostica pari al 94%

[1-4, 19-22]. Per tali ragioni, questa indagine trova particolare indicazione nelle fasi precoci della malattia in cui gli studi radiologico convenzionale e tomodensitometrico possono dar luogo a falsi negativi. La RM presenta inoltre notevoli vantaggi anche nella fase conclamata della malattia, permettendo di valutare la diffusione del processo infet- tivo e dimostrando il grado di compressione del midollo spinale e l’eventuale presen- za di un focolaio di mielite. La possibilità di acquisire immagini multiplanari consen- te infatti una migliore visualizzazione dello sconfinamento paravertebrale ed epidura- le del processo infettivo.

L’elevata sensibilità della RM alle variazioni del contenuto acquoso la rende estre- mamente valida nel riconoscimento delle modificazioni anatomo-patologiche che si verificano nella fase iniziale della spondilodiscite, rappresentate da iperemia e flogosi locale con aumento della componente liquida nel midollo osseo dei corpi vertebrali coinvolti e iperemia del disco interposto. La sensibilità della RM nella diagnosi preco- ce di spondilodiscite risulta pertanto superiore a quella della TC. Grazie all’ottima riso- luzione di contrasto e alla possibilità di eseguire scansioni multiplanari, la RM è inol- tre in grado di fornire una migliore valutazione dell’estensione del processo e delle complicanze rispetto alla TC. In particolare, la RM risulta utile nella valutazione del- l’estensione del processo infettivo nello speco vertebrale (Fig. 4).

L’esame RM del rachide prevede l’effettuazione di scansioni secondo piani sagittali e assiali ed eventualmente secondo piani coronali. La proiezione sagittale permette di docu- mentare tutte le alterazioni che caratterizzano questa patologia, cioè la lesione dei corpi vertebrali, il coinvolgimento del disco intervertebrale, eventuali tumefazioni paravertebrali anteriori o posteriori e i loro rapporti con il canale vertebrale. Nelle scansioni sagittali è opportuno includere il maggior numero di metameri possibile utilizzando un campo di vista adeguato, per la possibile coesistenza di focolai infettivi multipli in vario grado di evo- luzione. Le scansioni assiali e coronali sono importanti nella valutazione dell’estensione del processo infettivo sia nello spazio paravertebrale che nel canale spinale.

Le spondilodisciti sono caratterizzate da modificazioni del segnale che interessano i corpi vertebrali e lo spazio discale e variano a seconda delle sequenze impiegate e del- l’impiego del MDC. Nella sequenza T1 pesata l’aspetto del segnale consiste nell’ipoin- tensità dei corpi vertebrali (Figg. 4-6). L’ipointensità è l’espressione dell’edema e del- l’iperemia che si instaurano a livello della zona sede di flogosi. L’ipointensità può esse- re estesa a tutto (Fig. 4) o a parte del corpo vertebrale (Figg. 5, 6); frequentemente essa è limitata alla metà inferiore e superiore, rispettivamente, del corpo soprastante e sot-

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tostante lo spazio discale coinvolto dal processo flogistico. La visibilità dell’ipointensi- tà vertebrale è variabile in relazione all’entità del processo flogistico e al contrasto determinato dal midollo osseo dei corpi vertebrali. Pertanto la visibilità è superiore nei casi in cui il midollo è prevalentemente giallo (Fig. 6), quindi negli anziani, e inferiore viceversa nei casi in cui è prevalentemente rosso. Inoltre, è ridotta quando esiste una iper- plasia midollare (anemie croniche) oppure una mielofibrosi perché in questi casi l’aspetto del segnale dei corpi vertebrali è ipointenso. Nelle forme acute inizialmente i contorni della corticale sono conservati, apparendo come una sottile linea ipointensa senza inter- ruzioni che delimita il processo. Rapidamente, anche la corticale va poi incontro a pro- cessi di distruzione rendendo il confine tra disco e piatto somatico confuso e mal valu- tabile. La visibilità dell’alterazione dello spazio discale è sempre modesta nelle imma- gini T1 pesate per ragioni di contrasto poco favorevole (Figg. 4-6). Nella sequenza turbo spin echo (TSE) T2 pesata i corpi vertebrali e lo spazio discale interposto diventano iperintensi (Figg. 4, 6). L’iperintensità è minore a livello dei corpi vertebrali rispetto allo spazio discale in quanto l’osso trabecolare della spugnosa vertebrale determina una bassa intensità di segnale che riduce quindi l’elevato segnale dell’edema midolla- Fig. 4. Spondilodiscite C3-C6. Riso- nanza magnetica (RM).Piano sagit- tale, sequenza: spin echo (SE) T1 pesata (a), turbo spin echo (TSE) T2 pesata (b),T short Ti inversion reco- very (STIR) (c), spectral presatura- tion with inversion recovery (SPIR) T1 dopo MDC (d). Sia nell’imma- gine SE T1 pesata (a) che nell’im- magine TSE T2 pesata (b) è ben apprezzabile il coinvolgimento dei corpi vertebrali di C3, C4, C5 e C6 e dei dischi interposti, nonché la presenza di tessuto in sede pre- vertebrale e in sede epidurale. La presenza di tessuto patologico in sede epidurale a livello C4-C5 e la conseguente compressione sul midollo spinale è meglio evidente nell’immagine TSE pesata in T2 (b).

