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SERVIZI PUBBLICI LOCALI IN MATERIA DI RIFIUTI E REGIME DI ESENZIONE DAL FORMULARIO PER IL TRASPORTO DEI RIFIUTI (2005)

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SERVIZI PUBBLICI LOCALI IN MATERIA DI RIFIUTI E REGIME DI ESENZIONE DAL FORMULARIO PER IL TRASPORTO DEI RIFIUTI

(2005)

Com'è noto la fase del trasporto dei rifiuti assume crescente importanza nell'ambito del sistema di gestione dei rifiuti, più esattamente dalla raccolta presso i produttori-detentori, con instradamento degli stessi rifiuti, fino agli impianti di destinazione finale, oppure verso stoccaggi[1], con la necessità-opportunità dell' attivazione di controlli e di vigilanza, da parte dei soggetti preposti, anche per evitare modalità gestionali non solamente irregolari o illegittime, ma che (anzi) possono assumere - in taluni casi - le caratteristiche di comportamenti criminosi.[2]

Il trasporto di rifiuti ricade fra le attività di "gestione" come definite dall'art.1, lettera d) della direttiva 75/442/CEE[3] sui rifiuti (modificata dalla direttiva 91/156/CEE). Come tale, esso è soggetto al sistema di controlli istituito da questa direttiva: l'articolo 12 cit. direttiva stabilisce, infatti, che gli stabilimenti o imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale, o che provvedono allo smaltimento o al recupero per conto di terzi (commercianti o intermediari) devono essere iscritti presso le competenti autorità qualora non siano soggetti ad autorizzazione.

Inoltre, il tema del controllo delle spedizioni di rifiuti è disciplinato dal Regolamento (CEE) n.259/93[4] sul controllo di spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio. Ai sensi dell'articolo 13 di tale regolamento, le disposizioni previste per le spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità non si applicano alle spedizioni di rifiuti all'interno di uno stato membro, "Gli Stati membri istituiscono tuttavia un sistema appropriato di sorveglianza e controllo delle spedizioni di rifiuti all'interno della loro giurisdizione. Tale sistema deve tener conto della necessità di assicurare la coerenza con il sistema comunitario istituito dal presente regolamento".

A livello nazionale questa disposizione è stata attuata con l'art.15 del D.Lgs. n.22/1997 [5]che così recita:

(Trasporto dei rifiuti). 1. Durante il trasporto effettuato da enti o imprese i rifiuti sono accompagnati da un formulario di identificazione dal quale devono risultare, in particolare, i seguenti dati:

nome ed indirizzo del produttore e del detentore;

origine, tipologia e quantità del rifiuto;

impianto di destinazione;

data e percorso dell'instradamento;

nome e indirizzo del destinatario.

2. Il formulario di identificazione di cui al comma 1 deve essere redatto in quattro esemplari, compilato, datato e firmato dal detentore dei rifiuti, e controfirmato dal trasportatore. Una copia del formulario deve rimanere presso il detentore, e le altre tre, controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite una dal destinatario e due dal trasportatore, che provvede a trasmetterne una al detentore. Le copie del formulario devono essere conservate per cinque anni.

3. Durante la raccolta e il trasporto i rifiuti pericolosi devono essere imballati ed etichettati in conformità alle norme vigenti in materia.

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4. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano al trasporto di rifiuti urbani effettuato dal soggetto che gestisce il servizio pubblico né ai trasporti di rifiuti che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi al giorno o di trenta litri al giorno effettuati dal produttore dei rifiuti stessi.

5.Il modello uniforme di formulario di identificazione di cui al comma 1 è adottato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.[6]

5 bis. I formulari di identificazione di cui al comma 1 devono essere numerati e vidimati dall'ufficio del registro o dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, e devono essere annotati sul registro IVA-acquisti. La vidimazione dei predetti formulari di identificazione è gratuita e non è soggetta ad alcun diritto o imposizione tributaria.

Il suddetto sistema di controllo, per così dire "incrociato", comporta la corresponsabilizzazione di tutti i soggetti coinvolti nelle varie fasi gestionali dei rifiuti [7].

Orbene il "formulario di identificazione" documento di accompagnamento obbligatorio per ogni trasporto di rifiuti, gode di un regime di eccezione in vari casi:

a) trasporto di rifiuti che non eccedono la quantità di trenta chilogrammi al giorno o di trenta litri al giorno effettuati dal produttore dei rifiuti stessi[8];

b) raccolta e trasporto di rifiuti effettuate dai soggetti abilitati allo svolgimento delle attività medesime in forma ambulante, limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio;

c) i rivenditori firmatari degli accordi e contratti di programma per l'attività di ritiro, trasporto e stoccaggio di beni durevoli, ex art. 44, comma 3, D.Lgs. n. 22/1997;

d) per "il trasporto dei rifiuti effettuato dal soggetto che gestisce il servizio pubblico" ex art. 15, comma 4°, del D.Lgs. 22/1997.

In quest'ultimo caso, che è quello che ci riguarda, viene, da taluno affermato, anche sulla base di una non corretta lettura dell'importante Circolare Ministero dell'Ambiente (emanata previo concerto con il Ministero dell'Industria, del Commercio, dell'Artigianato) n.GAB/DEC/812/98 datata 4 agosto 1998[9], che le aziende (private) che operano o che vengono chiamate ad operare (ancorché in seguito a gara) da parte di Enti pubblici (economici e non), a svolgere i predetti servizi di raccolta di rifiuti (nell'ambito dei servizi dei rifiuti cosiddetto "fuori privativa"), sarebbero esonerati dal redigere e dal rilasciare - nonchè dal tenere - il formulario di identificazione di cui all'art. 15 del D.Lgs. 22/1997 (cosiddetto "Ronchi").

Sicchè le predette aziende private, benché appaltatori di un servizio loro affidato dagli enti locali (o, ipotesi in parte contraddittoria[10], ma non raramente riscontrabile: dai loro concessionari, dalle società miste, dalle aziende speciali,dai loro consorzi, ecc.) non sarebbero assoggettate agli oneri e agli obblighi di cui all'art. 15 del prefato D.Lgs. 22/1997.

Diversamente, le altre aziende ugualmente private, che operano in concorrenza sul mercato, per l'identico servizio (si ripete, "fuori privativa") svolto dai prefati soggetti pubblici (o, come detto, dai loro affidatari) dovrebbero, invece, sopportare questo onere ovvero, pedissequamente, rispettare tutti gli obblighi di cui all'art.

15 del D.Lgs. 22/1997.

Anzi, i produttori dei rifiuti di cui trattasi, proprio grazie al conferimento dei loro rifiuti in un circuito di raccolta che verrebbe ad essere reputato ( a nostro avviso, per quanto si dirà, erroneamente) "pubblico" [11],

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sarebbero immediatamente liberati da ogni responsabilità in ordine, per l'appunto, ai rifiuti conferiti (art. 10, terzo comma, lett. "a", D.Lgs. n. 22)[12] e rimarrebbero altresì esonerati dalla dichiarazione annuale per il catasto dei rifiuti (art. 11, comma terzo, ultimo periodo, D. Lgs. citato).

A nostro parere, nonostante svariate "disattenzioni legislative"[13], i meccanismi di controllo apprestati con il formulario de quo hanno una logica ed un senso, al di là del nomen juris utilizzato nella modellazione del rapporto di servizio[14], ovvero trovano significato e interesse al di là della corrispondenza del modulo organizzativo relativo all'espletamento del servizio pubblico locale come scelto ed utilizzato dall'ente locale, e quindi concretato con il soggetto esecutore-erogatore del servizio.

In altri termini siamo ad affermare come la mera (formale) regolamentazione contrattuale di per sé non possa individuare e connotare il rapporto quale di servizio pubblico, essendo necessario per esattamente riscontrare la (sostanziale) natura del rapporto stesso (assoggettabile, in concreto, al regime di appalto o di concessione[15]) rinvenire taluni elementi, anche tecnico-economici, i quali obiettivamente, oltre che formalmente, debbono caratterizzare e determinare il contenuto del rapporto contrattuale in parola e quind'anche la disciplina e l'erogazione del servizio.

Allora, pur assumendo che per i servizi in privativa (esempio per la raccolta rifiuti urbani) sarebbe pacifica la qualificazione di concessione amministrativa della convenzione[16] e quindi l'applicazione di un regime, per così dire, "speciale" rispetto a quelli svolti dagli altri soggetti privati, ciò non può valere per i servizi svolti dai soggetti pubblici (e privati) fuori privativa.

Infatti, il formulario di identificazione, come dianzi osservato, deve consentire il controllo pubblicistico del trasporto di rifiuti[17], al fine di evitare che la società incaricata lucri dai detentori compensi contrattualmente illeciti. In altri termini il committente deve essere in grado di controllare se il raccoglitore incaricato ha proceduto alla raccolta del quantitativo di rifiuti, seguendo il percorso programmato (senza poter pretendere compensi dai detentori o altri ancora) fino al previsto impianto di destinazione finale dei rifiuti de quibus.

