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4. IL GROTTESCO NELL’ARTE DEL CINQUECENTO

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4. IL GROTTESCO NELL’ARTE DEL CINQUECENTO

Prima di entrare dettagliatamente nel merito dell’arte di Arcimboldo vorrei affrontare il tema di quell’arte cinquecentesca riconducibile all’area tematica del grottesco. In base a svariati studi approfonditi sull’argomento, si può tranquillamente sostenere come il filone del comico-grottesco, in arte, sia un’importante presenza trasversale fin dal Quattrocento: basta pensare agli studi di Leonardo in materia di fisionomia e ai suoi interessi per i soggetti di natura comica.

Il grottesco in arte poteva avere svariate funzioni: poteva infatti essere decorativo, andando ad inserirsi all’interno della grande tradizione delle decorazioni ai margini dei codici medievali, o delle chiese romaniche e gotiche, ricche di esseri dalle fattezze mostruose

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.

Altra funzione del grottesco era quella di espediente per l’esaltazione del bello: in questo caso, era sfruttata la figura retorica dell’antitesi, al fine di creare forti contrasti

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estetici dal valore spesso moraleggiante. Infine la

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Per una panoramica sull’uso del grottesco decorativo: Cfr. J. BALTRUSAITIS, Il medioevo fantastico-antichità ed esotismi nell’arte gotica, Adelphi, Milano 1973, A.A.V.V., Rabisch: Il grottesco nell’arte del Cinquecento, Skira editore, Milano 1998.

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Lo stesso Leonardo consigliava al pittore di collocare il brutto vicino al bello, il vecchio

vicino al giovane, il grande vicino al piccolo, il forte vicino al debole, al fine di esaltare le

caratteristiche dei primi, rispetto ai secondi.

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bruttezza grottesca era utilizzata anche come evidente segno di degenerazione in senso sia comico che malefico.

Lungo la storia dell’arte si possono trovare centinaia di esempi di quest’applicazione del grottesco, specie per ciò che riguarda la sua accezione di segno del male e del diabolico (pensiamo alle rappresentazioni di demoni e diavoli dalle sembianze orribili e mostruose, alle scene della Passione di Cristo, ricche di figure dai tratti orribili e deformi, come il Cristo deriso, la Crocefissione e cosi via).

Altro contesto d’uso del tema grottesco era quello relativo alle scene di martirio dei santi, in cui personaggi dallo splendore divino erano accostati a persecutori caratterizzati da una bruttezza fisica, specchio della loro malvagità e meschinità spirituale. In altri casi ancora il grottesco poteva costituire una personificazione del vizio (come nel Gesù tra i dottori di Albrecht Dürer, o nell’opera di Mantegna Atena che espelle i Vizi dal Giardino delle Virtù). Il grottesco nella sua accezione comica aveva una diffusione meno uniforme nell’arte italiana, e quando vi era presente era più legato al mondo figurativo nordico; le prime stampe italiane contenevano solo sporadicamente qualche elemento grottesco, sotto l’influenza del vasto repertorio di opere fiamminghe e tedesche che circolavano in gran copia all’epoca.

Essendo il tema di questo studio le composizioni ‘grottesche’ di

Arcimboldo, una trattazione accurata della tematica non può prescindere

dalla menzione di quello che è stato sicuramente la principale fonte

d’ispirazione del pittore milanese, specie per ciò che concerne l’ideazione

delle teste composite: Leonardo da Vinci. Il genio toscano ha

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un’importanza fondamentale nello sviluppo della tematica del grottesco

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. I suoi studi di fisionomia, in particolare quelli del volto umano nelle sue molteplici espressioni e deformazioni, costituiscono la base delle ricerche arcimboldesche, e molte opere del nostro artista, mostrano evidenti debiti nei confronti del genio vinciano.

Alessandro Allori e officina, Figure Ibride, Firenze, Uffizi, Corridoio Vasariano

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Sul tema delle teste grottesche e degli studi fisiognomici e anatomici di Leonardo vedi

M. CLAYTON, Leonardo Da Vinci, The Divine and The Grotesque, Royal Collection

Enterprises Ltd, 2002.

