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APPUNTI DELLE LEZIONI DI FISICA DEI LIQUIDI

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APPUNTI DELLE LEZIONI DI FISICA DEI LIQUIDI

Prof. Mauro Rovere Corso di Laurea in Fisica

Universit`a di Roma Tre

° Questa opera `e pubblicata sotto una Licenza Creative Commonsc http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/

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Indice

1 Introduzione alla Fisica dei Liquidi 1

1.1 Lo stato fluido della materia . . . 1

1.2 Sistemi e modelli microscopici . . . 4

1.3 Teorie approssimate e metodi esatti . . . 5

1.4 Metodi sperimentali e funzioni di correlazione . . . 6

2 Richiami di Termodinamica 7 2.1 Funzioni estensive ed intensive . . . 7

2.2 Primo principio della termodinamica . . . 8

2.3 Vincoli e trasformazioni . . . 8

2.4 Il secondo principio della termodinamica e l’entropia . . . 10

2.5 Definizione della temperatura . . . 12

2.6 Condizioni di equilibrio . . . 13

2.7 Potenziale chimico ed equilibrio chimico . . . 14

2.8 Equazioni di stato e condizioni di equilibrio . . . 15

2.9 Funzioni intensive e quantit`a molari . . . 15

2.10 Relazione di Gibbs-Duhem . . . 16

2.11 Trasformate di Legendre e potenziali termodinamici . . . 17

2.12 Relazioni di Maxwell e alcune conseguenze . . . 19

2.13 Le funzioni risposta macroscopiche . . . 20

2.14 Condizioni di stabilit`a per un sistema . . . 21

2.15 Equilibrio delle fasi . . . 23

2.16 Transizioni di fase e loro classificazione . . . 24

2.17 Equazione di Van der Waals . . . 26

2.18 Principio degli stati corrispondenti . . . 30

3 Richiami di Meccanica Statistica 32 3.1 Teoria degli ensembles . . . 32

3.2 Ensemble microcanonico e legame con la termodinamica . . . 33

3.3 Vari tipi di ensemble . . . 34

3.3.1 Canonico . . . 35

3.3.2 Gran-canonico . . . 35

3.3.3 Isobarico . . . 36

(4)

3.4 Sviluppi delle formule per i sistemi classici . . . 36

3.4.1 Ensemble Canonico . . . 36

3.4.2 Ensemble gran-canonico . . . 37

3.4.3 Fluttuazioni del numero di particelle . . . 39

4 Potenziali efficaci ed espansione del viriale 41 4.1 Modelli microscopici per i fluidi . . . 41

4.1.1 Approssimazione di Born-Oppenheimer . . . 41

4.1.2 Potenziali efficaci. . . 42

4.2 Espansione del Viriale per il gas . . . 43

4.3 Sfere dure . . . 46

5 La struttura dei liquidi 48 5.1 Struttura locale di un liquido . . . 48

5.2 Funzioni di distribuzione nel canonico . . . 50

5.3 Legame della FDR con la termodinamica . . . 51

5.3.1 L’energia . . . 51

5.3.2 Calcolo della pressione dal viriale . . . 52

5.4 Funzioni di distribuzione nel gran-canonico . . . 53

5.5 Andamento qualitativo della FDR . . . 54

5.6 Liquidi a pi`u componenti . . . 57

6 Misura della struttura di un liquido. 58 6.1 Raggi X e neutroni . . . 58

6.2 La diffrazione dei neutroni: il limite elastico . . . 59

6.3 Fattore di struttura statico . . . 64

6.4 Fattore di struttura di liquidi a pi`u componenti . . . 66

6.4.1 Fattori di struttura parziali . . . 66

6.4.2 Sostituzione isotopica . . . 66

6.4.3 Il caso molecolare . . . 66

7 Teorie della struttura 68 7.1 Il potenziale di forza media . . . 68

7.2 Equazione di Born-Green . . . 70

7.3 Metodo di Percus . . . 70

7.4 Funzione risposta statica . . . 72

7.5 L’equazione di ¨Ornstein-Zernike . . . 74

7.6 Relazioni di chiusura . . . 75

7.6.1 Un’equazione esatta per la g(r) . . . 75

7.6.2 HNC e Percus-Yevick . . . 76

7.7 Il liquido di sfere dure . . . 76

7.7.1 PY per le sfere dure . . . 77

7.7.2 Inconsistenza termodinamica . . . 78

7.8 Una strada per la consistenza: HNC modificata . . . 79

(5)

8 Metodi di simulazione numerica 80 9 Funzioni di correlazione e funzioni risposta 81

9.1 Funzioni di correlazione . . . 81

9.2 Sistemi fuori dall’equilibrio e teoria della risposta lineare . . . 82

9.2.1 Teoria della risposta lineare . . . 82

9.2.2 Funzioni risposta dinamiche . . . 85

9.3 Funzione risposta e dissipazione . . . 86

9.4 Teorema di fluttuazione-dissipazione . . . 88

9.5 Limite statico del teorema di fluttuazione-dissipazione . . . . 89

9.6 Funzioni di Van Hove . . . 90

9.7 Il fattore di struttura dinamico . . . 92

9.7.1 Scattering anelastico di neutroni . . . 92

9.7.2 Limite statico . . . 93

9.7.3 Bilancio dettagliato . . . 94

9.7.4 Scattering incoerente . . . 94

9.8 Funzione risposta della densit`a . . . 95

9.9 Sviluppo a piccoli tempi e regole di somma . . . 95

10 Dinamica dei liquidi 97 10.1 Moti termici nei liquidi . . . 97

10.2 Moto browniano ed equazione di Langevin . . . 97

10.3 Diffusione e funzione self di Van Hove . . . 99

10.4 Limite del gas diluito . . . 100

10.5 Funzioni di correlazione delle correnti . . . 101

10.6 Considerazioni sul limite idrodinamico . . . 102

10.7 Diffusione nel limite idrodinamico . . . 103

10.8 Funzione di correlazione delle velocit`a . . . 106

10.9 Dinamica dei liquidi nel limite idrodinamico . . . 107

10.9.1 Equazioni in condizioni isoterme . . . 108

10.9.2 Corrente trasversa . . . 110

10.9.3 Corrente longitudinale e onde sonore . . . 111

10.9.4 Corrente longitudinale e scattering Brillouin . . . 112

10.10Fluttuazioni della densit`a nei diversi regimi . . . 114

10.11Introduzione di effetti di memoria . . . 114

10.11.1 Un esempio: l’equazione di Langevin con effetti di memoria . . . 114

10.11.2 Un esempio: la viscosit`a generalizzata . . . 117

10.12Funzioni memoria . . . 118

11 Metastabilit`a. Transizione vetrosa 122 11.1 Criteri di stabilit`a . . . 122

11.2 Curva spinodale . . . 123

11.3 Liquidi sottoraffreddati . . . 125

(6)

11.4 Processo di vetrificazione . . . 126

11.5 Diagramma di Angell . . . 127

11.6 La temperatura di Kauzmann . . . 129

11.7 La dinamica del liquido vicino alla transizione vetrosa. . . 130

(7)

Capitolo 1

Introduzione alla Fisica dei Liquidi

La Fisica dei Liquidi, nell’ accezione moderna, `e intesa come lo studio del comportamento a livello microscopico della materia nello stato fluido. Essa

`e diventata una branca della Fisica della Materia e si pu`o considerare come un importante campo di applicazione della Meccanica Statistica.

