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PARTE II

STRUMENTI AD HOC VOLTI A FAVORIRE LA REPRESSIONE GIUDIZIALE DELLA PIRATERIA: ACCORDI CON KENYA,MAURITIUS E SEYCHELLES.

A) DAGLI SHIPRIDER AGREEMENTS AGLI ACCORDI BILATERALI PER IL TRASFERIMENTO DEI SOSPETTI PIRATI.

1. Gli shiprider agreements – 2. Analisi comparativa dei vari accordi bilaterali per il trasferimento dei sospetti pirati – 2.1. La natura giuridica degli accordi – 2.2. L’Accordo Unione Europea – Kenya – 2.3. L’Accordo Unione Europea – Repubblica delle Seychelles – 2.4. L’Accordo Unione Europea – Repubblica di Mauritius – 3. Altri accordi

1. Gli shiprider agreements

Per shiprider agreements si intendono quegli accordi in cui un funzionario di uno Stato si imbarca su una nave di un altro Stato, di modo che tale funzionario potrà quindi autorizzare diverse azioni, tra cui il perseguimento delle navi pirata nelle acque territoriali dello Stato.1

Sia il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con la già citata risoluzione 1851/20082, che l’International Maritime Organization hanno insistito per far collaborare gli Stati verso la stipula dei cosiddetti shiprider agreements.

1 Cfr. D. GUILFOYLE, Piracy off Somalia: a sketch of the legal framework, European Journal

of International Law, http://www.ejiltalk.org/piracy-off-somalia-a-sketch-of-the-legal-framework/, visitato il 25 agosto 2014.

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Fu nella conferenza regionale organizzata nell’aprile 2008 in Tanzania che l’IMO iniziò a parlare di alcune problematiche legate al contrasto della pirateria, in quell’occasione tale incontro produsse delle proposte che vennero poi inserite nel futuro codice di condotta di Gibuti approvato un anno dopo,3 e all’articolo 7 di tale codice si stabilisce che “In furtherance of operations contemplated by this Code of conduct, a Participant may nominate law enforcement or other authorized officials (hereafter referred to as “the embarked officers”) to embark in the patrol ships or aircraft of another Participant (hereafter referred to as “the host Participant”) as may be authorized by the host Participant.”4

La rubrica di tale articolo titola “Embarked Officers” e fa riferimento alla stessa pratica che propone il Consiglio di Sicurezza. Nel codice di condotta non è stabilito un obbligo, l’utilizzo degli embarked officers è contemplata come un’opzione facoltativa.

Questo tipo di accordi è tuttora già utilizzato dagli Stati Uniti con i vari Stati caraibici per fronteggiare il commercio illecito di droga, e con il Canada per pattugliamento delle zone comuni di confine marittimo.5

Gli shiprider agreements contemplati dal Consiglio di Sicurezza nella risoluzione 1851 in realtà hanno natura diversa rispetto ai “comuni” shiprider

agreements. La risoluzione prevede che qualsiasi Stato della regione, che si

renda disponibile a catturare e esercitare la propria giurisdizione nei confronti

3 Cfr. D. GUILFOYLE, Piracy off Somalia: a sketch of the legal framework, European Journal

of International Law, http://www.ejiltalk.org/piracy-off-somalia-a-sketch-of-the-legal-framework/, visitato il 25 agosto 2014.

4 The Djibouti Code of Conduct, Annex, Art 7, par. 1, in International Maritime Organization

Council, 102nd session, C 102/14, p. 11.

5 Cfr. M. C. CICIRIELLO e F. MUCCI, La moderna pirateria al largo delle coste dellac

Somalia: un banco di prova per vecchi e nuovi strumenti internazionali di prevenzione e repressione, Rivista diritto navigazione 2010, nota 15.

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dei pirati, può imbarcare dei propri funzionari su navi militari ed entrare nelle acque territoriali somale. Diversamente, ad esempio, dall’accordo Canada – USA, lo Stato che imbarca il proprio ufficiale sarà colui che consentirà di accedere nel mare territoriale del suo Stato e autorizzerà le operazioni di polizia.6

Nel caso della pirateria al largo delle coste somale gli shiprider agreements avrebbero la funzione di attirare tutti i Paesi limitrofi alla Somalia e far esercitare loro la propria giurisdizione sui pirati catturati.

In realtà c’è da osservare come eventuali accordi simili non conferirebbero poteri aggiuntivi rispetto alle risoluzioni 1816 e 1846 le quali prevedevano già l’accesso, da parte degli Stati terzi che partecipavano al contrasto della pirateria, nelle acque territoriali della Somalia.

Nel caso poi tali shiprider agreements venissero conclusi, questi ultimi dovrebbero in ogni caso rispettare, ai sensi della risoluzione 1851 paragrafo 3 “the advance consent of the TFG…for the exercise of third state jurisdiction by shipriders in Somali territorial waters and that such agreements or arrangements do not prejudice the effective implementation of the SUA Convention”.7

Questi accordi avrebbero come pregio di poter evitare che vi sia un trasferimento o una richiesta di estradizione per i trasgressori catturati, poiché

6 Cfr. R. GEISS e A. PETRIG, Piracy and Armed Robbery at Sea, The Legal Framework for

Counter-Piracy Operations in Somalia and the Gulf of Aden, Oxford University Press 2011, p.

87.

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essi sarebbero fin da subito sotto la giurisdizione dello Stato che ha imbarcato l’ufficiale incaricato.8

L’impiego di accordi per imbarcare personale di polizia in una nave militare di un altro Stato porterebbe senz’altro dei benefici, oltre ad essere un’occasione per coinvolgere i Paesi della regione nell’esercizio della giurisdizione, sarebbe una via per sfruttare al meglio le forze militari al largo delle coste somale.

Le forze armate sono addestrate al combattimento, a fronteggiare sul campo gli attacchi pirati e a neutralizzarli quando necessario, ma di fatto non hanno la preparazione adeguata a livello di procedure forensi per facilitare l’avvio dei procedimenti giudiziari sui responsabili del reato di pirateria. La presenza di personale di polizia con specifiche competenze agevolerebbe quindi l’esercizio della giurisdizione e garantirebbe una minor impunità.9

Gli shiprider agreements potrebbero anche, in un certo qual modo, sopperire alla mancata previsione del diritto d’inseguimento alla rovescia, in modo tale da poter rimediare a una notevole carenza del diritto internazionale che una volta iniziato l’inseguimento in alto mare dovrà desistere arrivati nelle acque territoriali di uno Stato.10

Inizialmente gli attacchi pirati erano concentrati in maggior misura in prossimità delle coste somale, col tempo il fenomeno si è spostato più a sud ed è per questo motivo che la Repubblica delle Seychelles piano piano ha sempre di più acquisito un ruolo fondamentale. Per contemplare un utilizzo più

8 Cfr. R. GEISS e A. PETRIG, Piracy and Armed Robbery at Sea, The Legal Framework for

Counter-Piracy Operations in Somalia and the Gulf of Aden, Oxford University Press 2011, p.

87.

9 Ibid., p. 89.

10 Cfr. G. TELLARINI, La pirateria marittima, regime di repressione e misure di contrasto,

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ragionevole e sensato degli shiprider agreements, a fronte della mutata situazione, sarebbe più lungimirante che questi accordi venissero conclusi con le autorità della Repubblica delle Seychelles, di modo che i funzionari imbarcati legittimassero gli interventi nelle acque arcipelagiche dello Stato; riguardo a questo tratto di mare, a differenza del mare somalo, nessuna risoluzione prevede l’ipotesi di poter addentrarsi nelle acque territoriali.11

Come vedremo più avanti alcuni Stati, tra cui quelli europei tramite l’UE, hanno però adottato una diversa soluzione stipulando con la Repubblica delle Seychelles, e altri Paesi, dei Memorandum of Understanding sul trasferimento dei sospetti catturati in cui lo Stato arcipelago si rende disponibile, a determinate condizioni, a processare i pirati.

Sembra che la risoluzione 1851/2008 abbia incoraggiato gli Stati a utilizzare più quest’ultimo strumento convenzionale. Ufficialmente infatti non sono stati resi noti shiprider agreements. Si può quindi ipotizzare che gli Stati della regione siano restii a imbarcare ufficiali di polizia sulle imbarcazioni militari degli Stati in missione, perché ciò comporterebbe un eccessivo sforzo e carico di responsabilità.

