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Il progetto ESF Il presente lavoro costituisce uno studio longitudinale sull’acquisizione dell’italiano seconda lingua da parte di immigrati albanesi e georgiani

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1. UN CORPUS DI INTERLINGUA: METODODI DI LAVORO

1.1. Il progetto ESF

Il presente lavoro costituisce uno studio longitudinale sull’acquisizione dell’italiano seconda lingua da parte di immigrati albanesi e georgiani.

Punto di partenza è stato la raccolta di un corpus di interlingua che ha richiesto la collaborazione di un gruppo di tre laureande. Studi precedenti, condotti su immigrati cinesi, hanno rappresentato il punto di riferimento per la ricerca. Il lavoro è stato organizzato secondo i criteri interpretativi e i metodi per la raccolta dei dati stabiliti all’interno dello studio patrocinato dall’ESF ( European Science Foundation)1 e presentati nel volume curato da Perdue2.

Questa organizzazione ha promosso questo studio al fine di analizzare l’acquisizione di una lingua seconda in ogni sua fase ed evoluzione. Si tratta soprattutto di un importante progetto di ricerca che va dal 1982 al 1988, finalizzato allo studio longitudinale e comparativo dell’acquisizione di una lingua seconda da parte di immigrati lavoratori adulti pervenuti da uno dei cinque diversi Paesi industrializzati (Gran Bretagna, Germania, Paesi Bassi, Francia e Svezia) e provenienti come parlanti nativi dalle seguenti lingue: punjabi, italiano, turco, arabo, spagnolo e finnico.

La realizzazione del progetto, che è diretto da Wolfgang Klein e Jens Allwood, è iniziata nel 1982 ed i primi tre anni di ricerca sono serviti alla raccolta dei dati e a una prima analisi, mentre gli ultimi tre anni sono serviti alla trascrizione e all’analisi comparativa e stesura dei risultati dei dati, oltre che all’esposizione dei resoconti. Le combinazioni tra lingua di partenza, ovvero lingue madri, come vengono evidenziate nel libro (Source languages) e lingua di arrivo (Target languages), hanno seguito lo schema che segue3:

1 L’ESF è stata fondata nel 1974 e ha sede a Strasburgo. È un’ organizzazione non governativa che riunisce oltre a sessantadue enti di ricerca, appartenenti a ventuno Paesi europei, le agenzie pubbliche per il finanziamento alla ricerca e alle Accademie delle scienze di ventitre Paesi europei. Essa promuove, sviluppa, finanzia specifiche attività di ricerca internazionale, favorisce la cooperazione e la mobilità fra scienziati e studiosi di paesi aderenti, così come l’uso collaborativo di attrezzature di grande interesse e dimensione. Tuttavia, nonostante offra interessanti opportunità per iniziative scientifiche di sostegno e di ricerca, resta ancora abbastanza sconosciuta

2 Si veda C. Perdue (a cura di), Adult Language Acquisition: cross-linguistic perspectives, 1, Field Methods, Cambridge, University Press, 1993.

3 Ibidem. p.11-12

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Lingua di arrivo

inglese tedesco olandese francese svedese

punjabi italiano turco arabo spagnolo finlandese

Lingua di partenza

L’approccio dell’intero progetto è sia di tipo cognitivo che di tipo strutturale.

L’attenzione è infatti incentrata su quelli che vengono definiti i compiti (tasks) degli apprendenti, più che sulle analisi delle strutture prodotte, e sui mezzi che essi pongono in opera per risolverli.

Dunque, per ciascuna lingua di arrivo sono stati esaminati più informati di lingue di partenza diverse; questo per esaminare dal punto di vista linguistico casi interessanti di acquisizione confrontando, per esempio, l’acquisizione di una lingua più intimamente imparentata, come nel caso di uno spagnolo che impara il francese, con quella di una lingua più distante, come nel caso di uno spagnolo che impara lo svedese

Il progetto si propone di investigare quattro aree di ricerca che non corrispondono ai livelli tradizionali linguistici, ma li intersecano e coinvolgono aspetti culturali e psicologici del processo di acquisizione: 1) comprensione, incomprensioni, insuccessi nella comunicazione; 2) struttura tematica degli enunciati; 3) processi di sviluppo del vocabolario; 4) riferimento a persone, spazio e tempo.

Il progetto proponeva, oltre allo studio cross-linguistico, uno studio longitudinale delle interlingue degli informanti. È ormai noto, infatti, che la lingua di apprendenti adulti non guidati, anche se molto semplice se paragonata alla lingua di arrivo, è sistematicamente organizzata da regole precise che differiscono sia dalla lingua di partenza sia da quella di arrivo; tali regole, durante il percorso apprendimento, si fanno sempre più vicine a quelle della seconda lingua (per un approfondimento si veda il capitolo 5). La logica dello sviluppo linguistico di un apprendente va quindi ricercata

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esaminando i successi comunicativi che si determinano in una varietà linguistica, nel suo uso e lungo un arco di tempo.

Gli informanti, quindi, sono stati contattati subito dopo il loro arrivo nel paese della lingua target e sono stati sottoposti ad una serie di tecniche di elicitazione dei dati, come descrizioni di immagini, scenette, e conversazioni spontanee, in cui si è cercato di instaurare un rapporto più naturale e di confidenza possibile con la lingua di arrivo e con chi poneva le domande. Naturalmente il loro processo di apprendimento è avvenuto all’interno di un contesto caratterizzato da particolari problemi sociali e linguistici, che inevitabilmente comporta il fatto di essere immigrati provenienti da un Paese economicamente e strutturalmente povero.

Il progetto si è concentrato proprio su questi fattori e quindi, in particolare, sull’acquisizione di una L2 da parte di lavoratori o studenti immigrati adulti o ragazzi seguendo criteri ben specifici:

• I fattori personali dai quali dipende l’acquisizione di una L2;

• Struttura generica dell’acquisizione con particolare riguardo a:

1. L’ordine in cui gli elementi della lingua seconda sono acquisiti 2. La velocità e il successo del processo di acquisizione

Le caratteristiche della comunicazione tra il native speaker e l’apprendente4.

L’apprendimento della lingua seconda da parte dei soggetti analizzati è stato monitorato su uno studio longitudinale5 per due mesi attraverso l’uso di registrazioni, a intervalli di circa due, tre settimane l’una dall’altra. Una volta raccolto il materiale i ricercatori sono passati ad una seconda fase di trascrizione, di elaborazione e infine all’analisi dei dati seguendo determinati e specifici criteri.

4 Ibidem, p.3.

5 Anna Giacalone Ramat: L’apprendimento spontaneo di una seconda lingua, Il Mulino, Bologna 1986, p. 19.

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1.2. Raccolta e classificazione dei dati

1.2.1 Chi sono gli informati

Il presente studio si propone di analizzare l’acquisizione come L2 da parte dei soggetti di due Nazionalità differenti raggruppati nello schema seguente per luogo di residenza; per le Georgiane:

SOGGETTO RESIDENZA

Guranda Uglava Pisa

Ia Avaliani Cascina - Pisa

Ketevani Pisa

Madonna Pisa

Maia Avaliani Cascina - Pisa

Makvala Pisa

Nelli Pisa

Zaira Navacchio - Pisa

Marina Pisa

Sara San Frediano - Pisa

Phikia Pisa

Elisa Pisa

Manana Pisa

Per la Nazionalità Albanese invece abbiamo:

SOGGETTO RESIDENZA

Alketa Pistoia

Chiara Pistoia

Uka Vera Lucca

Mira Lucca

Raimonda Lucca

Spahiu Ahmet Lucca

Ida Iaho Lucca

Matilde Pistoia

Ormira Pistoia

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Gli informanti, 13 georgiani e 9 albanesi, hanno accettato tutti, molto gentilmente e con grande partecipazione e disponibilità e pazienza, di essere intervistati, per quanto non sempre regolarmente, almeno una volta alla settimana per un periodo che varia da una a tre settimane. Le registrazioni hanno avuto inizio circa dalla metà di ottobre del 2012 e si sono protratte fino a metà dicembre 2012.

