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Quando Gli Occhi Ricordano. Scritto da Elena Calafato

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Academic year: 2022

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I detti popolari sono spesso portatori di una verità profonda, di una saggezza e di una conoscenza innate nel genere umano, che non di rado precedono le conclusioni di tecniche molto avanzate. Talvolta è quasi irritante constatare con quale precisione e quanto anticipo sulle scienze esatte essi rivelino la verità. Di recente ho avuto modo – e con grande piacere – di verificare quanto sia veritiero il detto secondo cui gli occhi sono lo specchio dell’anima. In un una calda giornata di Settembre, una di quelle che preannunciano la fine imminente dell'estate, ho avuto l'occasione di assistere all'inaugurazione della mostra Quando Gli Occhi Ricordano

, della ex psicoterapeuta di origine armena Susanna Kuciukian. Nella splendida cornice dell'Antico Oratorio della Passione della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, con

l'accompagnamento di un pianoforte dolce e malinconico, una delicatissima serie di acquarelli porta lo spettatore a confrontarsi con le profondità degli sguardi che si affollano nella memoria di ciascuno, e ad interrogarsi sui loro messaggi e sulle loro verità. La sorpresa di trovarmi di fronte all'insolita e fortunata coincidenza di un'opera d'arte, creata da una persona che per professione interpreta i moti dell'animo umano (e l'arte cos'è, se non espressione di tali moti?), mi ha spinto a pormi delle domande sul ruolo dell'arte – non solo per quanto riguarda il creatore ma per quanto concerne tutti gli uomini. E quelle stesse domande ho voluto porle alla

dottoressa Kuciukian.

- Il suo è un nome noto soprattutto nell’ambito della psicoterapia e della psicoanalisi. Ma perché una psicoterapeuta di successo decide di dedicare il proprio tempo libero all’arte, e in particolare alla pittura?

La psicoanalisi è cammino di conoscenza dell’uomo e delle relazioni umane; è sguardo sull’uomo al di là di ciò che appare. Lo sguardo “oltre”, la ricerca dell’infinito di leopardiana memoria, hanno sempre fatto parte dell’umanità; filosofi, poeti, scrittori e artisti lo sanno e l’hanno sempre saputo, prima delle scoperte psicoanalitiche. Dedicarsi all’arte, per uno

psicoterapeuta che pratica le relazioni di aiuto e che ha a che fare con la sofferenza dell’uomo, è accostare un “oltre” in cui c’è la bellezza;  significa nutrirsi di ciò che di umanamente più alto ci dà la vita: musica, poesia, scultura, pittura e tante altre forme d’arte che mi hanno sempre accompagnato in questi anni. La sofferenza del vivere, che come psicoterapeuti aiutiamo ad affrontare, possiamo vederla a volte chiaramente rappresentata (anche se non sempre

sublimata) nelle opere artistiche; penso in questo momento ad Egon Schiele, all’evidenza delle sue paure e delle sue angosce.

Nella pittura, l’immagine-forma che il pittore rappresenta, può avvicinarsi alla comunicazione che avviene tra paziente ed analista, se il pittore riesce ad andare al di là della forma decisa a priori, al di là dei contorni chiari e precisi. Nel dirigere il suo pennello accetta il rischio di fare emergere qualcosa di sconosciuto anche a se stesso: forse è questo il momento in cui il pittore può diventare artista.

Ma perché dipingere? Perché l’acquerello? Dopo anni di lavoro dedicato all’ascolto dell’altro, ho sentito che prendeva sempre più spazio un mio interesse di tipo fisico-sensibile. Dato che la

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fondono e si confondono, facendo nascere forme di espressività, a volte definite, a volte indefinite.

Mi sono sentita attratta dagli sguardi.  Uscivano dal mio pennello immerso nel colore che, accostato all’acqua, immetteva negli occhi forme espressive diverse. Occhi diversi, occhi che ricordano, occhi che vorrebbero non avere mai visto, occhi che cercano lo sguardo dell’altro, occhi che si nascondono allo sguardo dell’altro, occhi che raccontano.

Sguardi che nascono dai miei ricordi, ma anche dalle potenzialità espressive della tecnica dell’acquerello.

- Allontanandoci per un attimo dal tema della nostra intervista, secondo lei quale ruolo può rivestire l’arte nella società? Può, a suo parere, migliorare la vita di ciascuno di noi?

Musica, teatro, cinema, letteratura, scultura, pittura, possono farci riflettere sull’uomo e sul rapporto dell’uomo con la storia, individuale e collettiva.

Chi si avvicina all’arte di solito possiede una certa sensibilità e capacità di riflettere sui valori della vita, sul senso dell’esistenza, su ciò che rappresenta l’umanità. E’ in ricerca.

Ma chi non ha questa sensibilità, chi è portato a “vedere” tutto in termini di utilità? Io penso che la scuola sia preziosa e che dovrebbe assumersi la grande responsabilità di  trasmettere una cultura che riporti all’uomo. Sarebbe importante che la famiglia e la scuola, con uno sforzo congiunto, si alleassero per far apprezzare ai bambini l’arte, stimolando e sviluppando la sensibilità verso il bello.