A differenza, infatti, degli shiprider agreements gli accordi bilaterali sul trasferimento dei sospettati arrestati non comportano la possibilità di accedere al mare territoriale, a meno che sia prescritto diversamente nel patto; inoltre gli Stati possono avere la facoltà di accettare o meno, a determinate condizioni, di processare i pirati catturati, sempre che non sia previsto altrimenti nel testo dell’accordo. Infine lo Stato che eserciterà la giurisdizione in questo caso non

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dovrà fornire personale di polizia a bordo delle navi militari straniere che pattugliano le aree a rischio.12

Come affronteremo più avanti, già gli accordi bilaterali sul trasferimento dei sospettati fermati hanno presentato vari problemi per gli Stati che s’impegnano a ospitare i pirati.

Tra gli Stati dell’oceano Indiano limitrofi alla Somalia e gli Stati occidentali che intervengono con le missioni militari c’è un gap evidente e i primi tendono a mantenere una forte prudenza per evitare di essere “lasciati soli” nel contrasto della pirateria e per la protezione dei commerci marittimi.

Con una graduale crescita dei rapporti diplomatici tra gli Stati più influenti e gli Stati della regione, con un adeguato sostegno finanziario, con adeguate strutture messe a disposizione, con organizzazioni ad hoc predisposte per il coordinamento alla lotta alla pirateria, con tutte queste condizioni forse ci saranno le condizioni per avviare ufficialmente la prassi degli shiprider

agreements.

2. Analisi comparativa dei vari accordi bilaterali per il trasferimento dei sospetti pirati

Uno degli eventi che ha incoraggiato il Consiglio di Sicurezza a promuovere, con la risoluzione 1851/2008, il ricorso ad accordi con Paesi della regione per migliorare la condizione del contrasto alla pirateria, è stato la cattura di un

12 Cfr. G. TELLARINI, La pirateria marittima, regime di repressione e misure di contrasto,

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gruppo di pirati che attaccò la nave indiana Safina al Bisarat.13 I dieci pirati somali furono fermati dalle forze navali statunitensi e poi condotti in Kenya, dove vennero processati e condannati dal Tribunale di Mombasa a sette anni di reclusione, la sentenza fu poi confermata anche in appello dalla High Court di tale distretto.14

Il case law appena citato è registrato nel database dell’United Nations Office

on Drugs and Crime, ove sono riportate tutte le informazioni sulla controversia,

e nella sezione Commentary and Significant Features viene esplicitamente osservato: “This was the first opportunity and the first case where the Kenyan Government involved itself in the prosecution of a piracy-related case within extra-territorial waters; The case lays basis for prosecution of Piracy cases in Kenya. Kenya had entered into Memorandum of Understanding/exchange of letters with UK, EU, USA, CANADA, CHINA, DENMARK, EUNAV for the transfer and prosecution of suspected pirates captured in the internationals waters of the Coast of Somalia which due to the efflux ion of time expired.”15

Come è stato appena riportato questo caso pone le basi al Kenya per la persecuzione della pirateria, analizzeremo più avanti l’evoluzione giurisprudenziale e legislativa del Paese poiché quest’ultima si ripercuoterà inevitabilmente sulla sussistenza degli accordi con gli Stati europei e non.

Regno Unito, Stati Uniti, Danimarca, Cina e Unione Europea hanno presto recepito l’invito del Consiglio di Sicurezza, contenuto nella risoluzione

13 Cfr. M. DEL CHICCA, La pirateria: profili evolutivi del più antico crimine internazionale,

Tesi di dottorato in Scienze Giuridiche presso l’Università di Pisa 2012, p. 145.

14 Cfr. United Nations Office on Drugs and Crime, Sharing Electronic Resources and Laws on

Crime, Case Law Database, http://www.unodc.org/cld/case-law-doc/piracycrimetype/k

en/hassan_m_amed_9_others_-_vs_-_republic.html#charges, visitato il 21 agosto 2014.

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1851/2008, concludendo tra dicembre 2008 e agosto 2009 accordi bilaterali con il Kenya.16

Solamente l’Unione Europea ha reso pubblico il testo dell’accordo con il Kenya, uno “Scambio di lettere tra l'Unione Europea e il governo del Kenya sulle condizioni e modalità del trasferimento delle persone sospettate di aver commesso atti di pirateria e fermate dalla forza navale diretta dall'Unione europea (EUNAVFOR), e dei beni sequestrati in possesso dell'EUNAVFOR, dall'EUNAVFOR al Kenya, e del loro trattamento dopo tale trasferimento”.

Successivamente l’Unione Europea stringe un analogo accordo con la Repubblica delle Seychelles nel dicembre 2009 e con la Repubblica di Mauritius nel settembre 2011.

I testi degli accordi presi dall’UE sono simili e i successivi si ispirano al primo accordo stipulato col Kenya, senonché è importante analizzare le differenze e le novità introdotte successivamente con i due successivi.

Come già annunciato prima, non è invece possibile analizzare gli accordi bilaterali che i Paesi della regione hanno preso con altri Stati (l’ultimo è quello degli Stati Uniti con la Repubblica delle Seychelles nel 2010), essi hanno la natura di Memorandum of Understanding ma non sono mai stati resi pubblici.17

La genesi dell’intesa tra Unione Europea e Kenya nasce a seguito della cattura di nove pirati somali nel Golfo di Aden da parte della nave tedesca

16 Cfr. J. T. GATHII, Jurisdiction to Prosecute Non-National Pirates Captured By Third States

Under Kenyan and International Law, in Loyola of Los Angeles International and Comparative

Law Review, 31 March 2010, p. 3, Social Science Research Network, http://www.ssrn.com/en/ visitato il 25 agosto 2014.

17 Cfr. M. DEL CHICCA, La pirateria: profili evolutivi del più antico crimine internazionale,

Tesi di dottorato in Scienze Giuridiche presso l’Università di Pisa 2012, p. 145 e p. 149 nota 618.

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“Rheinland-Pfalz”, nel febbraio 2009, che dopo averli tenuti a bordo per dodici giorni, in attesa di ricevere istruzioni da Berlino, vennero infine portati di fronte ad un tribunale keniota. Parallelamente infatti fu proprio l’ambasciatore tedesco in Kenya ad avviare i negoziati che sfociarono finalmente nello scambio di lettere tra Unione Europea e Kenya nel marzo 2009.18

Si analizzeranno più avanti i tre accordi che l’Unione Europea ha concluso con gli Stati protagonisti nell’Oceano Indiano nel contrasto alla pirateria marittima. Il primo accordo, quello col Kenya, sarà la base di partenza per i successivi che comunque presenteranno delle novità e delle differenze.

2.1. La natura giuridica degli accordi

Sotto il profilo formale gli accordi conclusi dall’UE rientrano tra quelli stipulati in forma semplificata, caratterizzati da una procedura più snella e più breve rispetto alla procedura in forma solenne.

In genere questo tipo di accordi sono bilaterali e uno dei modi per concluderli è proprio lo scambio di note o lettere. Lo scambio di testi aventi il medesimo contenuto determina il contenuto dell’accordo e l’impegno delle parti a vincolarsi ad esso.

Le firme non saranno apposte sul medesimo documento, ma ciascuna parte riceverà il testo firmato dall’altra. In genere in questi casi si salta la fase di

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negoziazione e la ratifica, ovvero con la sola firma apposta nel documento si è vincolati a rispettare l’accordo.19

Nel caso del testo dell’accordo tra Kenya e UE è stabilito che “il presente strumento sarà applicato in via provvisoria dalla data della sua firma ed entrerà in vigore quando ciascuno dei partecipanti avrà completato le proprie procedure interne.”20

A livello sostanziale non vi è differenza tra gli accordi stipulati in forma solenne o semplificata, entrambi hanno stesso valore vincolante.21

Tranne l’UE tutti gli altri Stati che hanno concluso accordi con i Paesi dell’Oceano Indiano in materia di collaborazione contro la pirateria, e, nello specifico, sul trasferimento dei soggetti arrestati con l’accusa di aver commesso atti di pirateria, lo hanno fatto con la sottoscrizione di Memorandum of Understanting e a differenza degli accordi con l’Europa, come già ricordato sopra, essi non sono mai stati resi pubblici.