1.1 Lo stato fluido della materia

Lo stato liquido della materia presenta caratteristiche peculiari notevoli.

Guardiamo al diagramma di fase di una sostanza semplice, assumendo per ora la definizione tautologica che una sostanza `e semplice se ha un diagram- ma di fase come nelle figure 1.1 e 1.2

Vediamo che sia nel piano (T, p), sia in quello (ρ, T ), la regione della fase liquida `e molto ristretta. Essa `e caratterizzata dalle curve di coesistenza liquido-gas e liquido-solido. La curva liquido-gas termina nel punto critico (P.C.), sopra il quale abbiamo un generico stato fluido. La curva liquido- solido invece non presenta un punto critico e pu`o estendersi indefinitamente.

In accordo alla regola delle fasi di Gibbs, per il nostro sistema monoatomico esiste un punto, dove le tre fasi coesistono, detto punto triplo (P.T.). La presenza di un punto critico fa in modo che si possa passare con continuit`a dallo stato di gas a quello di liquido, seguendo un cammino nel piano ter- modinamico, che parta dal gas, giri intorno al punto critico e finisca nel liquido. Partendo dal solido, invece, dovremo sempre attraversare la curva di coesistenza per giungere al liquido, questo implica che non potremo mai evitare una discontinuit`a nel passaggio di fase. `E un’indicazione di come ci sia una maggiore affinit`a di comportamento fra il liquido e il gas, piuttosto che fra il solido e il liquido. Anche se a livello macroscopico ci possono essere differenze notevoli fra gas e liquido, a livello microscopico le differenze non sono sempre evidenti.

(8)

P.T.

G L S

T

P.C.

P

Figura 1.1:

P.T. S T

ρ L

P.C.

G

Figura 1.2:

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Si pu`o quindi parlare di uno stato fluido della materia, caratterizzato da una struttura microscopica omogenea e isotropa. Esso coesiste con una fase detta solida, caratterizzata da un ordine traslazionale nelle posizioni degli atomi. Lo stato fluido `e unico sopra il punto critico, mentre al di sotto si presenta degenere in due stati, liquido e gassoso, coesistenti alla stessa temperatura e pressione, ma con densit`a diverse. La transizione fra i due stati fluidi pu`o avvenire con continuit`a, mentre la transizione fra fasi fluide e fase solida avviene sempre con un salto di densit`a. Le differenze pi`u evidenti fra il solido e il fluido, a livello microscopico, sono riscontrabili se si guarda alle posizioni medie degli atomi e alla loro capacit`a di diffusione. Si potr`a notare la mancanza di ordine spaziale nel fluido, mentre la diffusione degli atomi nel solido `e praticamente nulla confrontata con quella degli atomi nei fluidi.

Lo studio della Fisica dei Liquidi `e rilevante per diversi motivi. Dal un punto di vista applicativo l’interesse `e originato dall’importanza che i fluidi hanno in processi tecnologici, che riguardano soprattutto l’industria chimica. Fra i motivi di interesse ha acquistato sempre pi`u rilevanza il fatto che lo stato liquido, sebbene ristretto in una zona piccola dello spazio termodinamico, `e contiguo a stati, che sono considerati anomali, quali i cristalli liquidi e i vetri. Questi ultimi sono materiali solidi, privi dell’ordine presente nei cristalli, che si possono ottenere portando un sistema fluido in uno stato metastabile sottoraffreddato in modo da impedirgli di andare nella fase stabile cristallina. A livello microscopico la struttura spaziale `e simile a quella dei liquidi, ma diffusione degli atomi e viscosit`a sono simili a quelle dei cristalli.

Metodi sperimentali e teorici sviluppati per liquidi semplici vengono spes- so applicati oggi anche a fluidi composti da macromolecole. Si tratta di sistemi colloidali di grande interesse applicativo o di materia biologica, co- me le proteine. Sono queste le nuove frontiere della ricerca di carattere fondamentale nel campo della Fisica dei Liquidi.

Dal punto di vista fondamentale, i sistemi fluidi costituiscono un campo di prova notevole per modelli e metodi di Meccanica Statistica. Un fluido alle densit`a tipiche dei liquidi si trova nello spazio termodinamico lontano sia dal gas ideale, sia dal dal cristallo armonico, vale a dire da modelli facili da studiare. Manca quindi un sistema imperturbato, al quale fare riferimen- to per sviluppare una teoria perturbativa. La mancanza poi di un ordine traslazionale e la difficolt`a di prevedere la relazione di dispersione fra energia dei modi propri e vettore d’onda rende pi`u impegnativi gli esperimenti su questi sistemi, rispetto agli analoghi effettuati sui solidi.

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1.2 Sistemi e modelli microscopici

I sistemi che consideriamo si possono classificare in base al tipo di forze, che agiscono fra gli atomi. Per forze microscopiche intendiamo forze efficaci, in quanto l’unico tipo di interazione fondamentale presente `e quella coulom- biana fra nuclei ed elettroni che compongono il sistema. Dato che sarebbe impossibile risolvere esattamente il problema quantistico, si procede a ridur- lo a quello di particelle costituenti, atomi o molecole, che interagiscono con un potenziale efficace. Tali costituenti vengono considerati in genere come particelle classiche e solo in pochi casi la loro natura quantistica appare in alcune propriet`a. L’eccezione pi`u importante `e l’elio, che rimane liquido an- che a temperature vicine allo zero assoluto, per gli altri fluidi le temperature e densit`a, alle quali le fasi fluide sono stabili, rendono possibile lavorare in approssimazione classica.

La lunghezza d’onda di de Broglie `e definita a partire dall’impulso p di una particella come

λ = h

p (1.1)

Il sistema pu`o essere considerato classico se la λ associata alle particelle `e pi`u piccola delle lunghezze fisiche caratteristiche, che intervengono nel problema, in particolare la distanza media fra le particelle stesse. Tale distanza, che indichiamo con a, `e determinata dalla densit`a ρ in modo che

3 ρa3= 1 (1.2)

D’altra parte l’energia media associata alle particelle sar`a dell’ordine di kBT , con kBcostante di Boltzmann, quindi la lunghezza d’onda risulter`a in- versamente proporzionale a

2mkBT , per essere pi`u precisi si usa introdurre la lunghezza d’onda termica di de Broglie come

Λ = s

h2

2mπkBT (1.3)

L’approssimazione classica `e giustificata se risulta Λ

a ¿ 1 (1.4)

Dato che Λ ∝ (mT )−1/2e a ∝ ρ−1/3, la combinazione di massa, temperatura e densit`a determina la validit`a dell’approssimazione. La tabella riporta i valori per alcuni liquidi monoatomici:

Λ Λ /a

H2 3.3 0.97 N e 0.78 0.26 Li 0.31 0.11 Ar 0.30 0.083 N a 0.19 0.054

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Come si vede sistemi come argon e sodio liquido possono essere trat- tati come classici, per gli altri ci aspettiamo correzioni quantistiche e per l’idrogeno l’approssimazione classica `e discutibile.

