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Italo Calvino, filosofo naturale Dalle Cosmicomiche a Palomar: una letteratura cosmica per la modellizzazione del reale

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Università degli Studi di Pisa

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea Specialistica in Filosofia e Forme del Sapere (DM509)

TESI DI LAUREA SPECIALISTICA

Italo Calvino, filosofo naturale

Dalle Cosmicomiche a Palomar, una letteratura cosmica per la modellizzazione del reale

Relatore: prof.ssa Carla Benedetti Correlatore: prof. Giovanni Paoletti

Candidato: Giulia Arrighi

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Riassunto analitico

Costantemente in equilibrio tra razionalità e fantasia, cristallo e fiamma, la poetica calviniana delinea una forma di letteratura capace di accettare la sfida conoscitiva al labirinto del reale contrapponendo al caos informe dell’esistente una prospettiva di comprensione e di ri-orientamento dell’umano nel mondo secondo una scala più universale, che lo veda inserito in un bricolage evoluzionistico a crescente gradiente di complessità. Dal ménage à trois fra letteratura, scienza e filosofia Calvino trae un’inedita strategia di osservazione e trasformazione del reale, per cui giunge a delineare un progetto di letteratura cosmica che si riallaccia alla tradizione rinascimentale di quei filosofi naturali quali Bruno, Leonardo e Galileo, che non contemplavano alcuna separazione tra i diversi saperi. Così, biologia, astronomia, epistemologia, logica formale, antropologia, cibernetica, semiotica, filosofia della mente e pensiero della complessità si intrecciano nella scrittura calviniana offrendo metafore e modelli di riconfigurazione del senso della realtà per la delineazione di molteplici e sfaccettate versioni del mondo. Muovendo dalle Cosmicomiche e Palomar, il discorso letterario diviene modellizzazione ermeneutica ed epistemologica del reale secondo uno stile di pensiero ad orientamento anti-antropocentrico, finanche post-umanistico; è il raccogliersi dell’eterogeneo in una figura possibile, il presentare (darstellen) le molteplici interconnessioni dell’umano con il non-umano nel mondo.

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Indice

Abstract ... ..

Premessa ... .1

INTRODUZIONE Universo Calvino: per una “lettura integrata” della complessità del reale . ..5

Per la delineazione di un modello epistemologico della scrittura letteraria ... Nel regno dell’entropia ... Un “cambio di rotta” significativo: ... dalla relazione individuo - Storia a quella soggetto - mondo ... Calvino, filosofo naturale: ... verso una costruzione cosmologica del rapporto uomo - mondo ... Prospetto d’indagine e propositi di ricerca ... CAPITOLO 1 ... .. 1.1 Dal ménage à trois fra letteratura, scienza e filosofia alla letteratura come filosofia naturale ... 42

1.2 La ‘narrazione filosofica’ secondo Calvino: il gusto per il conte philosophique ... 55

1.3 Il gioco serio della letteratura ... 68

1.4 I sentieri della letteratura fra mondo scritto e mondo non scritto ... 87

1.5 La sfida permanente della letteratura, tra fantasia e razionalità ... 116

CAPITOLO 2 ... .. 2.1 Ouverture: modellizzazione e oggettivazione nel discorso letterario ... 132

2.2 La nascita del progetto per una letteratura cosmica ... 141

2.3 Dalle Cosmicomiche a Palomar: la letteratura come oltrepassamento dell’umano . 162 2.4 Densità della scrittura e corporeità della parola letteraria ... 185

2.5 La consistenza della letteratura come sguardo obliquo sul reale ... 196

CONCLUSIONE ... 217

Appendice La polivalenza conoscitiva della letteratura nell’intreccio dei saperi ... 225

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Premessa

Come sosteneva Italo Calvino nella sua lezione americana incompiuta – Consistencyi –, l’inizio costituisce sempre il momento dell’allontanamento dalla vasta e multiforme dimensione del possibile, per circoscrivere l’opportunità di formulare un discorso dotato di senso solo assumendo limiti e regole.

Il presente lavoro prende le mosse dal presupposto per cui realtà e mondo sono da considerarsi distinti e secondo cui ciascuna “immagine del mondo”, che i vari dispositivi della conoscenza umana possono rendere, sottintende sempre un reticolo di credenze ed un sistema di valori continuamente aggiornabili in virtù della disposizione al mutamento delle nostre forme di vitaii e del contesto culturale nel quale abitiamo.

La realtà non è il mondo, bensì il prodotto delle procedure simboliche della mente, nonché delle stratificazioni emotive della memoria e dell’attitudine dell’immaginazione a costruire scenari dettati dal desiderio; come è stato affermato anche da filosofi contemporanei, seppur scientificamente orientati, «non esistono fatti in sé, perché siamo noi che ritagliamo il mobilio dell’universo»iii.

Dal momento in cui si rapporta col mondo, l’essere umano può costruire solo rappresentazioni della realtà: articolando il flusso dell’esperienza mediante i propri schemi concettuali e i propri vocabolari, l’uomo costituisce quelle che un filosofo americano ha definito versions of the worldiv, per di più sempre a partire da altre, precedenti versioni, senza poter risalire ad un contatto o ad una corrispondenza certa con il presunto “mondo originario”, il quale resta consegnato ad una dimensione mitica; fare è sempre un ri-fare che muove dalla mediazione, ossia dall’elaborazione simbolica della realtà che l’uomo attua con i propri strumenti concettuali e linguistici. Quella che chiamiamo ‘realtà’ è la configurazione che attribuiamo alla materia amorfa del mondo nell’atto di descriverla, definirla e (dunque) nel tentativo di conoscerla; per dirla con la celebre tesi nietzschiana, la nostra verità sul mondo altro non è che «un mobile esercito di metafore»v.

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Se si assume che ogni rappresentazione della realtà istituibile dall’uomo è dipendente dal discorso che egli è in grado di articolare sul mondo attraverso i linguaggi che gli sono propri, ne consegue una messa in discussione radicale dei regimi teorici che hanno enfatizzato il ruolo e l’importanza della ‘verità’ nella costituzione dei paradigmi filosofici e scientifici: una weltanschauung che possa dirsi costruita validamente non è altro che uno stile di pensiero o di ragionamentovi, ovvero un contesto di argomentazioni e di inferenze soggetto all’alternativa vero-falso e non ad una definizione apriorica di quello che viene descritto e prescritto come il “mondo vero”.