E' quindi da meglio precisare - per quanto si dirà in prosieguo - la posizione di coloro che intendono riportare (ermeneuticamente parlando) il servizio di cui trattasi alla sola lettura del rapporto convenzionale, ovvero all'ambito negoziale preveduto nel contratto d'appalto, quale sorta di perimetrazione del servizio come esternalizzato al terzo appaltatore[18] e quale implicita "garanzia" dell'attività di controllo da parte dell'appaltante nei confronti dell'appaltatore il quale controllo, in pratica, verrebbe ad esaurirsi solamente nell'ambito del rispetto degli adempimenti dell'appaltatore, così come pattuiti, senza quindi avvalersi degli elementi contenuti dal formulario di cui trattasi (i quali elementi, come già notato, consentono, invece e immediatamente, di individuare l'analitica origine, tipologia e quantità del rifiuto al fine di svolgere il controllo sulle attività di gestione dei rifiuti).

Parimenti non sembra condivisibile la tesi (accessoria a quella appena indicata) secondo la quale "il servizio pubblico resta esonerato dagli obblighi del formulario, sia nel caso del servizio ''ordinario'' (e cioè quello della raccolta di rifiuti urbani nei cassonetti posizionati in strada) sia nel caso di un supplemento di servizio presso le aziende"[19].

Infatti, occorre semmai verificare se il "supplemento" di servizio sia una mera estensione (tramite lo jus variandi[20]) del servizio svolto in privativa (ed in tal caso l'esenzione de qua opererebbe) oppure un servizio

"extra privativa", per il quale ultimo, non dovrebbe trovare applicazione l'art.15, comma 4 del D.Lgs. 22/1997.

Un'altra autorevole lettura, per lo più ancorata al dato "letterale" e non contestualizzata all'ambito dei servizi pubblici locali e alle forme di privativa degli stessi - per quanto disposto dall'art.15, commi 1 e 4, del D.Lgs.

n.22/1997, nonché dall'art.44, comma 3 e dall'art.58, comma 7-quater - afferma "che l'obbligo del formulario sussiste per tutti i trasporti (ovviamente di rifiuti) eseguiti da enti o da imprese, salvo si tratti:

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di rifiuti urbani trasportati dal gestore del servizio pubblico;

di trasporti in conto proprio che non eccedono i 30 chili o i 30 litri al giorno;

di rifiuti costituiti da beni durevoli per uso domestico trasportati da rivenditori che abbiano sottoscritto, tramite le rispettive associazioni di categoria, gli appositi accordi o contratti di programma previsti dall'art.25, comma 2, lettera b, del D.Lgs. n.22/1997;

di trasporti eseguiti da soggetti abilitati (in base ad altre disposizioni) allo svolgimento di tale attività in forma ambulante, ma limitatamente ai rifiuti che costituiscono oggetto di commercio da parte di detti soggetti.

Quanto sopra, restando indifferente ogni altro aspetto, ossia non avendo alcun rilievo il fatto che si tratti:

di trasporto in conto proprio o di rifiuti prodotti da terzi (salvo il caso di modesta quantità);

di trasporto di rifiuti pericolosi o di rifiuti non pericolosi;

di trasporto di rifiuti destinati a smaltimento o di rifiuti destinati a recupero;

di trasporto di rifiuti destinati ad operazioni di recupero esercitate in regime ordinario (..) o in regime semplificato;

nonché, verrebbe da dire: a prescindere dal fatto che si tratti di trasporto di rifiuti destinati a discarica o di rifiuti destinati ad altre forme di smaltimento, anche se (anzi proprio perché) ...da quanto disposto all'art.1 del D.M.

n.141/1998 parrebbe doversi (o potersi) desumere che i rifiuti urbani pericolosi per poter essere conferiti in discarica necessitino del formulario, anche se trasportati dal soggetto che gestisce il servizio pubblico, mentre i rifiuti domestici (che sono una parte dei rifiuti urbani e che in nessun caso, allo stato attuale della legislazione vigente, possono essere classificati pericolosi) sono conferibili in discarica comunque senza formulario, anche se trasportati (il caso potrebbe apparire di scuola) da un soggetto diverso da quello che gestisce il servizio pubblico; ma, ovviamente, un regolamento di attuazione non può modificare quanto disposto dal decreto legislativo (né, tanto meno, lo può fare una circolare esplicativa)."[21]

Per quanto qui interessa va, ancora una volta, rammentato come il nuovo concetto di gestione dei rifiuti, introdotto dall'art. 6 del D.Lgs. n. 22/1997, contempli tutte le fasi che vanno dalla loro produzione alla raccolta, trasporto, recupero e/o smaltimento, ivi compreso lo spazzamento, l'attività di bonifica di siti, e l'applicazione della tariffa (in luogo della t.a.r.s.u.).

Ancora va ricordato l'art. 21, primo comma, D. Lgs. 22/1997, laddove si definisce l'oggetto della privativa nella

"gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti speciali avviati allo smaltimento", nettamente attribuendo solamente ai secondi la dizione "avviati allo smaltimento". Invero tale ultima espressione sarebbe priva di significato normativo se l'assimilazione implicasse una gestione dei r.s.a. identica a quella dei r.s.u., la quale ultima com'è noto si estende a tutte le fasi della raccolta, del trasporto ed infine dello smaltimento dei rifiuti (art. 6, primo comma, D. Lgs. cit.).

In secondo luogo, il comma 7° del medesimo art. 21, ove si stabilisce espressamente che la privativa "non si applica alle attività di recupero dei rifiuti urbani e assimilati"; norma il cui tenore palesemente non richiede alcuna interpretazione.

Che esista ancora la privativa è confermato dalle suddette modifiche intervenute anche recentemente dal legislatore, di cui all'art. 21, comma 7°, del D.Lgs. 22/1997 che, alla fine, come appena visto, affermando che la privativa non esiste più sull'attività di recupero dei rifiuti urbani e assimilati, non fa altro che confermare:

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- da un lato che la privativa esisteva anche prima;

- dall'altro che la privativa "copre" le altre fasi gestionali dei servizi che non riguardano il recupero.

Insomma, per i rifiuti assimilati la privativa concerne solo la fase dello smaltimento, mentre per le altre fasi gestionali dei r.s.a., per il recupero dei r.s.u. e per i rifiuti speciali vige il regime di concorrenza.

Circa i modelli organizzativi o le formule gestionali per l'erogazione dei servizi pubblici locali essi risultano essere contemplati dall'art. 113 e ss. del D.Lgs. n. 267/2000, in proposito va tenuto presente anche la riserva di legge (statale) di cui all'art. 43 Cost..

Recente giurisprudenza (Cass. SS.UU. 27 novembre 2002 n. 16831[22]; Cons. Stato 9 ottobre 2000, n.

5369[23]), sia pure in relazione al previgente d.P.R. 915/1982 (ma con argomentazioni riferibili anche al D.Lgs.

n. 22/1997, stante la continuità della normativa sotto l'aspetto in esame), sostiene che in materia di gestione dei rifiuti urbani il legislatore avrebbe seguito la concezione c.d. soggettiva di servizio pubblico, in quanto avrebbe "espressamente valorizzato, per definire pubblico solo il servizio di smaltimento dei rifiuti urbani, il fatto che esso sia riservato in privativa ai comuni", mentre rimarrebbe ininfluente la "definizione di servizio pubblico essenziale attribuita alla attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani e speciali, tossici e nocivi dell'art. 1 legge 12 giugno 1990 n. 146"[24].

Ne viene che, secondo tale insegnamento, tutte le attività di recupero dei rifiuti solidi urbani e degli assimilati, in quanto sottratte alla privativa comunale, non sarebbero più qualificabili come un servizio pubblico, ma come un servizio commerciale aggiuntivo non diverso da quelli offerti dal mercato (art. 6 d.P.R. n. 915/1982; artt. 10 e 21, quinto comma, D.Lgs. n. 22/1997).

Tale insegnamento è stato espresso anche da autorevole dottrina, secondo la quale dal 1° gennaio 2003 le attività di recupero dei rsu-rsa sarebbero state "restituite al mercato".[25]

Infine va evidenziato anche l'art. 49, comma 14°, il quale a sua volta prevede che "sulla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di avere avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi": di nuovo è superfluo stare a sottolineare come tale ultimo soggetto non possa che essere un terzo autorizzato all'attività di recupero e non certo il gestore del servizio pubblico.

Non c'è dubbio, pertanto, in ordine alla possibilità per i produttori e/o detentori di conferire i r.s.a. ai terzi autorizzati per le attività di recupero descritte dall'art. 4 e nell' allegato C) del D.Lgs 22: possibilità che evidentemente implica anche quella della raccolta e del trasporto dei r.s.a. e dei r.s.u. da recuperare.

Ne consegue che la privativa, per quanto inerisce ai r.s.u. e agli r.s.a. rimane necessariamente limitata alla sola fase dello smaltimento[26], quale definita dall'art. 6, comma primo, lett. g), D.Lgs. 22/1997 e quindi alle sole operazioni descritte nell'allegato B) del medesimo D.Lgs.: deposito in discarica, incenerimento, eccetera.

Mentre per gli altri servizi - come già notato - la privativa non trova applicazione!

Di tal che le espressioni leggibili all'art. 18, comma secondo, lett."d" ("determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l'assimilazione ai fini della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani") ed all'art. 21, comma secondo, lett. "g" del D.Lgs. n. 22/1997 ("l'assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri fissati ai sensi dell'art. 18", ecc".), sono da interpretarsi in modo coordinato con le disposizioni dianzi richiamate.