È doveroso soffermarsi sulla natura giuridica di tali intese e le differenze con lo scambio di lettere adottato dall’UE.

Il Memorandum of Understanding (Memorandum of Understanding) è una formula comunemente utilizzata nei Paesi del Commonwealth.

Circa i cinquanta Stati del Commonwealth tendono ad usare sempre il Memorandum of Understanding anche là dove altri Stati avrebbero impiegato l’uso di trattati.22

19 Cfr. G. STROZZI, Il diritto dei trattati, G. Giappichelli Editore 1999, pp. 40-41. 20 Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, L 79/49, 25 marzo 2009.

21 Cfr. G. STROZZI, Il diritto dei trattati, G. Giappichelli Editore 1999, p. 41.

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L’utilizzo del Memorandum of Understanding è caratterizzato dalla sveltezza, dalla mancanza di procedure costituzionali di ratifica e anche dalla mancanza di vincoli giuridici. Inoltre, altra caratteristica tipica dei Memorandum of Understanding è che il testo può essere mantenuto riservato, al contrario dei trattati.

Col tempo la prassi dei Memorandum of Understanding è aumentata, e a volte essi producevano veri e propri vincoli giuridici, quindi parlare di Memorandum of Understanding in contrapposizione rispetto ai trattati non è propriamente corretto.

Così si è arrivati ad osservare che il Memorandum of Understanding in sé non chiarisce lo status giuridico di tale accordo, ma per definirlo è necessario analizzare le espressioni e le parole che sono state utilizzate per definire i termini dell’accordo.23

Quindi è possibile dedurre che la forma flessibile del Memorandum of Understanding può essere interpretata come un memoradum d’intesa non vincolante o un normale trattato a seconda di come sia redatto.

Per quanto riguarda tutti i Memorandum of Understanding conclusi dai Paesi militarmente ed economicamente più forti con gli Stati Africani si tratta più che altro di un accordi che non producono vincoli legali per gli Stati, ma piuttosto sono memorandum d’intesa che definiscono le basi per un’azione comune e nessun testo dell’accordo è mai stato reso pubblico.

Per esempio riguardo al testo del Memorandum of Understanding tra Kenya e U.K., il ministro degli esteri britannico ha comunicato alla Camera dei Comuni

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che il Kenya non ha voluto che l’accordo con il Regno Unito sia reso pubblico, di conseguenza la preferenza del governo keniota sulla segretezza ha impedito il rilascio pubblico delle informazioni sugli altri accordi firmato da Kenya; “The Kenyan Government do not wish to make public the detail of the December 2008 Memorandum of Understanding with the UK on the transfer of persons suspected of having committed acts of piracy. We can say in broad terms that the UK has undertaken to co-operate with the Kenyan authorities in relation to the preparation and presentation of evidence to assist the Kenyan authorities to prosecute any pirates handed over to them”.24

2.2. L’Accordo Unione Europea – Kenya

Il testo dell’accordo è strutturato con una prima parte che inquadra l’accordo e lo definisce nelle sue condizioni di validità, e un allegato che entra nel merito rispetto alle disposizioni relative alle condizioni e modalità del trasferimento delle persone sospettate di aver commesso atti di pirateria.

Innanzitutto l’accordo viene inquadrato all’interno dell’azione comune promossa dall’Unione Europea: “questo scambio di lettere è concluso nel quadro dell'azione comune 2008/851/PESC del Consiglio, del 10 novembre 2008, relativa all'operazione militare dell'Unione Europea volta a contribuire alla dissuasione, alla prevenzione e alla repressione degli atti di pirateria e delle rapine a mano armata al largo della Somalia (operazione «Atalanta»)”.25

24 , Kenya: Piracy, Hansard, UK House of Commons Written Answers, pt. 0010, col.921W(May

14, 2009), available at http://www.publications.parliament.uk/, visitato il 3 settembre 2014.

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Viene poi ricordato che quanto stipulato lascia impregiudicati i diritti e gli

obblighi dei partecipanti derivanti da “…le risoluzioni 1814 (2008), 1838

(2008), 1846 (2008), 1851 (2008) e successive del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite; la convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) del 1982, in particolare degli articoli da 100 a 107, del diritto internazionale dei diritti umani, inclusi il patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966 e la convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti del 1984”.26

Infine vengono definite le modalità di entrata in vigore, di modifica e di cessazione di tale accordo: “…il presente strumento continuerà ad avere effetto fino a sei mesi dopo che uno dei partecipanti abbia notificato per iscritto all'altro firmatario la decisione di porre fine allo strumento. Il presente strumento può essere modificato per accordo comune tra i firmatari”.27

Per quanto riguarda l’allegato, al paragrafo 1 lettera g) sono stabilite alcune definizioni, per esempio per pirateria si fa riferimento alla definizione data all’articolo 101 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Mare.

Per mezzo di questo accordo “il Kenya accetterà, su richiesta dell'EUNAVFOR, il trasferimento delle persone fermate dall'EUNAVFOR in connessione con la pirateria e dei relativi beni sequestrati dall'EUNAVFOR e sottoporrà tali persone e beni alle proprie autorità competenti ai fini delle indagini e dell'azione giudiziaria”;28 sempre nello stesso paragrafo, che titola principi generali, alla lettera c) viene riaffermato l’obbligo di rispettare, da parte

26 Ivi. 27 Ivi.

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di entrambi gli Stati, gli “obblighi internazionali in materia di diritti umani, incluso il divieto della tortura o di qualsiasi altro trattamento o pena crudele, disumana o degradante e il divieto della detenzione arbitraria ed in conformità al requisito del diritto a un processo equo”.29

Altri punti focali dell’accordo sono la previsione di garanzie e diritti per lo svolgimento di un giusto processo al paragrafo 3, l’esclusione della pena di morte al paragrafo 4 e l’assistenza fornita dall’EUNAVFOR al paragrafo 6.

La persona trasferita avrà un degno trattamento, vitto, alloggio e nel caso ci fosse bisogno accesso alle cure mediche.30 Il soggetto verrà condotto prontamente innanzi ad un’autorità giudiziaria e ove quest’ultima può ordinare la scarcerazione quando essa sia illegittima.31 Il trasferito avrà diritto ad un processo o alla liberazione entro un ragionevole periodo di tempo;32 avrà inoltre diritto ad essere informato in modo dettagliato sulle accuse e sui fatti in una lingua da lui comprensibile33 e avrà diritto a presentare ricorso in appello a una corte superiore ai sensi delle leggi del Kenya.34 Inoltre il sospetto catturato non

potrà essere trasferito presso un altro Stato senza il consenso previo

dell’EUNAVFOR.35

Al paragrafo 4, come già ricordato prima, è stabilito il vincolo per il Kenya nel non applicare la pena capitale. “Nessuna persona trasferita potrà essere condannata alla pena di morte. Il Kenya, conformemente alle leggi applicabili,

29 Ibid., para 2 let c). 30 Ibid., para 3 let a). 31 Ibid., para 3 let b). 32 Ibid., para 3 let c). 33 Ibid., para 3 let f). 34 Ibid., para 3 let g). 35 Ibid., para 3 let h).

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adotterà le misure necessarie per assicurare che la pena di morte sia commutata in pena detentiva”.36

Accanto a un sostanzioso elenco di garanzie per il trasferito, al paragrafo 6 viene poi stabilito che l’EUNAVFOR fornirà assistenza al Kenya in relazione alle indagini dell’azione giudiziaria raccogliendo tutte le possibili prove e le deposizioni.37

Il paragrafo 5 prevede che tramite uno scambio di documentazione e notifiche l’EUNAVFOR e l’Unione Europea vigileranno sull’adempimento dell’accordo e sull’operato delle autorità keniote.38 Interessante sottolineare che il soggetto attivo della collaborazione giudiziaria è l’EUNAVFOR.