L’immagine T STIR (c), oltre ai reperti già segnalati in a, b docu- menta l’edema e/o l’iperemia del- l’osso intraspongioso del corpo di C6 che appare iperintenso. L’im- magine SPIR T1 dopo sommini- strazione di MDC (d) ben docu- menta il coinvolgimento dei corpi vertebrali di C3, C4, C5 e dei dischi interposti, l’iperemia e/o edema del corpo di C6, la presenza di tes- suto solido in sede prevertebrale e in sede epidurale

a b

c d

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re. L’iperintensità dei corpi vertebrali può risultare estremamente lieve nei soggetti anzia- ni, nei quali il midollo osseo risulta prevalentemente giallo e quindi appare dotato di segna- le elevato (Figg.4-6).Nelle forme croniche il segnale di iperintensità in T2 tende ad affievolirsi e compaiono iperdensità a margini netti, riconducibili a tessuto fibrosclerotico. La sequen- za spin echo (SE) T2 pesata risulta particolarmente efficace nel documentare l’alterata con- figurazione del disco: a questo livello si può osservare un quadro sfumato caratterizzato dalla scomparsa dell’intranuclear-cleft, oppure un quadro conclamato nel quale il disco risulta completamente alterato nella sua morfologia, soprattutto nelle forme da cocchi pio- geni. La sequenza short T1 inversion recovery (STIR) permette di visualizzare il processo spondilodiscitico in quanto, sopprimendo il segnale proveniente dal tessuto adiposo, esal- ta il contrasto tra la lesione (iperintensa) e il midollo giallo, il cui segnale risulta soppresso (Fig. 4, 6) [22].

Fig. 5. Spondilodiscite postopera- toria L2-L3. RM. Piano sagittale, sequenza SE T1 pesata (a), SPIR T1 dopo MDC (b, c). Piano coronale, sequenza SPIR T1 dopo MDC (d).

Alterazione dell’intensità dei corpi vertebrali di L2-L3, che risultano ipointensi nell’immagine pesata in T1 (a) e iperintensi nelle imma- gini SPIR T1 dopo MDC (b-d). Alte- rata morfologia del disco interpo- sto che risulta mal riconoscibile in (a) e che, nelle immagini SPIR dopo MDC, presenta enhancement peri- ferico (b). Raccolta nella sede di emilaminectomia (c) e presenza di tessuto solido che presenta enhancement in sede paraverte- brale sinistra (d)

a b

c

d

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a b

d e

c

Fig. 6. Spondilodiscite postoperatoria L4-L5. RM. Piano sagittale, sequenza: SE T1 pesata (a, e), TSE T2 pesata (b),T STIR (c), SPIR T1 dopo MDC (d). Esame eseguito dopo 2 mesi (a-d) e 8 mesi (e) dopo l’intervento. I corpi vertebrali di L4 e L5 presentano alterazione dell’intensità di segnale caratterizzata da ipointensità nell’immagine pesata in T1 (a), tenue iperintensità nell’immagine pesata in T2 (b), discreta iperintensità nell’immagine T STIR (c) e presentano enhancement dopo MDC (d). L’alterazione dei corpi vertebrali è bene apprezzabile in a grazie all’evidente contrasto con i corpi vertebrali normali adiacenti che sono omogeneamente iperintensi per l’elevata per- centuale di midollo adiposo. Il disco interposto risulta mal riconoscibile nell’immagine pesata in T1 (a), omogeneamente iperdenso nell’immagine pesata in T2 (b) e nell’immagine T STIR (c) e presenta enhancement periferico dopo MDC (d). Al controllo eseguito dopo 8 mesi si evidenzia riduzione delle alterazioni di segnale dei corpi vertebrali (e)