Nel processo interpretativo e figurativo del reale si deve altresì constatare l’impossibilità di separare con certezza la componente dovuta al rapporto (diretto o mediato che sia) col “mondo esterno”, dalla componente relativa all’attività pratico-teoretica e immaginativa dell’uomo. Questa osservazione tende a corroborare una certa solidarietà tra fatti, teorie, credenze e contesto culturale, nonché ad avvalorare un principio metodologico a carattere tendenzialmente olistico fra discipline e linguaggi diversi, quali quello scientifico, filosofico, finanche artistico.

Domini cognitivi eterogenei producono molteplici e polimorfe rappresentazioni della realtà; saper cogliere le possibili correlazioni fra queste disparate controimmagini del reale, costituisce, in sé, una forma di conoscenza: i paradigmi gnoseologici, i linguaggi corrispondenti e i soggetti che elaborano ed esprimono un determinato sistema di riferimento “figurale” della realtà, costituiscono un’unità epistemica che si alimenta della sua stessa processualità operativa. I saperi risiedono, si manifestano e si legittimano nel momento e nel luogo della loro messa in scena e della loro rievocazione simbolica, dato che l’atto cognitivo si nutre sì di concetti, ma anche di figure e metafore come veicoli mitopoietici e conoscitivi irrinunciabili; pertanto, risulta evidente che la conoscenza si esprime in maniera più efficace se sostenuta dalla dimensione ‘immaginale’. Effettivamente, l’immaginario è un congegno in grado di allestire figure che consentono all’inconscio e alla coscienza di dialogare e di mantenere tale relazione perennemente “in divenire” per la costruzione di poliedriche e versatili configurazioni della realtà.

Il discorso letterario è il dispositivo più aderente a questo genere di produzione, in quanto assurge alla funzione che un tempo era prerogativa del mito: crea metafore, figure e modelli archetipici per la rappresentazione del mondo e del modo di rapportarsi ad esso. Si può affermare, inoltre, in accordo con la prospettiva psicologica cognitivista, che l’uomo si connota antropologicamente per la singolare attitudine a sviluppare i significati dell’esperienza in forma narrativavii. Per questo, la letteratura si presenta come una dimensione privilegiata per l’osservazione dell’intreccio dei saperi e come uno strumento

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conoscitivo capace di mettere costantemente in crisi i diversi paradigmi della realtà: il sapere sull’essere umano che qui viene elaborato, al pari di altri ambiti, rappresenta una forma autoriflessiva, eterogenea e critica di costruzione, decostruzione e ricomposizione “archeologica” di molteplici visioni e versioni del mondo.

Considerando, dunque, la letteratura come un campo interdisciplinare in cerca di integrazione fra le diverse espressioni della conoscenza e della natura umana, il presente studio si volge a Italo Calvino, autore che si è rivelato acuto sperimentatore di forme narrative inconsuete e audace indagatore dei confini del discorso letterario, sia nelle cifre stilistiche, che nelle intenzioni di “lettura del reale”, per la delineazione di una vera e propria antropologia letteraria della conoscenza umana. Calvino ha infatti sottolineato in più occasioni la necessità di ripensare il legame tra letteratura e altri saperi come scopo principale del discorso letterario. Per lo scrittore ligure la letteratura dovrebbe tornare a svolgere quella funzione che aveva ancor prima dello sviluppo della scienza sperimentale, quando rappresentava una fonte e non solo un oggetto del sapere: per dirlo con le sue parole, considerare «l’opera letteraria come mappa del mondo e dello scibile»viii.

Calvino è un autore esemplare per una declinazione efficace e stimolante di una riflessione eterogenea e articolata per una possibile fenomenologia della conoscenza umana associata e veicolata dai “poteri performativi” del linguaggio narrativo, in quanto ha saputo spingere e dispiegare il discorso letterario al di là delle sue frontiere convenzionali, in territori assai ardui, quali, per citarne solo alcuni tra i più influenti, la biologia, la teoria dell’evoluzione, l’astronomia, l’epistemologia e la logica formale, sempre premurandosi di compiere un capillare e sostenuto lavoro di verifica, nonché mosso da una non comune fiducia nell’immaginazione.

La presente indagine si propone di evidenziare e analizzare le tracce, i segni e i passaggi che nella produzione letteraria calviniana rivelano una soggiacente e costante volontà di ricerca epistemologica e antropologica sull’umano; il fine è quello di dimostrare quanto l’opera di Italo Calvino sia mossa dall’irrinunciabile esigenza di creare metafore narrative capaci di presentare la commistione di saperi diversi nel suo farsi e in particolare di enucleare il substrato scientifico-filosofico che sempre accompagna ogni evoluzione, ogni metamorfosi del ‘sistema Calvino’: un sistema di pensiero complesso, a matrice espressamente antifondazionalista e realista, di un realismo critico, finanche pragmatico e anti-antropocentrico. In particolare, la ricerca qui condotta si concentra sulla delineazione di quella parabola epistemologica che dagli anni Sessanta giunge sino alla morte dell’autore; nello specifico, dalle Cosmicomiche a Palomar, opere considerabili come i due estremi del progetto calviniano per una “letteratura cosmica” in prospettiva post-umanistica.

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L’analisi proposta nel presente studio intende mostrare come l’ibridazione dei saperi, la pluralità dei modelli epistemologici, la scrittura come conoscenza e “costruzione cosmologica” del mondo fossero per Calvino le sfide più adeguate da accogliere e da alimentare con ostinazione nei confronti degli scarti della realtà.

i

Cfr. Italo Calvino, Cominciare e finire, in Id., Lezioni americane (1988, post.), Mondadori, Milano 1993.

ii

L’espressione è di Ludwig Wittgenstein; il concetto di ‘forma di vita’ (Lebensform) è trattato, in particolare, nelle Ricerche filosofiche (1953), in stretta correlazione con quello di ‘gioco linguistico’. Cfr. Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1967.