Vale a dire nel senso che l'assimilazione varrà, anche ai fini della raccolta preordinata al recupero, per i soli r.s.a. che il produttore e/o detentore scelga, sin da tale fase, di conferire al gestore del servizio pubblico.

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Infine, è appena il caso di notare, come un obbligo di conferimento di tutti i r.s.a. al gestore del servizio pubblico non potrebbe venire imposto con una norma regolamentare ai sensi dell'art. 21 D.Lgs., dato che si tratterebbe di una scelta organizzativa che, in quanto non consentita da una specifica norma di legge, sarebbe in palese violazione all'art. 43 Costituzione[27].

Di più l'ipotizzata estensione della privativa non potrebbe avvenire nemmeno per norma di legge regionale ai sensi dell'art. 1, secondo comma D. Lgs. 22/1997 e/o del combinato disposto dagli artt. 1, comma terzo, e 85 D.Lgs. n. 112/1998, dato che: per un verso, le citate disposizioni (limitative della privativa de qua) si atteggiano come dei principi fondamentali della materia e, dall'altro, la riserva di legge (statale) voluta dall'art. 43 Cost.

implica l'impossibilità di stabilire una privativa con legge regionale.

Va però notato come il produttore e/o il detentore potrebbe venire indotto a preferire il conferimento dei r.s.a. e di altri flussi di rifiuti al gestore del servizio pubblico (fin dalla fase della raccolta) non soltanto dalla presumibile convenienza economica, sebbene anche perché in tale caso , come già dianzi notato, essi si liberano immediatamente da ogni responsabilità in ordine ai rifiuti conferiti (art. 10, terzo comma, lett. "a" D. Lgs. n. 22) e rimangono esonerati dalla dichiarazione annuale per il catasto dei rifiuti (art. 11, comma terzo, ultimo periodo D. Lgs. citato).

Ai Comuni spetta quindi anche il potere di emanare i regolamenti per la gestione dei servizi di cui trattasi ex art. 21, comma 2, D.Lgs. 22/1997 e quello per l'applicazione tariffaria ex art. 49 cit. D.Lgs.

Il fatto che i rifiuti ricadenti nell'ambito della privativa non possano che appartenere al soggetto titolare della privativa stessa, ovvero dei Comuni, nell'idea di rifiuto come "bene giuridico", porterebbe alla loro

"incommerciabilità esclusiva" talchè "ogni atto giuridico di disposizione degli stessi ad opera di soggetti esterni all'amministrazione sarebbe irrimediabilmente nullo; il che consentirebbe di ricondurre tutto il sistema di gestione al controllo-titolarità dell'ente locale"[28].

Giova notare che il servizio di gestione dei rifiuti è senz'altro da ricondurre a quelli di rilevanza industriale... e che tanto conduce in capo all'ente locale della proprietà degli impianti e delle reti ed altre dotazioni necessarie per l'esercizio dei servizi pubblici, mentre per l'erogazione del servizio l'ente locale provvederà con i consueti modelli organizzativi. Di qui, da parte degli enti locali, l'assunzione del ruolo di regolazione del servizio e non di mera gestione.

Illustrato quanto sopra, relativamente al regime di privativa e alle modalità di esercizio dei servizi di cui trattasi, è possibile ritornare, ora, al problema sotto l'angolo visuale, più "concreto" del trasporto dei rifiuti in un servizio svolto (iure privatorum) da un soggetto pubblico (direttamente o tramite la c.d. esternalizzazione).

Per quanto dianzi argomentato, a noi pare ora chiaro come rientri nell'accezione di "servizio pubblico" la raccolta ed il trasporto dei rifiuti urbani, ma non la raccolta ed il trasporto relativo ai rifiuti assimilati (in quanto la privativa esiste solo per lo smaltimento dei rifiuti di cui trattasi, non quindi per la raccolta, e men che meno per il loro recupero), e sicuramente nel concetto qui assunto di servizi pubblico locale, non rientrano quei servizi di trasporto, di trattamento, di recupero e di smaltimento, ecc. di altri flussi di rifiuti non catalogabili tra quelli urbani o assimilati (per esempio: sanitari, agricoli, speciali, ecc.) che sono, comunque, "fuori privativa".

Dal punto di vista della conformità ai principi comunitari, va (ancora) ricordato che per l'art.13 del Regolamento (CEE) n.259/93 cit. spetta agli Stati membri di adottare le misure volte a fare sì che la coerenza con il sistema istituito dal Regolamento sia assicurata.

In tale senso gli Stati membri possono ricorrere sia a formulari di identificazione che, se lo ritengono, ad altre forme di controllo, quale ad esempio l'attribuzione di determinate competenze in merito alla gestione dei rifiuti ad aziende ricadenti nell'ambito del servizio pubblico, operanti all'interno di un quadro regolamentare volto a garantire il rispetto delle disposizioni ambientali di cui al Regolamento comunitario, ciò non consentirebbe di

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far attivare i poteri della Commissione Europea.

I poteri della Commissione Europea, com'è noto, sono delimitati dal Trattato CE, infatti ai sensi dell'art.211 del Trattato, la Commissione ha il compito di vigilare sulla corretta applicazione del diritto comunitario ed esercita tale sua funzione di controllo anche rispetto alle situazioni denunciate dai singoli cittadini e, ove riconosca, nelle situazioni denunciate, una potenziale violazione del diritto comunitario, può intervenire presso le autorità degli Stati membri.

Va rammentato che l'obbligo di assicurare il rispetto del diritto comunitario da parte delle autorità degli Stati membri spetta in primo luogo alle autorità amministrative o giudiziarie degli stessi Stati e che soltanto i giudici nazionali hanno il potere di rivolgere ingiunzioni all'amministrazione e di annullare una decisione nazionale[29], mentre la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, avanti la quale la Commissione può, ove ritenga ne sussistano i presupposti, eventualmente presentare un ricorso per far accertare una violazione contestata in una procedura di infrazione che essa abbia eventualmente avviato in relazione ad un reclamo,può soltanto emettere una sentenza che dichiara sussistente o insussistente la violazione. La Corte di Giustizia non può pronunciare l'annullamento di una norma nazionale o di un provvedimento non conforme al diritto comunitario.

Spetta allo Stato membro adottare i provvedimenti necessari a far cessare la violazione accertata nella sentenza della Corte di Giustizia[30].

Al di là dei rimedi giustiziali offerti dall'ordinamento nazionale e comunitario, non si può sottacere, ma anzi far rilevare (anche sotto altro angolo visuale) come l'applicazione del già illustrato regime differenziato in ordine:

alla tenuta del formulario di identificazione dei rifiuti, all'esonero da responsabilità e all'esonero dalla dichiarazione annuale dei rifiuti, in una situazione - in buona sostanza - di "monopolio" dove vengono qui

"favoriti" i soggetti pubblici (o loro appaltatori), obiettivamente realizzando, una differenziazione distorsiva della concorrenza tra gli operatori stessi, alterando la regola (vieppiù di rango comunitario) della giuridica parità di condizioni e della concorrenza fra iniziativa economica pubblica e iniziativa economica privata.

Come già argomentato, le imprese pubbliche (o i suoi affidatari) così operando vengono ad essere escluse dall'adempimento di determinati (invero onerosi: ciò sia direttamente che non) incombenti amministrativi, pervero implicanti un più capillare e trasparente controllo sulla raccolta e sul traffico dei rifiuti "fuori privativa", con correlativa sottrazione di responsabilità nonchè diretta influenza sull'intero settore economico di riferimento, depressione delle iniziative o attività private, e ciò, si badi, senza alcuna giustificazione relativa all'interesse della collettività, in quanto, a noi sembra, esso interesse risulta essere già assicurato nell'ambito delle scelte legislative relative all'ambito del regime di privativa[31], ovvero proprio quale effetto di precise scelte legislative discendenti, anzitutto, dalle norme costituzionali in tema di monopolio, di iniziativa economica, di mercato e degli altri valori costituzionalmente tutelati.

[1] Addirittura la giurisprudenza, consapevole di siffatte problematiche, ha chiarito che anche per cosiddette miniraccolte (cioè per la raccolta di quantitativi unitari inferiori ai 100 Kg. effettuata nell'ambito di un percorso programmato) il trasportatore deve munirsi di formulario di identificazione dell'art. 15 del D.Lgs. n. 22/1997

"contenente tutti i dati richiesti, tra i quali la specificazione del percorso di istradamento; sicchè se nel formulario manca lo spazio per indicare tutti i percorsi di istradamento, il trasportatore dovrà utilizzare tanti formulari quanti sono i percorsi di istradamento dal produttore-detentore al destinatario (in modo che lo spazio per la indicazione del percorso sia sufficiente)" : così Cass. pen., Sez. III, sent. n. 1040 del 3 marzo-29 maggio 2000 in Impresa c.i., n. 7/8, pag. 1160 ss. La Cassazione ha qui "affermato il principio che ''il modello di

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identificazione stabilito dal competente ministero con D.M. 1° aprile 1998, n.145, è concepito per documentare il trasporto dei rifiuti da un solo produttore/detentore a un solo destinatario'', senza che lo spazio ''dedicato alle annotazioni ove specificare eventuali variazioni di percorso'' sia destinato a contenere indicazione relativi a percorsi relativi ad altri destinatari. Le conseguenze di tale affermazione sono che il trasporto di rifiuti pericolosi (nella specie trattatasi di batterie esauste) , con formulario ove non sia indicato il percorso di instradamento, dà luogo alla configurabilità del reato di cui all'art.52/3 del decreto Ronchi, nulla rilevando in contrario l'assunto secondo il quale la suddetta mancata indicazione sarebbe dipesa dal fatto che i rifiuti erano stati raccolti presso vari detentori e nel modello di formulario mancava lo spazio per annotarli tutti,;ciò in quanto il modello anzidetto è concepito per documentare il trasporto dei rifiuti da un solo produttore/detentore ad un solo destinatario, per cui il trasportatore autorizzato deve utilizzare tanti formulari quanti sono i percorsi di instradamento" così A.Jazzetti, Guida agli adempimenti ambientali, Sole 24 Ore, Milano,2003, pagg.80-81, in proposito vedasi anche G.Amendola, Gestione dei rifiuti e normativa penale, Giuffrè, Milano, 2003, pag.