Come accennato nel paragrafo precedente, il modello è stato quello dello studio longitudinale condotto dall’ESF anche per l’adozione di criteri validi necessari per la scelta degli informanti stessi, cercando di colmare l’inevitabile divario che vi è tra quello che Perdue (1993) definisce l’informante ideale6 e quelli che sono invece i veri/reali apprendenti intervistati.

1.2.2. L’informante ideale

I criteri adottati per selezionare gli informanti sono stati scelti al fine di ottenere un corpus di interlingua che mostrasse il più fedelmente possibile il processo di apprendimento naturale della seconda lingua. Lo scopo è stato quindi quello di individuare, tra gli apprendenti esaminati, adulti monolingue che avessero una competenza minima dell’italiano, ma che, allo stesso tempo, mostrassero buone possibilità di recepirlo ma soprattutto di acquisirlo. In rapporto a quanto detto sino ad ora con riferimento al progetto ESF sono stati presi in considerazione i seguenti fattori:

età, precedenti esperienze linguistiche, motivazione ed esposizione alla lingua d’arrivo7. Ci sono componenti biologiche e neurobiologiche che entrano in gioco nell’acquisizione della seconda lingua. Si tratta di componenti proprie di ciascun individuo in quanto essere umano ma anche di caratteristiche individuali quali il carattere, il modo di pensare etc.

Come vari studiosi8 hanno più volte notato, che l’età sembra avere un influsso diretto sull’acquisizione linguistica; è ormai noto che dopo l’adolescenza non è più possibile imparare perfettamente una lingua straniera. È stato constatato che chi apprende una lingua da bambino ha una maggiore probabilità di raggiungere un livello

6 Clive Perdue, op.cit p. 40.

7 Ibidem, p. 41.

8 F. H. Lenneberg, :«The Natural History Of Language», F. Smith e G. Miller, (a cura di) The Genesis of Language: a Psycholinguistic Approach. Cambridge, MIT, 1996.

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di lingua nativo rispetto a chi ha iniziato l’apprendimento da adulto. Krashen9 descrive le differenze in questi termini (Krashen, 1985: 121-122):

“Gli adulti inizialmente sembrano compiere dei grandi progressi, ma i bambini li superano quasi sempre. La svolta decisiva [...] sembra avvenga intorno alla pubertà.

I bambini sotto i dieci anni che hanno avuto sufficiente esperienza di comunicazione naturale nella seconda lingua quasi sempre riescono a conseguire una competenza quasi nativa, mentre quelli sopra i quindici anni raramente ci arrivano, sebbene spesso ci vadano molto vicino. In mezzo a queste due età, circa la metà riesce completamente, mentre l’altra metà no.”

Sembrano inoltre esistere altri fattori psico-sociologici che impediscono una completa acquisizione. Inoltre a quanto già detto in precedenza abbiamo cercato di trovare apprendenti di un’età compresa tra i 18 e i 30 anni, anche se a volte abbiamo dovuto prendere anche apprendenti di un’età più avanzata, che avessero superato il così detto periodo critico, (dopo una certa età, alcuni aspetti della competenza linguistica non sono più in alcun modo acquisibili), ma che non fossero stati ancora soggetti alla fossilizzazione che si manifestano a partire dalla mezza età.

Per ciò che riguarda le conoscenze linguistiche precedenti, all’inizio si è cercato di scegliere apprendenti che non conoscessero altre lingue oltre a quella materna, ma durante le interviste stesse abbiamo poi riscontrato che nella maggior parte dei casi almeno una conoscenza di un’altra lingua era quasi obbligatoria.

Anche la motivazione è un fattore importante per l’acquisizione di una lingua;

se l’obiettivo dell’apprendente è semplicemente “sopravvivere” nel paese ospitante, allora manterrà un livello alto di distanza psicologica dai parlanti della lingua d’arrivo e il suo apprendimento si arresterà ad un grado basico, altrimenti se si integrerà più o meno bene senza che questo gli provochi dei traumi non avrà alcun problema per l’apprendimento della L210. Si è quindi tentato di scegliere persone anche interessate a collaborare al progetto e a mantenere l’impegno per tutta la durata di questo.

Non abbiamo escluso nemmeno i casi estremi, ossia quelli con un partner italiano oppure che frequentavano più o meno regolarmente corsi per l’apprendimento della lingua di arrivo, e quelli che sembravano non avere alcun contatto con parlanti di

9 Heidi Dulay, Martina Burt e Stephen Krashen: La seconda lingua, Il Mulino, Bologna; p.121-122.

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L2. Questo perché abbiamo visto che sebbene gli apprendenti avevano tutte queste cose, alla fine abbiamo ritenuto lo stesso molto buono avere dei dati come quelli.

Alla luce di tutte queste considerazioni, si ricava il profilo di un informante

“ideale” delle seguenti caratteristiche: parlante monoligue, che sta lavorando in Italia da più o meno tempo, che sta apprendendo, non in tutti i casi la L2 nel paese di arrivo, che dipende dal ceppo linguistico di appartenenza, ha più o meno studiato e quindi ha un bagaglio culturale ampio o viceversa limitato, che frequenta oppure in altri casi no i corsi per stranieri; dovrebbe avere un’età compresa tra i 18 e i 30 anni; anche se per necessità ci siamo spinti un pochino oltre quella soglia; non essere sposato o accompagnato con un parlante della lingua di arrivo e avere contatti giornalieri con i parlanti nativi. In effetti/realtà non tutti gli informanti scelti per il seguente studio possiede contemporaneamente tutte queste caratteristiche ed è stato quindi necessario e dovuto qualche compromesso.

1.2.3. Gli informanti reali

Le persone intervistate rispecchino solo in parte il profilo del cosiddetto informante “ideale”. Gli informanti reali sono uomini e donne di età compresa tra i 18 e i 60 anni, che lavorano più o meno tutti in Italia, fatta eccezione per Ida, Alketa, Chiara e Matilde, le ragazze albanesi che per ora sia per l’età e per l’arrivo da poco tempo in Italia, per ora non gli ha favorito nessun tipo di lavoro; e poi per Uka sempre albanese che invece è pensionata. Dei 22 intervistati più o meno tutti, sia i più giovani che meno giovani, hanno mostrato un buon interesse, se non a volte ottimo all’apprendimento della L2; infatti non c’è stato in nessun caso un rifiuto estremo di non partecipare alle interviste. Sono stati tutti molto collaborativi e disponibilissimi ad aiutarci a fare queste interviste.

Come fanno notare Norbert Dittmar e Christine von Stutterheim11 sul posto di lavoro gli immigrati hanno generalmente almeno alcuni contatti regolari con parlanti nativi, ma la comunicazione è ristretta per lo più a funzioni prettamente strumentali. I contatti privati invece fra parlanti nativi e immigrati sono più rari, favorendo così una minor possibilità di comunicare e imparare o acquisire nuovi strumenti linguistici.

11 Norbert Dittmar e Christine von Stutterheim, «Sul discorso dei lavoratori immigrati. Comunicazione interetnica e strategie comunicative», a cura di A Giacalone e Ramat, L’apprendimento spontaneo di una seconda lingua, Bologna, Il Mulino, 1986, p.149-195.

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Ciò nonostante, la maggior parte degli intervistati per questo studio ha raggiunto una discreta competenza linguistica, necessaria, nel caso di chi lavora come badante, cameriera, receptionist oppure baby-sitter, a svolgere al meglio il proprio lavoro e, comunque, a risolvere le difficoltà della vita quotidiana.

Gli informanti hanno ricevuto, nella maggior parte dei casi, un’istruzione scolastica secondaria, corrispondente al nostro diploma, ma una buona parte ha conseguito una laurea. Per quanto riguarda gli apprendenti georgiani, su 13 apprendenti, ne abbiamo 7 che hanno conseguito una laurea e 6 invece che hanno conseguito il diploma. Nel loro paese c’è da dire che la maggior parte di loro lavorava, e a quanto abbiamo recepito avevano anche un buon impiego, ma il poco guadagno le ha portate ad emigrare in Italia. Per quanto riguarda gli apprendenti albanesi, il quadro è un pochino più misto, su 9 apprendenti, ne abbiamo 5 che hanno conseguito il diploma, 3 che invece hanno solamente la licenza media inferiore e solo una che ha conseguito una laurea. Questo a mio avviso perché comunque il paese di provenienza, l’Albania, come possibilità economiche e strutturali risulta essere molto diverso in quanto molto più povero rispetto alla Georgia.