Si avrà modo di affrontare l’argomento nel corso del presente lavoro; si è scelto comunque di citare l’espressione in questa sede, per dichiarare preventivamente l’idea secondo cui il linguaggio fa parte di una forma di vita, nel senso che si trova sempre in relazione ad una particolare situazione pragmatica, vive e si trasforma al variare del contesto di usi, abitudini, simboli e credenze umane. iii

La congettura è di Hilary Putnam, espressa ed articolata nel fondamentale Reason, Truth and

History (1981); cfr. Hilary Putnam, Ragione, verità e storia, Il Saggiatore, Milano 1985.

iv

Si tratta di Nelson Goodman, che ricorre a questa espressione nel suo Ways of worldmaking (1978), opera in cui sostiene la tesi secondo cui “non esiste un mondo”; “ci sono tanti mondi”, nessuno dei quali onnicomprensivo. Più precisamente, per Goodman è concepibile la configurazione di un mondo per ogni diverso modo in cui la mente umana può combinare e costruire i propri sistemi simbolici. Cfr. Nelson Goodman, Vedere e costruire il mondo, Laterza, Milano 2008.

v

Cfr. Friedrich Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale (1873), in Id., Opere di

Friedrich Nietzsche, vol. III, tomo II, Adelphi, Milano 1973, p.361. Si avrà modo di approfondire il

nesso fra metafora e ‘verità’ nel corso del presente studio, anche in relazione ai concetti di live and

dead metaphors.

vi

Le espressioni meta-concettuali di ‘stile di pensiero’ e ‘stile di ragionamento’ appartengono, rispettivamente, allo storico della scienza Alistair C. Crombie e al filosofo della scienza Ian M. Hacking. Cfr. Alistair C. Crombie, Stili di pensiero scientifico agli inizi dell’Europa moderna, in «Lezioni della Scuola di Studi Superiori in Napoli», 13, Bibliopolis, Napoli 1992; Ian M. Hacking,

Ontologia storica, Edizioni ETS, Pisa 2010.

vii

Come sottolineava lo psicologo cognitivista Jerome S. Bruner in Actual Minds, Possible Worlds (1986), la narrazione rappresenta il primo dispositivo interpretativo e conoscitivo a cui l’uomo, come soggetto socio-culturalmente determinato, ricorre nella sua esperienza esistenziale; attraverso il discorso narrativo, l’essere umano può conferire senso e significato al proprio esperire e delineare così specifiche coordinate interpretative volte anche a prefigurare eventi e situazioni nella realtà: su queste basi si può costruire una forma di conoscenza orientativa dell’agire. Cfr. Jerome S. Bruner,La mente a più dimensioni, Laterza, Roma-Bari 1993.

viii

Cfr. Italo Calvino, Due interviste su scienza e letteratura (1968), in Id., Una pietra sopra. Discorsi

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I

NTRODUZIONE

Universo Calvino: per una “lettura integrata” della complessità del reale

Ci sono autori che con la loro opera, il loro pensiero, travalicano i confini fra le discipline e riescono a rendere segno tangibile di ibridazioni significative e cogenti tra i diversi saperi. Italo Calvino aderisce bene a questa descrizione: autore di racconti e di (iper) romanzi, saggista ed écrivain-critique1, intellettuale tout court e implacabile forgiatore di prospetti di indagine sempre originali, poliedrico e complesso interprete di un percorso letterario e teorico considerevole, tanto per la fertilità della progettazione artistica, quanto per la spiccata vocazione combinatoria dimostrata negli sperimentalismi narrativi, nonché per la soggiacente vena epistemologica, apprezzabile in ogni sua “cosmologia fabulatoria”, creata per esplorare l’umano attraverso i dispositivi del fantastico.

La sorprendente articolazione della sua opera si dispiega in progressivi, inattesi e mai scontati cambi di direzione, costantemente sostenuti da una ferrea volontà d’indagine nei confronti della realtà e dalla lucida audacia di varcare, spostare e giocare con le frontiere tra le discipline: operazione, questa, sorretta e alimentata da una non comune curiosità intellettuale, che ha portato Calvino, sin dalla giovane età, a farsi onnivoro e appassionato “degustatore” di storie, immagini, pensieri e teorie, che spaziano dall’ambito prettamente letterario, ai domini scientifico-filosofici, sino ai linguaggi cinematografici e artistico-figurativi. Per questo, ai fini di una migliore delineazione della caratteristica e poliedrica passio cognitiva calviniana, risulta di fondamentale rilevanza la conoscenza delle pagine autobiografiche e saggistiche2, ove sono rintracciabili, in maniera meno obliqua3 e indiretta

1

Tzvetan Todorov, nel suo Critique de la critique. Un roman d’apprentissage (1984), definisce «critique-écrivains» alcuni critici o filosofi della letteratura (come Jean Paul Sartre, Maurice Blanchot, Roland Barthes) che, contemporaneamente o successivamente, sono anche scrittori; Cfr., Tzvetan Todorov, Critica della critica. Un romanzo d'apprendistato, Einaudi, Torino 1986. Invertendo l’ordine dei termini, la definizione risulta adeguata anche per un autore come Italo Calvino, in cui la vocazione per la parola scritta è sempre prioritaria, come egli stesso sosteneva, affermando che è “il filo della scrittura” ad essere “metafora della sostanza pulviscolare del mondo”; cfr. Italo Calvino, Leggerezza, in Id., Lezioni americane, op. cit., p. 29. Come si avrà modo di verificare, nella scrittura calviniana la funzione poetica e quella critica si scambiano e si compenetrano continuamente, sino ad unificarsi in scenari narrativi ad elevata carica mitopoietica e a forte suggestione speculativa.

2

Sul versante autobiografico, si segnala fin da subito il rilievo della raccolta La strada di San

Giovanni, che racchiude cinque “esercizi di memoria” scritti da Calvino tra il 1962 e il 1977 e

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rispetto alla sua scrittura narrativa, gli interessi, le influenze teoriche, le evoluzioni e i passaggi cardinali della sua poetica e del suo percorso letterario; percorso, in cui è riconoscibile la vena di fondo di un progetto a espansione costante, che riguarda la definizione di una ‘letteratura cosmica’, la quale si sviluppa e si specifica lungo una traiettoria che muove dalle Cosmicomiche a Palomar. Di questa esigenza espressiva integrata dai contributi di saperi disparati, vengono dichiarate le motivazioni teoriche dallo stesso Calvino già nel noto saggio del 1962, La sfida al labirinto, che si conclude con la chiara volontà di determinare una letteratura che possa rendere del mondo «un’immagine cosmica», che sappia dimostrarsi all’altezza «dei piani di conoscenza che lo sviluppo storico ha messo in gioco»4.