424-425. Del resto, purtroppo, nell'ambito del trasporto di rifiuti, spesse sono le situazioni "criminose" che vengono alla ribalta, denominate icasticamente "girobolle" (in buona sostanza trattasi di trasporti virtuali di rifiuti che vengono trattati e/o smaltiti in spregio alla normativa, con mutazione di identità e financo di peso) che non sono certo una novità nell'ambiente e nel settore dei rifiuti....stante la complessità e la delicatezza dell'argomento ci riserviamo di ulteriormente intervenire in altro scritto.

[2] "Il trasporto dei rifiuti rappresenta da sempre un tema di primaria importanza nel contesto della normativa disciplinata dal D.Lgs. 22/1997 poiché tutte le attività di gestione e smaltimento illegale, fino alla grande criminalità organizzata, debbono inevitabilmente ricorrere alla veicolazione su strada per trasferire i rifiuti dal luogo di produzione a quello di destinazione finale, oppure da e/o verso uno stoccaggio intermedio Proprio per tale motivo il decreto ricollega particolare importanza e rigore sanzionatorio a tutto il meccanismo del trasporto che viene dettagliato e regolamentato in modo preciso e puntuale proprio per evitare che le illegalità connesse possano sfuggire alla vigilanza": Così C.Ciarlini-M.Santoloci, Il trasporto dei rifiuti, tratto dal volume Gestione e trasporto dei rifiuti: manuale di approfondimento operativo, Maggioli, Rimini, in sito internet

www.dirittoambiente.com., ma pure dello stesso M.Santoloci, Trasporto di rifiuti e formulario di identificazione, ne Il Manuale pratico dei rifiuti, La Tribuna, Piacenza, 2002, pag.166 nonché nell'introduzione alla parte Rifiuti, in S.Maglia-M.Santoloci, Il codice dell'ambiente, La Tribuna, Piacenza, 2004, pag.1507 ove "Il decreto 22/97 ricollega particolare importanza regolamentare e sanzionatoria al campo del trasporto, evidentemente considerando che la gestione illecita dei rifiuti (a livello locale o nazionale) non può mai prescindere dal sistema di veicolazione e transito dei rifiuti stessi" e commentando l'art.15 del D.Lgs. 22/97,op.ult.cit., a pag.

1573 ove "In linea generale, va osservato che il trasporto è stato da sempre, e lo sarà per il futuro, uno dei punti vitali dal sistema di gestione di rifiuti ed uno dei punti di maggiore interesse e pericolosità entro tale sistema, in quanto è noto che l'ecomafia concentra proprio sul traffico dei rifiuti i propri affari. Appare infatti inevitabile che i rifiuti pericolosi smaltiti in modo illecito devono partire dal sito aziendale per raggiungere le discariche abusive della criminalità organizzata, e ciò avviene attraverso un viaggio. Concetto elementare, ma apparentemente spesso sottovalutato". Sempre il M.Santoloci, più recentemente, "Il trasporto è infatti l'attività preliminare per ogni tipo di gestione dei rifiuti ed ancheper le attività di gestione illecita e criminale e rappresenta il punto centrale ed inevitabile delle attività di microminalità diffusa a livello locale e delle più vaste attività gestite dall'ecomafia che fa naturalmente pervenire nei siti di discariche abusive tombate, i rifiuti dal luogo di produzione aziendale naturalmente mediante il trasferimento dei carichi dai siti aziendali alle aree di smaltimento illecito" in Rifiuti, acque, aria, rumore (tecnica di controllo ambientale),Laurus, Roma, 2003, pag.298.. Invero, l'importanza della disciplina di trasporto sembra essere grandemente condivisa dalla dottrina, soprattutto quella avente esperienza ..."giudiziale": "Appare essenziale, per una gestione corretta dei rifiuti, avere le notizie più specifiche possibili nella delicata fase del trasporto, che (...) è considerata una fase rischiosa per i possibili abusi che possono esservi" F.Cervetti Spriano, La nuova normativa sui rifiuti, Giuffrè, Milano, 1998, pag.88. Ma anche i "non magistrati" avvertono la problematica "Nell'ambito della gestione-trasporto di rifiuti si appalesa la figura della cd. ecomafia o di un'attività microcriminale diffusa, - in

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caso di ridotte dimensioni, come quella locale - laddove, attraverso artifici di varia natura si consenta di far pervenire carichi di lavoro dal luogo di produzione, per lo più aziendale, alle aree di smaltimento illecito" A.

Gratani, La tutela ambientale preventiva nel trasporto e nel deposito incontrollato di rifiuti, Riv.giuridica dell'ambiente, fasc. 1/2001, pag.144.

[3] G.U.C.E. L194 del 25 luglio 1993.

[4] G.U.C.E. L30 del 06 febbraio 1993.

[5] Nel sistema previgente il formulario era previsto dall'art. 18, del D.P.R. n. 915/82 e dall'art. 10, D.M. 26 gennaio 1990. L'art. 18, intitolato "Documenti per il trasporto", imponeva l'obbligo della tenuta del "formulario"

di identificazione" per il solo trasporto dei rifiuti tossici e nocivi, e prevedeva un sistema "a tre copie", in modo tale che ciascuno dei soggetti coinvolti in questa fase (produttore o detentore, destinatario e trasportatore) restasse in possesso di una copia. Va precisato che la limitazione dell'ambito di applicazione ai soli rifiuti tossici e nocivi derivava dall'art. 5 comma 3 della direttiva 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi. Tale norma stabiliva, infatti, che i rifiuti pericolosi durante il trasporto dovevano essere accompagnati da un formulario di identificazione. L'estensione dell'obbligo in parola alle materie prime secondarie è avvenuta con il D.M. 26 gennaio 1990, che ha stabilito che, durante il trasporto, era obbligatorio munirsi di apposita dichiarazione di identificazione, firmata da persona a ciò espressamente delegata dall'impresa mittente e dall'addetto al trasporto. Su questo documento si dovevano annotare, avendo riguardo a singole tipologie di materie prime secondarie trasportate: quantità, qualità, provenienza, destinazione, nome dell'impresa che effettua il trasporto, targa del mezzo e le date di ritiro e trasporto. Il comma 3 dello stesso art. 10 prevedeva che la scheda di identificazione poteva essere sostituita dal documento di accompagnamento dei beni viaggianti di cui all'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 627/1978, se integrata dagli elementi di cui ai commi 1 e 2.

[6] Il modello di formulario di identificazione dei rifiuti trasportati è stato tardivamente approvato con il D.M. 1 aprile 1998, n.145 "Regolamento recante la definizione del modello e dei contenuti del formulario di accompagnamento dei rifiuti" (in G.U. 13 maggio 1998). Il formulario sostituisce tutti gli altri documenti previsti per il trasporto di rifiuti escluso quanto previsto dalla normativa ADR sulle merci pericolose e, come già detto, dal Regolamento CEE n.259/1993 (in quanto, come già osservato, ai sensi dell'art.13 per le spedizioni di rifiuti all'ìnterno degli Stati membri non trovano applicazione i titoli II,VII e VIII del medesimo Regolamento).

[7] Cfr. Tribunale di Pavia, Sez.Penale, 30 ottobre 2000, n.57, in Rivista giuridica dell'Ambiente, n.1/2001, pag.134 ss. con commento di A.Gratani, La tutela ambientale preventiva nel trasporto e nel deposito incontrollato di rifiuti, pag.140 ss.. Vedi anche L. Prati, Il mancato impedimento di illeciti ambientali e la responsabilità per omissione, Riv. Giuridica dell'ambiente, fasc.6/1999, pagg.811-812 ove "Il produttore dei

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rifiuti resta titolare di una posizione di garanzia in relazione allo smaltimento degli stessi, nel senso che è tenuto a provvedere al loro smaltimento vigilando sull'operato degli smaltitori nei modi legalmente previsti.

Questa forma, relativamente nuova, di responsabilità per l'illecito degli smaltitori, merita di essere citata, in quanto costituisce significativo esempio di creazione legislativa ex novo di un garante del bene ambiente,individuato nel soggetto che mantiene un certo potere di controllo sulla fonte di rischio ambientale costituita dai rifiuti prodotti. La responsabilità in questione si colloca in un più ampio contesto di responsabilità imprenditoriali per omessa verifica dei requisiti di idoneità posseduti da coloro ai quali si affidano le attività dalle quali potrebbero scaturire aggressioni a beni collettivi o di terzi. in base ai principi generali in tema di concorso di persone nel reato, le esenzioni di responsabilità previste dall'art. 10 D.Lgs. cit. operano solo quando non esiste in capo al detentore e/o produttore dei rifiuti un comportamento doloso, che lo renda compartecipe della commissione degli illeciti materialmente realizzati dallo smaltitore".