In base alle caratteristiche come tipo di parlanti, non sono state segnalate particolari ritrosie dei parlanti ad avere contatti con parlanti nativi, e questo quindi non ha reso necessario per tutti la frequentazione di corsi per stranieri; ma chi ha invece sostenuto i corsi ha appreso in maniera più formale l’uso della lingua di arrivo.

Per quanto riguarda la situazione familiare, nessuno degli informanti è sposata/o con un italiano/a; tutti vivono qui in Italia, ma la situazione si mostra molto variegata:

per quanto riguarda le georgiane, come ho già detto in precedenza tutte badanti, vivono a casa della famiglia per cui lavorano tranne che per due ragazze Phikia (nome fittizio), che ha la casa per conto suo con sua zia che è qui in Italia da più di dieci anni; ed Guranda Uglava che vive con la sua famiglia sempre qua in Italia. Per quanto riguarda invece gli apprendenti albanesi tutti vivono qua in Italia con le rispettive famiglie, di origine albanese anche loro, trasferitisi qua per lavoro.

Tutti gli informanti georgiani e parte degli albanesi (ad eccezione di Ida, Matilde, Alketa e Chiara (nome fittizio)) che non hanno un’occupazione fissa, lavorano principalmente come assistenti per anziani oppure come ragazze/signore alla pari/

domestiche, attività in cui si concentra la maggior parte delle persone provenienti dall’est Europa; pertanto potremmo dire che regolarmente gli informanti sono esposti ad

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particolareggiate riguardo agli stessi intervistati si rimanda alle schede personali riportate in Appendice.

1.2.4. Raccolta dati

La fase iniziale del progetto è rappresentata dalla raccolta dei dati necessari per l’analisi, in questo caso georgiani e albanesi. Gli informanti che hanno aderito a questo progetto inizialmente e poi anche durante il periodo stesso sono stati in tutto ventidue.

Essi sono stati trovati a Pisa, per quanto riguarda le georgiane, invece a Pistoia e Lucca per quanto riguarda gli albanesi. Tutto questo grazie ovviamente all’aiuto di persone, che si sono prestate a fare da intermediarie, per quanto riguarda Pisa il CIF, Centro Italiano Femminile; senza le quali tutto questo non sarebbe stato possibile, ma soprattutto difficilmente le interviste avrebbero avuto luogo, dato che in alcuni casi, si sono prodigate a mettere una buona parola in nostro favore, per concederci un po’ del loro tempo per noi.

Il CIF è un'associazione di donne di ispirazione cristiana che operano in campo civile, sociale e culturale per contribuire alla costruzione di una democrazia solidale e di una convivenza fondata sul rispetto dei diritti umani e della dignità della persona, dove gli immigrati, ma gli stranieri in generale imparano la nostra lingua ma soprattutto cercano di istaurare con la nuova società un rapporto di stima e di reciproca unione.

Siamo poi andate a Pisa per quanto riguarda le georgiane, nel loro luogo dove solitamente si incontrano per passare qualche ora insieme quando hanno il giorno libero, di solito il giovedì oppure la domenica e, abbiamo cercato di spiegare loro il nostro progetto; e loro molto gentilmente si sono prestate quasi tutte a concederci le interviste.

All’inizio alcune un po’ reticenti storcevano il naso non sapendo di cosa si potesse trattare, ma dopo spiegandogli bene le cose, sono state molto disponibili a venirci incontro apportando il loro prezioso aiuto.

Per quanto riguarda invece Lucca abbiamo attraverso il Centro Parrocchiale di San Concordio trovato persone disponibili a concederci le interviste, anche se a volte un po’ reticenti anche loro, dato che non sapevano a cosa andavano incontro.

Ci siamo recate alla Cooperativa Pantagruel di Pistoia che si occupa della gestione di servizi che riguardano l'infanzia, l'educazione, le tematiche connesse all''immigrazione, le famiglie in difficoltà, dando l''opportunità a validi operatori di esercitare con professionalità il lavoro di educatore, psicologo, insegnante e animatore;

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e attraverso sempre persone che ci hanno fatto da intermediarie siamo riuscite a svolgere a pieno il nostro lavoro.

Tutto ciò è presumibilmente dovuto al fatto che le comunità georgiane e albanesi sono comunità di per sé non chiuse e profondamente radicate nelle proprie tradizioni come per esempio le comunità asiatiche. Entrambe le comunità, sia georgiana che albanese non mostrano una particolare configurazione sociale, hanno però entrambe un forte attaccamento alla propria terra di origine, anche se non eccessivamente chiuso e limitato e, che però non risulta un fattore esplicativo dello scarso apprendimento della lingua. Persone che vivono in Italia da molti anni mostrano una buona padronanza della lingua e delle strutture sia grammaticali che lessicali.

C’è solo stato un caso di un intervistato, un signore albanese Ahmet Spahiu, che infatti poi è stato escluso dal ciclo delle successive interviste. Egli si trova da più di venti anni in Italia senza capire neanche frasi molto semplici. Questo forse perché non stringendo rapporti quasi con nessun locale e cercando sempre di parlare con persone della sua stessa nazionalità, essendo inoltre una persona molto chiusa e riservata, abbiamo trovato molte difficoltà nel procedere con il ciclo successive di interviste;

quindi abbiamo poi deciso di rinunciare alle successive ci siamo valse su quanto avevamo già fatto in precedenza con lui.

Nel caso di entrambi i gruppi di immigrati, sia albanesi che georgiani, il senso di appartenenza alla loro comunità è forte; emigrano o in famiglia o in gruppetti non molto elevati di persone, oppure anche singoli, nella maggior parte donne e, una volta arrivati nel Paese della lingua target, si integrano con i connazionali già residenti ma soprattutto si danno subito da fare trovare un lavoro. Nel caso degli informanti da noi analizzati, infatti, nonostante siano stati trovati in luoghi diversi, provenivano più o meno tutti dalle stesse zone: per quanto riguarda la Georgia, provengono da Tbilisi, la capitale della Georgia, da Rustavi, che è una città della Georgia sud-orientale, capoluogo della regione di Kvemo Kartli, a 25 km a sud est della capitale; da Kutaisi, la seconda città del paese per numero di abitanti, capitale della regione occidentale dell'Imerezia, situata a 221 km da Tblisi; da Batumi, una città di 121.806 abitanti della Georgia, tra i maggiori porti sul Mar Nero e capitale dell'Agiaria, una repubblica autonoma nel sud- ovest del paese. Infine i restatnti informanti provengono da Terjola, situata nella pianura Imereti nella parte occidentale della Georgia e, da Sagarejo, una città nel comune di Kakheti, che si trova a 58 km ad est della capitale.

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Per quanto riguarda gli informanti albanesi, provengono da Durazzo, una città di 310.499 abitanti dell'Albania, la più importante, dopo la capitale Tirana; oppure da Tirana che è un distretto speciale albanese di 726.547 abitanti, è la capitale della Repubblica di Albania nonché la più grande città dell'Albania. ??? Da Valona, è una città di 124.000 abitanti dell'Albania, secondo porto del paese dopo Durazzo. Sorge nella parte sud-occidentale dello stato, sulle rive del Mar Adriatico, nel distretto omonimo. Da Scutari, è una città di 108.000 abitanti dell'Albania nord-occidentale, capoluogo del distretto omonimo; da Himara, è una città di 3.000 abitanti bilingue (le lingue parlate sono l’albanese e il greco), situata nel distretto di Valona sulla costa ionica dell'Albania, nel sud-ovest del paese; ed infine da Elbasan, una città capoluogo del distretto e della Prefettura di Elbasandi, con 125 000 abitanti situata nella zona centrale del paese e attraversata dal fiume Shkumbin.