L’eterogenea formazione intellettuale, alimentata e arricchita per tutta la vita, ha determinato in Calvino lo svilupparsi di un orientamento teorico complesso che si riflette chiaramente nella progressiva evoluzione della sua produzione narrativa, che dagli anni Sessanta in poi si fa sempre più meditativa, sostenuta da criteri procedurali rigorosi e arricchita, al contempo, da una scrittura ad alta carica mitopoietica: ne risulta un discorso5 letterario di natura attenta,

1990, quest’opera rispecchia un progetto di ‘narrazione autobiografica attraverso il filo della memoria’ ideato dallo stesso Calvino, come è dimostrato dall’appunto autografo riportato nella breve prefazione alla raccolta dalla moglie, Esther. Il titolo avrebbe dovuto essere “Passaggi obbligati” e l’opera prevedeva otto testi, di cui sono cinque quelli compiuti e pubblicati già in vita da Calvino: La

strada di San Giovanni, uscito nel 1963 sulla rivista «Questo e altro»; Autobiografia di uno spettatore,

prefazione al volume di Federico Fellini, Quattro film, edito da Einaudi nel 1974; Ricordo di una

battaglia, comparso sul «Corriere della Sera» il 25 aprile del 1974; La poubelle agréée, uscito su

«Paragone» nel febbraio del 1977; Dall’opaco, presente in «Adelphiana», volume celebrativo della casa editrice Adelphi del 1971. Cfr. Italo Calvino, La strada di San Giovanni (1990), Mondadori, Milano 1995.

3

La produzione letteraria di Calvino esprime chiaramente l’esigenza di affrontare la realtà con uno “sguardo obliquo”, secondo la metafora narrativa della visione indiretta: tema archetipico desumibile a partire dal mito di Perseo e Medusa, come spiega lo stesso autore nella lezione americana dedicata alla leggerezza; cfr. Italo Calvino, Leggerezza, in Id., Lezioni americane, op. cit., pp. 5-32.

Come si avrà modo di vedere, la questione del ‘punto di vista obliquo’ assume una rilevanza crescente nella scrittura narrativa di Calvino: sia nelle cifre stilistiche che nei contenuti meta-letterari, specialmente dagli anni Sessanta in poi, l’archetipo dello sguardo indiretto sul mondo viene assunto a modello per la costruzione di fabulazioni ad aspirazione “cosmica”, volte a sottolineare la necessità di una “resa” letteraria a visioni del mondo, per così dire, extra-umane, post-umane. Si avrà modo di sviluppare questa prospettiva nel corso del presente studio.

4

Cfr. Italo Calvino, La sfida al labirinto (1962), in Id., Una pietra sopra, op. cit., p. 116. 5

Con il termine ‘discorso’ si intende riferirsi alla manifestazione del pensiero dell’autore e dell’uomo Calvino, che si esprime in un articolato ed eterogeneo sistema di creazioni letterarie capaci di trasmettere una weltanschauung in costante evoluzione.

Per sostenere la tesi di un potenziale gnoseologico attestabile al discorso artistico-letterario calviniano, occorre recuperare l’argomento dell’opera letteraria come “immagine del mondo”: nessuna teoria del realismo filosofico è stata mai tanto ‘ingenua’ da prospettare, per il linguaggio umano, una mera funzione di rispecchiamento o di aderenza alla «superficie delle cose» che, come direbbe Calvino, «è inesauribile» [cfr. Italo Calvino, Palomar (1983), Mondadori, Milano 1994, p. 51]; tuttavia, si può arrivare a considerare il discorso letterario come oggetto “testimoniale” di una forma di conoscenza sul mondo. Si può affermare che è l’opera letteraria stessa a porsi come possibile luogo di

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esatta e molteplice come le sfaccettature di un cristallo, ma anche, leggera, rapida e visiva come una fiamma; una scrittura mossa da un’ispirazione anti-antropocentrica e da una vera vocazione “archeologica” nei confronti del sapere umano. Il binomio ‘cristallo - fiamma’ è indicato dallo stesso Calvino come sommamente connotativo della sua scrittura letteraria: nelle Lezioni americane lo dichiara esplicitamente, quando afferma di essersi sempre considerato «un partigiano dei cristalli» e di aver imparato «a non dimenticare il valore della fiamma come modo d’essere, come forma d’esistenza»6. Osservazione, raccolta dei materiali e approfondimento delle conoscenze, libera riconfigurazione attraverso il potere dell’immaginazione e riordinazione in quadri concettuali: questo, l’asse di procedimento metodologico che consente di ricomporre il caratteristico polarismo semantico del discorso letterario calviniano. Come si avrà modo di constatare, cristallo - fiamma (ordine - caos) sono considerati da Calvino elementi fondamentali per esprimere «la tensione tra razionalità geometrica e groviglio delle esistenze umane»7. A questo proposito, il metodo e l’usus scribendi dell’autore di opere come Le città invisibili, Se una notte d’inverno un viaggiatore, o Palomar è stato ben delineato dal critico Asor Rosa:

Calvino è uno scrittore naturalmente strutturalistico-semiologico: se per atteggiamento strutturalistico-semiologico s’intende una strumentazione conoscitiva che, appunto, combina l’osservazione empirica e la rigorosa raccolta dei materiali, da una parte, con, dall’altra, l’attività ordinatrice di alcuni grandi quadri concettuali, anche molto astratti. Insomma: vedere bene le cose ad una ad una per poi ri-ordinarle in una maniera che è sempre, in una certa misura, arbitraria, cioè fantastica8.

Nel percorso letterario di Calvino è evidente una linea di sviluppo a progressiva astrazione e determinazione di strutture “geometrizzanti” per la cognizione del reale: è come se, ogni

rielaborazione delle forme culturali e linguistiche che strutturano la nostra esperienza del mondo; condizione, questa, che permette di “raggiungere il reale” non come una datità definita in partenza, bensì come costruzione di un percorso infinito: ogni volta, ad ogni opera, un rinnovabile processo di “messa in forma del mondo”. Un’opera letteraria è da considerarsi come traccia tangibile e vivida di una versione del mondo, che conserva, inoltre, la capacità di rendere manifeste le modalità concettuali e le strategie retoriche adottate per condensare, delineare e costruire il reale nelle dimensioni che una cultura consente e stabilisce.

Il discorso letterario si fa dunque ‘filosofico’ nella misura in cui si struttura e si manifesta a partire da una forma mentis e da una forma di vita specifiche, all’interno di un orizzonte, di un piano di esistenza, che comprende molteplici fattori di sviluppo in continua trasformazione. Nello specifico, la ‘natura filosofica’ del discorso letterario di Italo Calvino è ad orientamento epistemologico ed antropologico, come si cercherà di mostrare nel presente studio.

