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Ex ante, l’aver preso le mosse da questo complesso e variegato personaggio – pittore, storico dell’arte e restauratore egli stesso

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Academic year: 2021

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IX INTRODUZIONE

Questo lavoro di ricerca prende le mosse dai pionieristici contributi di Massimo Ferretti, Roberto Paolo Ciardi e Maria Teresa Filieri, che a partire dalla fine degli anni Settanta del Novecento hanno, in momenti diversi, dedicato i loro studi alla nascita di una politica di tutela nel Ducato di Lucca, alle vicende legate alla formazione di una struttura museale e, in linea generale, agli obiettivi perseguiti dalla Commissione per la Conservazione dei Monumenti di Belle Arti. Interessata soprattutto alla figura di Michele Ridolfi, che è stato più volte definito il motore della nascita dell’organismo statale, ho deciso di concentrare la mia attenzione su di lui e sull’ampia e programmata attività – progettuale, metodologica e operativa – di restauri di dipinti da lui ispirata alla Commissione, aspetto che nonostante fosse stato toccato da chi prima di me ha studiato la realtà lucchese della prima metà dell’Ottocento, non era stato mai oggetto di uno specifico approfondimento. Da questa scelta nasce la decisione di indagare il periodo che va dal 1819, momento in cui venne costituita la Commissione, al 1854, anno della morte di Michele Ridolfi.

Rispetto a questo arco cronologico, però, il campo di analisi è stato ampliato in entrambi i sensi. Ex ante, l’aver preso le mosse da questo complesso e variegato personaggio – pittore, storico dell’arte e restauratore egli stesso –, rendeva indispensabile fare chiarezza sull’ancora nebulosa fase del suo soggiorno romano, della quale, fino a questo momento, erano noti pochi dettagli e che, invece, sembrava meritare una più attenta considerazione come momento determinante per la sua formazione artistica e culturale. Per questo motivo il lavoro inizia con la formazione lucchese di Michele Ridolfi e, soprattutto, con il suo arrivo a Roma nel 1813; sono state delineate, così, le esperienze di Ridolfi prima di diventare Conservatore della Commissione, in modo tale da seguire il suo approccio alla pittura in patria e, soprattutto, da operare un tentativo di ricostruzione di quella che fu la sua crescita personale e professionale nella Roma napoleonica e papale. Questo, quindi, diventa il presupposto indispensabile per affrontare argomenti come il contributo da lui dato ai Decreti emanati dalla Duchessa Maria Luisa di Borbone nel 1819, quando egli era tornato a Lucca da un anno, e per entrare, poi, nel vivo dell’attività della Commissione e delle sue politiche di restauro.

Ex post, l’attività della Commissione è stata indagata ben oltre la morte di Michele Ridolfi, avvenuta nel 1854, e cioè fino al 1883, seguendo in particolare le vicende di operatori e opere restaurate a cura del Nostro. In questa maniera è stato possibile reperire

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notizie su progetti di restauro non conclusi; ottenere utili particolari sulle pratiche e metodologie usate nei restauri precedenti, in occasione di nuovi interventi; prendere atto dello stato di conservazione di alcuni dipinti negli anni successivi al restauro; approfondire l’analisi su alcune figure che avevano lavorato per la Commissione, grazie a pareri posteriori e quindi più distaccati, o constatare la crescita professionale di altre.

Fondamento dell’indagine che sta alla base di questo lavoro, è stata senza dubbio la ricerca d’archivio che è partita da due grossi fondi: quello della Commissione di Belle Arti conservato nell’Archivio di Stato di Lucca e il Legato Ridolfi che si trova, invece, nella Biblioteca Statale della stessa città. Le carte della Commissione di Belle Arti, suddivise in tre fondi relativi agli anni 1819-1849, 1849-1871 e 1872-1883, sono state analizzate in maniera sistematica per quanto riguarda il periodo cronologico di riferimento. Incoraggiata da alcuni saggi, ho deciso, poi, di allargare l’esame anche ai documenti successivi alla morte di Ridolfi, concentrandomi su personaggi e interventi che erano già stati oggetto d’indagine.

Riguardo, invece, al Fondo di Michele Ridolfi conservato nella Biblioteca Statale di Lucca, è stata fatta l’analisi sia dei cosiddetti Scritti e documenti, carte sciolte ordinate negli anni Ottanta in 12 “manoscritti” (Mss 3662-3673), sia dello sterminato carteggio, che annovera quasi 350 corrispondenti a cui scrive Ridolfi e circa 500 mittenti di lettere a lui inviate, per un totale di più di 4200 lettere suddivise in 23 “manoscritti” (Mss 3590-3512).

La scelta dei numerosi corrispondenti indagati è stata fatta, oltre che, ovviamente, sulla base della loro notorietà, seguendo criteri cronologici, tipologici, geografici, di contesto cittadino e di ambiente professionale e, partita da un nucleo iniziale di un centinaio di nomi, è stata allargata in corso d’opera – fino a raggiungere il numero di circa 180 corrispondenti – grazie ai dati emersi dal carteggio stesso. Fondamentali sono state le lettere con i parenti, gli amici intimi e le famiglie lucchesi che appoggiarono economicamente il Nostro durante la sua formazione, che hanno rappresentato una preziosa fonte di approfondimento riguardo ai cinque anni trascorsi da Michele a Roma.