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Albrecht Dürer, Gesù fra i dottori, Olio su tavola 1506, Madrid, Museo Thyssen-

Bornemisza

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Andrea Mantegna, Atena caccia i Vizi dal Giardino delle Vitù, 1499-1502, tempera su

tela, Parigi, Louvre.

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Dai molti studi in materia sembra che i primi interessi di Leonardo per l’arte comica e il grottesco risalgano al periodo milanese, durante quelli che furono gli anni della sua giovinezza. È possibile quindi situare una buona parte delle cosiddette «teste grottesche» nel decennio che va dalla metà degli anni ’80 fino ai primi anni ’90 del Quattrocento, periodo in cui il comico-grottesco divenne un tema coerente e ricorrente nella sua produzione artistica. Le prime composizioni ascrivibili al tema del grottesco sono piccoli schizzi a penna che indagano la struttura del volto umano in condizione di permanente inespressività. Tali studi avevano probabilmente un carattere didattico e suddividevano il volto in quattro sezioni: la fronte, il naso, la bocca e il mento. La maggior parte delle teste grottesche erano buffe deformazioni delle suddette quattro parti.

Le composizioni più elaborate sono databili ai primi anni ’90 del Quattrocento, periodo in cui Leonardo era intento a raccogliere materiale per il suo trattato sulla pittura, e in particolare stava cercando di definire le proporzioni del volto umano. Il loro scopo era chiaramente quello di divertire e il particolare grado di accuratezza stilistica di alcune di esse, suggerisce la loro destinazione a un pubblico. Non è dato sapere in che misura i gusti degli Sforza (presso i quali lavorava Leonardo) influenzassero l’arte leonardesca, ma è certo che quelle composizioni grottesche avevano uno stile molto sofisticato; alcune erano satiriche e sbeffeggiavano la vanità dei vecchi, che Leonardo considerava degna di ridicolo. Certamente non costituivano studi finalizzati a far parte di una più ampia trattazione della fisionomia umana, e nemmeno facevano parte di studi per dipinti futuri.

Eccetto qualche caso, le teste grottesche non avevano nemmeno

carattere caricaturale, almeno non nel senso di un’esagerazione di tratti

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individuali per giungere a una somiglianza esasperata

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. In ultima analisi, le teste non rientravano in studi sulla deformità patologica. L’artista amava ritrarre volti bizzarri, menti eccessivamente prominenti o rientranti, bocche sdentate e tratti fisici ed effetti caratteristici della condizione senile, ma non era affatto interessato a nani, gobbi, teste gozzute e bitorzolute, deformità normalmente considerate buffe e divertenti. Si deve concludere che dietro l’interesse di Leonardo per il comico-grottesco non vi era alcun interesse specifico o programmatico. Come genere esso occupò la sua attenzione meno a lungo di quanto la posterità sia disposta a credere. Al di là della folta produzione del 1490, le rappresentazioni del grottesco sono disseminate lungo tutto l’arco della carriera artistica leonardesca, e il comune denominatore sembrava essere la voglia di mettere alla prova le proprie potenzialità nella creazione delle forme.

Le teste grottesche di Leonardo rivestirono una grandissima importanza, poiché grazie alla circolazione di copie e stampe, costituirono un vero e proprio tesoro per artisti alla ricerca di volti, espressioni, pose e atteggiamenti grotteschi. La loro influenza non si arrestò ai confini nazionali ma giunse anche in territori come le Fiandre e La Germania

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,

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Non si può parlare di una vera e propria tradizione della caricatura prima dei contributi dei Carracci, e dei loro allievi a Bologna e Roma, attorno al 1600. Tra i lavori del maestro di Vinci pochissimi possono essere rubricati come ritratti individuali comicamente distorti: un piccolo ma significativo esempio è offerto da un ritratto ora a Windsor e estrapolato da una pagina del Codex Atlanticus (f-103r-b) datato1517. Leonardo al tempo risiedeva in Francia, e dallo stile tipicamente italiano del copricapo si desume che il ritrattato fosse un visitatore alla corte francese. Esempi di questo genere sono molto rari nell’opera leonardesca e la coerenza delle sue creazioni dimostra come nella maggior parte dei casi, esse fossero opere di fantasia e non giocose manipolazioni della realtà.