Una volta stabilito il modello di interazione fra gli atomi, si calcolano le propriet`a del sistema con i metodi della Meccanica Statistica. I sistemi semplici sono quelli per i quali `e possibile trovare un potenziale efficace a coppie che consenta di raggiungere un buon accordo con la fenomenologia.

In genere questo `e possibile per gli atomi a shell chiuse, come i gas rari. Gli elettroni riempiono completamente i livelli atomici e la distribuzione di cari- ca risulta sferica. L’interazione `e costituita da una parte attrattiva alla Van der Waals e da una repulsione a corte distanze, dovuta all’impossibilit`a di sovrapporre le funzioni d’onda elettroniche. Per questi sistemi il potenziale dipende da pochi parametri ed `e trasferibile dal solido al liquido.

Diverso `e il caso dei sistemi a legame covalente, come il silicio, dove la direzionalit`a del legame gioca un ruolo fondamentale. In questi casi non si possono trovare buoni potenziali a due corpi. Bisogna peraltro ricordare che il silicio, come anche il germanio, diventa metallico in fase liquida, quindi, nell’andare dal solido al liquido, cambia la natura delle forze interatomiche.

I sistemi, che sono metallici in fase solida, rimangono tali anche in fase liquida. Come nel solido, anche nel liquido gli elettroni di conduzione gioca- no un ruolo importante per determinare le propriet`a del sistema. Per tener conto di questo `e spesso necessario introdurre opportuni potenziali efficaci, che hanno forme pi`u complesse rispetto alla semplice forma dell’interazione alla Van der Waals.

Una categoria a parte `e costituita dai liquidi molecolari. In fase fluida gli atomi conservano il legame e quindi le unit`a costitutive, a livello mi- croscopico, sono le molecole. Esistono liquidi molecolari semplici, in genere costituiti da molecole omonucleari, come l’azoto, o quasi sferiche come il CH4. Il liquido pi`u diffuso, l’acqua, `e difficile da classificare, si pu`o dire che presenta alcuni aspetti da liquido semplice ma offre anche una fenomenologia peculiare che lo rende molto diverso dagli altri fluidi semplici.

Per i fluidi composti da macromolecole naturalmente il tipo di modello microscopico dal quale partire `e molto pi`u complesso anche se come detto sopra per molti di questi sistemi si possono usare metodi simili a quelli elaborati per la Fisica dei Liquidi.

1.3 Teorie approssimate e metodi esatti

Il calcolo delle quantit`a osservabili con metodi analitici richiede sempre op- portune approssimazioni, la cui verifica `e spesso rimandata a posteriori. Le ragioni principali delle difficolt`a, che si incontrano nello studio dei liquidi o dei fluidi densi, derivano dal fatto che si tratta di sistemi dove, proprio per l’alta concentrazione degli atomi rispetto ai gas diluiti, ci sono frequen-

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ti processi collisionali e forte correlazione fra le particelle. D’altra parte le interazioni non sono cos`ı forti da stabilizzare il sistema in una fase con un ordine configurazionale a lungo range, come accade per i cristalli.

Non esiste quindi un modello ideale, esattamente risolubile, al quale fa- re riferimento per sviluppare una teoria adeguata, come il gas ideale per trattare i gas poco densi o il cristallo armonico per le propriet`a dei solidi.

Metodi esatti di calcolo sono stati sviluppati dal dopoguerra ad oggi e sono i metodi di simulazione al calcolatore. Hanno avuto grande sviluppo a partire dagli anni settanta. Il calcolo delle propriet`a di un modello, attra- verso la simulazione numerica, equivale ad una sorta di esperimento su un sistema, del quale si conoscono esattamente le interazioni microscopiche fra le particelle. Si ha cos`ı la possibilit`a di eseguire verifiche dettagliate delle teorie, ma anche di costruire una fenomenologia di modelli, da confrontare con quella sperimentale.

1.4 Metodi sperimentali e funzioni di correlazione

Le funzioni di correlazione giocano un ruolo fondamentale nello studio dei si- stemi fluidi, esse ci rappresentano come la fluttuazione di una certa quantit`a, in un determinato punto dello spazio, ad un dato tempo, sia collegata alla fluttuazione di un’altra quantit`a (o della stessa), in un altro punto dello spa- zio, ad un tempo diverso. A partire dalle funzioni di correlazione si possono ricavare tutte le propriet`a dinamiche del sistema, mentre nel limite statico esse contengono le informazioni sulle propriet`a statiche e la termodinamica del fluido.

La diffrazione dei raggi X `e usata da lungo tempo per studiare la strut- tura dei liquidi. I raggi X hanno lunghezze d’onda dell’ordine delle distanze interatomiche e le loro energie sono molto pi`u alte di quelle proprie del sistema, consentendo una difrazione elastica. Da alcuni anni per`o ha acqui- stato sempre pi`u rilevanza la tecnica di spettroscopia neutronica. I neutroni interagiscono con i nuclei del fluido e vedono le fluttuazioni della densit`a atomica. Opportunamente accelerati e poi moderati diffondono nel siste- ma con uno scattering anelastico, dalla sezione d’urto `e possibile ricavare la funzione di correlazione spazio-temporale delle densit`a. Questa funzione contiene molta informazione sul comportamento dinamico e sulla struttura del fluido.

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Capitolo 2

Richiami di Termodinamica

I fenomeni macroscopici, che osserviamo nei materiali, derivano da flut- tuazioni del sistema a livello microscopico. I sistemi sono composti da un numero enorme di particelle, circa 1023 in una mole, non possiamo quindi tenere sotto controllo tutte le variabili in gioco, anche se in principio po- tremmo scrivere le equazioni del moto per ciascuna particella, cos`ı i metodi che possiamo usare sono statistici. La Meccanica Statistica `e proprio la teoria matematica, che ci consente di trattare le fluttuazioni in termini di valori pi`u probabili o valori medi. Spesso per`o i processi di misura sono cos`ı lunghi, rispetto ai tempi atomici caratteristici ( ≈ 10−15s ), e si effettuano su scale di lunghezza cos`ı grandi rispetto a quelle interatomiche (≈ 10−8cm) che il sistema ci appare in equilibrio statico, vale a dire le sue osservabili non cambiano nel tempo. La Termodinamica si fonda su questo tipo di os- servazioni. Essa studia gli stati di equilibrio e i passaggi da uno stato di equilibrio ad un altro. Questi passaggi, o trasformazioni, hanno luogo per l’interazione del sistema con l’esterno, che avviene attraverso trasferimenti di energia. L’energia trasferita pu`o essere di tipo meccanico ed `e allora as- sociata al cambiamento di una variabile macroscopica, come per esempio il volume, oppure essa viene trasferita alle variabili microscopiche, sotto forma di calore.

