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13 gennaio Riecco la parolaccia con la "R" - Devo aggiustare la rotta?

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13 gennaio 2019 - Riecco la parolaccia con la "R" - Devo aggiustare la rotta?

Tutto il Mondo comincia a parlare di "recessione" [o meglio: "recessione"

è una parolaccia. Quindi leggo commenti che parlano di "rallentamento",

"stagnazione"...].

E non parliamo di episodi marginali, ma di Germania (sulla soglia di una recessione conclamata) e Stati Uniti (un sondaggio fra gli "esperti"

dichiara "un 25% di attese di recessione tecnica in America" ["recessione tecnica = due trimestri consecutivi di calo del PIL"]). Un commentatore autorevole accusa Xi Jinping di stare avviando la stessa Cina verso una

"stagnazione".

Reazione dei mercati?

Dow Jones +2.37%, indice dei semiconduttori +6.04%, Francoforte +1.11%, Nikkei +4.08%, Borsa di Shanghai +1.55%.

Rame fiacco stabile, greggio in rimbalzo, oro appena sotto 1300.

Dollaro in allentamento dappertutto. Non debole, ma smette di premere al rialzo su euro e periferie.

Vi ricordo che veniamo da un mese di pesanti ribassi delle Borse e Banche, dollaro e yen in tensione, materie prime deboli, sullo sfondo di dati economici negativi,

e che questo ribasso si era appena fermato, dieci giorni fa, in condizioni di mercato instabili e dubbie, perché un paio di Paesi importanti (appunto USA e Germania) avevano presentato dati più che decenti sull'occupazione, facendo quindi intravedere la possibilità di un'interruzione della serie negativa dei dati economici,

che invece è stata rilanciata in pieno questa settimana con il preallarme- recessione.

Senza che Borse e materie prime ricadessero, o che dollaro e yen decollassero,

avendo apparentemente ricevuto conferma dei timori che li avevano mossi in dicembre.

La domanda viene ovvia: sono impazziti? Sono perplessi su qualcuno dei dati? C'è qualche elemento che non abbiamo menzionato, che li muove? E poi, la domanda bellissima storica: sono, forse, irragionevoli?

E alla fine di tutte le domande c'è quella importante:

ci sono, in questo rimbalzo, indizi chiari che confermino o smentiscano il peggioramento dello scenario che si era visto nell'ultimo mese, cioè il netto indirizzamento di economica e moneta verso condizioni restrittive, recessione e deflazione?

E ancora:

ci sono chiarimenti sulla traiettoria dei tassi d'interesse? Cioè,

(2)

fermerà per un anno o due e rimanderà i prossimi rialzi o b) diretta continuazione, magari dopo una breve pausa, dell'aumento globale del costo del denaro, direttamente verso il 5/6% dei tassi a lungo termine americani?

Una risposta, viene dai numeri, e potrebbe chiudere qui la discussione (o rimandarla a argomenti più teorici):

il Dow Jones ha perso in un mese il 20%. L'unico precedente di un tonfo di questa velocità risale alla crisi bancaria del 2008 - un panico vero e proprio, con il -30% in un mese della "crisi Lehman".

Scontando il rimbalzo degli ultimi dieci giorni, che i dati economici negativi di questa settimana hanno comunque rallentato, il Dow è sotto del 12% in un mese.

Il primo mese di ribasso del crollo del Nasdaq nel 2000 (crisi delle "Dot Com") ammontò a poco meno del 10%.

Per Francoforte i numeri sono: perdite del 18% fra ottobre e dicembre, "ridotte" dal recente rimbalzo a -13%.

Banche tedesche: -37% ridotto a -32%.

E avanti così.

Cioè: dopo dieci giorni di rimbalzo, le Borse stanno ancora scontando dati e eventi negativi paragonabili alla crisi bancaria del 2008 o quantomeno dallo

"sboom" di internet vent'anni fa.

Ripeto: questa sobria valutazione basterebbe e avanzerebbe.

Se io facessi il giornalista. Se il mio compito fosse: avere un'opinione plausibile alla settimana.

Siccome invece sono pagato per ragionare fino in fondo su ogni minimo indizio e ricavarne una qualche efficacia operativa, c'è qualche altra risposta possibile.

La prima, l'avevo accennata domenica scorsa:

se i capitali in una economia sono insufficienti, questa economia tenderà a far ricorso a forza lavoro aggiuntiva anziché a investimenti in produttività.

Del resto, per esempio l'intera politica economica italiana da anni va in questa direzione (sia con il Jobs Act sia con le misure assistenzialiste in corso di allestimento).

Un aumento del numero di teste occupate è quindi compatibile anche con l'inizio di una recessione "da stretta del credito".