L’arte è comunicazione di valori umani, è aprire la mente dei giovani alla curiosità a tutto campo. Non è solo visione “estetica”, è anche “etica”. E tuttavia, in tempi di crisi e di tagli alla cultura cosa possiamo fare noi individualmente per aiutare la cultura a vivere? Ma qui si apre un’altra pagina!

- Quando Gli Occhi Ricordano è il titolo della sua personale, da poco conclusasi all’Oratorio della Passione della Basilica di Sant’Ambrogio di Milano. Sono proprio gli occhi i protagonisti di un’esposizione popolata di ritratti dallo sguardo vago e profondo, che si

affiancano a paesaggi indefiniti. Che ruolo ha per lei il ricordo, non solo per quanto riguarda il

singolo individuo, ma anche la collettività?

La scomparsa della memoria collettiva, oltre che individuale, ha portato e porta le persone a mettere in atto e a ripetere comportamenti che in passato hanno prodotto esiti distruttivi.

La possibilità di mantenere vivo il ricordo permette all’uomo e alla società di umanizzarsi e di trasformarsi, evolvendo positivamente.

In questo l’arte, in tutte le sue forme espressive, se interrogata intelligentemente e con sensibilità, può essere di grande aiuto.

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- Lei è stata definita una “acquerellista dell’etere”. L’indefinitezza delle sue opere ha una motivazione particolare, o deriva da una precisa scelta stilistica?

L’indefinito è per me una scelta psicologica, che poi si traduce in stile pittorico; mi piace tutto ciò che è poetico, allusivo, non saturo, tutto ciò che si apre al “sogno”, al pensiero e alla riflessione.

Non amo le forme troppo definite; mi piace una pittura di emozioni, sensazioni, interrogativi, perplessità, una pittura che possa aprire forme di comunicazione con chiunque si avvicini con la semplicità di uno sguardo.

Prediligo dipingere i volti, gli occhi in particolare, perché sono lo spazio e il luogo di comunicazione tra mondo interno e mondo esterno.

- L’inaugurazione della sua mostra è stata accompagnata da una splendida esecuzione di musica armena da parte della pianista Ani Martirosyan. Perché per questa importante

occasione – la sua prima mostra personale – ha scelto di coniugare musica e pittura?

La musica aiuta ad aprire un proprio spazio interno. Crea uno spazio di accoglienza, e ogni altra forma d’arte le è debitrice. La musica è armonia e ricerca di armonia; la pittura è armonia e ricerca di armonia; ogni essere umano è alla ricerca di una propria armonia.

Aprire la mostra dei miei acquerelli con Elegia di Arno Babagianian, brano da me scelto,

suonato dalla bravissima pianista armena Ani Martirosyan, significava aprire e predisporre uno spazio interiore per meglio accogliere un’altra forma di comunicazione, quella dei miei lavori esposti.

- Quale peso ha, nella sua arte, la sua appartenenza (ricordiamo le origini armene) ad un popolo che nel corso della sua storia ha affrontato grandi tragedie come due genocidi, e le terribili guerre del XX secolo?

Tutto ciò che è cultura, e l’arte lo è, costituisce un elemento prezioso per tenere viva la

memoria. Memoria, per gli armeni, non è solo ricordare il dramma del genocidio e sentirsi feriti dall’ostinato negazionismo. Memoria è anche ricordare la ricchezza umana e culturale del popolo armeno, a cui sento di appartenere, data la mia origine armena per parte paterna.

- Secondo lei è giusto vedere nella sua arte, e nell’arte in generale, uno strumento attraverso il quale perpetuare il ricordo e le memorie di un individuo così come quelle di un popolo?

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L’arte in tutte le sue forme, musica, canto, pittura, scultura, teatro, cinema, poesia, letteratura e altro, può essere uno strumento attraverso cui mantenere vivo il ricordo di un popolo che non solo ha sofferto, ma che nonostante le sofferenze, ha dato e continua a dare al mondo la ricchezza della sua cultura.

- Un’ultima domanda: pensa di voler allestire altre mostre nel prossimo futuro? Magari in altre città d’Italia?

In questo momento sto godendo del ricordo dei recenti incontri umani ed artistici avuti in occasione di questa mostra. Mi sono già state fatte altre richieste e tuttavia, al di là delle sollecitazioni esterne, cercherò  di capire dove il mio mondo interno mi orienterà.

Ringraziamo la Dottoressa Kuciukian per la cortesia e le sue illuminanti risposte.

Indubbiamente il suo occhio attento ha saputo portare negli acquarelli la bellezza, la profondità, ma anche i tormenti e le sofferenze dell'animo umano. Del resto, come lei stessa ci ha detto, il ruolo dell'arte è proprio quello di far luce sulla natura umana e di spingerci a riflettere su di noi.

“Conosci te stesso”, dicevano gli antichi, e l'Arte rappresenta un validissimo e meraviglioso strumento di conoscenza. Se fosse fruttuosa non solo dal punto di vista conoscitivo ma anche in termini economici, sarebbe il prodotto di consumo perfetto per la società moderna: per sua fortuna però, essa sfugge nella sua eterea essenza alla commercializzazione massiva.

Bisogna solo sperare che ciò non la condanni a morte.

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