2.1 Funzioni estensive ed intensive

Nella termodinamica `e importante distinguere le quantit`a estensive da quelle intensive. Le prime dipendono linearmente dal volume del sistema. Vediamo le definizioni esatte.

Una funzione si dice omogenea di grado (od ordine) n se

f (λx) = λnf (x) (2.1)

Una funzione di pi`u variabili `e omogenea di ordine n se

f (λx1, λx2, . . .) = λnf (x1, x2, . . .) (2.2)

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Una funzione estensiva `e una funzione omogenea del primo ordine.

Una funzione intensiva `e una funzione omogenea di ordine zero delle variabili estensive, la funzione intensiva p sar`a caratterizzata dalla propriet`a p(x1, x2, . . .) = p(λx1, λx2, . . .) (2.3)

2.2 Primo principio della termodinamica

Nella termodinamica un ruolo essenziale `e giocato dall’energia. All’equi- librio, l’energia interna, definita come la somma delle energie di tutte le particelle, che compongono il sistema, rimane costante ed `e misurabile ma- croscopicamente.

Per quello che riguarda gli stati di equilibrio, essi si possono definire in base al postulato

PEQ Postulato sugli stati di equilibrio: gli stati di equilibrio macroscopico di un sistema sono quelli caratterizzati completamente dalle variabili energia interna E, volume V e numero di particelle (o moli) delle diverse componenti N1, N2,. . .

A priori non `e garantito che le variabili siano sufficienti per descrivere lo stato del sistema, se esso si trovasse in un campo esterno, dovremmo aggiungere altre variabili, per esempio il dipolo totale, se si trattasse di un campo elettrico. Solo l’osservazione sperimentale ci garantir`a che abbiamo incluso tutte le variabili necessarie.

Il primo principio della termodinamica si pu`o formulare in termini di postulati sull’energia interna E.

PE-1 L’energia interna E `e una funzione estensiva del volume e del numero di particelle delle diverse componenti.

PE-2 Un cambiamento infinitesimo dell’energia interna durante un trasfor- mazione `e dato da

dE = δQ + δW (2.4)

vale a dire il cambio infinitesimo di energia `e determinato dal calore infini- tesimo δQ trasferito al sistema, e dal lavoro δW infinitesimo compiuto sul sistema. Da notare che dE, differenziale esatto, non deve essere considerato la somma di δQ e di δW , che in generale possono non essere differenziali esatti.

2.3 Vincoli e trasformazioni

Un sistema isolato `e un sistema che non pu`o scambiare con l’esterno n´e lavoro, n´e calore, n´e particelle. Se pensiamo che il contatto con l’esterno

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avvenga attraverso delle pareti, che lo racchiudono esse costituiscono dei vincoli.

Un vincolo o parete pu`o essere:

a) adiabatico, impedisce lo scambio di calore b) rigido, non permette la variazione di volume c) impermeabile, non consente lo scambio di particelle

Un sistema pu`o avere anche vincoli interni, che lo dividono in sottosiste- mi. La parete in figura divide il sistema in due parti con volumi V1 e V2. Se la parete pu`o muoversi, potremo avere una variazione dei volumi interni, anche se il volume totale V = V1+ V2 rimane costante.

V1 V2

Uno stato `e di equilibrio compatibilmente con i vincoli applicati. Una trasformazione da uno stato A ad uno stato B pu`o avvenire rimuovendo uno o pi`u vincoli applicati al sistema quando `e nello stato A. Lo stato B sar`a quello di equilibrio, compatibilmente con i vincoli rimasti.

In termodinamica si definiscono delle trasformazioni quasi-statiche, otte- nute attraverso un processo ideale, nel quale la trasformazione avviene con cambiamenti cos`ı lenti, che il sistema va da uno stato A ad uno stato B at- traverso una successione di stati di equilibrio, Il termine lento `e ovviamente poco preciso e andrebbe ridefinito caso per caso.

Come esempio consideriamo un gas isolato in uno stato di equilibrio A. Una delle pareti pu`o essere spostata con l’applicazione di una pressione esterna, in modo da far variare il volume.

In una trasformazione quasi-statica la pressione esterna `e variata cos`ı lentamente che il sistema ha tempo di aggiustare la pressione interna a quella esterna, senza che nel sistema si instaurino fenomeni di turbolenza nel gas. Alla fine arriviamo ad un nuovo stato B, con un nuovo volume. Non c’`e scambio di calore e il lavoro infinitemo lungo il percorso quasi-statico vale δW = −pdV , quindi il cambio di energia interna sar`a dato da

∆E = Z B

A −pdV (2.5)

(16)

Una misura di lavoro meccanico ci consente di trovare il valore del cam- bio di energia interna. Dato che dE `e un differenziale esatto, il cambio di energia non dipende dal cammino fatto per andare da A a B, quindi anche se avessimo una trasformazione reale otterremmo lo stesso risultato finale, ma il calcolo diventerebbe pi`u complesso.

Lo scambio di calore, come anche il lavoro, dipendono invece dal percor- so effettuato; solo se il cammino `e quasi statico, i loro differenziali diventano esatti con l’introduzione di fattori integranti. Il concetto di trasformazione quasi statica `e strettamente legato alla possibilit`a che essa sia anche rever- sibile. Se infatti si va da uno stato A ad uno stato B, attraverso successivi stati di equilibrio, `e possibile pensare di percorrere il processo inverso nello stesso modo. Ad essere rigorosi che una trasformazione sia quasi statica `e una condizione solo necessaria perch`e sia reversibile, ma per semplificare le considereremo equivalenti.

2.4 Il secondo principio della termodinamica e l’en- tropia

La (2.4) ci dice che durante una trasformazione l’energia si pu`o convertire in diverse forme, ma non predice in che modo si evolver`a il sistema. Se esso si trova in uno stato A in presenza di vincoli, se rimuoviamo uno o pi`u di tali vincoli, possiamo domandarci in quale nuovo stato B di equilibrio andr`a a finire. Per poter trattare questo problema occorre introdurre la funzione entropia.

PS-1 Esiste una funzione entropia S, che ha le seguenti propriet`a:

• `e una funzione estensiva di E, V, N1, N2, . . .

• `e una funzione continua, differenziabile e monotona crescente dell’energia interna E

PS-2 Se uno stato B di equilibrio `e raggiungibile da uno stato A di equi- librio, in modo adiabatico, rimuovendo vincoli interni, allora si avr`a SB ≥ SA, dove il segno di eguaglianza vale se B `e accessibile da A in modo reversibile.