Per la Cassazione penale, III, sentenza 16 febbraio 2000, n.1767 (in Ambiente consulenza e pratica per l'impresa n.3/2001) "poiché anche con la nuova disciplina resta fermo il principio della responsabilizzazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell'utilizzo o nel consumo di beni da cui originano i rifiuti (art. 2, terzo comma, D.Lgs. cit.). Viene altresì riaffermato che "gli oneri relativi alle attività di smaltimento sono a carico del detentore che consegna i rifiuti ad un raccoglitore autorizzato" (art. 10, primo comma, D.Lgs. cit., di cui il terzo comma costituisce un'eccezione), talchè ne deriva una posizione di garanzia del detentore o produttore dei rifiuti, sicché non è sufficiente adempiere agli obblighi formali imposti dall'art. 10 terzo comma D.Lgs. cit. per andare esenti da responsabilità, giacché la stessa può essere affermata anche per atteggiamenti tali da poter essere inquadrati nel c.d. dolo eventuale, quando, come nella fattispecie in esame, secondo quanto in maniera ineccepibile evidenziato dal Pretore, si è consapevoli dell'impossibilità di utilizzare quegli scarti quali materie prime secondarie e si è, persino, certi di non poter, in alcun modo, impiegare detti residui per l'effettuazione dell'attività indicata nel contratto di appalto. In definitiva l'art. 10 in esame escluderà la responsabilità di quei detentori o produttori di rifiuti, che si siano affidati a soggetti autorizzati allo smaltimento, abbiano adempiuto alle condizioni indicate in detto precetto e non si siano resi responsabili di comportamenti, materiali o psicologici, tali da determinare una compartecipazione, anche a livello di semplice istigazione, determinazione, rafforzamento o facilitazione, negli illeciti commessi dai soggetti dediti alla gestione dei rifiuti.".

Per la Cassazione penale, III, 21 aprile 2001, n.4957 (in Ambiente consulenza e pratica per l'impresa n.7/2001) in base all'art. 10, secondo comma, "il produttore dei rifiuti speciali assolve i propri obblighi con le seguenti priorità: a) autosmaltimento dei rifiuti; b) conferimento dei rifiuti a terzi autorizzati ai sensi delle disposizioni vigenti; c) conferimento dei rifiuti ai soggetti che gestiscono il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani, con i quali sia stata stipulata apposita convenzione ...", mentre l'art. 10, terzo comma, prevede che "la responsabilità del detentore per il corretto recupero o smaltimento dei rifiuti è esclusa: ... b) in caso di conferimento di rifiuti a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento a condizione che il detentore abbia ricevuto il formulario di cui all'articolo 15 controfirmato e datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore, ovvero alla scadenza del predetto termine abbia provveduto a dare comunicazione alla provincia della mancata ricezione del formulario ". Orbene, la presenza di diversificati adempimenti e di un'unitaria posizione di garanzia per impedire una gestione dei rifiuti illegale esclude la possibilità di trasferire in capo ad altro soggetto egualmente obbligato il proprio obbligo di controllo e di vigilanza.Peraltro tutti questi adempimenti non esauriscono la misura di diligenza richiesta al detentore e/o produttore dei rifiuti, giacché resta fermo il principio della responsabilizzazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell'utilizzo o nel consumo di beni da cui originano i rifiuti (art. 2, terzo comma, D.Lgs. cit.).Pertanto, non è possibile trasferire all'altro soggetto, egualmente obbligato per la stessa tutela, la propria posizione di garanzia, in quanto l'individuazione di una pluralità di obbligati (detentore finale, precedenti detentori e produttore dei rifiuti) è stata effettuata dal legislatore per proteggere maggiormente il bene, onde una concentrazione di tutti gli obblighi in un unico soggetto, costituito garante dell'adempimento del dovere primario dello smaltimento o del recupero dei rifiuti, in presenza di altri coobbligati, non è ammissibile per via contrattuale.Infatti costituisce situazione affatto diversa, quella in cui l'effettuazione di un compito affidato ad un soggetto (ex gr. Servizio di depurazione delle acque) venga trasferito tramite un

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contratto di appalto ad un terzo, in capo al quale dovranno, in ogni caso, essere accertate la sussistenza di quei requisiti richiesti per la delega di funzioni (cfr. Cass., sez. III - 29 luglio 1998, P.M. in proc. Moscatelli), giacché non si è in presenza di diversificate posizioni di garanzia di più coobbligati tendenti al raggiungimento del medesimo scopo in funzione cautelare".

[8] "questa esenzione riferita ai rifiuti pericolosi si pone in contrasto con l'art.5, comma 2, della direttiva n.91/689/CEE, per cui nel caso di trasferimento di questi residui, gli stessi devono essere accompagnati da un formulario di identificazione contenente specifiche indicazioni sulla natura, tipologia fisica, composizione, processo di formazione, natura del rischio, etc. dei rifiuti (art.15, comma 4, del decreto)" così S.Beltrame, Gestione dei rifiuti e sistema sanzionatorio, Cedam, Padova,2000, pag. 336. Inoltre "La norma va certamente letta nel senso della produzione giornaliera complessiva da parte del titolare del rifiuto. Quindi laddove si accerti, in ipotesi, che un carico sia formalmente entro i 30 chilogrammi ma che in realtà rappresenti soltanto una frazione fraudolenta di un quantitativo più rilevante di rifiuti che giace ancora presso l'azienda stessa e sta per essere trasferito o anche nel caso in cui si accerti che sia soltanto un ulteriore viaggio di precedenti viaggi di 30 chilogrammi/litri già effettuati in precedenza nella stessa giornata certamente scatterebbe l'illecito conseguente"E. Ronchi-M. Santoloci, La riforma dei rifiuti-I nodi critici, Buffetti, Roma, 2002, pagg.51-52.

Ancora, "Il chiaro riferimento al trasporto effettuato da enti o imprese esclude dall'obbligo del formulario tutti i trasporti che non sono effettuati nell'esercizio di un'attività di impresa. In altri termini, il trasporto di rifiuti non deve essere accompagnato dal formulario se ad effettuarlo è un cittadino o un professionista intellettuale che non opera nell'ambito di un'organizzazione d'impresa. Dal medesimo riferimento normativo risulta, però, che in linea di principio il trasporto effettuato da enti o imprese deve essere accompagnato dal formulario qualunque sia la natura dei rifiuti trasportati".M.Pernice-M.Santoloci, La nuova disciplina in materia di rifiuti, Buffetti, Roma, 2000, pag.287.

[9] Pubblicata in G.U. 11 settembre 1998, n.212 "esplicativa sulla compilazione dei registri di carico e scarico dei rifiuti e dei formulari di accompagnamento dei rifiuti trasportati individuati, soggettivamente, dal D.M. 1°

aprile 1998, n.145 e dal D.M. 1° aprile 1998, n.148", invero non affrontante, almeno nell'ottica sistemica del presente scritto la problematica dell'esonero, limitandosi a osservare in parte qua, al punto "n",quanto segue:

"in via di principio il trasporto di rifiuti urbani che non deve essere accompagnato dal formulario di identificazione ai sensi dell'art.15, comma 4, del decreto legislativo n.22/1997, è quello effettuato dal gestore del servizio pubblico nel territorio del Comune o dei Comuni per i quali il servizio medesimo è gestito.

L'esonero dall'obbligo del formulario di identificazione si ritiene, tuttavia, applicabile anche nel caso di in cui il trasporto dei rifiuti urbani venga effettuato al di fuori del territorio del Comune o dei Comuni per i quali è effettuato il predetto servizio qualora ricorrano entrambe le seguenti condizioni:

1) i rifiuti siano conferiti ad impianti di recupero o di smaltimento indicati nell'atto di affidamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani (ed a tal fine si ritiene che il concessionario del servizio di raccolta di rifiuti urbani e/o frazioni differenziate di rifiuti urbani debba dotare ogni veicolo adibito al trasporto di una copia dell'atto di affidamento della gestione dal quale risulti, appunto, l'impianto cui sono destinati i rifiuti);

2) il conferimento di tali rifiuti ai predetti impianti sia effettuato direttamente dallo stesso mezzo che ha effettuato la raccolta. Resta fermo che il trasporto di rifiuti urbani effettuato da un centro di stoccaggio a un centro di smaltimento o recupero deve sempre essere accompagnato dal formulario di identificazione".