Il caso americano è un po' più complesso. Esistono anche tensioni salariali al rialzo. Gli stimoli fiscali ci sono stati. Prodotti bloccati dai dazi hanno dovuto essere rimpiazzati. Esistono dinamiche interessanti quanto all'occupazione femminile.

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Ma anche solo una valutazione "grosso modo" ci dice che sì, è possibile avere segnali di recessione nelle settimane uno e tre dell'anno, e segnali di buona occupazione nella settimana due.

Se ci sono meno capitali e più debito, e il debito non è ancora imploso.

Un'altra risposta, l'avevamo discussa circa un mese fa [analisi del 9 dicembre]:

la settimana ha visto un miglioramento delle attese degli operatori in merito alla diatriba sino-americana sui dazi.

La settimana che comincia oggi vedrà importanti colloqui al vertice fra le due amministrazioni,

e finalmente i commentatori hanno imparato a distinguere fra "la guerra che verrà" fra Cina e USA [argomento di un'intera biblioteca di studi negli ultimi anni],

e la controversia sui dazi posti da Trump. Che è seria, molto seria, ma che non è una guerra (= distruzioni irreversibili senza considerazioni economiche), bensì una dura trattativa (= ricerca di vantaggi economici a spese dell'avversario).

In una trattativa, gli eventi sono reversibili anche a breve termine. Un dazio annunciato può non entrare nemmeno in vigore. Può essere aggirato. L'economia viene deformata e ostacolata [un dazio è una tassa - odiosa e dannosa come ogni tassa], ma non cessa di guidare gli eventi.

Una trattativa sui dazi diventa una guerra quando instaura un sistema che ferma il commercio internazionale [blocco USA al Giappone, nel 1941].

Infine: se una trattativa è percepita come tale, capace cioè solo di ritardare transazioni, non di cancellarle, i mercati oggi sono in grado di aggirarla [non erano in grado nel 1929]. Di usare contratti a termine, opzioni, transazioni triangolari.

L'acquisto che non avviene direttamente su un mercato, avviene in altra forma altrove [caso recente: il boom dei noli quando Trump boicottò l'alluminio di Rusal].

Cose positive per l'economia? No. Aggiungono costi, allungano tempi, riducono libertà quindi efficienza e chiarezza dell'informazione, trasparenza dei prezzi quindi congruità delle decisioni.

Ma i mercati possono scontare in anticipo un peggioramento (novembre/dicembre) o un miglioramento quantomeno dei toni della trattativa (il suo esito finale... è una faccenda lunga).

Quanto importante è stato questo fattore nel sostenere le Borse e le materie prime in questi giorni?

Abbastanza. Lo è stato, e può spiegare l'incoerenza fra rimbalzo delle Borse e altri dati e fattori.

(4)

Ma.

Questo significa anche che in prospettiva la "soluzione", o quantomeno una soluzione intermedia, almeno alla fase più acuta della disputa tariffaria sino-americana, conta più del fattore che ritengo più importante nella crisi dei mercati in dicembre?

Ossia, conta più dei fattori monetari, dei rischi bancari, dei tassi e della disponibilità di capitale [ricordo che il tonfo di dicembre è stato guidato dalle Banche]?

Ossia, ancora: basta il sollievo di questi dieci giorni, per orientarmi verso l'altra delle due teorie che più plausibilmente spiegano le grandi crisi economiche dell'ultimo secolo? [Vedi analisi del 9 dicembre].

Una che considera prioritari, nel creare le grandi crisi, gli abusi del credito e della moneta,

e l'altra che attribuisce la crisi del 1929 alle tariffe con cui l'America stroncò definitivamente la "prima globalizzazione", già gravemente ferita dalla Grande Guerra.

Io considero interessantissime entrambe le ipotesi [per le certezze definitive, rivolgersi ai posteri], e entrambe immensamente più credibili delle favole marxiste o keynesiane.

Ma ho sempre considerato la tesi "monetarista" come più ampia, più capace di spiegare anche gli eventi positivi, con le stesse regole [mutando il segno] di quelli negativi.

Gli eventi della settimana mi fanno cambiare idea?

No, troppo presto.

E più in generale: no, non credo che un'economia, anche completamente esente da dazi e tariffe, in cui i prezzi internazionali siano chiarissimi e liberi di allocare le risorse nel modo più efficiente, possa prosperare se la moneta e il costo dei debiti pubblici fanno impazzire quegli stessi prezzi perfino a livello locale, perfino da un mese all'altro, negando il credito a un settore in crescita e attribuendolo a un settore decotto soltanto per la loro diversa prossimità agli "erogatori di credito".

Cattive tasse e dazi sono come mazzate sulla testa. Tizio colpisce Caio, Caio stramazza. Ma la cattiva moneta è come il veleno. Ne basta poca in circolazione, e sia Tizio sia Caio smettono di sentirsi bene, qualunque cosa facciano. Senza nemmeno sapere cosa stia "andando per il verso sbagliato". Si ammala gravemente l'avvelenato, ma sta poco bene anche il medico che lo cura, che quindi sbaglia la diagnosi.