Per questo ultimo postulato, nei processi naturali, che avvengono in sistemi isolati, avremo che ∆S = SB− SA sar`a sempre positiva, o pi`u in generale

(∆S)adiabatica≥ 0 (2.6)

dove il segno di uguale vale se la trasformazione `e reversibile.

Dai postulati sull’entropia (PS-1,2) si pu`o derivare che esiste un principio di minimo per l’energia interna. Per vederlo, consideriamo un sistema isola- to, composto da due sottosistemi Xa e Xb, separati da una parete isolante,

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con energie Ea0 e Eb0 rispettivamente. L’energia totale sar`a E0= Ea0+ Eb0

e l’entropia sar`a la somma delle entropie dei due sottosistemi S³E0, Va+ Vb, N1a+ N1b, . . . , {ξ}´=

S³Ea0, Va, N1a, . . . , {ξ}´+ S³Eb0, Va, N1b, . . . , {ξ}´

Rimuoviamo ora il vincolo adiabatico interno, si avranno nuove energie di equilibrio

Ea= Ea0− ∆E Eb = Eb0+ ∆E

dove ∆E `e l’energia scambiata. Per quanto stabilito sopra avremo che l’entropia finale sar`a maggiore di quella iniziale ad energia totale costante

S³Ea0+ Eb0, . . . , {ξ}´< S (Ea+ Eb, . . . , {ξ = 0})

Ma l’entropia in base al PS-1 `e una funzione monotona crescente dell’e- nergia interna, quindi esister`a un’energia

E < Ea+ Eb tale che

S³Ea0+ Eb0, . . . , {ξ}´= S (E, . . . , {ξ = 0}) Ad entropia costante, rimuovendo i vincoli, avremo quindi

E(S, . . . , {ξ = 0}) < E0(S, . . . , {ξ}) (2.7) Da (PS-1), tenendo per semplicit`a le Ni costanti, abbiamo

dS = µ∂S

∂E

V

dE + µ∂S

∂V

E

dV (2.8)

Grazie a (PS-1) inoltre possiamo invertire la relazione fra S ed E E = E (S, V, N1, N2, . . .)

e quindi

dE = µ∂E

∂S

V

dS + µ∂E

∂V

S

dV (2.9)

con µ

∂S

∂E

−1

V

= µ∂E

∂S

V

(2.10) L’entropia `e importante per stabilire le condizioni di equilibrio di un sistema, ma anche perch`e attraverso essa possiamo collegare la termodi- namica ai concetti statistici. D’altra parte, una volta che sia avvenuta la

(18)

trasformazione, che essa sia stata provocata dal nostro intervento o sia avve- nuta spontaneamente, come avviene nei processi naturali, non fa differenza.

Sappiamo che in natura esistono dei processi che avvengono solo in una di- rezione e sono quindi irreversibili. Le trasformazioni spontanee provengono dalle fluttuazioni microscopiche, che hanno luogo nel sistema, quindi la com- prensione della direzione in cui avvengono, della loro irreversibilit`a, `e legata alla natura statistica di tali fluttuazioni. L’evoluzione spontanea verso uno stato termodinamico si pu`o interpretare come l’evoluzione verso uno stato, che ha pi`u probabilit`a di essere realizzato. Boltzmann elabor`o questi con- cetti e pose le basi della meccanica statistica legando la funzione entropia alla probabilit`a dello stato macroscopico.

2.5 Definizione della temperatura

Lungo una trasformazione reversibile

dE = (δQ)rev− pdV Dalla (2.9) abbiamo quindi

(δQ)rev = µ∂E

∂S

V

dS Possiamo definire la temperatura T come

T = µ∂E

∂S

V

(2.11) dato che S `e monotona crescente di E, la temperatura (2.11) `e sempre positiva. Essa `e il fattore integrante del calore infinitesimo scambiato lungo una trasformazione reversibile

(δQ)rev = T dS Dalla (2.9) abbiamo anche che

p = − µ∂E

∂V

S

(2.12) Dalla (2.8) inoltre

T dS = dE + pdV da cui ricaviamo

p = T µ∂S

∂V

E

(2.13)

(19)

2.6 Condizioni di equilibrio

Le condizioni di equilibrio possono essere stabilite a partire dal principio di massimo dell’entropia (o di minimo dell’energia). Per semplificare la nota- zione assumiamo che il sistema abbia una sola componente. Consideriamo lo stato di equilibrio in assenza di vincoli interni e perturbiamo il sistema con una piccola variazione virtuale di alcuni vincoli interni, il cambio di entropia sar`a dato da

(∆S)E,V,N = S (E, V, N, {ξi}) − S (E, V, N, {ξi= 0}) ≤ 0 (2.14) dato che l’entropia deve essere massima all’equilibrio. Sviluppando in serie di Taylor abbiamo

(∆S)E,V,N ≈ dS ({ξi}) + d2S ({ξi}) ≤ 0 (2.15) con

dS =X

i

µ∂S

∂ξi

i (2.16)

d2S =X

ij

à 2S

∂ξi∂ξj

!

ij (2.17)

La condizione di massimo per l’entropia nello stato di equilibrio comporta che

dS = (ξi→ 0) = 0 (2.18)

d2S = (ξi → 0) ≤ 0 (2.19)

Per l’energia potremo fare un analogo ragionamento, essa dovr`a essere minima per lo stato di equilibrio

(∆E)S,V,N = E (S, V, N, {ξi}) − E (S, V, N, {ξi= 0}) ≥ 0 (2.20) le condizioni di minimo ora sono

dE = (ξi→ 0) = 0 (2.21)

d2E = (ξi → 0) ≥ 0 (2.22)

Per ora consideriamo le condizioni al primo ordine (2.18,2.21), sulle condizioni al secondo ordine torneremo in seguito.

Equilibrio termico

Consideriamo un sistema isolato, composto di due sottosistemi X1e X2, separati da una parete rigida, adiabatica e impermeabile. L’energia totale

E = E1+ E2

(20)

sar`a costante. Pensiamo di rilasciare il vincolo di adiabaticit`a della parete interna, ci sar`a uno scambio di energia fra i due sottosistemi. Dato che l’energia totale deve restare costante

dE1 = −dE2 (2.23)

All’equilibrio dovr`a essere soddisfatta la condizione (2.18) e quindi dS =

µ∂S1

∂E1

V1,N1

dE1+ µ∂S2

∂E2

V2,N2

dE2 = 0 (2.24) Dalla (2.23) e ricordando la (2.11), la (2.24) diventa

µ 1 T1 1

T2

dE1 = 0 (2.25)

che si deve verificare per ogni valore di dE1, quindi la condizione di equilibrio sar`a data da

T1= T2 (2.26)

Il sistema risulta in equilibrio, se i due sottosistemi, da cui `e composto, hanno la stessa temperatura.