Critico alla circolare è B.Albertazzi, Le certificazioni obbligatorie in materia di rifiuti, EPC Libri, Roma, 2000, pagg.78-79 ove "L'affermazione contenuta nel secondo periodo della lettera n) della circolare è da ritenersi

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sbagliata nella sua genericità, in quanto nell'indicare in quali casi l'esonero dal formulario di cui al quarto comma dell'art.15 del decreto ''Ronchi'' è da ritenersi operante anche al di fuori dell'ambito territoriale proprio dell'ente locale che ha affidato in gestione il servizio, l'estensore ministeriale non ha tenuto conto di un presupposto minimo comune del problema giuridico sopra menzionato e cioè la diversità delle discipline applicabili (privatistiche o pubblicistiche) con riferimento alla forma di gestione concretamente prescelta dall'ente locale per la gestione del servizio, tra quelle possibili elencate nell'art.22 cit.. Una soluzione, valida per tutte le forme di gestione cit., quale quella prospettata nella circolare non può che ritenersi erronea e inapplicabile. Prova ne sia che l'esplicito riferimento al ''concessionario del servizio di raccolta'' risulta idoneo a disciplinare solo la fattispecie in cui esista una ''concessione'', il che, com'è noto agli operatori del settore, non si verifica per tutte le forme di gestione citate. Non è inoltre dato sapere da dove il ministero deduca le due (tassative) condizioni per l'inapplicabilità del limite territoriale".

[10] In quanto, secondo logica e diritto, dovrebbero essere proprio questi soggetti a direttamente svolgere, per conto dell'ente locale, i servizi da questi ultimi affidati loro; non ad assumere quindi il ruolo di soggetto, per così dire, di seconda istanza che, a sua volta, provvede ad affidare a terzi servizi. Ma questa affermazione è ancora mal posta, nel senso che, effettivamente, taluni soggetti (esempio le aziende speciali strumentali degli enti locali, operanti com'è noto in ambito imprenditoriale) dovrebbero svolgere i servizi loro affidati in concessione, all'uopo anche avvalendosi di soggetti terzi per i servizi complementari e/o accessori oppure per talune fasi marginali (giammai prevalenti) dell'oggetto d'impresa (peraltro deliberato dal Consiglio Comunale del Comune-Concedente), ma la casistica, anche giurisprudenziale, sta profilando altre possibilità per le quali, stante le problematiche agitantesi, ci riserviamo di ulteriormente intervenire in altra sede.

[11] si ripete: per il solo fatto che è un soggetto pubblico ad affidare tramite contratto di appalto di servizi ex D.Lgs. 157/1995, od altre forme, a soggetti terzi un servizio fuori privativa.

[12] "Oltre a garantire il controllo della movimentazione dei rifiuti, il formulario assolve la delicata funzione di esentare il produttore/detentore dei rifiuti dalla responsabilità per il corretto recupero o smaltimento degli stessi. Infatti il ''Decreto Ronchi'' stabilisce che è esclusa la responsabilità del produttore se i rifiuti sono conferiti al servizio pubblico di raccolta o a soggetti autorizzati alle operazioni di recupero o smaltimento. In quest'ultimo caso l'esenzione delle responsabilità del produttore o detentore è legata al ritorno della quarta copia del formulario firmata dal destinatario finale entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore (sei mesi in caso di trasporto transfrontaliero)" così A.Bras, in P.Ficco (a cura), Piccole Imprese e Ambiente 2003, Edizioni Ambiente, Milano, 2003 , pag. 160. La norma dell'art.10 comma 3 del D.Lgs. 22/97 "è chiarissima.Il produttore/detentore non si spoglia della responsabilità dei suoi rifiuti semplicemente consegnando al terzo trasportatore, ma conserva un onere (almeno di vigilanza indiretta) in ordine al buon esito del viaggio verso quel sito finale che, va sottolineato, devono necessariamente conoscere al momento della partenza sia esso produttore/detentore che il trasportatore. Se il titolare originario non riceve la quarta copia controfirmata dal responsabile del sito di destinazione entro i 3 (o 6) mesi previsti dalla norma, la responsabilità condivisa ancora attiva impone al produttore/detentore l'obbligo di denuncia alla provincia (...).

Dunque il produttore è direttamente corresponsabile con il trasportatore ed eventualmente il gestore del sito finale se non verifica la corretta destinazione finale del viaggio dei suoi rifiuti" M.Santoloci, introduzione ai Rifiuti, Il Codice dell'ambiente, cit.,pag.1513.

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[13] così, giustamente, A.Lolli, Autorizzazioni e verifiche ambientali nel sistema normativo sulla gestione dei rifiuti, Riv. Giur. dell'ambiente, fasc.2/1998, pagg.206-207 il quale autore riscontra una delle principali disattenzioni proprio nel trasporto dei rifiuti, prima del D.Lgs. 22/1997 "il legislatore aveva previsto l'obbligo di documentare puntualmente il percorso dei soli rifiuti tossici, nocivi e speciali (attraverso il formulario di identificazione) con esclusione però dei rifiuti urbani. Questi ultimi, perciò potevano essere smaltiti in discariche abusive. Né poteva ritenersi equivalente, ai fini di un adeguato controllo, l'imposizione dell'obbligo di effettuare annualmente la comunicazione al Catasto rifiuti, tramite il c.d. MUD (modello unico di dichiarazione unica ambientale). Tale comunicazione, infatti, avendo carattere riassuntivo e periodico (annuale) non poteva essere utilizzata per finalità di controllo in costanza dell'effettuazione materiale del trasporto dei rifiuti. Essa, inoltre consentiva con maggiore facilità - per il relativo carattere relativo - travisamenti sui flussi effettivi dei rifiuti. E' noto che nella prassi il formulario era usato anche per i rifiuti urbani, poiché la giurisprudenza penale, in caso di smaltimento abusivo, riteneva in ogni caso responsabile il produttore dei rifiuti che non si fosse curato di controllare la destinazione dei propri rifiuti affidati al trasportatore. Tale responsabilità era ricostruita deducendo il concorso del produttore nel reato del trasportatore. La ricostruzione appena esposta, peraltro, seppure meritoria nei propri obiettivi (consistenti nel rendere controllabile un flusso che il legislatore non aveva sottoposto a disciplina) pare opera di una giurisprudenza più legislativa che interpretativa, come talora accade in materia ambientale". Con l'avvento del decreto "Ronchi" "la norma aumenta la possibilità di controllo pubblico sulla regolarità dello smaltimento (...) senza spese in capo all'amministrazione e senza vessare il produttore con obblighi di vigilanza eccessivi" (pag. 209) ma per il medesimo autore - nella nota 21 di pag.210 - fermo restando il favor normativo, e nella considerazione della scarsa efficacia dei controlli comunali "non parrebbe inutile né vessatorio imporre l'uso di strumenti di formalizzazione dell'attività di gestione ambientale - come sono i formulari di identificazione - anche in capo ai gestori del servizio pubblico.

Ovviamente, per ragioni pratiche, non si può pretendere che il gestore restituisca copia del formulario ad ogni cittadino che conferisca rifiuti urbani in cassonetto: il formulario sarebbe conservato dallo stesso gestore, essendo utile solamente per controllare il flusso dei rifiuti in costanza del trasporto". A nostro avviso le profonde innovazioni che sono state avviate (o sono in procinto di essere implementate) nell'ambito della raccolta dei r.s.u., assieme alla crescente consapevolezza del rilevante aumento dei costi di gestione degli stessi (soprattutto per la raccolta e lo smaltimento) imporranno, per il futuro, l'adozione di particolari sistemi di rilevazione del peso (sia esso effettivo, volumetrico, o con forme di presunzione asintoticamente reali) in capo alla singola utenza domestica, il che, in buona sostanza equivarrà a correlare i dati di produzione e di raccolta, ovvero a consentire quelle forme di controllo nel trasporto dei rifiuti, tali da (si auspica) evitare quelle situazioni, quantomeno criticabili, che possono essere generate, da chi vi abbia interesse, anche nella semplice fase di raccolta dei r.s.u., o nelle successive fasi, confidando nel mancato controllo del flusso conferimento della sola utenza domestica al circuito pubblico di raccolta.

[14] Infatti la giurisprudenza ha rilevato (invero spesse volte) come la "la fattispecie non era qualificabile come concessione di servizio pubblico, a nulla rilevando la differente qualificazione ad essa attribuita dall'autorità comunale" così C.S.,V,09 ottobre 2000, n.5269 in Foro Amm.vo, fasc. 9-10 del 2000, pag. 3165.

[15] sarebbe un fuor d'opera affrontare qui la complessa (e perdurante) problematica relativa ai servizi pubblici locali e alle concessioni, sia permesso rinviare a A.Pierobon, La costruzione e gestione di una discarica di rifiuti solidi urbani tra appalti di servizi e servizi pubblici locali, Riv. Trim. Appalti, n.2/2002, nonché, dello stesso autore, Diritto ambientale dei rifiuti: internazionale, comunitario, nazionale e regionale, Prime Note,

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Livorno, 2004. Giova qui rammentare, come per l'art. 22 Legge n. 142/1990, ora art. 112 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, i pubblici servizi locali sono quelli "che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali". Senza alcuna pretesa di complezza, si possono definire i pubblici servizi come quelle attività economicamente valutabili, che una pubblica amministrazione decide di "assumere" ossia di gestire, in favore della collettività, indistintamente considerata, ovvero uti singuli, dietro corresponsione di una tariffa e che vengono gestiti in una delle forme organizzative di cui all'art. 22 Legge n. 142 del 1990 (ora, come si è detto, sostituito dall'art. 112 D.Lgs.

267/2000). Per la scelta dell'attività occorre operare con riguardo anzitutto ai principi costituzionali artt. 3, 43 e 97 Costituzione e quindi con riguardo al principio della concorrenza e alle altre esigenze del mercato cui l'assetto economico tende. Inoltre nella disciplina comunitaria rileva non il tipo di attività da svolgere mediante un servizio pubblico, ma esclusivamente il rispetto dei principi di concorrenza e di libertà di stabilimento.