Il motivo principale per cui questi due popoli sono emigrati dal loro Paese consiste nella sola ricerca di un lavoro più dignitoso e redditizio. A volte invece ci sono persone che lavorando già in Italia hanno poi portato qui anche la parte restante della famiglia.

Tutti i soggetti sono stati informati sullo scopo e sulle modalità del presente lavoro. Per ciascuno di loro è stata condotta una prima intervista preliminare di argomento generale, volta a una migliore conoscenza del soggetto, a spiegare le ragioni dello studio e, dal punto di vista della ricerca, ad accertare il livello linguistico di partenza. Solitamente questa intervista preliminare è stata fatta con la partecipazione di tutti e tre gli intervistatori che, in un secondo momento poi, per ragioni pratiche, hanno suddiviso il numero di informanti da intervistare ciascuno. In ogni caso, tutti gli apprendenti sono stati liberi di scegliere se continuare le interviste o meno, senza alcun obbligo o condizionamento da parte degli intervistatori.

Le interviste sono avvenute per quanto riguarda gli apprendenti georgiani sempre in luoghi come bar vicino al centro di Pisa oppure nella casa dello studente Nettuno in Lungarno Pacinotti; per quanto riguarda invece gli albenesi a Pistoia, sono avvenute sempre in vari bar della città oppure nella piazza adiacente alla cooperativa Pantagruel oppure nella stessa sede. Invece per gli albanesi siti a Lucca, le interviste sono avvenute nelle case degli stessi apprendenti oppure nei locali parrocchiali vicino alla parrocchia di San Concordio a Lucca.

Il materiale è stato raccolto per mezzo di cellulari o programmi di registrazione digitale al computer, di proprietà stessa degli intervistatori.

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Il ciclo di interviste programmato con gli apprendenti è stato portato a termine in tutti i casi tranne uno, dove è stato impossibile proseguire l’intervista perché l’apprendente era sotto la soglia limite di comprensibilità ed esprimibilità della lingua target.

1.2.5. Classificazione dei dati

Una volta raccolte tutte le interviste, è seguita la fase di trascrizione dei dati e la loro classificazione. Sulla scorta di studi precedenti, la denominazione di ogni intervista è stata effettuata secondo un sistema composto da una breve sigla contenente le informazioni più importanti concernenti in ordine successivo: il nome dell’informante, il tipo di tecnica usata e il numero progressivo dell’incontro. Si avrà, per esempio, per la prima intervista, per quanto riguarda la Georgia, di Guranda Uglava,

Gu-a_1_trascrizione

Dove Gu corrisponde alle prime due lettere del nome (nei casi dove il nome iniziava con lettere simili, abbiamo proseguito con le lettere successive), a, corrisponde alla tecnica utilizzata, in questo caso conversazione spontanea, e infine l’ultima cifra 1, al numero dell’incontro con il soggetto intervistato.

Lo stesso criterio è stato adottato anche per le traduzioni in italiano corretto, ove siano necessarie, che accompagnano i file di trascrizione a cui va aggiunta la dicitura _trad che identifica il file come file tradotto:

Uk-a_1_traduzione

I file sono stati classificati per persona, seguendo l’ordine cronologico di quando sono state fatte le interviste.

1.3. Tecniche usate per la raccolta dei dati

Esigenza di coloro che si occupano dell’acquisizione di una seconda lingua è rappresentata dall’osservazione del comportamento degli apprendenti in un contesto naturale, ossia nel contesto in cui avviene il processo di acquisizione, che in primo luogo è dato dall’interazione con parlanti nativi. L’osservazione accompagnata dalla registrazione pone alcuni problemi, uno dei quali è quello che Labov chiama «il

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paradosso dell’osservatore12», ossia come si possa osservare il comportamento linguistico di persone che agiscono in un contesto naturale, che quindi non presuppone l’osservazione. Vari manuali indagano e forniscono consigli su come limitare l’effetto causato dalla presenza degli intervistatori, che la maggior parte delle volte non si limita a una sola ma a più presenze contemporaneamente.

Nel presente caso, si è cercato di far procedere le interviste nel modo più naturale possibile, cercando di non alterare quello che poteva essere l’andamento di una quotidiana situazione comunicativa in cui uno o più parlanti nativi si interessano della vita passata e di quella presente dell’apprendente. Gli interventi degli intervistatori si sono basati su un alto grado di collaborazione, soprattutto nel campo lessicale, con suggerimenti quando l’apprendente manifestava maggiori difficoltà, con domande di chiarificazione e un alto uso di feedback per incoraggiare l’apprendente a proseguire nella conservazione quando questi si affidava a semplici risposte monosillabiche.

Per quanto riguarda le scelte delle tecniche di elicitazione dei dati, il procedimento più usato nelle ricerche sull’apprendimento spontaneo consiste nella registrazione di conversazioni in cui si chiede all’apprendente di parlare della sua storia personale, di particolari esperienze nel paese ospite, del tipo di vita condotto nel paese di provenienza, ecc. A seconda degli interessi della ricerca le interviste vertono su specifici compiti comunicativi, come la descrizione di una stanza, nel caso in cui si studi la spazialità, espressioni di desideri e di progetti per il futuro, oltre che il racconto di avvenimenti più o meno significativi passati, nel caso in cui si studi la temporalità, richiesta di dare istruzioni all’intervistatore su come eseguire un compito o di esprimere opinioni personali, se oggetto di interesse è la modalità, ecc.

I criteri adottati nella selezione delle tecniche da usare per la raccolta dei dati sono stati gli stessi stabiliti dal progetto ESF.

Qui di seguito viene riportato l’elenco delle tecniche usate con a sinistra il relativo simbolo che è stato adottato per la denominazione dei file di trascrizione. Nei paragrafi successivi le tecniche verranno spiegate una per una in maniera più approfondita:

a- conversazione spontanea/autobiografica

12 A. Giacalone e Ramat, «Italiano di stranieri», in A. Sobrero, Introduzione all’italiano contemporaneo:

Le variazioni e gli usi, 2, Bari, Laterza 1993, pp.341-410.

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b- narrazione vignette:

1) bambino che piange

2) sbucciatura ginocchio

3) bambino che si brucia

4) dottore

5) pioggia

6) pallavolo

7) cappuccetto rosso

8) rana

9) Sara gioca a calcio

10) Teo e Sara al mare

11) giornata a scuola

12) inizio giornata

c- descrizione vignette:

1) Maria prende lo zaino

2) Maria prende la macchina

3) bambino in bici

4) bambini in strada

5) pescatore

6) l’uomo al bar

7) contadino

8) l’imbianchino

d- scenette:

1) maglione

2) agenzia viaggi

Nell’intestazione di ogni file, all’inizio di una trascrizione, viene specificata sia la tecnica adottata, descrizione, narrazione, ecc., sia il tema corrispondente. Per esempio, quando all’apprendente si richiedeva di descrivere ciò che aveva visto nella

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narrazione di vignette “bambino che piange”, alla riga relativa alla tecnica usata compare l’espressione:

narrazione di vignette – bambino che piange.

Quando il soggetto di un racconto, di una conversazione o di una descrizione non è ben definito, questo non viene specificato.

1.3.1. Conversazione (a)

Negli studi sull’acquisizione di una lingua seconda, fra le tecniche di elicitaione dei dati raccolti, la conversazione è la tecnica più usata. Durante la conversazione si chiede all’apprendente di parlare della sua storia personale, del tipo di vita condotto nel paese di origine, della propria esperienza nel paese ospite, di avvenimenti particolari di cui è stato protagonista, di eventuali disagi o differenze rispetto al paese di provenienza e così via. Obiettivo di tale tecnica dovrebbe essere quello di ricercare la spontaneità e l’atteggiamento naturale tipici di una vera e propria conversazione spontanea fra amici, durante la quale il soggetto intervistato si dimentica di essere registrato.

Questa peculiarità, propria della conversazione, consente innanzi tutto un’analisi delle dinamiche del parlato, quali lo scambio di turni o il feedback, e inoltre, per la verità di temi e di tipologie di discorso (descrizioni di luoghi, narrazioni di eventi, espressioni di opinioni), risulta essere molto utile anche per l’analisi di qualsiasi aspetto dell’interlingua.