Equilibrio meccanico

Se nel sistema, che abbiamo considerato ora, rilasciamo non solo il vinco- lo di adiabaticit`a ma permettiamo alla parete di non essere rigida, il volume dei due sottosistemi varier`a in modo da lasciare costante il volume totale V = V1+ V2. In aggiunta alla (2.23) avremo anche

dV1 = −dV2 (2.27)

La condizione di equilibrio (2.18) diventa ora µ 1

T1 1 T2

dE1+

µp1 T1 p2

T2

dV1 = 0 (2.28)

Il sistema sar`a in equilibrio se oltre alla (2.26) abbiamo anche soddisfatta la condizione di equilibrio meccanico

p1= p2 (2.29)

2.7 Potenziale chimico ed equilibrio chimico

Abbiamo finora considerato costante il numero di particelle delle diverse componenti. Se vogliamo variare la quantit`a di particelle dobbiamo compiere un lavoro; questo lavoro viene chiamato chimico. Se variamo il numero di particelle in modo quasi statico, esso sar`a dato da

δWc= Xn i=1

µidNi (2.30)

(21)

dove `e stato definito il potenziale chimico della specie i-esima µi. Dal primo principio (2.4) avremo che

dE = T dS − pdV + Xn i=1

µidNi (2.31)

Il potenziale chimico `e quindi dato anche dalla derivata µi =

µ∂E

∂Ni

S,V,Nk6=i

(2.32) Si pu`o ora ricavare un’altra condizione di equilibrio. Consideriamo il solito sistema isolato, separato in due sottosistemi X1 e X2, ma questa volta rilasciamo anche il vincolo di impermeabilit`a della parete interna. Si verifica facilmente che la condizione di equilibrio, perch`e non ci sia flusso (macroscopico) di particelle da una regione all’altra, `e data dall’eguaglianza dei potenziali chimici

µ(1)i = µ(2)i (2.33)

`e quello che si chiama equilibrio chimico o materiale.

2.8 Equazioni di stato e condizioni di equilibrio

Ricordiamo che le condizioni di equilibrio (2.26),(2.29),(2.33), sono state ricavate dividendo il sistema isolato in due sottosistemi. Dato che i due sot- tosistemi sono generici, `e chiaro che un sistema `e in equilibrio se le variabili intensive T, p, µ soddisfano alle condizioni:

Equil. termico T uguale in tutti i punti Equil. meccanico p uguale in tutti i punti Equil. materiale µ uguale in tutti i punti

Le quantit`a intensive sono derivate dell’energia rispetto alle variabili estensive, tali relazioni costituiscono le equazioni di stato del sistema:

T =

µ∂E

∂S

V,Ni

(2.34) p = −

µ∂E

∂V

S,Ni

(2.35) µi =

µ∂E

∂N

S,V,Nj6=i

(2.36)

2.9 Funzioni intensive e quantit` a molari

Riprendiamo le propriet`a delle funzioni intensive descritte al paragrafo (2.1).

Per esempio consideriamo la pressione

p (S, V, N1, . . . , Nn) = p (λS, λV, λN1, . . . , λNn) (2.37)

(22)

Se N = N1+ . . . + Nn, definiamo le concentrazioni o (frazioni molari) come xi = Ni

N (2.38)

esse non sono indipendenti in quanto Xn i=1

xi = 1 (2.39)

Se nella (2.37) poniamo λ = 1/N , abbiamo p = p

µS N,V

N, x1, . . . , xn−1

(2.40) Le funzioni intensive dipendono da un parametro in meno.

Si possono definire per le variabili estensive delle corrispondenti quantit`a per particella o per mole del tipo

s = S N

se N `e il numero di particelle (o moli),s sar`a l’entropia per particella (o per mole). Per una sola componente le equazioni di stato si possono riscrivere come

T = T (s, v) p = p(s, v) µ = µ(s, v) (2.41)

2.10 Relazione di Gibbs-Duhem

Il differenziale di una funzione a molte variabili `e df =

Xn i=1

µ∂f

∂xi

xj6=i

dxi (2.42)

E facile dimostrare il teorema di Eulero per le funzioni omogenee del` primo ordine

f (x1, . . . , xn) = Xn i=1

µ∂f

∂xi

xj6=i

xi (2.43)

Applichiamo la (2.43) all’energia interna E E = E (S, V, N1, . . . , Nn) che possiamo scrivere come

E = µ∂E

∂S

V,Ni

S + µ∂E

∂V

S,Ni

V +X

i

µ∂E

∂Ni

S,V,Nj

Ni (2.44)

(23)

quindi

E = T S − pV +X

i

µiNi (2.45)

Il differenziale totale della (2.45) sar`a

dE = T dS + SdT − pdV − V dp +X

i

idNi+ Nii)

ma il differenziale dell’energia dalla (2.9) e dalla (2.32) risulta essere dE = T dS − pdV +X

i

µidNi (2.46)

quindi deve essere soddisfatta la relazione, detta di Gibbs-Duhem SdT − V dp +X

i

Nii = 0 (2.47)

Questa relazione `e importante perch´e collega fra loro le tre variabili intensive, che non sono quindi indipendenti. Nel caso ad una componente dalla (2.47) ricaviamo

dµ = −sdT + vdp (2.48)

2.11 Trasformate di Legendre e potenziali termo- dinamici

Consideriamo una funzione di n variabili f = f (x1, . . . , xn), che abbia un differenziale esatto

df = Xn i=1

uidxi (2.49)

dove le

ui = µ∂f

∂xi

xj

(2.50) sono dette varaiabili coniugate alle xi.

Vogliamo sostituire ad alcune delle variabili indipendenti xi le corrispon- denti ui, per semplicit`a le ordiniamo, spostando alla fine quelle che vogliamo sostituire

x1, . . . , xm, xm+1, . . . , xn→ x1, . . . , xm, um+1, . . . , un Definiamo la trasformata di Legendre della funzione f come

g = f − Xn i=m+1

uixi (2.51)

(24)

la quale `e una funzione g = g(x1, . . . , xm, um+1, . . . , un). Il suo differenziale sar`a dato da

dg = Xm i=1

uidxi+ Xn i=m+1

(−xi)dui (2.52)

Vediamo l’applicazione delle (2.51)-(2.52) alle funzioni termodinamiche.

Partiamo dall’energia interna E = E(S, V, N1, . . . , Nn), richiamando (2.46) dE = T dS − pdV + µ1dN1+ . . . + µndNn (2.53) Le variabili indipendenti sono quindi S, V, N1, . . . , Nn. L’entropia non `e sempre comoda da usare come variabile indipendente, supponiamo di volerla sostituire con la sua coniugata, la temperatura

T = µ∂E

∂S

V,Ni

(2.54) dobbiamo considerare la trasformata di Legendre della E, che in accordo alla (2.51) `e data dalla funzione

A(T, V, N1, . . . , Nn) = E − T S (2.55) La nuova funzione viene chiamata energia libera di Helmholtz e il suo diffe- renziale `e dato da

dA = −SdT − pdV + Xn i=1

µidNi (2.56)

Con l’uso delle trasformate di Legendre si possono introdurre diversi potenziali termodinamici, in base alle variabili indipendenti che vogliamo usare. Se nell’energia interna vogliamo sostituire il volume con la pressione, ricordando che

p = − µ∂E

∂V

S,Ni

dobbiamo sostituire a V → −p e otteniamo l’entalpia

H(S, p, N1, . . . , Nn) = E + pV (2.57) Un potenziale termodinamico molto importante `e l’energia libera di Gibbs, ottenuta dalla E sostituendo (S, V ) → (T, −p)

G(T, p, N1, . . . , Nn) = E − T S + pV (2.58) con

dG = −SdT + V dp + Xn i=1

µidNi (2.59)

(25)

La funzione G `e molto usata, perch´e le variabili T, p sono, in genere, le pi`u semplici da fissare sperimentalmente.