6

Cfr. Italo Calvino, Esattezza, in Id., Lezioni americane, op. cit., p. 72. 7

Ivi, p. 71. 8

Cfr. Alberto Asor Rosa, Il punto di vista di Calvino, in «Italo Calvino. Atti del Convegno

Internazionale. Firenze. Palazzo Medici-Riccardi. 26-28 febbraio 1987»; edizione a cura di Giovanni

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volta, lo scrittore tentasse di dipanare la matassa intricata del rapporto uomo-realtà per cristallizzarne una configurazione che possa renderne, con esattezza, la complessa articolazione. La mente, del resto, con la sua capacità di creare modelli di comprensione del reale, atti a fronteggiare l’indeterminatezza caotica del mondo, costituisce essa stessa un dispositivo enigmatico. Ed è attraverso la scrittura letteraria che Calvino cerca di renderne una mappatura: i “sentieri” tracciati dalle possibili orditure della ragione umana sono battuti dallo scrittore nell’incessante tentativo di dar voce a quel mondo non scritto9 che costantemente sfugge alle astrazioni ordinatrici della mente. Occorre, allora, la profonda consapevolezza del carattere entropico, molteplice e informe del mondo, associata ad una incrollabile volontà di esplorarlo con l’ausilio di strumenti conoscitivi differenti, quali la fantasia e l’immaginazione.

Sin dalla Trilogia degli antenati Calvino manifesta la capacità di convogliare razionalità e fantasia nella levità del racconto, che assume quindi, frequentemente, le note del conte philosophique di illuministica memoria10; opere come Le Cosmicomiche, Le città invisibili e Palomar esprimono pienamente le evoluzioni e l’ultima maturazione della sua poetica, dando prova della declinazione del suo discorso letterario secondo le “direttrici gnoseologiche” indicate nelle testamentarie Lezioni americane.

Le Six Memos for the Next Millennium sono, infatti, sei proposte di riflessione su altrettante “specificità” che attestano un determinato “stile di pensiero sul mondo”, che si esprime attraverso un fare letterario di natura molteplice, integrato dai vari domini della conoscenza umana; una letteratura che rende traccia di uno “stile intellettuale” poliedrico, capace di produrre metamorfiche versioni del mondo a partire da un metodo di indagine del reale e dell’io che si avvale di sei categorie fondamentali: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità,

9

L’espressione è di Calvino, che vi ricorre nel saggio Mondo scritto e mondo non scritto, in cui esprime riflessioni sulle possibili relazioni intercorrenti fra esperienza del mondo e “lettura” dello stesso tramite il mezzo letterario, per poi interrogarsi circa la funzione conoscitiva della letteratura e sulle possibilità di “rinnovare” il rapporto fra linguaggio e mondo ad opera della stessa scrittura letteraria. Si avrà modo di misurare il rilievo di questo scritto nella poetica dell’ultimo Calvino, tanto da riscontrarvi la sintesi di molte delle direttrici meta-letterarie riscontrabili in molti dei suoi sperimentalismi narrativi fra gli anni Sessanta e gli Ottanta.

Il saggio costituisce la trasposizione di una conferenza che Calvino tenne New York nel 1983 ed è confluito in un’omonima raccolta, compendiaria di articoli, interventi a congressi, interviste, introduzioni, lettere e cataloghi comparsi su riviste e quotidiani vari; una serie di testi eterogenei che rendono traccia evidente dell’attenzione rivolta da Calvino alle questioni della lettura, della scrittura e dei processi di traduzione, della passione rivolta ai progetti editoriali, dell’influenza dei modelli scientifici e antropologici, nonché dell’importanza della storia così come del dispositivo fantastico in letteratura. Cfr. Italo Calvino, Mondo scritto e mondo non scritto (2002, post.), Mondadori, Milano 2002.

10

Si rimanda al Capitolo 1 per una trattazione estesa del gusto calviniano per il conte philosophique e per comprendere l’influenza che questo “tipo letterario” ha esercitato sulla sua scrittura.

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molteplicità e consistenza/coerenza11, sono i “valori” che sostengono le più profonde convinzioni poetiche di Calvino. Nel percorso letterario dello scrittore ligure e nella soggiacente linea di ricerca epistemologico-antropologica che ne traspare, si può riconoscere dunque un precipuo stile di pensiero, orientato e connotato dalle ‘sei prospettive di ricerca sull’Umano per mezzo della letteratura’ di cui le sue fabulazioni narrative sono diretta espressione, specialmente quelle in cui la scrittura dimostra una chiara “vocazione cosmica” a “trazione post-umanistica”12.

Bene specificare che, a livello teorico-concettuale, per l’identificazione di un determinato ‘stile di pensiero’ è opportuno considerare la storia della conoscenza umana, in tutte le sue applicazioni e manifestazioni, come una specie di antropologia intellettuale comparata di multipli e differenti modi di “organizzazione della realtà”, di molteplici forme di “ragionamento sul mondo”13. La storia del pensiero filosofico e scientifico è, infatti,

11

‘Consistency’ sarebbe dovuto essere il titolo della lezione mancante, della sesta conferenza che Calvino avrebbe dovuto tenere all’Università di Harvard, nel ciclo delle “Charles Eliot Norton Poetry Lectures”, per l’a.a. 1985-1986; il dattiloscritto preparatorio della lezione è stato pubblicato postumo col titolo di Cominciare e finire, nella collana «Meridiani», Mondadori del 1994. La parola inglese ‘Consistency’ traduce quello che in italiano è uno spettro semantico declinabile nei termini di

consistenza, densità, compattezza, coerenza (logica), finanche conformità, costanza, risolutezza. È

noto che questo ulteriore “valore letterario” sarebbe stato indagato da Calvino in riferimento al

Bartleby, lo scrivano di Melville, probabilmente con l’intento di mostrare quanto la

coerenza/consistenza costituisca una qualità essenziale, sia da un punto di vista letterario che esistenziale.