In caso di controversie sull’applicazione delle disposizioni dell’accordo, esse verranno dibattute e “saranno esaminate congiuntamente dalle competenti autorità del Kenya e dell'UE”.39

All’ultimo paragrafo, titolato disposizioni attuative, viene stabilito che esse verranno di volta in volta statuite per poter decidere le questioni tecniche e amministrative ai fini dell’applicazione delle disposizioni dell’accordo.40

Questo fa capire quale sia l’intento dell’accordo, ovvero non intende soffermarsi sulle procedure e le questioni pratiche legate al trasferimento dei sospettati, piuttosto la gran parte del testo si concentra su questioni di principio e strettamente legate alle garanzie del trasferito.

36 Ibid., para 4. 37 Ibid., para 6. 38 Ibid., para 5. 39 Ibid., para 8 let a). 40 Ibid., para 9.

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2.3. L’Accordo Unione Europea – Repubblica delle Seychelles

L’accordo con le Seychelles e il ruolo centrale che avrà questo piccolo Stato – arcipelago dipendono innanzitutto dallo spostamento graduale nel corso del tempo degli attacchi pirata sempre più a sud dell’Oceano Indiano.

Avendo infatti tutta la Comunità Internazionale marcato stretto la zona di mare in prossimità delle coste somale, le azioni criminali si sono concentrate in aree meno sorvegliate.

Anche se è una Repubblica che ha il problema di essere molto piccola come estensione, come vedremo questo piccolo Stato giocherà un ruolo strategico importante, questo perché a differenza degli altri Stati limitrofi al Golfo dell’Aden non presenta tutti i problemi sociali e politici che caratterizzano gli Stati Africani.

Lo scambio di lettere tra l’UE e la Repubblica delle Seychelles inizia nell’agosto 2009, continua in settembre e si conclude, con l’adozione quindi dell’accordo bilaterale, il 2 dicembre 2009.

Vi sono poi alcune differenze rispetto al precedente accordo con il Kenya, prima fra tutte è l’ambito di applicazione di tale accordo sul trasferimento dei colpevoli di reato di pirateria, esso infatti statuisce che “il governo della Repubblica delle Seychelles può autorizzare l’EUNAVFOR a trasferire le persone sospettate di aver commesso atti di pirateria o rapine a mano armata arrestate nel corso delle operazioni nella zona economica esclusiva, nelle acque territoriali, nelle acque arcipelagiche e nelle acque interne della Repubblica delle Seychelles. L’autorizzazione è estesa alla protezione delle navi battenti

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bandiera delle Seychelles e ai cittadini delle Seychelles a bordo di navi che non battono tale bandiera che si trovano oltre detto limite e, in altre circostanze, a discrezione della Repubblica delle Seychelles, in alto mare”.41

In questo accordo viene poi espressamente pattuito che l’UE si impegnerà nella “consapevolezza delle capacità limitate a disposizione della Repubblica delle Seychelles” a offrire “piena assistenza, in termini finanziari, umani, materiali, logistici e infrastrutturali, per la detenzione, la reclusione, il mantenimento, le indagini, l’azione giudiziaria, la celebrazione del processo e il rimpatrio inerenti alle persone sospettate di aver commesso atti di pirateria o rapine a mano armata”.42 Questa novità è stata inserita anche a seguito

dell’esperienza avuta con il Kenya;43 inoltre, nell'eventualità in cui non vi siano “prove sufficienti per l’avvio dell’azione giudiziaria”, l’Unione Europea “si assume la piena responsabilità, anche in termini di costi finanziari, del ritrasferimento della persona sospettata di aver commesso un atto di pirateria o una rapina a mano armata nel paese d’origine entro 10 giorni a decorrere dalla data in cui le è stata comunicata la decisione del procuratore generale”.44

Analogamente all’accordo bilaterale col Kenya, anche in questo scambio di lettere sono presenti le garanzie e i diritti assicurati alle persone trasferite in merito alle condizioni del trasferimento e al giusto processo, come ad esempio l’aver diritto al processo o al rilascio entro un ragionevole lasso di tempo, a un processo dinnanzi a un giudice competente, il diritto di essere informato sulle

41 Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, L 315/37, 2 dicembre 2009. 42 Ivi.

43 Cfr. M. DEL CHICCA, La pirateria: profili evolutivi del più antico crimine internazionale,

Tesi di dottorato in Scienze Giuridiche presso l’Università di Pisa 2012, p.149.

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proprie accuse nella lingua comprensibile dall’imputato, il diritto di difesa; è poi presente la clausola che prevede un consenso preliminare dell’EUNAVFOR prima di un possibile spostamento in un altro Stato della persona trasferita.

2.4. L’Accordo Unione Europea – Repubblica di Mauritius

Il 14 luglio 2011 l’Unione Europea conclude un accordo con la Repubblica di Mauritius. Questo è il terzo accordo bilaterale sul trasferimento dei pirati catturati e anche in questo caso viene fatto tesoro delle esperienze precedenti per poi introdurre degli elementi nuovi.

C’è da notare come in questo caso la convenzione non sia frutto di uno scambio di lettere tra il Paese e l’UE ma sia un vero e proprio accordo scritto e controfirmato dalle due parti e assai più completo rispetto ai precedenti conclusi con il Kenya e la Repubblica delle Seychelles.

Il preambolo chiama in causa l’azione comune dell’UE, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in materia di pirateria nell’Oceano Indiano, il patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966 e la convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti del 1984.45

All’articolo 3 troviamo un elemento innovativo rispetto ai precedenti accordi bilaterali, ovvero Mauritius può accettare46 di ricevere gli individui catturati per sospetto di aver commesso atti di pirateria e “il consenso sull’accettazione di

45 Cfr. Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, L 254/3, 30 settembre 2011. 46Ibid., art. 3 para 1.

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una consegna proposta sarà deciso caso per caso da Mauritius, tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti, compreso il luogo dell’incidente”.47

A proposito del luogo dell’accaduto, all’articolo 1 si stabilisce che i sospetti colpevoli di pirateria per essere trasferiti in Mauritius devono aver commesso tali delitti “in alto mare al largo delle acque territoriali di Mauritius, del Madagascar, delle Isole Comore, delle Seychelles e dell’Isola di Reunion”.48

All’articolo 4 sono riportati i diritti garantiti all’imputato in materia di trattamento della persona e giusto processo. Al paragrafo 8 del suddetto articolo è menzionata l’ipotesi di poter trasferire, previa consultazione tra UE e Mauritius, il soggetto ormai condannato in un altro Stato per scontare la pena. Tutto ciò deve essere subordinato alla sicurezza che anche nell’altro Stato sia garantito il rispetto dei diritti umani elencati nell’articolo 4.

Questa previsione, avendo già avuto l’esperienza della Repubblica delle Seychelles, viene in contro all’esigenza di Mauritius come Stato piccolo non in grado di ospitare molti detenuti.

All’articolo 5 viene riproposta la clausola già presente nel primo accordo bilaterale stipulato dall’Europa col Kenya che impone il divieto di applicazione della pena di morte.

L’articolo 7 prevede che l’UE e l’EUNAVFOR forniscano un’assistenza a tutto tondo allo Stato di Mauritius. Al paragrafo 2 sono elencate le attività di sostegno dell’EUNAVFOR per facilitare l’inizio dell’azione giudiziaria sulle persone fermate, per esempio agevolare la convocazione dei testimoni, la

47 Ibid.,

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raccolta delle prove e i documenti inerenti ad esse secondo le esigenze delle autorità competenti di Mauritius, produrre le deposizioni e le dichiarazioni dei testimoni sotto giuramento, agevolare la convocazione degli interpreti ove necessario.