Negli sviluppi teorici si usa spesso il potenziale gran canonico, ottenuto da E, sostituendo (S, Ni) → (T, µi)

Φ(T, V, µ1, . . . , µn) = E − T S −X

i

µiNi (2.60)

con

dΦ = −SdT − pdV −X

i

Nii (2.61)

In base al teorema di Eulero tutti i potenziali termodinamici sono fun- zioni lineari delle variabili estensive. Vediamo una conseguenza per l’energia libera di Gibbs, che si pu`o scrivere come

G = Xn i=1

µ∂G

∂Ni

Nj

Ni

D’altra parte dalla (2.45) abbiamo G =X

i

µiNi (2.62)

da cui

µi = µ∂G

∂Ni

Nj

(2.63) Notiamo che sostituendo la (2.62) nella (2.60), otteniamo

Φ = −pV (2.64)

Per una sola componente abbiamo naturalmente

G = µN (2.65)

e il potenziale chimico risulta essere l’energia libera di Gibbs per particella.

2.12 Relazioni di Maxwell e alcune conseguenze

Se una funzione ha un differenziale esatto df =

µ∂f

∂x

y

dx + µ∂f

∂y

x

dy

avremo che Ã

∂y µ∂f

∂x

y

!

x

= µ

∂x µ∂f

∂y

x

y

(2.66)

(26)

Relazioni di questo tipo, riferite a derivate seconde di potenziali termodi- namici, sono dette relazioni di Maxwell. Per esempio, se consideriamo il differenziale della A (2.56), abbiamo

µ∂S

∂V

T,N

= µ∂p

∂T

V,N

(2.67) Dal differenziale della G (2.59)

µ∂S

∂p

T,N

= − µ∂V

∂T

p,N

(2.68)

2.13 Le funzioni risposta macroscopiche

Ci sono delle funzioni termodinamiche che ci mostrano come il sistema ri- sponde, quando modifichiamo un parametro come la temperatura, la pres- sione etc. Una tipica funzione di questo tipo `e il coefficiente di espansione termica

αp = 1 V

µ∂V

∂T

p

(2.69) Abbiamo poi la compressibilit`a isoterma

KT = −1 V

µ∂V

∂p

T

(2.70) e quella adiabatica

KS = −1 V

µ∂V

∂p

S

(2.71) Queste funzioni sono collegate alle capacit`a termiche. La capacit`a ter- mica a volume costante `e data da

CV = T µ∂S

∂T

V

(2.72) mentre quella a pressione costante `e data da

Cp= T µ∂S

∂T

p

(2.73) Dalle relazioni di Maxwell `e possibile ricavare la relazione

Cp− CV = T V α2p

KT (2.74)

e anche

KT − KS = T V α2p

Cp (2.75)

(27)

2.14 Condizioni di stabilit` a per un sistema

Le condizioni equivalenti di massimo dell’entropia e di minimo dell’energia ci assicurano che il sistema isolato `e in equilibrio. Se per`o il sistema `e in contatto con l’esterno, quali saranno le condizioni di equilibrio ? Esse dipenderanno ovviamente dal tipo di scambio con l’esterno che il sistema pu`o compiere. Supponiamo che un sistema σ possa scambiare calore con un bagno termico σ0, definito come un sistema che scambia calore mantenendo una temperatura costante. Il sistema totale σtot = σ + σ0 `e isolato, quindi l’entropia totale

Stot= S + S0

`e costante e abbiamo

dS = −dS0 (2.76)

Il cambio di energia totale `e

dEtot = dE + T0dS0 = dE − T0dS (2.77) Se σ e σ0 sono in equilibrio T = T0 e la condizione di minimo per l’energia di σtot diventa

d(E − T S)T =T0 = 0 (2.78)

Quindi per il nostro sistema σ la condizione di equilibrio diventa una condi- zione di minimo per l’energia libera di Helmholtz, a fissata temperatura; per dirlo meglio: gli stati di equilibrio di un sistema in contatto con un bagno termico sono quelli che, avendo una temperatura uguale a quella del bagno termico, minimizzano l’energia libera di Helmholtz.

Se sviluppiamo in serie di Taylor il cambio di energia totale, avremo (∆E)Stot,Vtot,Ntot = (∆E + T0∆S0)Stot,Vtot,Ntot ≈ dE + T0dS0+ d2E ≥ 0

(2.79) e la condizione al secondo ordine `e quindi

d2E ≥ 0 (2.80)

Se il sistema σ pu`o variare il proprio volume in contatto con un ba- gno termico, che garantisce una temperatura e una pressione costante, la condizione di equilibrio diventa

(dG)T =T0,p=p0 = d (E − T S + pV )T =T0,p=p0 = 0 (2.81) quindi gli stati di equilibrio di un sistema in contatto con un bagno termico, che mantiene temperatura e pressione costanti, sono quelli che, avendo una temperatura e una pressione uguali a quelle del bagno termico, minimizzano l’energia libera di Gibbs.

(28)

In modo analogo si pu`o procedere per gli altri potenziali termodinamici e ritrovare le condizioni di equilibrio, per esempio, se il sistema pu`o scambiare anche particelle con l’esterno

(dΦ)T =T0,µ=µ0 = 0 (2.82)

La condizione al secondo ordine (2.80) ci assicura la stabilit`a del siste- ma. La (2.80) si traduce nelle condizioni sulle derivate seconde dell’energia

interna Ã

2E

∂S2

!

V,N

= µ∂T

∂S

V,N

≥ 0 (2.83)

Ã2E

∂V2

!

S,N

= − µ∂p

∂V

S,N

≥ 0 (2.84)

2E

∂S2

2E

∂V2

à 2E

∂S∂V

!2

≥ 0 (2.85)

Dalle (2.83)-(2.85) si ottengono alcune importanti diseguaglianze

• compressibilit`a isoterma

KT ≥ 0 (2.86)

• compressibilit`a adiabatica

KS≥ 0 (2.87)

• capacit`a termica a volume costante

CV ≥ 0 (2.88)

Dalla (2.74) ricaviamo anche

Cp> CV (2.89)

Le condizioni sulle derivate seconde dell’energia interna ci dicono che essa `e una funzione convessa di S e V . L’entropia `e invece una funzione concava.