Non si può prescindere dal fatto che per lo scrittore ligure la narrazione fosse il luogo delle possibilità per eccellenza e che il risultato cui sempre tendeva nelle sue opere fosse un «qualcosa di preciso, di raccolto, di leggero», come afferma attraverso le parole del suo alter ego, Silas Flannery, nel

Viaggiatore; cfr. Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), Mondadori, Milano

1994, p. 171. Le tre qualità allineate da Flannery - Calvino si ritrovano poi nelle Lezioni americane: due di esse, la precisione, l’esattezza e le leggerezza, trovano espressione nei titoli stessi delle rispettive conferenze; quanto alla terza, corrispondente all’aggettivo ‘raccolto’, avrebbe potuto trovare corrispondenza con la lezione dedicata alla Consistency. Nel Viaggiatore Calvino colloca quel particolare aggettivo tra la precisione e la leggerezza, quasi fosse un dispositivo di connessione o di conversione fra i due termini: un “luogo” o un “abito” letterario entro il quale caratteristiche differenti possano integrarsi. Consistency è il senso complessivo e sintetico delle forme; l’esito immaginabile del difficile incontro fra astrazione e tangibilità. Si avrà modo di esaminare in quali direzioni potesse risultare influente una riflessione sulla “consistenza” della letteratura come reazione ad un mondo che per Calvino si era fatto troppo inconsistente, informe, tanto da spingerlo costantemente ad opporre «l’unica difesa» che riusciva a concepire, «un’idea di letteratura»; cfr. Italo Calvino, Esattezza, in Id.,

Lezioni americane, op. cit., p. 61.

12

Si avrà modo di spiegare di seguito e preliminarmente in cosa consista la componente “post-umanistica” del discorso letterario calviniano.

13

In “assonanza” con la teoria sviluppata dallo storico della scienza Alistair C. Crombie, che individua nella tradizione del pensiero scientifico-filosofico europeo sei fondamentali e distinti stili che presiedono alla delineazione e allo studio di regolarità individuali e collettive, ovvero il deduttivo, lo sperimentale, l’ipotetico, il tassonomico, lo statistico e il genetico: tali stili d’indagine a procedura dimostrativa fungono da selettori dei problemi accettabili dalla comunità scientifica di riferimento e del tipo di risposte considerabili soddisfacenti, senza trascurare la produzione di argomentazioni volte alla persuasione della validità dei criteri avanzati a sostegno di una determinata metodologia di ricerca anziché di un’altra. Riguardo ai modi della ‘persuasione’ – termine da assumere nella sua accezione retorico-vocativa, finanche evocativa – la letteratura (e le arti in genere)

(13)

caratterizzata dall’avvicendamento di sistemi generali di “spiegazione del mondo”, dotati di una discreta stabilità interna e articolati per lo più in procedure di causazione e dimostrazione che sono definibili, appunto, ‘stili di pensiero’14, che si esprimono con intensa correlazione nella storia della letteratura e delle arti in genere.

Ogni stile di pensiero fa capo ad uno o più paradigmi epistemologici di riferimento, a quadri concettuali integrabili fra loro, che rendono attuabile una specifica “lettura del reale”, una particolare organizzazione del fluire dinamico e magmatico del mondo; in base, poi, allo zeitgeist dell’epoca15, è possibile individuare un “comune stile intellettuale” che sussiste trasversalmente fra arti e scienze, tra scienze umane e scienze esatte: si pensi alle interazioni – note fin dal Seicento – fra musica e acustica, tra pittura e ottica, nonché alle affinità che le scienze, da un lato, e gli studi musicali o le arti figurative dall’altro, intrattengono con la letteratura, o il teatro e il cinema; tutti campi del sapere umano che si integrano costantemente con la riflessione filosofica sulla relazione soggetto-realtà e sul rapporto dell’umano con il mondo. Prospettiva, questa, ampiamente condivisa da Italo Calvino, come attestano innanzitutto le Lezioni americane e molte delle pagine autobiografiche e saggistiche volte ad argomentare la stretta correlazione tra letteratura, scienza e filosofia. Per rendere un’idea della complessa passio cognitiva di Italo Calvino, e della ricorrente densità delle sue frequentazioni dei più disparati domini del sapere umano, basti pensare che sono più di un centinaio gli autori citati e spesso confrontati nelle Lezioni americane, in un’opera di nemmeno centocinquanta pagine16: autori appartenenti a epoche e tradizioni letterarie anche lontanissime fra loro; filosofi, scienziati, antropologi, psicologi di indirizzi di pensiero eterogeneo. Una stima analoga si può ottenere esaminando l’elevato numero di

rappresenta un canale privilegiato per un’esperienza conoscitiva “persuasiva” delle diverse forme del sapere umano e degli intrecci attuabili fra esse ad opera di uno stile di pensiero, di uno “sguardo sul mondo” particolare. Nel caso di Calvino si tratta di uno sguardo obliquo, indiretto e integrato da punti di vista afferenti da discipline diverse: è la corroborazione fra letteratura, scienza e filosofia, auspicata dallo scrittore già nel saggio del 1967, Filosofia e letteratura; cfr. Italo Calvino, Filosofia e

letteratura, in Id., Una pietra sopra, op. cit., pp. 182-192.

14

Come già accennato nella Premessa, questa la denominazione utilizzata da A. C. Crombie, diversamente dalla terminologia scelta dal teorico a lui storicamente più prossimo, il filosofo della scienza Ian M. Hacking che preferisce l’espressione ‘stile di ragionamento’ per ragioni – si potrebbe dire wittgensteiniane – di ostensione pubblico-argomentativa, per evitare ogni possibile riferimento ad un presunto “linguaggio privato” dell’interiorità. Cfr. Alistair C. Crombie, Stili di pensiero scientifico

agli inizi dell’Europa moderna, op. cit.. Cfr. Ian M. Hacking, La metafisica degli stili di ragionamento scientifico, in «Iride», n. 4-5, Ponte alle Grazie, Firenze 1990; cfr. anche Id., L’epistemologia storica come meta epistemologia, in Storia della filosofia. Storia della scienza,

“Saggi in onore di P. Rossi”, La Nuova Italia, Firenze 1995, pp. 93-109. 15

Il carattere socio-politico e culturale di un’epoca si costituisce sempre in stretta correlazione con i vari stili nati in seno al suo substrato scientifico-filosofico e si riflette con evidenza nella produzione filosofica, artistica e letteraria.

16

Edizione di riferimento: Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio (1988, post.), Mondadori, Milano 1993.