Al paragrafo 3 dell’articolo 7 invece viene stabilito che le parti elaborino delle diposizioni attuative per garantire un’assistenza finanziaria a beneficio di Mauritius. Inoltre il sostegno riguarderà “l’assistenza tecnica e logistica a Mauritius nei settori della revisione della legislazione, della formazione degli inquirenti e dei pubblici ministeri, delle procedure investigative e giudiziarie e, in particolare, le disposizioni per la conservazione e la consegna delle prove e la procedura d’appello”.49 Le disposizioni attuative garantiranno anche l’assistenza per “il rimpatrio delle persone trasferite in caso di assoluzione o di mancato esercizio dell’azione penale, il loro trasferimento per finire di scontare la pena in un altro Stato o il loro rimpatrio dopo aver scontato la pena a Mauritius”.50

Riguardo all’estinzione dell’accordo, è stabilito all’articolo 11 paragrafo 2 che esso “resta in vigore fino al termine dell’operazione notificato dall’EUNAVFOR”.51 Una volta che suddetta operazione sia conclusa è stabilito che “i diritti dell’EUNAVFOR in virtù del presente accordo possono essere esercitati dalla persona o entità designata dall’alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza”.52

49 Ibid., art. 7 para 3. 50 Ivi.

51 Ibid., art. 11 para 2. 52 Ibid., para 5.

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2.3. Altri accordi

Come possiamo notare, la collaborazione tra i vari Stati e il reciproco sostegno sono stati l’arma migliore per garantire la sicurezza dei mari. È in questo senso che la prassi di accordi, ma soprattutto Memorandum of Understanding bilaterali o multilaterali è aumentata.

Un ultimo esempio di accordo da analizzare è quello che, a differenza degli altri già esaminati, avvia una collaborazione tra Stati Africani della regione sud dell’Oceano Indiano.

In genere è sempre accaduto che uno Stato europeo o occidentale per poter avere una certa incisività nel contrasto alla pirateria sia stato costretto a stringere accordi con i Paesi della regione. Quindi le intese sono in genere volte a mettere in collaborazione i Paesi Africani con i Paesi più attrezzati pronti a fornire loro un adeguato supporto.

L’accordo in questione è il Memorandum of Understanding firmato da Mozambico, Tanzania e Sud Africa il 7 febbraio 2012,53 in realtà questo accordo

trilaterale nasce come ampliamento di un primo Memorandum of Understanding che venne concluso già nel novembre 2011 tra Sud Africa e Mozambico.

Come abbiamo già specificato prima, la pirateria si sta gradualmente spostando verso sud, inoltre il Mozambico è un Paese debole, posizionato al 184° posto su 187 sulla più recente classifica stilata dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo. Il Mozambico ha una debole marina militare e

53http://www.defenceweb.co.za/index.php?option=com_content&view=article&id=23304:sisulu

-signs-maritime-security-mou-with-tanzania-and-mozambique&catid=51:Sea&Itemid=106, visitato il 3 settembre 2014.

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quindi non ha le risorse per pattugliare le sue coste, che tra l’altro rappresentano il secondo tratto più lungo in Africa dopo quello della Somalia.

A seguito di questa situazione l’accordo bilaterale con il Sud Africa e poi esteso alla Tanzania permette a questi Stati di poter accedere nelle acque territoriali del Mozambico e poter svolgere compiti di polizia con le proprie flotte militari.

La collaborazione in soccorso al Mozambico è però stata preclusa agli Stati Uniti e all’Unione Europea, lo Stato africano infatti non ha voluto stringere accordi con quest’ultimi non permettendogli di poter entrare nelle loro acque territoriali.54

Un altro Paese in difficoltà è il Madagascar, che si trova nel mezzo tra le costa africana e gli Stati arcipelago di Seychelles e Mauritius. Questo Stato è probabilmente una meta in cui clandestinamente sono situate basi pirata. Lo Stato purtroppo non è ancora stato coinvolto in modo incisivo nella lotta alla pirateria proprio per la mancanza di stabilità interna.

Analizzeremo più avanti le problematiche che i vari accordi stipulati tra UE e i Paesi Africani hanno generato e le varie possibili soluzioni, ricordando che queste intese sono comunque l’inizio di un percorso che potrà realmente portare i suoi buoni frutti.

In quest’occasione è bene ricordare che tale analisi è un riscontro pratico di come la Comunità Internazionale possa effettivamente collaborare per difendersi da problemi di portata mondiale.

54 http://mg.co.za/article/2011-11-15-sa-moz-and-tanzania-tackle-piracy-with-innovative-pact,

(23)

Lo scenario della lotta alla pirateria, è un’opportunità per il diritto internazionale di modellarsi e di svilupparsi in un modo nuovo facendo combaciare le esigenze pratiche con i presupposti giuridici.

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B) L’EVOLUZIONE LEGISLATIVA E GIURISPRUDENZIALE INTERNA AI PAESI

AFRICANI A SEGUITO DEGLI ACCORDI.

1. Kenya – 1.1. Evoluzione giurisprudenzale – 1.1.1. Hassan M. Ahmed & others -vs- Republic of Kenya – 1.1.2. Mohamud Mohamed Dashi & 8 Others -vs- Republic of Kenya– 1.1.3. Overturturn della Court of Appeal di Nairobi – 1.1.4. Altre sentenze – 1.2. Analisi e critiche del Merchant Shipping Act 2009 – 1.3. Interruzione degli accordi – 1.4. I problemi infrastrutturali – 2. Seychelles – 2.1. L’evoluzione del reato di pirateria nel codice penale. – 2.2. La giurisprudenza – 3. Mauritius – 3.1. Le riforme legislative – 3.2. L’annullamento dell’accordo – 4. Limiti e problemi infrastrutturali di Seychelles e Mauritius

1. Kenya

Il Kenya è il principale Paese di riferimento competente, grazie agli accordi conclusi, a perseguire i pirati catturati da Stati terzi in ossequio al principio di giurisdizione universale.

La disponibilità del Kenya a processare i catturati accusati di pirateria juris

gentium è stata ostacolata da una serie di problematiche di vario tipo.

Una prima difficoltà è derivata da incongruenze legislative evidenziate in alcune sentenze, e sarà necessaria quindi un’evoluzione giurisprudenziale che armonizzerà il diritto keniota in materia di pirateria.

Tutti gli altri ostacoli derivano dalla mancanza di infrastrutture, di mezzi e i problemi diplomatici, poiché il Kenya rivendica il bisogno di aiuto, ai sensi degli accordi conclusi, per evitare di causare una congestione del sistema giudiziario interno.

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1.1. Evoluzione giurisprudenzale

Per analizzare le problematiche legate all’accordo con il Kenya nel processare i pirati catturati dalle forze EUNAVFOR è necessario esaminare l’evoluzione del diritto keniota, ricordando che, essendo questo un sistema di common law, la giurisprudenza ha giocato un ruolo importante.

Uno degli elementi problematici del fatto di fare affidamento sugli Stati Africani è l’inadeguatezza dei loro ordinamenti, il Kenya infatti ha acconsentito a processare i pirati catturati in alto mare da Stati terzi, ma, seppure non fin dall’inizio, sono emersi in sede giurisprudenziale delle incongruenze e delle antinomie tra varie norme dell’ordinamento.

Il problema in questione sottolinea come non sia esaustivo concludere accordi con gli Stati della regione, ma è necessario che i Paesi, per giocare un ruolo importante, debbano aggiornare ed adeguare il proprio diritto interno.

1.1.1. Hassan M. Ahmed & others -vs- Republic of Kenya

Partiamo dal Criminal Case N. 434 del 2006 (citato prima, p. 92), che rappresenta il primo processo in un tribunale keniota nei confronti di pirati fermati in alto mare da forze militari straniere.

La nave indiana Safina Al Bisaarat venne attaccata da pirati somali e quest’ultimi a loro volta catturati dalle forze statunitensi che portarono li innanzi al tribunale di Mombasa.

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In quel caso l’avvocato difensore dei pirati sosteneva che la Magistrate’s Court del Kenya non avesse giurisdizione per il reato di pirateria commesso fuori dal territorio nazionale.1

In sede di appello, la sentenza del 12 maggio della High Court di Mombassa dichiarò che la norma che puniva il reato di pirateria, ovvero la Sezione 69 paragrafo 1 del codice penale keniota, affermando che “Any person who, in territorial waters or upon the high seas, commits any act of piracy jure gentium is guilty of the offence of piracy” attribuisse in modo chiaro giurisdizione alle corti del Kenya in materia di pirateria.

Il magistrato della High Court sostenne poi che anche se il codice penale non avesse avuto una disposizione ad hoc sul reato di pirateria, la Magistrate’s Court avrebbe in ogni caso potuto fondare la propria giurisdizione basandosi sulla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che era già stata sottoscritta e ratificata dal Kenya.