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Echi dell’influenza delle ricerche fisionomiche leonardesche sull’arte tedesca

cinquecentesca sono particolarmente evidenti in Dürer che, a più riprese utilizzò le

tipologie umane derivate da Leonardo, associando sempre la bruttezza grottesca con il

malvagio e il corrotto. Altri artisti in particolare nelle Fiandre risentirono dell’influenza

degli studi fisionomici leonardeschi.

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dove si andarono a fondere con il repertorio immaginifico locale, già molto ricco di figure diaboliche, ferine e bizzarre.

All’inizio del Cinquecento si assistette inoltre alla rinascita di un rinnovato interesse per la tradizione locale milanese, identificandola in buona parte proprio con l’eredità leonardesca, i cui manoscritti furono oggetto di una nuova attenzione. Assieme a questa ‘rinascenza’ di temi leonardeschi un altro fenomeno che prese corpo nel XVI secolo (in particolare nella sua seconda parte) fu la penetrazione di idee di stampo contro-rinascimentale, le quali facevano da sfondo a correnti anti letterarie e anti pedantesche

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Come si può ben vedere, l’esigenza di uscire dai canoni stilistici imposti dall’Umanesimo, era sentita non solo negli ambiti pertinenti le arti visive, ma anche in quelli letterari, dove il pedantismo aveva lasciato un corpus piuttosto ampio di regole e precetti alle quali sembrava essere impossibile sottrarsi. L’irregolarità era punita con la relegazione ad arte marginale e questo valeva anche in campo letterario. Espressione di queste idee e correnti erano alcuni principi di base: un tono antidogmatico, che corrisponde all’esaltazione del disordine consapevole e della varietà e mutevolezza infinita delle cose, l’idea della vanità di ogni sapere libresco e l’enfasi posta sull’ispirazione e l’estro creativo. A tali principi si legavano

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Per una panoramica dello sviluppo del tema grottesco Cfr. A. PINELLI, La bella maniera: artisti del Cinquecento tra regola e licenza, G. Einaudi, Torino, 1993, G R.

HOCKE, Il mondo come labirinto: maniera e mania nell’arte europea, dal 1520 al 1560 e nel mondo di oggi, Theoria, Roma, 1989, P.THOMSON, The Grotesque, Methuen &

Co Ltd, Fakenham, Norfolk 1972. A. PINELLI, La bella maniera: artisti del Cinquecento tra regola e licenza, G. Einaudi, Torino, 1993.

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tematiche, che successivamente sarebbero divenute veri e propri stilemi stilistici del Manierismo artistico e letterario: il rifiuto del concetto di limite, finitezza ed equilibrio, il disprezzo nei confronti dell’artificio, il ripudio del sistema di leggi universali (ereditato dal Medioevo) a favore del decentramento, della degerarchizzazione, di un’attenzione al particolare e alla singolarità degli individui, infine, un concetto di fondamentale importanza per lo sviluppo della tematica del grottesco, l’esaltazione degli umili degli ignoranti e dei folli. Quest’ultimo concetto è la chiave di lettura del cosiddetto «primitivismo» cinquecentesco, che mirava all’esaltazione della semplicità naturale e dell’ispirazione individuale, e che faceva spesso ricorso al genere comico-popolare

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L’interesse per l’elemento comico-grottesco andava sempre nel senso di una rottura di confini, di un allargamento del campo della rappresentazione, di una ricerca di varietà e verità che troverà piena realizzazione nell’estetica barocca

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.

È nella concezione grottesca del corpo che avviene lo scambio di livelli culturali più interessante. In questo preciso contesto la tradizione popolare si incontra con l’idea, molto diffusa nel Rinascimento, dell’uomo come microcosmo. Il corpo era considerato mescolato con tutti i fenomeni della natura, e capace di accogliere in sé i quattro elementi (inevitabile non pensare alle Stagioni arcimboldesche). Nella sfera comica però l’idea veniva intesa in senso letterario, e si arriva alla creazione di veri e propri

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Cfr. M. PRAZ, Il giardino dei sensi, Arnoldo Mondadori Editore, Venezia 1975L.

SECCHI-TARUGI, Disarmonia, bruttezza e bizzarria nel rinascimento, Franco Cesati Editore.