Nel progetto ESF e soprattutto negli studi precedenti, ai quali si è fatto riferimento per poter portare avanti l’intero percorso necessario alla raccolta del corpus di interlingua, tale tecnica era stata usata maggiormente, essendo quella che metteva più a loro agio gli apprendenti. Nel presente lavoro, invece, la conversazione è stata utilizzata con ogni informante oltre che come tecnica di un “primo approccio” verso la lingua target per una prima intervista preliminare di argomento generale, che come base sulla quale improntare il nostro studio.

Scopo del primo incontro è stato quello di ottenere una conoscenza migliore del soggetto intervistato per accertare il livello linguistico di partenza e, soprattutto, per superare l’imbarazzo iniziale, cercando di mettere gli apprendenti sia georgiani che albanesi il più possibile a loro agio, dal momento che si riscontra in loro a volte un po’

di diffidenza e riservatezza iniziale. Quello che abbiamo potuto constatare è che nella maggior parte dei casi, salvo qualche raro caso, gli informanti di entrambe le nazionalità

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sono riusciti ad avere un atteggiamento spontaneo che permettesse loro di intrattenere la conversazione in tutta naturalezza e libertà, e hanno dimostrato inoltre, buona loquacità ed anche molta iniziativa a portare avanti il discorso da soli, e non molto spesso si è reso necessario l’intervento dell’intervistatore con domande mirate per sollecitarli a continuare. Non ci sono stati molti casi in cui la conversazione si interrompesse con pause molto lunghe, senza che l’apprendente parlasse spontaneamente. Questo atteggiamento da parte di entrambe le culture, sia quella georgiana che albanese, ha permesso un approccio con gli apprendenti a volte anche molto confidenziale.

Per i motivi appena esposti, questa tecnica è stata da noi intervistatori maggiormente utilizzata al fine di ricavare più informazioni grammaticali possibili.

Tuttavia, è possibile trovare, nei file di conversazioni, parti di narrazioni autobiografiche, in quanto, parlando di argomenti generici, il soggetto intervistato spesso proponeva esempi ricorrendo al racconto di brevi fatti personali.

1.3.2. Narrazione vignette (b)

La narrazione, insieme alla conversazione, è una delle tecniche più frequentemente usate per l’elicitazione dei dati, in quanto contiene riferimenti spaziali e temporali, relazioni di causa-effetto, ecc., in altre parole, raccoglie in sé molte delle informazioni necessarie per lo studio di acquisizione di una lingua seconda. È, inoltre, come la conversazione, una tecnica facilmente eseguibile, soprattutto per quanto riguarda la narrazione autobiografica, che non richiede l’intervento di più intervistatori o di strumenti aggiuntivi.

La narrazione in sé, può infatti riguardare la vita precedente dell’intervistato, le esperienze personali, fatti vissuti e, in questo caso, tutto ciò di cui l’intervistatore ha bisogno è una buona volontà dell’apprendente di raccontare ad altri la propria storia.

L’uso di materiale aggiuntivo per questa tecnica è risultato comunque molto fruttuoso, in quanto, spesso, anche negli apprendenti più avanzati, la comprensione degli enunciati si faceva più difficile trattandosi di informazioni sconosciute agli intervistatori. Per un controllo maggiore sulle produzioni e per capire se e fino a che punto l’apprendente evitasse di narrare degli eventi.

La narrazione di vignette prevede infatti che l’apprendente racconti le sequenze di una storia disegnata permettendo così all’intervistatore di avere il pieno controllo su

(17)

sostituito per esempio quello di riferimenti anaforici come “prima” e “poi”, ma non sono state adottate varianti per ovviare a tale problema sia per evitare la richiesta di un eccessivo sforzo da parte dell’apprendente, come sarebbe potuto accadere se avesse dovuto memorizzare la storia, sia perché la frequenza di questi casi non è mai stata così alta da costituire un problema.

Nella maggior parte dei casi le vignette illustrate sono state mostrate all’apprendente prima della registrazione audio per fare in modo che qualsiasi dubbio riguardante la comprensione di una sequenza fosse chiarito subito. La registrazione iniziava non appena l’apprendente si dichiarava sicuro, e procedeva con il racconto delle immagini disegnate.

Le vignette scelte per questo compito hanno una difficoltà variabile, condizionata sia dal tipo di lessico da usare più o meno specifico, sia dalla ricchezza di avvenimenti presenti nell’immagine. Per questo motivo, quelle che sono state ritenute più complesse sono state mostrate solo agli apprendenti di livello più avanzato, mentre le altre sono state utili per elicitare sia gli apprendenti dello stadio iniziale, sia quelli dello stadio intermedio, cercando così di stimolarli con lavori più semplici.

Le vignette usate sono riportate nelle tavole che seguono e sono state etichettate come:

narrazione di vignette – bambino che piange (Tav. 1), - sbucciatura ginocchio – (Tav. 2), - bambino che si brucia (Tav. 3), - dottore (Tav. 4), - pioggia (Tav. 5), - pallavolo (Tav. 6), - cappuccetto rosso (Tav. 7), - rana (Tav. 8), - Sara gioca a calcio (Tav. 9), - Teo e Sara mare (Tav. 10), - giornata a scuola (Tav. 11), - inizio giornata (Tav. 12).

Abbiamo inoltre aggiunto una storia (b13 Tsichara), che non è rappresentata tramite le vignette, perché è una “storiella” tipica georgiana che una ragazza ci ha voluto raccontare lei stessa spontaneamente; dandoci così la possibilità di approfondire sia un po’ di cultura georgiana, sia materiale aggiuntivo per il nostro lavoro.

(18)

Tav. 1 – narrazione di vignette - bambino che piange -

Tav. 2 narrazione di vignette - sbucciatura ginocchio –

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Tav. 3 – narrazione di vignette - bambino che si brucia –

Tav. 4 – narrazione di vignette - dottore –

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Tav. 5 – narrazione di vignette - pioggia -

Tav. 6 – narrazione di vignette - pallavolo –

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Tav. 7 – narrazione di vignette - cappuccetto rosso -

Tav. 8 – narrazione di vignette - rana -

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Tav. 9 – narrazione di vignette - Sara gioca a calcio –

Tav. 10 – narrazione di vignette - Teo e Sara al mare –

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Tav. 11 – narrazione di vignette - giornata a scuola –

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Tav. 12 – narrazione di vignette - inizio giornata –

1.3.3. Descrizioni di vignette (c)

La descrizione di vignette è stata la tecnica utilizzata per verificare la presenza di riferimenti spaziali nelle produzioni dei soggetti intervistati. Per evitare che gli apprendenti facessero un uso eccessivo di elementi deittici, quali. “qui” o “qua”, nel qual caso le loro produzioni sarebbero state povere di riferimenti precisi relativi alla posizione degli oggetti nello spazio, è stata adottata una delle varianti proposte dal progetto ESF e descritte da Perdue:

“The learner was asked to describe the picture to a person who was present but could not see the picture, in a such a way that the performer could draw a sketch13”.

Tale variante è stata adottata per le immagini etichettate come:

descrizione di vignette – Maria prende lo zaino (Tav.1), - Maria prende la macchina (Tav. 2), - bambino in bici (Tav. 3), - bambini in strada (Tav. 4), -

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pescatore (Tav. 5), l’uomo al bar (Tav. 6), - contadino (Tav. 7), - l’imbianchino (Tav. 8).

Tav. 1 – descrizione vignette – Maria prende lo zaino

Tav. 2 – descrizione di vignette – Maria prende la macchina -

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Tav. 3 – descrizione di vignette – bambino in bici -

Tav. 4 – descrizione di vignette – bambini in strada -

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Tav. 5 – descrizione di vignette – pescatore –

Tav. 6 – descrizione vignette – l’uomo al bar –

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Tav. 7 – descrizione di vignette – contadino

Tav. 8 – descrizione di vignette – l’imbianchino –

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Per l’immagine del bambino in bici, quella dei bambini in strada e quella del pescatore, è stato deciso di sottoporre alla persona che doveva descrivere (l’apprendente), solo la prima parte della vignetta, e lasciare all’immaginazione dell’apprendente stesso la seconda figura. Per le immagini relative a Maria prende lo zaino e Maria prende la macchina, ricche di elementi descrittivi, è stato chiesto all’intervistato di osservare attentamente e di descrivere anche particolari secondari dell’immagine stessa, ovvero quelli che a prima vista sono meno identificabili.