I ricorrenti inoltre chiedevano di ridurre la pena dei sette anni, ma anche in questo caso la richiesta venne respinta perché la sezione 69 paragrafo 3 del codice penale prevedeva originariamente l’imprigionamento a vita per il reato di pirateria.

In realtà, come vedremo più avanti, le basi giuridiche che giustificano la competenza della Magistrate’s Court per i casi di pirateria sono molto deboli e infatti la presunta competenza delle corti keniote in tema di pirateria verrà smentita da una successiva sentenza: un anno più tardi vi sarà un overturn da parte della stessa High Court di Mombasa.

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1.1.2. Mohamud Mohamed Dashi & 8 Others -vs- Republic of Kenya

In questo caso i nove ricorrenti erano stati accusati dalla Chief Magistrate’s Court di Mombasa l’11 marzo 2009 di pirateria ai sensi della Sezione 69 paragrafo 1 c.p. in combinato disposto con la Sezione 69 paragrafo 3.

I fatti: il 3 marzo 2009 nell’Oceano Indiano i pirati armati tre fucili AK 47 e un RPG-7 portatile lanciarazzi, hanno attaccato la nave MV Courier. Gli imputati si sono dichiarati non colpevoli, la loro richiesta di libertà su cauzione è stata respinta dal giudice di merito sulla base del fatto che la loro nazionalità non era nota e che quindi la probabilità della loro fuga era molto alta.

Il processo iniziò il 27 aprile 2009 presso la Chief Magistrate’s Court a Mombasa e a settembre 2010 i convenuti presentarono ricorso alla High Court di Mombasa, la quale il 9 novembre 2010 emise la sentenza.2

L’avvocato dei convenuti Jared Magolo formula in appello le seguenti argomentazioni: appurato che i fatti sono avvenuti non in acque territoriali del Kenya ma in alto mare e che in nessun modo c’è un nesso con il Kenya, l’avvocato chiede che sia rilevata la non competenza della Chief Magistrate’s Court.

Mr. Ondari, per la pubblica accusa, ribatte ammettendo che la Sezione 69 del codice penale riconosceva giurisdizione universale per la pirateria e che non vi era alcun obbligo di dimostrare un nesso tra l'autore del reato e l’offeso. Cita inoltre la decisione in appello della High Court di Mombasa del 12 maggio

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2009, analizzata nel precedente paragrafo, in cui la Corte ha respinto l’istanza di appello che sosteneva l’incompetenza della corte di primo grado e ha confermato le condanne rispetto delle accuse di pirateria in alto mare.

Il giudice dell’High Court nello schema della sentenza prende atto che il reato consumato dai convenuti è stato commesso in alto mare, definisce così l’alto mare contrapponendolo al mare territoriale.

Successivamente il giudice analizza l’ipotesi che i tribunali locali kenioti siano competenti in questo caso. Ricostruisce quindi tramite la legge quale sia la competenza delle corti locali: ai sensi del Codice penale la sezione 5 recita che “La competenza dei tribunali del Kenya ai fini del presente Codice si estende a ogni luogo all'interno Kenya, tra cui acque territoriali.” Da suddetta norma il giudice ricava che i tribunali locali possono trattare solo i reati che avvengono all’interno della competenza territoriale del Kenya. L’alto mare non è e non può essere un luogo entro il territorio del Kenya o entro le acque territoriali del Kenya, come precedentemente egli aveva già statuito.

Il giudice dichiara quindi che il processo è nullo ab initio “The whole process was therefore null and void, ab initio”.3 Questo poiché è presente un contrasto tra la Sezione 5 sulla competenza dei tribunali kenioti e la Sezione 69 che punisce il reato di pirateria. La prima norma delimita la competenza delle corti keniote locali ma la seconda conferisce giurisdizione universale in materia di pirateria e quindi rende concepibile l’ipotesi di giudicare dei casi extraterritoriali.

(29)

Una volta rilevata tale antinomia il giudice della High Court la risolve stabilendo una gerarchia tra le due norme e ponendo la Sezione 5 come norma superiore rispetto alla Sezione 69, da questo discende la decisione che questa incongruenza causa la nullità del processo.

Riferendosi al precedente giudiziario di Hassan M. Ahmed & others -vs-

Republic of Kenya il giudice fa notare come in tale decisione non fu stabilito con

precisione quale fosse il tribunale keniota che in modo specifico avesse competenza, ma semplicemente stabilì che ai sensi della Sezione 69 del codice penale vi era un principio di giurisdizione universale nei confronti della pirateria.

Il giudice Ibrahim chiarisce quindi quale sia la corte competente per determinati reati. La Sezione 4 del Judicature Act stabilisce che la corte competente per i reati dell’ammiragliato è la High Court.

Questa norma solo apparentemente si contrappone con la Sezione 4 del codice di procedura penale, poiché nel c.p.c. viene stabilito che il crimine di pirateria può essere trattato innanzi anche a un Chief Magistrate’s Court, ma essa non è un’antinomia poiché si sottintende pirateria entro il territorio del Kenya.

Inoltre la Sezione 4 del Judicature Act si lega bene con la Sezione 60 della Costituzione (successivamente poi abrogata) che conferisce alla High Court giurisdizione illimitata intendendo anche l’estensione di questa per cause extraterritoriale.

Un altro aspetto da analizzare è l’entrata in vigore del Merchant Shipping Act, entrato in vigore il 1 settembre 2009, che abroga la Sezione 69.

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Secondo il giudice Ibrahim poiché non sono state previste disposizioni transitorie è compito dell’High Court accertare quale sia la sorte dei casi che sono stati avviati prima che la nuova normativa diventasse operativa.

Il procuratore Ondari espone l’ipotesi che l’abrogazione della Sezione 69 potrebbe non avare effetto e quindi non inficerebbe tale processo poiché ai sensi della Sezione 23 paragrafo 3 lettera e) dell’Interpretation and General Provisions Act “where a written law repeals in whole part written law, then, unless a contrary intention appears, the repeal shall not…e) affect an investigation, legal proceeding or remedy in respect of a right, privilege, obligation, liability, penalty, forfeiture or punishment as a foresaid, and any such investigation, continued or enforced, and any such penalty, forfeiture or punishment may be imposed, as if the repealed written law had not been made”.4

A seguito di tali affermazioni il giudice Ibrahim individua due problematiche, la prima è verificare se la Sezione 69 del codice penale e la Sezione 369 del Merchant Shipping Act forniscano due definizioni identiche e sovrapponibili di pirateria.

Nella prima disposizione si tratta di “piracy jure gentium”, la domanda che il giudice dell’High Court si pone è se la “pirateria” ai sensi della nuova legge è la stessa “pirateria jure gentium” della legge abrogata. Il giudice Ibrahim conclude che il reato della vecchia norma è differente rispetto a quello previsto nel Merchant Shipping Act. Da qui si introduce la seconda problematica, ovveroil nuovo delitto può essere sostituito nel capo d’accusa? La risposta che viene data è negativa.

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Al riguardo il giudice Ibrahim cita la dottrina del Dr. Paul M. Wambua che in un suo articolo affronta le stesse problematiche. Egli scrive che dopo l’abrogazione, una Sezione di legge cessa di esistere e nessun reato può essere fondata sulla base di una Sezione inesistente. Di conseguenza, nessuna corte può condannare o giudicare sulla base della Sezione abrogata.

Allo stesso modo però le persone accusate non possono essere nuovamente arrestati e accusati ai sensi del Merchant Shipping Act del 2009, essendo reati che sono stati successivamente addebitati, le accuse sarebbero vietate ai sensi della Costituzione del Kenya.

La High Court conclude stabilendo l’ordine di vietare che processo vada avanti, stabilendo che “the Application for an order for Prohibition must therefore succeed. I do hereby allow the application and do hereby grant an Order of Prohibition, prohibiting the Learned Chief Magistrate, Mombasa or any other Magistrate’s Court under her from hearing, proceeding with, dealing with, entertaining and/or otherwise allowing the prosecution of criminal case No. 840 of 2009 commenced on 11th March 2009.”5 Inoltre il giudice ordina il rilascio e il rimpatrio degli imputati nel loro Paese d’origine, specificando che il governo del Kenya dovrà garantire loro un rientro sicuro.