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È con Caravaggio ad esempio che la realtà quotidiana entra prepotentemente nell’arte

sacra e non solo, la distanza tra ideale e reale viene così abbattuta in favore di una

dimensione comune che accomuna tutti: quella umana

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mostri e chimere, smembrando così il corpo umano e sostituendolo con elementi di vario genere. Questo meccanismo, portato ai massimi livelli da Arcimboldo, (come anche da Rabelais in letteratura) si basava in genere su somiglianze formali tra oggetti o cibi di uso quotidiano.

Il Manierismo pittorico e letterario quindi sembra avere tra i suoi tratti principali proprio questa ricerca di commistione tra elementi diversi, tale tendenza era ravvisabile anche in letteratura, dove la mescolanza degli stili (elevato, medio e basso) era la «regola». Questa posizione esprimeva un deciso rifiuto dell’antico sistema «dogmatico» ereditato da Aristotele, dell’assoluta e imprescindibile distinzione degli stili, che inevitabilmente aveva posto da sempre limiti alla creatività e fantasia artistica e letteraria.

Luogo e simbolo della contaminazione stilistica in arte era anche e soprattutto la decorazione grottesca. Da sempre relegate in una posizione di marginalità, queste fantasiose e stravaganti decorazioni, nel Cinquecento divennero proprio l’area di commistione degli stili per eccellenza. In esse si fondevano citazioni classiche (figure di satiri e ninfe, intrecciati a stupendi motivi floreali) creature provenienti dall’immaginario medievale (chimere multicefale e mostri di vario genere) fantasia sfrenata e osservazione acuta della natura

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.

Attraverso il mistero della «grotta», queste decorazioni dalla natura dinamica e licenziosa, si andavano a ricollegare anche alla dimensione del fantastico e del sogno, convogliando al loro interno l’intero universo semantico del capriccioso, dell’insolito e del bizzarro cinquecentesco. Nella

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Il connubio di fantasia sfrenata e osservazione attenta del mondo naturale accomunava tanto le decorazioni grottesche che la straordinaria arte di Arcimboldo, l’uno sembra l’espressione in forma ritrattistica delle altre.

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pittura manierista, esse rappresentavano uno sbocco anti-intellettualistico importante ma circoscritto, molto diverso da quello osservabile nel naturalismo di stile medio, idillico o elegiaco, che si muove in un’area espressiva più ampia ed elevata. L’idea della licenza, presente in tutta la letteratura sulle grottesche denota senz’altro un genere umile, quasi ai confini con la caricatura. Al regno del comico si collegano soprattutto i paradossi tipici di questa tipologia decorativa come il rovesciamento della legge di gravità e dei principi illusionistici e prospettici, e la stessa tematica del «mondo alla rovescia. In quest’ universo capovolto tutto si animava e le distinzioni e convenzioni erano abolite, come anche le gerarchie e gli statuti rappresentativi. Insomma, nella grottesca la vasariana licenzia prendeva il sopravvento rispetto alla regola.

4.1. Il grottesco nei Paesi Bassi

Nell’arte neerlandese del Quattrocento e del Cinquecento il particolare filone che riflette il gusto per il comico, il grottesco e il rustico subì certamente l’influsso dell’Italia, e sua volta i Paesi Bassi apportando elementi innovatori agli sviluppi italiani di questo genere

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. Già Leonardo da Vinci negli anni della sua giovinezza, poté beneficiare della gran copia di scene fiamminghe dal carattere comico-profano presenti nei palazzi e nelle ville medicei: «donne che si bagnano», «brigate che danzano la moresca», «grassi che suonano il liuto». Alcuni di questi soggetti furono

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Cfr. A.A.V.V., Rabisch: Il grottesco nell’arte del Cinquecento, Skira editore, Milano

1998

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tradotti in stampa a Firenze durante il tardo Quattrocento, permettendo così agli artisti di venire a contatto con tematiche figurative diverse e innovative.

Accanto a queste tipologie di opere profane, vi erano anche altri modelli ai quali gli artisti potevano attingere, ad esempio La coppia mal assortita, tema universalmente considerato ridicolo e utilizzato anche da Leonardo.

Viceversa, immagini di carattere grottesco, inventate dall’artista fiorentino giunsero precocemente ad Anversa, dove furono da subito note anche le sue opere di soggetto sacro

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.