Per gli informanti giunti da poco tempo in Italia e con conoscenze minime di italiano, sono state preferite immagini più semplici da descrivere, nelle quali fossero presenti pochi dettagli da segnalare. In questo modo, il compito è risultato più facile per l’apprendente che, sottoposto a sforzo minore, non ha manifestato quella sensazione di disagio riscontrata spesso in alcuni informanti sia georgiani e albanesi a causa del proprio pudore a mostrare una presunta incapacità a esprimersi in italiano con parole appropriate. Le immagini in questione sono state etichettate come:

descrizioni di immagini – l’imbianchino (Tav. 8), - l’uomo al bar (Tav. 6).

Considerando l’impegno profuso degli apprendenti e il fatto che essi, nonostante le maggiori difficoltà riscontrate nella variante citata, non si siano scoraggiati ma al contrario abbiano voluto portare a termine il compito, si può concludere che questa tecnica è risultata insieme alla conversazione spontanea, la più apprezzata fra quelle proposte nella ricerca.

1.3.4. Scenetta (d)

Questa tecnica non è stata svolta con tutti gli apprendenti poiché è stata ritenuta troppo difficile da eseguire per la maggior parte degli intervistati. Infatti la scena è stata utilizzata con un solo apprendente e avendo visto che non riusciva bene, per problemi di comprensione abbiamo deciso poi di abbandonare questo tipo di intervista.

Tra le tracce proposte dal progetto ESF, è stata scelta la scenetta The shrunken sweather (“La maglia ristretta”), etichettata nel presente lavoro come:

scenetta – maglione.

“This scene takes place in a shop, with a TL researcher role playing a shop assistant. The informant is a customer trying to return a shrunken sweater. He has received the following instructions:

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- you recently bought the sweater from the shop;

- you washed it according to instructions and it shrank;

- you want a refund;

- you do not want another sweater;

- you have lost the receipt (easier variant for the informant: here is the receipt to prove your good faith).14

L’obiettivo dell’informante, in veste di cliente, era quello di convincere la commessa (l’intervistatore) del proprio diritto di reclamare e di riavere indietro i suoi soldi. Si è osservato, tuttavia, che gli apprendenti georgiani e albanesi hanno reagito in modo passivo, come se la circostanza non li interessasse più di tanto; tale atteggiamento può essere attribuito al fatto che si tratta di una situazione non comune per gli intervistati.

1.4. Informatizzazione dei dati

1.4.1. I sistemi adottati

L’analisi del corpus dei dati è stata effettuata non sulla base delle registrazioni audio ma delle loro trascrizioni. Il processo di trascrizione può essere considerato un primo livello di analisi del dato grezzo.

Cambiare il mezzo utilizzato, ossia far fede al canale scritto piuttosto che a quello orale, significa far fronte ai vincoli che il nuovo mezzo impone. Il ricercatore deve quindi effettuare scelte che non devono essere arbitrarie e soggettive ma guidate da quelle ipotesi che costituiscono il punto di partenza della ricerca. Tali scelte, per quanto oggettive, però, non saranno in grado di riprodurre fedelmente la realtà in tutti i suoi aspetti. Basti pensare che attraverso il canale orale dell’informazione codificata in parola, vengono trasmessi in parallelo anche i messaggi di natura non verbale (gestualità, cinesica, prossemica) e paralinguistica (prosodia, pause, ritmo, ecc.) che svolgono per la comunicazione verbale un ruolo fondamentale. La trascrizione potrà avvicinare, ma non eguagliare, una rappresentazione fedele di tutti gli aspetti orali, visivi e contestuali dell’incontro; è in questo senso che si può considerare un primo livello di analisi del corpus.

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Per quanto riguarda il sistema di trascrizione da utilizzare e i fenomeni da codificare è stato assunto come riferimento il testo di Orletti – Testa15 in cui vengono confrontati tre sistemi diversi scaturiti da un approccio essenzialmente empirico nello studio dell’interazione verbale:

il sistema noto come sistema jeffersoniano, basato sulle conversazioni originariamente elaborate da Gail Jefferson, adottato per studi svolti nell’ambito della conversazione;

• il sistema descritto in Gumperz e Berenz, sviluppato nel corso di ricerche etnografiche sul campo, per l’elaborazione del ruolo della contestualizzazione nella formazione delle inferenze conversazionali;

• il sistema ESF, elaborato per lo studio estensivo sull’acquisizione di una seconda lingua da parte dei soggetti adulti immigrati.

1.4.2. Trascrizione dei dati

Per poter ovviare al problema dei fattori extralinguistici che non emergono dalla semplice registrazione, ma dei quali talvolta è stata presa nota durante le registrazioni per comprendere meglio i dati dell’analisi, è stato ritenuto necessario adottare simboli ed altri espedienti adeguati per mantenere il maggior numero possibile. La comprensività è infatti uno dei criteri che è stato adottato, in quanto una trascrizione può essere considerata comprensiva se riporta in forma scritta tutti quei fenomeni considerati rilevanti dai partecipanti alla conversazione.

Accanto a questa necessità è stata operata una selezione consapevole e non causale del materiale da trascrivere nel tentativo di evitare una descrizione troppo dettagliata, in quanto cercare di riflettere tutto quello che avviene nel rapporto faccia a faccia risulterebbe difficile da leggere. Un altro criterio che è stato seguito nel realizzare le trascrizioni è infatti quello di leggibilità, per cui sono stati adottati simboli che non richiedano un eccessivo sforzo di decodifica e che non appesantiscano la realizzazione grafica dell’interazione.

L’altro criterio su cui si è basata la trascrizione è quello di attendibilità del contenuto; il trascrittore ha cioè cercato di evitare si sovrapporre la propria interpretazione al fenomeno osservato, riportando il fenomeno così come si è effettuato.

15 F. Orletti – R. Testa, «La trascrizione di un corpus di interlingua: aspetti teorici e metodologici», in Studi Italiani di Linguistica Teorica ed Applicata, 20 1991, 2, pp. 243-283.

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Infine è stata salvaguardata la consistenza interna del sistema evitando il ricorso a più simboli per la rappresentazione di uno stesso fenomeno.

Per non creare un eccessivo sforzo di decodifica i simboli sono stati ridotti al minimo, proprio per rispondere al meglio al principio di leggibilità.

Trattandosi di un corpus di interlingua, si è cercato di mantenere le produzioni linguistiche il più vicino possibile al modo in cui sono state pronunciate, senza tener conto delle strutture standard della scrittura. L’alfabeto latino è stato quindi occasionalmente modificato da una rappresentate pseudo-fonetica nel tentativo di adattarlo alle forme del parlato e alla pronuncia dei suoni. Qui di seguito saranno descritti i simboli usati per la trascrizione, che verranno riassunti ulteriormente nella tabella dei simboli in appendice per una consultazione più pratica.

Per l’adozione dei simboli più o meno omogenea per tutti quelli che intraprendono un’analisi di un corpus, ci siamo rifatti ad un articolo di Sacks, Schegloff e Jefferson16, e di Orletti e Testa17.

Le parole straniere sono state segnalate con un asterisco davanti alla parola stessa. Sono rari però i casi in cui gli informanti ne hanno fatto uso; non sempre di frequente, ma si sono affidati alla lingua madre per tentare di risolvere i problemi lessicali. Ecco un esempio tratto dal corpus:

I2: sai cucinare? ci dici qualche ricetta? [1 da poter fare 1]

I: [1 ah 1] per esempio no però noi abbiamo tante: anche parte di russa:

facciamo insieme però noi nostra abbiamo si chiama * khachapuri come +

I2: *khachapuri sì

I: sì si chiama *khachapuri come vostra pizza però dentro c'è formaggio [ə]h: grattugiato certamente e: però si fa anche come qui [ə]h: Napol- na- na:- Napoli Roma questi così da altre parti si fanno diversamente + allora alcune fanno con dentro formaggio alcune fanno dentro con patate e formaggio insieme alcune fanno verdura dentro però questa è dentro e fuori [ə:] uova: + (ride) no troppo buona si può assaggiare posso farlo eh:

[Ia_1_trascrizione]

Ci sono state delle volte in cui gli informanti si esprimevano in un’altra lingua straniera, un esempio ne è lo spagnolo, il primo e l’inglese, il secondo:

16 Sacks, H – E. A. C. Shegloff – J. Jefferson, «a simplest systematic for the organization of turn-taking for conversation», in Schenkein (eds), Studies in the organization of conversational interaction, New York, Academic Press, 1974, pp 7-55.