1.1.3. Overturn della Court of Appeal di Nairobi

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Il 18 ottobre 2012 la Corte d’appello di Nairobi si pronuncia sul caso In Re

Mohamud Mohamed Dashi & 8 Others e ribalta la precedente sentenza

dell’High Court di Mombasa.

Il giudice David Maraga ha dichiarato che la High Court ha commesso alcuni errori: 1) subordinare la Sezione 69 del codice penale alla Sezione 5; 2) ha dato un’errata interpretazione delle Sezioni 369 e 371 del Merchant Shipping Act del 2009; 3) ha omesso di valutare l’applicabilità della dottrina della giurisdizione universale.

Per quanto riguarda il primo motivo di errore, la Corte d'appello ha contestato l’interpretazione della High Court riguardo alla Sezione 5 del codice penale in relazione alla Sezione 69.

Il giudice Maraga contraddice la posizione della High Court e ha dichiarato che non c'è conflitto tra le sezioni 5 e 69. Egli ha osservato che la sezione 5 è parte del capitolo 3 del codice penale, dal titolo “Territorial Application of the Code”, mentre la sezione 69 era contenuta nel capitolo 8 “Offences affecting Relations with Foreign States and External Tranquility”. In breve, la Sezione 5 si occupa della competenza territoriale dei tribunali del Kenya, mentre la sezione 69 si occupa di reati extraterritoriali.

La seconda questione verte sull’abrogazione nel 2009 della Sezione 69 del codice penale e la sua sostituzione con la sezione 369 del Merchant Shipping Act. Il giudice afferma che la fattispecie di pirateria jure gentium della Sezione 69 è ispirata al delitto internazionale, parallelamente la nuova norma introdotta dal Merchant Shipping Act segue la definizione di pirateria UNCLOS articolo 101 del diritto internazionale. Di conseguenza, anche se il Merchant Shipping

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Act non include la frase latina “jure gentium”, secondo la Corte d’Appello il reato di pirateria previsto rimane lo stesso ai sensi del diritto internazionale, nonostante la modifica legislativa rimane la solita fattispecie.

L’ultimo tema in esame riguarda la più ampia questione se il Kenya è autorizzato ai sensi del diritto internazionale a giudicare i casi di pirateria commessi al di fuori del proprio territorio da autori e contro vittime che non siano cittadini keniote. Il giudice Maraga ha ricordato che la pirateria è un crimine internazionale che gode di giurisdizione universale e che le corti keniote hanno giurisdizione in merito.

Contrariamente a quanto affermato dalla High Court, la Sezione 5 del codice di procedura penale senza incongruenze chiarisce che le subordinate’s court hanno competenza in materia di pirateria anche perché con tale nome s’intende per forza un reato commesso al di fuori del proprio territorio e in alto mare.

Con ciò il giudice Maraga annulla l’ordinanza emessa dalla High Court e ordina che il processo prosegua per gli imputati innanzi alla Chief Magistrate’s Court di Mombasa.6

1.1.4. Altre sentenze

Altre vicende giudiziarie ci rendono una valida testimonianza di quali siano le problematiche e le difficoltà che la Repubblica del Kenya deve affrontare per poter processare i pirati catturati in alto mare.

6 Cfr. J. BELLISH, After a Brief Hiatus, Kenya Once Again Has Universal Jurisdiction Over

Pirates, European Journal of International Law,

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Nel Criminal Case 1340/10 l’avvocato dei sei sospettati di pirateria, Mr. Magolo, prima che il processo incominci dinnanzi alla Chief Magistrate’s Court di Mombasa, deposita in udienza, in data 14 luglio 2010, un documento in cui sottoscrive il ritiro della sua assistenza legale per i sei accusati.

Il magistrato On. Kizito accetta la rinuncia di patrocinio dell’avvocato Magolo e incarica l’Attorney General del Kenya a prestare assistenza legale per gli imputati.

Il Senior State Consuel Mr. Muteti redige un ricorso indirizzato alla High Court di Mombasa in cui chiede la revisione di questa decisione spiegando che è compito dei sospettati procurarsi un difensore e ricordando che non rientra nei compiti dell’Attorney General fornire assistenza legale agli imputati.

L’High Court of Mombasa per emettere la propria decisione7 al riguardo inquadra innanzitutto la materia in oggetto richiamando la norma costituzionale sezione 77 paragrafo 2 lettera d) che afferma: “Every person who is charged with a criminal offence ... Shall be permitted to defend himself before the court in person or by legal representative of his own choice”.

Il giudice dell’High Court sottolinea come sia presente nell’ordinamento keniota la possibilità del patrocinio fornito dallo Stato solo per alcuni tipi di imputati, ovvero coloro che sono accusati di omicidio. La legge non si estende tale diritto a qualsiasi altra categoria di persone accusate.

Per i motivi sopra esposti il giudice dell’High Court annulla la decisione del giudice a quo del 14 luglio che prevedeva che l'On. Attorney General avesse dovuto fornire rappresentanza legale per i sei imputati.

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Questa decisione dell’High Court è interessante perché il in quella sede viene riconosciuto che i processi per pirateria presentano delle peculiarità.

Il giudice ammette che non può essere ignorato che i sospetti in questione, essendo essi stranieri, non capiscono il sistema legale, non conoscono i loro diritti e non capiscono la lingua.

Con tali ostacoli il giudice afferma che sarebbe fondamentale che il governo del Kenya e soprattutto i partner internazionali mettessero in atto un sistema per fornire assistenza legale gratuita per i sospettati di pirateria.

Il giudice conclude che questo sarebbe l’unico modo per garantire i diritti agli imputati e un giusto processo nei loro confronti.

1.2. Analisi e critiche del Merchant Shipping Act 2009

Il Merchant Shipping Act, legge n. 4 del 2009, è la legge che attualmente regola la persecuzione della pirateria.

Prima della promulgazione della MSA 2009, il reato di pirateria era contemplato alla Sezione 69 del codice penale.

Il MSA 2009 non solo ha esteso la giurisdizione dei tribunali del Kenya per i reati di pirateria commessi da cittadini stranieri in alto mare, ma inoltre definisce più dettagliatamente e in modo più completo il reato di pirateria.

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Il MSA 2009 ha fatto sue tutte le convenzioni internazionali più importanti sulla pirateria. Ci riferiamo alla Convenzione di Montego Bay del 1982, alla Convenzione SUA e al Codice di condotta di Gibuti.8

Prima di tutto bisogna osservare che con tale riforma le Sezioni 369 e 370 del MSA 2009 rappresentano l’attuazione dell'articolo 11 del codice di condotta di Gibuti, che impone agli Stati firmatari di rivedere la loro legislazione nazionale, al fine di garantire che vi siano leggi nazionali adeguate per criminalizzare la pirateria e le armed robbery.

La Sezione 369 del MSA 2009 adotta la definizione di pirateria che si trova nell'articolo 101 della Convenzione di Montego Bay, mentre la successiva Sezione 370 della ammette i reati di sequestro e distruzione di navi contenute nell'articolo 3 della Convenzione SUA.

L'articolo 6 della Convenzione SUA richiede che ci sia un nesso tra il reato commesso e lo Stato che avvia il processo secondo propria giurisdizione. Il nesso è stabilito se: la nave batte la bandiera dello Stato, oppure se il reato è commesso nel territorio o mare territoriale dello Stato, se il reato è commesso da un cittadino di tale Stato, il reato è commesso da un apolide la cui residenza abituale è in quello Stato; se un cittadino di tale Stato viene sequestrato, minacciato, ferito, o ucciso, se il fatto è commesso per costringere quello Stato di fare o astenersi dal fare qualcosa.

La Sezione 370 paragrafo 4 bis stabilisce che i reati ai sensi della suddetta Sezione si applicano: “Se la nave ... si trova in Kenya o altrove”, o se i reati

8 Cfr. P. M. WAMBUA, The jurisdictional challenges to the prosecution of piracy cases in

Kenya: mixed fortunes for a perfect model in the global war against piracy, WMU Journal of

Maritime Affairs April 2012, Volume 11, World Maritime University 2012, p. 102,

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sono stati “commessi in Kenya o altrove”, o qualunque sia la nazionalità della persona che commette l'atto. “In questo senso, la MSA 2009 attribuisce alle corti keniote giurisdizione più ampia di quella richiesta dalla Convenzione SUA.9

La Convenzione SUA stabilisce inoltre, all’articolo 6 paragrafo 3, che, se uno Stato vuole affermare la propria competenza, deve notificarlo al Segretario Generale dell'IMO. Non avendo mai dato il Kenya alcuna notifica al Segretario, la legittimità delle disposizioni della sezione 370 della MSA 2009 rimane dubbia alla luce del diritto internazionale.