Secondo me, la moneta e il credito sono un rischio molto maggiore.

E tuttavia: gli eventi della settimana mi fanno riflettere? Sì.

Una parte del tonfo di dicembre può essere stata esagerata da paure sui dazi, maggiori di quanto avessi calcolato? E' possibile.

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Qualche allarme estremo può essere stato toccato soltanto grazie a questi timori, o forzato da timori che in realtà non avevano a che vedere con le Banche o i tassi, e quindi non essere valido ai fini dello scenario?

Sì, è possibile, e quindi dobbiamo pesare bene i segnali che abbiamo visto.

Il rally di dieci giorni fa, e la mancata risposta negativa dei mercati ai dati economici mediocri di questi giorni, possono indurmi a rivalutare il peso della questione "dazi"

nello scenario.

(S'intende: oggi come oggi, in direzione positiva, visto che a quanto pare potrebbe aver zavorrato i mercati più del previsto).

Infine - per arrivare a una sintesi su questa "strana" settimana:

la moneta e il credito, non c'entrano nulla?

Non c'è stato qualcosa, nella settimana appena trascorsa e nella precedente, che attribuisca invece proprio al fronte moneta/tassi/Banche il rimbalzo delle Borse?

Mah...

Qualcosa c'è, e non è poco.

Qualche segnale di "attenzione delle Banche centrali ai rischi di recessione", quindi di "allentamento monetario", quindi di "lettura positiva dei dati negativi" ["l'economia rallenta quindi il denaro costerà meno"],

sì, c'è.

Il presidente della FED, Powell, pur tenendo testa a Trump, si

"copre le spalle": in caso di rischi di recessione, non sarà lui a farsi incolpare di aver stretto troppo il credito. E lo dice.

Il dollaro rallenta. L'oro regge vicino a 1300, anche se ci ha picchiato la zucca e si è fermato da dieci giorni.

I metalli non cedono compattamente.

Tutto questo c'è.

Che tutto questo basti a mandare su il Dow Jones di 1000 punti...

mah...

Il dollaro non dà segnali di vera e propria debolezza su nessun fronte.

E' sopra 1300 contro oro, sopra 1.15 (figuriamoci 1.18) contro euro, sopra 95 sul Dollar Index, sopra 0.73 contro australiano (figuriamoci 0.75/0.78).

L'unico cambio dove ha avuto qualche momento di serio panico... è contro yen. E sappiamo che "yen forte" significa "credito scarso", anche in dollari.

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1) il ribasso delle Borse forse era stato troppo rapido; un rimbalzo che riduce le perdite di un terzo o un quinto, ci sta;

2) così anche, e senza ""forse", il rimbalzo del greggio (che a sua volta aiuta un settore importante della Borsa a New York, Milano, Londra, Rio de Janeiro e altrove);

3) è indubbiamente da "pesare", forse da rivalutare in importanza per gli operatori, il tema della "guerra dei dazi", che finora (incluso oggi) considero strutturalmente secondario.

4) il tema monetario resta:

* a oggi nessuno dei rimbalzi interrompe i ribassi dell'autunno e di dicembre sui settori bancari;

* ai primi accenni di rimbalzo "da dollaro facile", i bond americani si piantano, con un calo fino all'1% che brevemente intacca 145.

C'era voluto un mese di crollo delle Borse per far scendere i tassi dei trentennali da 3.40 a 2.90...

... e una settimana di attenuazione del panico li rimanda da 2.90 a 3.10?

Powell può promettere quel che vuole, ma i bond da ormai due anni dettano l'agenda alla FED - non viceversa.

Fra bond riottosi, banche ancora deboli e yen forte,

a me il tema "stretta del credito" continua a sembrare quello dominante.

I mercati mi dicono di fare maggior attenzione a un altro fronte.

Vediamo nei prossimi gironi cosa ne dice la realtà.

Io per adesso non modifico nessuna delle impostazioni operative.

Fra l'altro, per il seguente motivo.

Non è stata la "guerra dei dazi" a frenare l'economia cinese.

Una "pace dei dazi" non restituirebbe al Mondo una Cina forte e pronta a fornire capitali.

La forza dello yen, che significa "in Asia ci sono pochi soldi pronti a partire verso gli USA", conferma questa idea.

Quindi: registro una settimana complessa per dati e temi, mantengo la rotta,

non ho avuto informazioni chiarificatrici sul "grande tema" della "svolta immediata o meno del ciclo dei tassi d'interesse",

anche se i commentatori, con il loro gran parlare di "recessione americana e tedesca", sembrano invece avere le idee chiarissime.

Tanto chiare, che comprano in Borsa.

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Levatemi di dosso gli Esperti, che c'ho da studiare.

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