Quindi è pregiudizievole il rilievo se è compatibile con il Trattato (art. 90) e quindi con le regole della concorrenza e della libertà di stabilimento che l'attività sia svolta come un pubblico servizio. Talchè a monte esiste un problema di compatibilità della scelta con un'economia di mercato ovvero con un principio di pari opportunità specie se l'attività che si vuole esercitare come pubblico servizio sia un'attività imprenditoriale.Le due norme chiariscono che ci troviamo di fronte ad una prestazione di facere, resa da un imprenditore privato nell'interesse di un soggetto (generalmente coincidente con la P.A.) sinallagmaticamente correlata ad un corrispettivo, laddove invece il contenuto materiale del servizio pubblico locale - remunerato normalmente su base tariffaria a carico dell'utenza - è funzionale piuttosto alla soddisfazione dell'interesse delle collettività locali a fruire di prestazioni che di per sé non sfuggono, comunque, ad una valutazione di tipo economico-remunerativo: così M.Cammelli, citato da R.Villata, Pubblici servizi, Giuffrè, Milano, 1999, nota 20 a pag.53. Nella relazione alla proposta modificata della direttiva 92/50 sui servizi, si aveva ben chiara la differenza sia giuridica che economica tra (concessione di) servizio pubblico e (appalto pubblico di) servizio reso all'amministrazione aggiudicatrice. Difatti "il concessionario assume il rischio finanziario dell'esercizio del servizio pubblico, come contropartita dell'oppor-tunità di un profitto, mentre l'appaltatore cerca il suo profitto entro l'ambito più limitato del prezzo stabilito per la prestazione di un servizio determinato" (sul rischio vedasi anche le conclusioni dell'Avvocato Generale Alber, le conclusioni in data 18 maggio 2000 dell'Avvocato Generale Fennelly nella causa C-324/98 Teleaustria Gmbh c.Post & Telecom Austria AG, nonché la Comunicazione interpretativa della Commissione C.E. sulle concessioni nel diritto comunitario citate da R.Villata, op. cit., pag.60 e note). Sempre nella prefata relazione leggiamo che "l'atto di concessione di un servizio pubblico (...) non è soggetto alle esigenze particolareggiate ritenute opportune per gli appalti pubblici di servizi. Sono ovviamente applicabili le norme del Trattato. Tuttavia in parallelo con la direttiva sui lavori pubblici, è prevista la facoltà per le amministrazioni aggiudicatici di imporre talune esigenze in merito ad una quota di appalto a terzi dei servizi oggetto della concessione". Inoltre, superando le dispute tra teoria soggettiva (imputabilità del servizio pubblico ad un soggetto pubblico: De Valles, 1930) e teoria oggettiva (per la quale il servizio pubblico andava individuato in una attività che avesse le caratteristiche di servizio di pubblica utilità e di pubblico interesse per la collettività, a prescindere dal soggetto che l'assumeva) - e al di là della concezione oggettiva cosiddetta "temperata" - è ormai pacifico che le prestazioni nelle quali i servizi pubblici da concedere si risolvono devono essere offerte e comunque rivolte al pubblico (e non all'amministrazione). L'aggettivo pubblico attribuito al sostantivo servizio acquista qui il significato "a disposizione del pubblico" (Romano) in altri termini esso deve vivere sul mercato e cioè deve essere posto a disposizione almeno tendenziale o anche solo potenziale. Infatti il fattore che differenzia il servizio pubblico da una attività anche oggettivamente analoga è la valutazione effettuata dalla pubblica amministrazione sulla

"doverosità" del porre tale servizio a disposizione dei cittadini. Altro aspetto caratteristico della concessione di pubblici servizi è che il concessionario acquista una "posizione di mercato", un "ambito di mercato", riservata/o all'amministrazione in via di privativa: G.Greco, Gli appalti pubblici di servizi e le concessioni di pubblico servizio, in F.Mastragostino (a cura di), Appalti pubblici di servizi e concessioni di servizio pubblico, Cedam, Padova, 1998, pag.12. Per la Corte dei Conti la concessione di servizi pubblici è una figura speciale che può ricorrere solamente in presenza di disposizioni legislative o regolamentari che espressamente la prevedano, l'appalto di servizi pubblici sarebbe, viceversa, una figura generale (sez. controllo, 18 dicembre 1992, n. 79).

Pertanto, la specificità della concessione non sta né nella sussistenza di un provvedimento amministrativo previsto, né nella sostituzione del concessionario all'amministrazione, né nella identificazione dell'oggetto nel

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trasferimento del potere pubblico quanto piuttosto nel fatto che l'attività posta in essere dal privato, di per sé libera, viene inserita in un programma di erogazione che lo sottopone a vincoli e controlli nell'attività posta in essere a favore degli utenti (spostando l'attenzione del rapporto tra amministrazione e concessionario a quello tra quest'ultimo e l'utente), in proposito vedasi R.Villata, op.cit., pag.51 et passim. Ed è proprio questo il maggiore ostacolo alla equiparazione di una concessione di servizi pubblici ad un comune contratto di appalto, ovvero la subordinazione del momento consensuale a quello autoritativo ed unilaterale, la quale si concreta nel programma di erogazione del servizio pubblico e nei controlli cui è sottoposta la prestazione del servizio medesimo alla collettività degli utenti. Per la giurisprudenza amministrativa la concessione di pubblici servizi presuppone non solo che il servizio sia reso a terzi (e non all'amministrazione) ma anche che il corrispettivo sia in tutto o in parte a carico degli utenti, pertanto non l'inerenza al "pubblico" connota il servizio come pubblico ma la destinazione dello stesso ad un pubblico di utenti, in dottrina è stata individuate una differenza tra la concessione di servizi e di committenza intendendo con la prima quella in cui il concessionario si sostituisce alla pubblica amministrazione per ciò che concerne l'espletamento delle attività tipiche della stazione appaltante (Progettazione, direzione lavori, predisposizione dei piani di esproprio, individuazione dell'esecutore materiale e relativo affidamento) con la seconda quella in cui, a tali compiti si aggiunge l'espletamento di altre funzioni (pianificazione e localizzazione dell'intervento) caratterizzanti l'attività pubblicistica dell'amministrazione (Piacentini). Si veda anche il parere del Consiglio di Stato, II, 28 febbraio 1996, n.366 allo schema di Regolamento poi sfociato nel D.P.R. 533/1996. Più esattamente, "l'elemento differenziale (tra concessione di pubblici servizi e appalti di servizi N.d.A.) va piuttosto individuato nei rispettivi oggetti: l'appalto di servizi concerne prestazioni rese in favore della Pubblica Amministrazione e dà luogo ad un rapporto bilaterale; la concessione invece configura un rapporto trilaterale (intercorrente tra Amministrazione, concessionario ed utenti), con prestazioni destinate e rivolte a terzi, vale a dire al pubblico, a carico dei quali è posto il corrispettivo (mentre nell'appalto di servizi è l'amministrazione aggiudicatrice a dover provvedere agli oneri della prestazione che le viene resa)" così R.Villata, op.cit.,pagg.55-56. Peraltro non è determinante, ai fini che qui interessano, che gli utenti paghino una tariffa, essendo anche possibile che il finanziamento del servizio pubblico avvenga, se previsto legislativamente, attraverso apposite tasse, difatti "il carattere oneroso del servizio va inteso in senso economico e finanziario e non con riferimento alle particolari modalità di pagamento, dipendenti dal sistema di prelievo, che è un elemento estrinseco e occasionale" Cfr.

G.Greco, Gli appalti pubblici di servizi e le concessioni di pubblico servizio, in F.Mastragostino (a cura di), Appalti pubblici di servizi e concessioni di servizio pubblico, Cedam, Padova, 1998, pag.15, ma vedi anche pag.9.

[16] V.De Gioia, commento alla sentenza Cass. Civile, Sez.Un.27 novembre 2002, n.16831, Urbanistica e Appalti, n.5/2003, pag.531, nota 1 ove "Le stesse Sezioni unite, in passato, hanno affermato che l'affidamento di tale servizio - definito di interesse pubblico dall'art.1 del D.P.R. 10 settembre 1982, n.915, che ne prevede l'obbligatorio espletamento da parte dei Comuni, i quali lo esercitano con diritto di privativa, nelle forme di cui all'art.8 dello stesso decreto,ossia direttamente o mediante aziende municipalizzate ovvero mediante concessioni di enti o imprese specializzate, autorizzate dalla Regione, ai privati, instaura un rapporto di concessione amministrativa, con conseguente attribuzione delle controversie ad esso inerenti, ai sensi dell'art.5, comma 1, della L. 6 dicembre 1971, n.1034, alla giurisdizione amministrativa, con esclusione di quelle riguardanti le sole indennità, canoni ed altri corrispettivi o pretese maggiorazioni dei medesimi, nel qual caso, ai sensi del comma 2 della medesima norma, di competenza del giudice ordinario. (Cass. Civ.Sez.Un., 28 maggio 1994)". In realtà la questione a nostro avviso risulta essere più complessa, in quanto per la raccolta dei rifiuti solidi urbani, almeno per quanto concerne le procedure di affidamento e la disciplina dei rapporti tra le parti, l'appalto pubblico di servizi dai servizi pubblici, mentre le procedure relative alla concessione di servizi pubblici, come si è dianzi cennato, esulano dall'affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti, anzi, più esattamente, occorre distinguere tra l'affidamento del servizio agli enti strumentali (nel loro rapporto di controllo, o, come si suol dire con quasi sorpassata denominazione "organi indiretti") quali le aziende speciali (ex municipalizzate che sono considerate "ente strumentale del Comune " "ente istituzionalmente dipendente