È stato sostenuto da studiosi come il professor Gathii che la maggior parte degli Stati che hanno aderito alla Convenzione SUA hanno seguito tali disposizioni per la realizzazione di una normativa efficace in materia di pirateria, ma a differenza degli altri il Kenya è l’unico Stato ad aver “edificato”, con la riforma del 2009, una propria giurisdizione extraterritoriale.

Si osserva quindi che la riforma keniota ha ampliato notevolmente i presupposti giuridici per la competenza delle proprie corti e ha approfondito accuratamente, rispetto a prima, i tratti del reato di pirateria e non solo accogliendo in toto le disposizioni delle succitate Convenzioni.

Le critiche che possono essere mosse su questa giurisdizione a “gittata” notevolmente ampia riguardano alcuni principi di diritto internazionale consuetudinario. Mentre è generalmente accettato che gli Stati godono di giurisdizione universale sul reato di pirateria jure gentium, lo stesso non vale per i reati previsti dalla Convenzione SUA. Ci deve essere un nesso giurisdizionale

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tra il reato e lo Stato che pretende esercitare la propria giurisdizione. Ildiritto internazionale consuetudinario stabilisce i criteri che creano questo necessario nesso tra lo Stato e il delitto consumato: essi sono la territorialità, la personalità attiva del delitto e quella passiva.

La Sezione 370 (4a) della MSA 2009 non richiede alcuna correlazione per l’attribuzione di giurisdizione tra i reati enumerati nella suddetta Sezione e lo Stato del Kenya, ciò non pare in linea con il diritto internazionale consuetudinario, risultando così che la giurisdizione extraterritoriale del Kenya non si fonda su solidi principi giuridici.10

Possiamo comunque osservare che il nesso potrebbe tuttavia derivare proprio dall’accordo stipulato tra il Kenya e l’UE. In virtù di esso infatti vengono consegnati i responsabili dei crimini commessi in mare alle corti keniote.

1.3. Interruzione degli accordi

Possiamo quindi attribuire al Kenya, con l’adozione del Merchant Shipping Act del 2009, il merito di essersi volutamente reso protagonista nello scenario del contrasto alla pirateria.

Tuttavia se oggi è possibile considerare tale Paese come un punto di riferimento per la lotta a tale crimine nelle acque dell’Oceano Indiano è grazie a un processo lento di sviluppo del diritto interno e del consolidamento della collaborazione tra il Kenya e le potenze occidentali.

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Parallelamente alle decisioni giudiziarie del 2010-2012 che hanno portato alla fine a un’armonizzazione del diritto interno e all’eliminazione di antinomie, a livello diplomatico vi sono state non poche difficoltà nel portare avanti serenamente gli accordi conclusi tra Europa e altri Stati occidentali con il Kenya per l’avvio dei procedimenti giudiziari nel Paese africano.

Il 30 settembre 2010 il Kenya risolve gli accordi presi con UE, Danimarca, USA, UK, Canada e Cina. Il caso vuole che l’annuncio viene fatto proprio il giorno dopo della condanna a 5 anni ciascuno di 11 pirati somali catturati dalla

forza militare europea EUNAVFOR.11

Le motivazioni di questo notevole passo indietro da parte del Kenya sono dovute, secondo quanto sostiene il governo africano, al mancato rispetto dell’accordo riguardo agli aiuti economici e strutturali che il Kenya doveva ricevere.

Patrick Wamoto, il segretario diplomatico e direttore degli affari politici nel Ministero degli Affari Esteri affermò che da quando il Kenya ha siglato gli accordi, il Paese è stato lasciato solo e il Kenya è diventato una “discarica” di pirati arrestati dalle forze militari straniere.12

Inoltre l’On. Wamoto fece notare che molti Paesi non avevano ancora riformato il diritto interno in linea con il diritto internazionale del mare, e ciò sarebbe stato un notevole supporto alla lotta e alla pressione della pirateria e avrebbe permesso di processare e detenere i sospettati anche in altri Stati senza dover ricorrere alla disponibilità del Kenya come unica ipotesi.

11 http://eunavfor.eu/verdict-for-the-third-eunavfor-case-in-kenya/, visitato il 5 settembre 2014. 12

(40)

Nell’aprile 2010, il Procuratore Generale keniota Wako ha annunciato la fine del programma di collaborazione per la persecuzione dei pirati catturati.13

Il Procuratore ha proclamato che le nazioni straniere hanno considerato il sistema giudiziario del Kenya come una discarica: gli Stati hanno semplicemente scaricato i pirati sul Kenya.14

Un altro motivo plausibile del passo indietro del Kenya rispetto agli accordi presi potrebbe essere dovuto al fatto che nel 2009 il Kenya divenne oggetto di un’indagine della Corte penale internazionale (CPI), l’inchiesta verteva sulle violenze post-elettorali del 2007 imputando di aver commesso crimini contro l’umanità.

È quindi possibile che il Kenya abbia deciso di ribellarsi contro la Comunità Internazionale, a seguito del controllo da parte della Corte Penale Internazionale, interrompendo i processi di pirateria a Mombasa.

Un altro fattore che ha inciso sull’improvvisa inversione di posizione del governo keniota rispetto a procedimenti penali sui pirati, si dice sia dipeso anche dal fatto che lo stesso Procuratore Generale del Kenya fosse sulla lista della CPI come possibile sospettato.15 Sembra quindi ragionevole considerare che le autorità keniote, preoccupate per l’indagine della CPI, abbiano poi deciso di “vendicarsi” contro la Comunità Internazionale interrompendo la collaborazione.

13 http://www.nation.co.ke/News/-/1056/889976/-/vrw9dl/-/index.html, visitato il 5 settembre

2014.

14 Ivi.

15 Cfr. M. STERIO, Piracy off the Coast of Somalia: The Argument for Pirate Prosecutions in

the National Courts of Kenya, The Seychelles, and Mauritius, Vol. 4, N. 2 Amsterdam Law

Forum 104 (2012), p. 114, http://amsterdamlawforum.org/article/view/264/456, visitato il 6 settembre 2014.

(41)

Per quanto riguarda le accuse mosse dal Kenya in merito ai pochi fondi stanziati dai Paesi occidentali per far fronte all’ingente lavoro, Thorsten Bargfrede, responsabile della politica regionale dell’Unione Europea, ha replicato che i partner internazionali si sono impegnati con circa 4 milioni di dollari per sostenere il sistema giudiziario in Kenya, di cui quasi 2 milioni sono stati spesi per sostenere gli uffici dei procuratori, condurre i testimoni ai processi e migliorare la condizione carceraria.16

Quasi un mese dopo che il Kenya ha emesso l’avviso di porre fine agli accordi, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la Risoluzione 1918 del 27 aprile 2010, che ha invitato gli Stati a recepire il diritto del mare che criminalizza la pirateria.

È stato inoltre garantito che i sospetti che si fossero già trovati in carcere avrebbero comunque continuato ad essere detenuti. Nel frattempo è stato istituito dal Kenya un comitato interministeriale a marzo 2010, presieduto dal vicepresidente Kalonzo Musyoka, col compito di valutare se e come impegnarsi in futuri accordi. Il comitato è poi diventato l’interlocutore principale con l’Unione Europea.17

Non è chiaro quale sia adesso la posizione del governo keniota. Un report del Segretario Generale del Consiglio di Sicurezza afferma che “The Government of Kenya withdrew from those agreements in March 2010, but continues to accept piracy suspects for prosecution on a case-by-case basis and to apply the provisions of the former agreements for such transfers. Forty-four suspects have

16

http://www.nation.co.ke/news/Why-Kenya-broke-deal-on-piracy-trials-/-/1056/1029504/-/1xe3s9/-/index.html, visitato il 5 settembre 2014.

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