Anche gli altri potenziali termodinamici hanno propriet`a di convessit`a o concavit`a definita, rispetto ai parametri, dei quali sono funzioni. Per l’energia libera di Helmholtz abbiamo

Ã2A

∂V2

!

T,N

= − µ∂p

∂V

T,N

≥ 0 (2.90)

che `e positiva per via della (2.86), mentre a causa della (2.88) abbiamo Ã2A

∂T2

!

V,N

= − µ∂S

∂T

V,N

= −CV

T ≤ 0 (2.91)

(29)

quindi la funzione A `e concava in T e convessa in V .

L’energia libera di Gibbs risulta essere una funzione concava di T e P . La violazione di questo tipo di andamenti `e il segnale di una instabilit`a nel sistema ed `e tipica di regioni, dove si verificano transizioni di fase.

Prima di concludere sulla stabilit`a dei sistemi, notiamo che il segno po- sitivo delle funzioni risposta, come la compressibilit`a, esprimono il fatto che le fluttuazioni spontanee del sistema, in risposta alla variazione di un pa- rametro esterno (come la pressione), vanno nella direzione di ripristinare le condizioni di equilibrio, annullando l’effetto della perturbazione. Questo `e chiamato in termodinamica principio di Le Chatelier, ma `e un effetto pre- sente in tutta la Fisica, basta pensare alla legge di Lenz. I sistemi, per dirlo in breve, tendono ad opporsi ai cambiamenti!

2.15 Equilibrio delle fasi

Se in un sistema sono presenti fasi diverse coesistenti, le condizioni di equi- librio sono le stesse ottenute in 2.8. Per semplificare pensiamo di avere due fasi in equilibrio, indicate con a e b, avremo

T(a)= T(b) p(a)= p(b) µ(a)i = µ(b)i (2.92) In genere, quando si studia un sistema, si fissano dall’esterno T o p, le condizioni di eguaglianza dei potenziali chimici determinano le curve di coesistenza delle fasi. Per esempio, se il sistema ha una componente, T e p devono esssere gli stessi nelle due fasi, abbiamo

µ(a)(T, p) = µ(b)(T, p) (2.93) che `e un’equazione in due incognite, da essa quindi si pu`o ricavare una funzione

pcoex= p (T )coex (2.94)

che definisce una curva nel piano (p, T ), la curva di coesistenza fra le due fasi.

Se abbiamo un sistema con una componente e tre fasi, che devono coesistere, oltre alla (2.93), dovr`a essere soddisfatta la

µ(b)(T, p) = µ(c)(T, p)

quindi con due equazioni e due incognite otterremo una sola soluzione, che rappresenta il punto triplo, come quello che abbiamo nelle figure 1.1,1.2. La generalizzazione a pi`u componenti e fasi porta alla regola delle fasi di Gibbs.

(30)

T µ

a b

µ µ

T 0

a

b

Figura 2.1:

T µ

a b

T 0

b a

Figura 2.2:

2.16 Transizioni di fase e loro classificazione

Per semplicit`a consideriamo un sistema ad una componente con N particelle.

Lo stato stabile sar`a quello di minima energia libera di Gibbs, per dati T e p. Cambiando una delle variabili libere o entrambe, possiamo cambiare la fase di equilibrio del sistema. Consideriamo il potenziale chimico, fissiamo p e guardiamo all’andamento in funzione di T (figura 2.1)

Vediamo che

• T < T0 −→ la fase stabile `e la (a)

• T > T0 −→ la fase stabile `e la (b)

Al punto T = T0 abbiamo una transizione di fase. La curva di equilibrio `e quindi quella continua nella figura 2.2.

(31)

p

T fase a

fase b

Figura 2.3:

Al variare della pressione possiamo costruire una curva di coesistenza fra le fasi a e b nel piano (T, p)

Si vede anche dalla figura 2.2 che mentre µ `e continuo in T0, abbiamo una discontinuit`a nella derivata. Questo accade anche nell’andamento a fissata T in funzione di p. Alla transizione di fase, quindi, abbiamo delle discontinuit`a nelle derivate

s = − µ∂µ

∂T

p

v = µ∂µ

∂p

T

(2.95) Alla transizione ci sar`a una discontinuit`a nell’entropia

∆s = s(b)− s(a) (2.96)

e un cambio di volume

∆v = v(b)− v(a) (2.97)

Le transizioni di questo tipo, con discontinuit`a nelle derivate prime del potenziale termodinamico, sono dette del primo ordine.

Vi sono poi transizioni di fase dove le derivate prime sono continue e si hanno non analiticit`a nelle derivate seconde. Si parla allora di transizioni di fase del secondo ordine. Le transizioni di fase sono sempre caratterizza- te da un comportamento non analitico del potenziale termodinamico, che caratterizza il sistema.

In una transizione del primo ordine abbiamo visto che il volume `e discon- tinuo, lungo un’isoterma, al punto di transizione dovranno essere soddisfatte le condizioni

p(a)³T, v(a)´ = p(b)³T, v(b)´ (2.98)

(32)

µ(a)³T, p(a)´ = µ(b)³T, p(b)´ (2.99) Da esse si ricavano i valori di v(a) e v(b).

Lungo la curva di coesistenza si pu`o anche scrivere un’equazione diffe- renziale, dalla (2.93) ³

(a)´

coex=³(b)´

coex (2.100)

Ricordando che

dµ = −sdT + vdp

abbiamo h

−s(a)dT + v(a)dp = −s(b)dT + v(b)dpi

coex

da cui si ricava l’equazione di Clausius-Clapeyron µdp

dT

coex

= qλ

T ∆v (2.101)

dove `e stato introdotto il calore latente della transizione

qλ = T ∆s (2.102)

2.17 Equazione di Van der Waals

Van der Waals introdusse nel 1873 un’equazione di stato con l’idea di tener conto, in modo approssimato, dell’interazione fra le molecole di un gas. La sua equazione riesce a descrivere la transizione liquido-vapore ed `e alla base di molte equazioni di stato empiriche, tuttora usate in impieghi pratici. Le idee, dalle quali `e derivata l’equazione, sono d’altra parte ancora valide ed anzi costituiscono le linee guida di molti sviluppi teorici successivi.

Si vuole scrivere un’equazione di stato, che ricordi quella del gas ideale, che richiamiamo

pV = N kBT

Si introducono due effetti: il primo `e detto di volume escluso, due particelle del sistema avranno una repulsione a corta distanza, che impedisce la loro sovrapposizione (fig. 2.4)

Si introduce il parametro empirico b, che rappresenta la porzione di vo- lume escluso di ciascuna molecola. Il volume totale occupabile sar`a quindi V − nb e l’equazione di stato diventa

p (V − N b) = N kBT

Si vede che per N e T finiti, quando p diventa molto grande, il volume non va a zero come accade per il gas ideale, ma V → N b, si ha quindi un massimo impacchettamento possibile delle molecole.

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