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L’impiego di MDC paramagnetico aumenta ulteriormente le potenzialità della RM nella diagnostica delle spondilodisciti, permettendo di confermare la diagnosi ottenu- ta con l’esame senza MDC, aumentando la specificità diagnostica e rendendo possibi- le la diagnosi differenziale tra quadri sfumati di spondilodiscite e aspetti degenerativi [23-26]. Le alterazioni di segnale dei corpi vertebrali apprezzabili nelle immagini SE T1 dirette, da ipointense possono divenire iperintense dopo somministrazione di MDC nelle immagini SE T1 pesate oppure diventare isointense rispetto al midollo osseo cir- costante: il comportamento dell’intensità di segnale dei corpi vertebrali sede della flo- gosi risulta infatti estremamente variabile, in quanto dipende non solo dall’entità dello spazio extracellulare e dalla vascolarizzazione della lesione ma anche dall’intensità del segnale del midollo osseo normale circostante. Il limite dell’impiego del MDC legato alla possibile isointensità delle lesioni scheletriche è superabile con l’uso di sequenze pesa- te in T1 che sopprimono selettivamente il segnale del grasso. Per quanto riguarda il coinvolgimento del disco intervertebrale, l’impiego del MDC permette di vedere l’en- hancement periferico dello spazio discale sede della flogosi. Questo reperto è utile nella diagnostica differenziale tra quadri sfumati di spondilodisciti e quadri di degenera- zione fibrovascolare dei piatti vertebrali, entità patologica frequente nella popolazione anziana. A volte però il riscontro di un disco a morfologia conservata e segnale dis- omogeneo o solo lievemente iperintenso nei pazienti con sospetto clinico di infezione pone dei problemi diagnostici. In questi casi l’impiego del MDC per via endovenosa evidenzia un disco che non presenta enhancement nel caso della degenerazione fibro- vascolare, mentre nelle spondilodisciti il disco presenta enhancement solitamente peri- ferico (Figg. 5, 6). Solitamente tale diagnosi differenziale è già ottenibile nelle immagi- ni T2 pesate, in quanto nelle spondilodisciti il disco coinvolto appare iperdenso e pre- senta alterazioni morfologiche, mentre nel caso della degenerazione fibrovascolare è iso/iperintenso rispetto agli altri dischi normalmente idratati.

Il MDC risulta inoltre molto utile nel bilancio di estensione, permettendo di otte- nere una migliore visulizzazione delle lesioni extraossee e un’ottima valutazione del- l’eventuale compressione sul midollo spinale (Fig. 4).

La spondilodiscite tubercolare presenta degli aspetti RM parzialmente diversi da quelli illustrati per le spondilodisciti da cocchi piogeni. In particolare, sono presenti una minor iperintensità di segnale a livello dei corpi vertebrali nella sequenza T2 pesa- ta e un interessamento meno cospicuo del disco intervertebrale. Bilateralmente, sono inol- tre frequenti ascessi paravertebrali che per lo più coinvolgono il muscolo psoas con un segnale ridotto, analogo a quello delle strutture muscolari, nelle sequenze T2 pesate e, dopo MDC, una iperintensità periferica analoga a quella osservabile a livello disco-ver- tebrale. Il coinvolgimento di più corpi vertebrali, in particolare la localizzazione prefe- renziale alle porzioni posteriori, può rendere impossibile in alcuni casi la diagnosi dif- ferenziale con le metastasi o con una spondilite da actinomiceti. In questi casi una accu- rata valutazione dei dati clinici risulta indispensabile ai fini di un corretto inquadramento diagnostico [27].

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