Il primo caposcuola anversese è considerato Quintin Matsys (Lovanio 1466-Anversa 1530), diede spazio a una pittura di genere burlesco, satirico- moralistico. Nella sua opera i prototipi leonardeschi sono molto facili da individuare, in particolare l’artista fiammingo conobbe, ammirò e s’ispirò al celebre Disegno con cinque teste grottesche ora a Windsor, da cui attinse diversi elementi. Nel suo Trittico dei falegnami (eseguito a olio tra il 1508 e il 1511) gli aguzzini di San Giovanni oppongono la loro ridicola bruttezza alla serenità fisica che incarna la virtù cristiana del Santo. Il Matsys prese a prestito anche altri «visi mostruosi» ad esempio nella cosiddetta Duchessa brutta della National Gallery di Londra, dalla bruttezza incredibile, rafforzata dai tratti fisiognomici scimmieschi e dall’acconciatura e abbigliamento antiquati.

Altro artista importante nello sviluppo della tematica del grottesco fiammingo è Hieronymus Bosch (Hertogenbosch 1450- Hertogenbosch 1516). Iniziò la carriera prima di Matsys e toccò un altro tema legato al

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La presenza di Leonardo in Francia dal 1517 in poi su senz’altro importante per questi

sviluppi nei Paesi Bassi .

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bizzarro: quello demoniaco d’ispirazione etico-cristiana

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. Anche Bosch trae molti spunti dall’arte grottesca di Leonardo, com’è evidente nei volti degli aguzzini nel Cristo porta croce di Gand, dove le mezze figure dei personaggi accanto al Cristo tradiscono chiaramente deformazioni caricaturali riprese dall’artista fiorentino.

Con Pieter Bruegel il Vecchio (Bruegel 1525-Bruxelles 1569) la pittura fiamminga, specie quella di genere, raggiunge un punto altissimo. Se da una parte egli continuò la tradizione delle bizzarrie alla Bosch, il suo gusto per il paradosso e il ridicolo andava molto oltre, e ben poche sue opere possono destare il riso o almeno il sogghigno dello spettatore. Il grande Bruegel da tempo è chiamato anche il Bruegel dei contadini, per il suo interesse per questi tipi umani. Possiamo dire che mentre nella fisionomia dei personaggi i dipinti bruegeliani non seguono i canoni leonardeschi del Matsys, molti rispondono al concetto italiano di comico; ad esempio nel Paese della Cuccagna (1567, Monaco di Baviera, Alte Pinakothek) i contadini, così inclini alla gola, recano come conseguenza una ridicola malformazione, il grasso eccessivo che finisce per tradire nei loro corpi un vizio sia fisico che morale.

Naturalmente il filone comico, satirico o burlesco nella pittura o incisione del Nord non si esaurisce in questi pochi esempi, tra gli artisti appartenenti al manierismo internazionale si trova anche Hans Aachen (Colonia 1551-Praga 1615) il quale eseguì alcuni quadri ricchi di elementi

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Secondo Karel Van Mander, Bosch «aveva nella testa cose strane e rare, dipingendo

scene infernali con fantasmi, demoni e mostri non tanto gentili quanto spesso

spaventosi». Per Lodovico Guicciardini, fonte del Vasari, egli «fu inventore nobilissimo e

meraviglioso di cose fantastiche e bizzarre».

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L

burleschi

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. Con la generazione di pittori successiva, il realismo dei temi satirico-poplari conobbe una diffusa fortuna prolungata nel tempo, non solo entro i confini dei Paesi Bassi ma anche nelle province settentrionali del paese.

Quentin Matsys, La duchessa brutta, 1523-30, Olio su legno, Londra National Gallery.

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Tra i dipinti ‘allegri’ di Aachen ricordiamo la famosa Madonna Venusta che raffigura

una donna che suona il liuto con alle spalle il ritratto del pittore ridente a bocca aperta, e

con un boccale di vino in mano.

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Hieronymus Bosch, Cristo porta croce, 1515-1516, Olio su tavola, Gand, Museum Voor

Schone Kunsten.

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LII

Pieter Bruegel Il Vecchio, Il paese della Cuccagna, 1567, Monaco di Baviera, Alte

Pincothek.

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