Altrettanto importanti sono stati gli scambi epistolari tenuti da Ridolfi con i membri della Commissione, con i vari organi ed esponenti del Governo ducale e poi granducale, con le Opere e gli Operai delle Chiese, con i restauratori o con il variegato mondo di artisti, eruditi e accademici. Il carteggio, infine, si è rivelato indispensabile per allargare il raggio di indagine sulla sua attività di restauratore al di fuori della realtà lucchese e ci ha restituito l’immagine di un Michele Ridolfi tutt’altro che concentrato all’interno della sua patria, mettendo in luce come, al contrario, i suoi interessi e le sue aspirazioni andassero ben più lontano.

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La documentazione raccolta attraverso questi due grandi fondi archivistici è stata poi integrata con lo spoglio e l’analisi di altro materiale: dalle carte degli organi Ministeriali di Maria Luisa e Carlo Ludovico di Borbone, inerenti l’attività svolta dalla Commissione tra il 1819 e il 1847 (Fondi Reale Intima Segreteria di Gabinetto e Direzione Generale dell’Interno dell’Archivio di Stato di Lucca) a quelle dell’Archivio dell’Opera di Santa

Croce di Lucca; dai documenti dell’Archivio storico del Comune della stessa città a quelli dell’Archivio storico delle Gallerie fiorentine. Un contributo indispensabile è emerso anche dall’analisi del carteggio di Tommaso Minardi conservato nel Fondo Ovidi dell’Archivio di Stato di Roma. Infine, confronti interessanti sono stati fatti grazie all’indagine nell’Archivio restauri della Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici Artistici ed Etnoantropologici per le province di Lucca e Massa Carrara e nell’Archivio fotografico della Soprintendenza di Pisa e Livorno.

La ricerca archivistica, associata all’analisi dei numerosi scritti di Michele Ridolfi, oltre, naturalmente, a quanto già pubblicato su Ridolfi e la Commissione di Belle Arti, ha permesso di centrare in particolar modo tre obiettivi.

Innanzitutto, come primo filone di indagine, si è voluto approfondire la politica perseguita dalla Commissione, che, se analizzata focalizzando l’attenzione sulla campagna di restauro, attraverso i contributi congiunti di Ridolfi, del Presidente Antonio Mazzarosa e dei pittori Pietro Nocchi e Raffaele Giovannetti, è stata indagata anche in rapporto alle attività ad essa correlate, come l’operazione di inventariazione sul territorio, il controllo delle esportazioni o i progetti per la realizzazione di una Real Galleria.

La ricerca ha, inoltre, contribuito a ricostruire la crescita culturale e professionale di Michele Ridolfi, mettendo in evidenza il suo percorso da aspirante pittore a operatore di tutela e l’evoluzione di una cultura del restauro, intesa non in senso teorico e speculativo ma operativo e metodologicamente aderente alla realtà materica del singolo manufatto.

Andando avanti negli anni della campagna di restauro e analizzando la carriera del Nostro come restauratore, è possibile, quindi, leggere il passaggio da posizioni che potremmo definire ancora vicine alla pratica pittorica e alla figura dell’artista, volte a valorizzare soprattutto l’immagine dei dipinti – penso, ad esempio, al principio delle integrazioni rigorosamente mimetiche anche in relazione alle lacune di grande entità – ad atteggiamenti, invece, attenti all’individualità delle singole opere, a calibrare l’azione in base al degrado specifico e alle singole esigenze del bene, a curare la conservazione globale di aspetti materici e di immagine, di cui sono dimostrazione le crescenti e sempre più moderne attenzioni per telai e supporti, o l’avvicinamento ad un’interpretazione dell’integrazione pittorica più rispettosa nei confronti dell’osservatore e più consapevole

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dell’impossibilità di mimetizzare le ricostruzioni di ampie zone lacunose. Frutto di questa visione del restauro come cultura del fare è anche l’attenzione posta da Ridolfi e dalla Commissione nelle pratiche rivolte alla conservazione e manutenzione delle opere.

Infine, il terzo piano di lavoro, che prende spunto anche dalla volontà di seguire e valorizzare l’approccio culturale e operativo appena descritto, ha avuto come oggetto la ricostruzione, spesso eseguita attraverso la correlazione di poche tracce tratte dal verbale di un’Adunanza o dai conti di spesa di sgrammaticati artigiani, dei singoli interventi di restauro. Si è cercato, dunque, di leggere e interpretare le ragioni connesse ai diversi approcci sulle opere, da cui si evince che essi erano motivati in primo luogo dall’analisi delle loro condizioni conservative. È emerso, inoltre, che a interferire con questi obiettivi è intervenuto spesso un fattore extra-artistico, ma certo non indifferente, come quello economico, che spingeva, in alcuni casi, a scegliere un operatore piuttosto che un altro o a limitare il lavoro agli interventi più urgenti.

Anche questi tasselli, all’interno di un quadro ben più ampio e complesso, hanno contribuito a restituire una visione più completa della realtà del restauro a Lucca come pratica fondante della cultura locale. In questo modo, quindi, è stata compiuta una ricostruzione filologica della metodica degli interventi, parte integrante della storia conservativa delle opere, che, spero, potrà essere un utile strumento di conoscenza e di progettazione di futuri restauri.

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