(14)

teorici del pensiero scientifico e filosofico cui Calvino fa riferimento nei suoi innumerevoli saggi e in molte delle sue lettere ad amici, colleghi e intellettuali, nell’arco dei suoi quarant’anni di attività letteraria17. Asor Rosa cerca di fornire una chiave precisa di questo accentuatissimo procedimento comparativista quando, relativamente alle Lezioni, osserva che:

[…] il disegno espositivo di Calvino non ubbidisce a nessuna ricostruzione di tipo storico o “lineare”. Lo scrittore “usa” i testi in funzione sostanzialmente dimostrativa più che ermeneutica: e siccome le “qualità” letterarie di cui è alla ricerca sono di natura “fisica” e non estetica, egli può accostare uno all’altro autori che, se esaminati con altra chiave, non rivelerebbero pressoché nulla di comune18.

Per Calvino si può dunque parlare di uno stile di pensiero letterario che si declina secondo i sei “valori” trattati nelle Lezioni americane e di uno sfondo epistemologico in cui, soprattutto nell’ultima fase della sua produzione, il paradigma di riferimento dominante è costituito principalmente dalla cosiddetta “teoria della complessità”19, branca della filosofia

17

Cfr. Italo Calvino, Saggi 1945-1985, a cura di Mario Barenghi, «Meridiani», Mondadori, Milano 1995, 2 tomi; Id., Lettere 1940-1985, a cura di Luca Baranelli, «Meridiani», Mondadori, Milano 2000. 18

Cfr. Alberto Asor Rosa, «Lezioni americane» di Italo Calvino, in “Letteratura italiana Einaudi. Le

Opere”, vol. IV, a cura di A. Asor Rosa, Einaudi, Torino 1995, p. 37.

19

Bene specificare, innanzitutto, che la teoria della complessità non è una teoria scientifica in senso stretto; meglio sarebbe parlare di “sfida della complessità” o di “pensiero della complessità”, dal momento che è precisamente come prospettiva epistemologica che la complessità svolge un ruolo cruciale nel pensiero contemporaneo. Da qui l’insorgenza delle cosiddette epistemologie della

complessità, ovvero di tutte quelle prospettive di indagine gnoseologica sull’umano e sul mondo a

visione integrata fra scienze esatte e scienze umane: si tratta di approcci metodologici che assumono come presupposto fondativo una visione interdisciplinare degli studi che si occupano di teoria del caos, teoria dei sistemi, equilibri emergenti, sistemi complessi adattivi, intelligenza artificiale, cibernetica, fenomeni lontani dallo stato di equilibrio, spingendosi fino all’ecologia e allo studio dei sistemi sociali a integrazione multipla.

All’elaborazione della teoria della complessità hanno e stanno tuttora contribuendo, in egual misura, filosofi e scienziati di indirizzi differenti: negli istituti di ricerca lavorano in collaborazione neurobiologi e filosofi (per esempio, Terrence Sejnowski e Paul Churchland), filosofi della mente e informatici (Daniel Dennett e Douglas Hofstadter), epistemologi e chimici (Isabelle Stengers e Ilya Prigogine); negli anni Ottanta, il più importante gruppo di ricerca sulla complessità, il gruppo “BACH”, composto da matematici, economisti e biologi, è stato guidato dal filosofo di professione Arthur W. Burks. Sia scienziati che filosofi “celebrano” il riavvicinamento delle rispettive forme di sapere con entusiasmo: qualcuno ha persino parlato della nascita di una “terza cultura”, alternativa tanto alla cultura strettamente umanistica quanto a quella scientifico-tecnologica (J. Brockman); altri ritengono che tutto il movimento potrebbe essere equiparato allo sviluppo di una “autocoscienza filosofica” da parte della scienza (F. D’Agostini), altri ancora parlano di una “nuova alleanza” tra scienze fisiche e scienze biologiche e umane (I. Prigogine e I. Stengers). Cfr. John Brockman (a cura di), La terza cultura. Oltre la rivoluzione scientifica (1995), Garzanti, Milano 1995; Franca D’Agostini, Analitici e continentali. Guida alla filosofia degli ultimi trent’anni, Raffaello Cortina Editore, Milano 1997; Ilya Prigogine, Dall’essere al divenire (1980), Einaudi, Torino 1986; Ilya Prigogine - Isabelle Stengers, La nuova alleanza (1979), Einaudi, Torino 1981.

Si potranno prendere in considerazione nel presente lavoro, seppur con le dovute cautele, le attinenze al pensiero della complessità rintracciabili nell’ultima produzione di Calvino.

(15)

della scienza inaugurata nei primi anni Settanta da studiosi quali Edgar Morin, Ilya Prigogine e Isabelle Stengers. Tutti autori ben conosciuti da Calvino, che nel 1980 recensisce per «la Repubblica» il fondamentale saggio La nuova alleanza di Prigogine - Stengers20, uno dei capisaldi teorici della nascente epistemologia della complessità; e che in un’intervista del 1985 dichiara apertamente la sua attrazione “umanistica” per la filosofia del tempo espressa da Prigogine:

[…] come uomo la posizione di Prigogine m’interessa contrapposta a quella di Jacques Monod, che vedeva l’uomo completamente solo e sospeso tra caso e necessità nell’assoluta indifferenza dell’universo. Prigogine avanza invece l’immagine di una natura grande organismo di cui facciamo anche noi parte. È

l’integrazione dell’uomo nel cosmo attraverso un intimo legame che passa per il tempo. E a questa comunione sono particolarmente sensibile21.

A dimostrazione di una simile dichiarazione sta lo sviluppo stesso della poetica calviniana, la quale – attraverso quella parabola letteraria di ordine squisitamente epistemologico che muove dalle Cosmicomiche a Palomar – conduce ad una visione del mondo e della relazione che l’uomo può istituire con esso di carattere complesso, molteplice e integrato. La scrittura narrativa dell’ultimo Calvino rende testimonianza di una profonda solidarietà culturale fra i diversi saperi umani, articolata secondo una prospettiva teorica ad aspirazione “cosmologica”, fondata per lo più su di un metodo strutturalistico a procedura modellare-ipotetica e di anticipazione analitica degli “effetti di realtà. Una simile metodologia di ricerca sull’umano e sul mondo – per mezzo sì della parola letteraria, ma anche secondo stili di indagine condivisibili dallo scienziato sperimentale così come dall’artista razionale – colloca Calvino in quella lunga tradizione di filosofi naturali che non contemplavano una netta distinzione tra arte, filosofia e scienza: autori come Leonardo da Vinci o Galileo Galilei sono fortemente ammirati dallo scrittore ligure, proprio in virtù della loro ricerca sulla conoscenza umana e sul “cosmo” attraverso declinazioni anche artistico-filosofiche e non unilateralmente scientifiche; in particolare, in un autore come Leonardo è evidente quanto la concezione dell’opera d’arte sia quella di un esperimento probante di un progetto mentale. Come ha scritto lo storico della scienza Alistair C. Crombie:

20

Cfr. Italo Calvino, No, non saremo soli, in «la Repubblica», 3 maggio 1980, pp. 18-19; poi, col titolo Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, «La nuova alleanza», in Id., Saggi 1945-1985, op. cit., pp. 2038-44; poi in Id.,Mondo scritto e mondo non scritto, op. cit., pp. 251-257.