(33)

I1: e: + ascolt- e come mai proprio: proprio a Pistoia?

I: ++ Pistoia è: un: città antico > antico + m- mi piace: ++ mi piace

*sali[R] ++ pero: ++ Albania molto bella (ride) I1: (ride)

[Id_a_1_trascrizione]

I: c’era una volta (ride) I1: vero vero

I: una: casa dove viveva una bambina + con capuccetino rosso ++ [ə]h:

lei viveva con gatino ++ e un giorno voleva andare da nonna perché [ə]h stava male + lei fatta ++ {come si chiama }+++ *cake* (ride)

I1: torta ok

[Ia _b7_2_trascrizione]

Le parole interrotte sono state segnalate con una lineetta alla fine del vocabolo pronunciato.

M: sì + [ə]h: praticamente qui si vede nel nela scena c'è una mam- [ə] una mama [ə]: io lo vedo così o un un papà non no è un papà che sta con il suo cagnolino che saluta penso la sua familia che sta partendo per andare a + a scuola + e: c'è il cagnolino acanto e saluta la sua molie insieme ai i figlioli da quello che vedo io che ved- che devono andare a scuola vedo la molie contenta la saluta lei con la mano la figlia e poi saranno i suoi figli + non lo so

I1: mm

[Mi_c2_trascrizione]

Per le autocorrezioni è stato usato il simbolo grafico (>), che indica sia quelle di tipo morfologico-lessicale, che per la maggior parte delle volte sono causa di interruzione di parola, sia quelle che introducono un cambiamento nella strutturazione del discorso. Negli esempi che seguono sono presenti entrambi i casi, i primi due e il secondo:

M: io venuto veramente per lavorare (ride) per lavoro ++ avevo bisogno veramente per (xx) deciso eh: venuto qua + a prima familia + sono ah Bari sono stato a Bari trova>trovo malissimo (xx) quasi due setimane non faceva mangiare nulla (ride) sì ah: ++ ora quasi una setimana perso

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dicianove kili (ride) e dopo + [ə]h lasciato anche io pensavo andav- andavo indietro in Giorgia pensavo tutti italiani uguale + dopo + venuta una mia amica Giorgiana ha detto no ma quello non fai così (xx) molto boni altri non è solo anche da noi c’è cativi buoni anche lì anche qva do- io sono trovat[ə] familia una familia meraviliosa mamma mia (ride)

[Mak_a_1trascrizione]

G: in Italio>Italia + eh: (ride) è: interessante + e va bene un po’: ++ un pò confusa perché ci sono tanti: stranieri però + bene va bene cosa e non posso dire che in Germania è melio a Italia va bene a Germania è più: ordinato + é più: un po’ si però non posso dire che io mi sento: qua più melio + a Germania n[ə]n non posso dire forse non capisc- non capiscono altri quando io dico così però io io penso così che io stavo lì più melio a que a ora + e non lo so

[Gu_a_1_trascrizione]

N: [6 sovietica 6] sì sì sovietica mh: + tutti eravamo: lì + [ə] [ə] la vita era + normale sai? non c’era problemi di lavoro non c’era problemi come mantenere la: familia come crescere i filioli che voliano studiare voliano ++ tante cose [ə:] ora ++ non c’è questa possibilità ora in giorgia sai? è più dificile {ma: noi giorgi- giorgiani:} + ce l’avemo > c- [ə] avevamo: la speranza che: ++ (ride) si sistema tutto eh: va avanti tutto piano piano +++ ah ti registri:

I1: registro tutto!

[Ne_a_1_trascrizione]

Per quanto riguarda gli usi sub standard o comunque varietà linguistiche diverse da quelle standard, si sono riscontrati con frequenza fenomeni comuni a tutti gli apprendenti. Non si tratta di usi dialettali della L2, anzi sembra che il luogo di residenza in Italia non abbia influito sulle produzioni linguistiche degli informanti dal punto di vista fonologico. Basti pensare al fatto che trattandosi tutti di immigrati residenti in Toscana, per la maggior parte nella zone nelle vicinanze di Pisa, e Pistoia, un input frequente nella fonologia toscana come l’indebolimento delle affricate palati sorda e sonora non è stato mai riscontrato in alcuna produzione degli intervistati. Si è cercato comunque di riprodurre il più fedelmente possibile altri tipi di deviazioni dalla pronuncia standard riportandole senza farne oggetto di studio.

È stato necessario adottare il simbolo (ə) nei casi di vocale difficilmente

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indistinta, secondo il sistema di trascrizione fonetica dell’IPA (International Phonetic Association). L’uso di (ə) si è rivelato estremamente importante laddove sarebbe stato un facile errore del trascrittore quello di correggere automaticamente la pronuncia dell’apprendente nella forma appropriata, soprattutto quando la vocale si trovava in fine di parola. Qui di seguito sono stati riportati alcuni esempi:

A: [4 sì sì 4] anche Albania c'è p[ə][R] parla italiano eh

A: ora c'[ə] (ruota il l'avambraccio con la mano aperta e il palmo in su) A: [1 no no n io: 1] cerca lavoro p[ə][R] Albania anche pulizia però

Albania non c'è+

I1: (ride) guarda nemmeno io me le saprei ricordare (ride) [ə]h non lo so qualche episodio della tua infanzia come passavi l'estate [ə] in Albania cosa facevi: quando eri piccolina piccolina + andavi in [2 vacanza 2]

A: [2 ah in vacanza 2] sì io [ə]n vacanza sì [Al_a_1_trascrizione]

Il punto interrogativo è stato usato per segnalare un’intonazione ascendente in contesto di domanda. L’adozione di questo simbolo è stata motivata dal tentativo di disambiguare richieste di aiuto da semplice affermazioni nelle produzioni degli informanti, due tipi di produzione che talvolta non è facile distinguere in un testo trascritto se non con l’aiuto del simbolo sopra menzionato. Il simbolo non è stato usato quando la domanda non avviene con un’intonazione ascendente:

I: alora (ride) quando è arivata: lupo a: vicino a casa di nonna ha: busato e nona sì- come aspetava sua nipotina ha aperto: porta così facilmente ++ pe:- alora lupo ha mangiato questa nonna eh: ha messo letto come:

nonna ++ tra poco ariva capucetto rosso ahm: ++ bussa + e: entra a questa lupo era tropo coperta così capucetto rosso vedeva: bene chi era a letto + e dopo + cominciata: mh nonna nonna perché ce l’hai così grandi ochi? + ochi così grandi perché io volio vederti bene > melio ++

nonna nonna perché ce l’hai mh: orecchi così grandi? perchè volio + sentire bene ++ non so con gramatica come sono però

[Ia_b7_2_trascrizione]

È stato ritenuto opportuno segnalare anche le parole in cui l’accento risulta spostato dalla posizione standard. Tale esigenza è nata nel momento in cui, per quanto solo in qualche caso, è stato riscontrato un uso particolare dei verbi, per cui graficamente corrispondono ad un tempo, un modo ed una persona prestabili nella

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grammatica italiana, mentre nel parlato l’accento è spostato in una posizione diversa da quella canonica. La lettera accentata dalla parola in questione è stata sottolineata, come si vede dagli esempi che seguono:

G: → si picante mettiamo dentro poi chiudiamo chiudere anche chiudere è dificile eh: devi chiudere un po’un pò così come ah: facevano facevano i nostri nonni si si questa + e poi devi devi butare nell’acqua bolita + e: non deve ah no- non deve aprire deve chiudere così che non si apre nell’acqva e dentro deve essere sugo un pochino non deve essere a: seca: carne dentro si {questa} è più facile (ride)