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dall'ente locale" cfr. C.S, V, 15 maggio 2000, n.2735 e C.S., IV, 26 gennaio 1999, n.78 indicate nella sentenza C.S.,V,19 settembre 2000, n. 4850, in Foro Amministrativo, fasc. 9-10 del 2000 a pag.3106 ss. ove "I vincoli che legano l'azienda speciale al Comune sono quindi così stretti, sul piano della formazione degli organi, degli indirizzi, dei controlli e della vigilanza, da farla ritenere come elemento del sistema amministrativo facente capo allo stesso ente territoriale'' Corte Cost. 12 febbraio 1996, n.28) e le società miste pubbliche, da soggetti privati (appalto a terzi, ''ancorché venga usata la denominazione di concessione, il quale istituto, come già notato, trova applicazione solamente in presenza di talune caratteristiche connesse al rischio, all'autonomia, alla remunerazione non tramite corrispettivo fisso, bensì con tariffa direttamente riscossa dall'utenza per raggiungere il break-even gestionale e dell'investimento necessario all'erogazione del servizio nel suo complesso.

[17] Non vogliamo estremizzare la nostra posizione ritenendo necessario il formulario anche per il trasporto dei rifiuti solidi urbani, indipendentemente dal fatto che essi siano destinati a smaltimento, o al recupero, distinguendo le finalità della raccolta da quelle del trasporto dei rifiuti urbani, certo si è che non possiamo nasconderci come anche in queste fasi gestionali vengano, talvolta, riscontrati comportamenti che occultano veri e propri "crimini", proprio basandosi sul fatto che la produzione di rifiuti conferita dall'utenza domestica, al di là dei controlli comunali sulla quale efficacia rimaniamo perplessi, raramente gli automezzi sono soggetti a pesature intermedie prima del conferimento agli impianti di smaltimento e/o di recupero dei rifiuti urbani, inoltre ciò non esclude che proprio durante la fase di raccolta, gli automezzi possano commistionare i rifiuti raccolti dall'utenza domestica con i rifiuti prodotti da altre utenze non domestiche, ponendo i relativi costi di smaltimento a carico della collettività (in quanto non raccolti con separato circuito con pesatura puntuale del rifiuto, eccetera) con correlativa "agevolazione" dell'utenza domestica "graziata". Di più, anche per il recupero (che sta diventando il futuro business degli operatori del settore,ma pure della criminalità organizzata) si potrebbe ipotizzare che il raccoglitore, proprio in assenza o carenza di controlli comunali diretti o indiretti che siano, convogli parte dei rifiuti commerciabili al di fuori del circuito, commistionandolo con altri flussi di rifiuti, raccolti dal soggetto che effettua il servizio in altri servizi che egli svolte nei confronti di altri privati, con propria convenzione (se non di compiacenti terzi) cioè al di fuori del sistema pubblico di raccolta - non essendovi l'obbligatorietà del privato a conferire al servizio pubblico - e quindi con il profitto derivante dalla vendita di questo materiale (carta, materiali ferrosi, eccetera) in danno alla pubblica amministrazione (e quind'anche ai cittadini-utenti) ai quali verrebbero ad essere sottratti quantitativi di materiale generanti ricavi (rectius, diminuzione tariffaria per l'utenza posto il principio di equivalenza tra i costi e i ricavi nel sistema tariffario per la gestione dei rifiuti, ex t.a.r.s.u.). Ancora, si potrebbe ipotizzare che al soggetto privato il Comune intenda riconoscere, nel contratto d'appalto, quale sorta di incentivazione al maggior raggiungimento di obiettivi di raccolta differenziata, una corposa percentuale del ricavo o dei corrispettivi dei consorzi di filiera Conai derivante dalla vendita del materiale recuperabile (in modo tale da risparmiare sul maggior costo di smaltimento del materiale conferito, per effetto di una non accorta differenziazione o raccolta di qualità dei rifiuti) e che questo soggetto, grazie alla presenza imprenditoriale nel settore, abbia tessuto una sorta di alleanza o accordo con altri soggetti che raccolgono e trattano rifiuti recuperabili (esempio carta o materiale cellulosico), in modo tale che presentandosi al consorzio di filiera (nel caso ipotizzato il Comieco) quale soggetto delegato dal Comune per la riscossione dei corrispettivi, esso abbia interesse, stante il menzionato riconoscimento della percentuale di corrispettivo o ricavo che sia, a inserire nel flusso dei rifiuti prodotti dall'utenza comunale anche flussi di rifiuti raccolti dal soggetto privato stesso o in accordo con altri (es. carta da supermercati o proveniente da attività industriali) in modo tale che, rispetto a quanto il soggetto privato avrebbe ottenuto vendendo direttamente il materiale sul mercato dei recuperatori (esempio carta ad una cartiera) l'ottenimento della percentuale del corrispettivo (se non di tutto il corrispettivo) consentirebbe, in frode al meccanismo delle contribuzioni statali e del sistema dei corrispettivi, un maggior ricavo (si esemplifica l'ipotesi: ad un appaltatore il Comune intende riconoscere il 50% del corrispettivo Comieco di €/tonn. 80 , il soggetto "drena" altro materiale che avrebbe potuto vendere alle cartiere ad €/tonn.25, è quindi evidente come in questa ipotesi il soggetto otterrà un extra-profitto di €/tonn.15 , anche il Comune - in questo caso -

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"beneficierà" di un maggior corrispettivo dovuto ad un quantitativo di rifiuti maggiore (non suo), ma ,per l'appunto, in frode (truffando) il Comieco, a tacere di altre fattispecie criminose (associazione a delinquere, furto, truffa, frode contrattuale, eccetera).

[18] C.Ciarlini-M. Santoloci, op. cit., ma pure E.Ronchi-M.Santoloci, op.cit.,pag.61 ove "Il servizio pubblico resta esonerato dagli obblighi del formulario anche se il ''servizio pubblico'' è dato in appalto ad una ditta privata, ma il beneficio di esonero dal formulario è valido solo negli orari, tempi, spazi e modalità previste dal contratto di appalto. Al di fuori di tali limiti precisi, la ditta privata appaltatrice non può certo trasportare altri rifiuti per proprio conto utilizzando l'appalto pubblico come copertura per evitare il formulario. Detta attività sarebbe doppiamente palesemente illegale: da un lato costituirebbe truffa ed attività fraudolenta a danno della P.A. (con reati ed illeciti civile conseguenti) e dall'altro determinerebbe la violazione (penalmente sanzionata) del regime di trasporto e del formulario previsto dal D.Lgs. n.22/1997. E consegue che anche il produttore/detentore che consegna i propri rifiuti ad una ditta privata "appaltante" il servizio pubblico ma con modalità estranee ai protocolli del medesimo servizio, e quindi essendo ben cosciente che il terzo trasportatore sta abusando del proprio ruolo, entra in corresponsabilità penale diretta con il trasportatore illegale".

[19] M.Santoloci, Rifiuti, acque, aria, rumore,cit.,pag.303 che motiva l'affermazione in quanto "la norma presuppone che detto servizio, gestito da un ente pubblico, fornisca garanzie di legalità e correttezza operativa".

[20] Lo jus variandi nell'esecuzione dei contratti di opere, di lavori, di forniture e di trasporti è in linea generale attribuito all'amministrazione appaltante dall'art.11 R.D. n.2440/1923 e dagli artt. 117 ss. R.D. n. 827/1924:

vale a dire da norme di principio che per comune opinione si applicano anche agli appalti - quali quelli in esame - di servizi, ex aliis, AA.VV., Appalti pubblic i di servizi, Giuffrè, Milano, 1998, pag. 435; AA.VV., I contratti degli enti locali, Cedam, Padova, 2000, pagg.390-460. D'altra parte che lo jus variandi è riconosciuto anche dalla normativa civilistica (artt.1659, 1660 e 1661 C.C.) ed è comunemente ritenuto esercitatile anche nel caso di appalti di servizi, cfr. Costanza, L'appalto privato, Utet, Torino, 2000, pag.424 ss.;

Rubino-Sammartano, Appalti di opere e contratti di servizi, Cedam, Padova, 1996, pag. 676 ss. Ne viene che lo jus variandi contemplato dalla normativa sui lavori pubblici è nulla di più che una più specifica espressione del più generale principio in tale materia contrattuale. Infine, si ammette che, ove (l'opera, la fornitura od) il servizio siano variati entro i limiti stabiliti dalla legge (e segnatamente quello del quinto d'obbligo in più od in meno) , l'esercizio dello jus variandi da parte dell'appaltante non esige particolari motivazioni (mentre l'appaltatore è obbligato ad assoggettarvisi) in quanto non si verifica una alterazione delle originarie pattuizioni contrattuali.

[21] Così M.Franco, Formulario di identificazione, in AA.VV., La normativa italiana sui rifiuti, Ipaservizi Giuffrè, Milano, 2002, pagg.192-193.

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