[Gu_a_1_trascrizione]

G: Maria (ride) + Maria vo- volià prendere suo zaino forse volià uscire fuori e: ce lei ce l’ha canu + e: + a lei ce l’ha cane che è seduto sul sulla sedia ehm: questo cane e: gioca con ombrelo [ə:] che è apeso acanto la borsa è: insieme la borsa e: c’è cappelini cappelina una cappelin- un cappelino belo molto belo acanto c’è anche mantelo e a:lora e sì Maria guarda la borsa e forse prende e: esce fuori indietro lei c’è una porta aperta penso sì queta porta è aperta

[Gu_c1_2trascrizione]

L’allungamento dei foni, indistintamente vocalici e consonantici, è stato segnalato con due punti, secondo la convenzione internazionale:

M: no: so:lo uno an- due ani e mezzo h[ə] portato mia filia sì casa mia qui avevo (xx) veramente sempre non c’era un notte sennò non piangevo non lo facevo più e dopo: oh: volevo tornare io indietro oh: contrario + h[ə] detto mia filia mamma qui non c’è nula te ritorni cosa facciamo cosa mangiamo + e vieni tu e veniamo (xx) e quatro ani sono con mia filia ++

tre ani: eh: + aveva anche lei un pò di problemi e dopo: + primo a- primo anno già lavora baby-sitter anche familia meraviliosa mama mia non lo so io sono contenta anche per mia filia che io sono laurato [əh:]

lontano da questo tempo quatro ani ah quasi quatro mese con un familia e purtropo morta (smorfia di dolore) purtropo anziana trovavo anche lì molto molto molto + bene veramente dispiace anche volio piangere molto ma (xx) tutto

[Mak_a_1_trascrizione]

Nella comunicazione verbale hanno rilievo anche le assenze di produzione, i

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interpretato come un’esitazione, una pausa per cercare la parola più appropriata, un rifiuto, una risposta negativa, o semplicemente disinteresse; è pertanto portatore di un messaggio che la trascrizione non potrà mancare di rappresentare. Oltre al fenomeno in se stesso, la trascrizione dovrà tener conto della sua durata. La durata è stata segnalata in termini relativi e non assoluti, poiché ogni interazione viene scandita da un ritmo più regolare, ed è in relazione al timing proprio di ogni scambio orale che le pause e la loro durata possono essere percepite come significative.

Tre categorie di pause sono adottate, pausa breve (+), pausa media (++) e pausa lunga (+++). La scelta di una fra queste è avvenuta in base al giudizio del singolo trascrittore, il cui termine di paragone è stato quindi il ritmo dell’intero scambio verbale.

I1:  =da: come mia hai scelto di: di venire a Pisa

E: + + + [ə]h: perché: qvi: lavora mie > mia parenti i: perché io prima venuta qui a Pisa i: ha trovato lavoro i: i ora (ride) cerco lavoro i perché io qui (ride) capito!

E: eh sì + ora penso: to- quando: ha trovato lavoro i dopo perché ora + + +

I1: eh: mi hai detto che mh: sei laureata in Economia E: ah io! no + + non lo so tutto giorgiano tutto (ride) I1: i cibi italiani ti piacciono?

E: prima prendiamo: mh: + farina acqua M: lievito cubetti

[El_a_1_trascrizione]

I silenzi, però, sono spesso riempiti da quelle che si chiamano pause piene, ossia delle emissioni più o meno prolungate di suoni vocalici o consonantici, che in termini semantici non hanno alcun significato. Nel corso dell’interazione però questo tipo di pause sono importanti rilevatori di incertezze, titubanze, momenti di riflessione per cercare la parola giusta, ecc.

Il turno dell’intervistatore è stato indicato con la lettera I accompagnata da un numero e da due punti. I numeri corrispondono agli intervistatori secondo l’ordine di intervento in un brano (I1:, I2:, ecc.). Il turno dell’intervistato è stato designato con le prime due o tre iniziali del nome seguita dai due punti, (Mak:, Ia:, Gu:, ecc.).

Non sempre la successione temporale corrisponde ad un rapporto sequenziale, nel senso forte che viene attribuito a questo termine nell’analisi conversazionale, secondo cui ciò che viene dopo è orientato verso ciò che viene prima. I fenomeni di

(38)

sovrapposizione parziale o di totale e sincronia che si verificano nel parlato subiscono una trasformazione nella trascrizione assumendo aspetti di sequenzialità.

È stata quindi necessaria l’adozione di ulteriori simboli per la segnalazione di quegli interventi che, pur succedendosi ad altri nella trascrizione, nello scambio verbale si sviluppano in maniera del tutto autonoma rispetto a questi. A questo scopo sono state inserite parentesi quadre, all’interno delle quali sono state trascritte le sequenze interessate, circoscritte da un numero. Quando il fenomeno della simultaneità si ripete più volte nel giro di poche righe, questo verrà numerato in sequenza, per cui a numero uguale corrispondono i medesimi tempi di battuta. Talvolta una freccia segue la parentesi quadra e rimanda all’interlocutore che riprende il turno di sovrapposizione:

A: + a me non mi piace + → I1: ho capito

A: → marito sì I1: [1 davvero? 1]

A: [1 sì 1] fa la spagheti

I1: c'hai il marito [2 cuoco allora 2]

A: [2 sì sì 2] ma a me m- mi piace (ride) I1: (ride) è una fortuna

A: sì

I1: [3 oddi- 3]

A: [3 quando viene 3] fa spagheti carne insalate + anche me però + pochino

I1: eh c'è tanta differenza secondo te tra le persone italiane e gli [4 albanesi 4]

A: [4 sì sì sì 4]

I1: sì:? come ti sembrano questi italiani ti ci sei trovata bene A: sì sì bene ma mi piace italiani

[Al_a_1_trascrizione]

La mancata pausa tra due turni viene segnalata con (=). Tale fenomeno, comunemente detto latching, segnala una brusca intromissione di un interlocutore nel turno del parlante, obbligando così questo a lasciare in sospeso il proprio discorso. È considerato un riformulamento e un completamento delle frasi da parte dell’interlocutore. È stato ritenuto degno di attenzione in quanto spesso individua il motivo di frasi interrotte o incomplete. Il simbolo che è stato adottato è situato nel punto in cui la sequenza viene interrotta ed è stato ripetuto all’inizio del turno successivo:

(39)

A: + mm come si chiama? p[ə][R]

I1: giacchetto A: = il giaccheto I1: e chi c'è che fa A: + p[ə][R] aiuto + I1: la mamma A: = la mama I1: mm + e qua +

[Al_B12_1_trascrizione]

Le sequenze tra parentesi graffe sono state prodotte con tono di volume basso.

L’abbassamento di voce può essere sintomo di insicurezza riguardo alla giusta strutturazione di un enunciato o alla scelta di una parola, spesso viene realizzato anche per produzioni che arrestano il passo della conversazione, come delle pause piene, dei chiarimenti circa il lessico, delle ripetizioni, ecc., sembra quindi una strategia per chiarimenti la scarsa rilevanza, secondo l’informante, di ciò che viene detto.

C: qui guardo: tre bambini che gioco + e:m bambini di col- di: capelli ne[R]o di blusa blu verde anche [R]osso pantalone corto di colore + rosso giallo e verde (ride) come? {questo non lo so qua} di quela: di di:

I1: scarpe?

[Ch_C4_2_trascrizione]

Fra parentesi tonda sono stati inseriti i commenti volti a spiegare il contesto dell’interazione, con il tentativo di rendere interpretabili sequenze di suoni che altrimenti non lo sarebbero e che in un contesto trascritto potrebbero portare ad una frammentazione eccessiva del flusso internazionale. Il simbolo (xx), tra parentesi tonde, indica una sequenza incomprensibile.

I1: sì + che cosa sta facendo secondo te +++ forse (con la mano fa il gesto del cibarsi)

A: se mangia?

I1: sì

A: è mangiare no?

[Al_C8_1_trascrizione]

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