21

Italo Calvino: vivere ogni secondo per vincere il tragico divenire, intervista di Michele Neri, in «Panorama mese», IV, 1, gennaio 1985, pp. 71-74; poi in Italo Calvino, Sono nato in America …

Interviste 1951-1985, a cura di Luca Baranelli, Introduzione di Mario Barenghi, Mondadori, Milano

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lo scienziato e l’artista in egual misura creavano mondi possibili che avrebbero spiegato in qualche modo il mondo reale dell’esperienza. Entrambi creavano in maniera differente modelli teorici, ed è attraverso il modello nelle sue varie forme che l’interpretazione dell’arte e della scienza può esser vista nella sua espressione più alta22.

Un criterio artistico, invero lo stile che si esprime nella creazione di modelli di conoscenza sulla realtà, sembra dunque presiedere al riconoscimento della validità e della fecondità euristica di una spiegazione scientifica, così come di un paradigma filosofico, di una figurazione artistica o di una costruzione letteraria: tutte modalità ermeneutiche volte a edificare una possibile visione o meglio, versione del mondo.

Nella metodologia della ricerca conoscitiva che si intende qui attribuire alla poetica calviniana, è riconoscibile una prospettiva epistemologica che assume metafore e modelli come “agenti di riorganizzazione del senso”, che svolgono un ruolo centrale nella reciproca tensione fra esperienza e linguaggio23. In quanto rielaborazioni del linguaggio teorico, le ridescrizioni operate dai modelli sono nello stesso tempo riarticolazioni degli oggetti del mondo; per questo, un cambiamento di modello può essere un vero e proprio cambiamento di configurazione del mondo. Dal punto di vista dei significati scientifici, si potrebbe parlare di una teoria “ridescrittiva” del riferimento, che si contrappone alle concezioni positiviste dell’indipendenza del riferimento e sottolinea invece l’aspetto ermeneutico della “ri-descrizione”, che viene a costituire il riferimento attraverso l’invenzione di nuove configurazioni dei dati. In questo senso si può parlare di valenza ermeneutica dei modelli, intendendo cioè i modelli come sistemi “interpretativi di mondi”24. È come dire che i sistemi simbolici fanno e rifanno il mondo o, nel caratteristico realismo “irrealista” di un filosofo come Nelson Goodman, è come assumere che il mondo di riferimento altro non sia che «una varietà di versioni corrette e anche in conflitto, ossia di mondi in fabbricazione»25. La componente emergente della ‘concezione ermeneutica dei modelli’ consiste precisamente

22

Alistair C. Crombie, Stili di pensiero scientifico agli inizi dell’Europa moderna, op. cit., p. 55. 23

Una simile prospettiva epistemologica corrisponde, sostanzialmente, a quella espressa dal filosofo e storico della scienza Thomas Kuhn; si veda in particolare il saggio di Thomas S. Kuhn, La metafora

della scienza, in Thomas S. Kuhn - R. Boyd, La metafora della scienza, Feltrinelli, Milano 1983.

24

Si fa qui riferimento alla concezione ricoeuriana dell’ermeneutica, come spazio di transizione dalla

struttura dell’opera o della teoria, al mondo dell’opera o della teoria; pensiero, questo, che trova

applicazioni gnoseologiche interessanti relativamente al concetto di “verità metaforica”. La struttura di base dei linguaggi interpretativi, che Ricoeur individua analizzando il funzionamento della metafora, è l’innovazione semantica. Nella sua opera cardinale, La metafora viva, del 1975, egli riprende le prospettive retoriche di autori quali I. A. Richards e M. Black, che concepiscono la metafora non come mera figura retorica a forte valenza estetica, ma come vero e proprio agente di ristrutturazione testuale del senso e della conoscenza. Cfr. Paul Ricoeur, La metafora viva, Jaca Book, Milano 1981.

25

(17)

nell’elemento “modellizzante” delle teorie, che vengono viste dunque come interpretazioni di campi di oggetti; in questa prospettiva si adotta una concezione molto estesa di teoria, che permette di parlare da un punto di vista epistemologico di ogni campo scientifico e, in particolare, delle procedure conoscitive delle scienze umane. La forma ermeneutica del modellizzare attraversa tutte le forme del sapere umano, in cui i dati e gli osservabili cessano di essere pensati come costituenti del reale e in cui il problema dei dati comincia a porsi come questione delle procedure simboliche, retoriche e idealizzanti della loro costruzione. I modelli sono dunque pensabili come reti metaforiche che proiettano un mondo, il che è definibile come ‘qualità ermeneutica dei modelli’. Italo Calvino concepiva in questo senso la funzione conoscitiva rivendicabile alla letteratura, come apertura di un mondo pensabile, molteplice, mutevole e continuamente riarticolabile al mutare dell’angolazione del proprio sguardo obliquo sulla realtà.

Per la delineazione di un modello epistemologico della scrittura letteraria

Dalla Trilogia fino a Palomar, la weltanschauung calviniana è improntata alla determinazione di un modello letterario atto ad esprimere pienamente uno stile di pensiero e un metodo di ricerca epistemologica sul rapporto uomo - mondo che si pone a metà strada fra due vie: da un lato una spiccata tendenza all’attuazione di un ordine deterministico, finanche ‘predittivo’26; dall’altro il riconoscimento e la fascinazione per un disordine aleatorio. Due prospettive di “sguardo sul mondo” simboleggiate, come si è visto, nella poetica calviniana dalle figure del cristallo e della fiamma27. La spiccata propensione

26

Termine da assumere nella sua applicazione epistemologica, per cui il contenuto predittivo di una teoria o di un enunciato costituisce l’insieme delle previsioni che se ne possono dedurre e che risultano passibili di verifica sperimentale. Nella stessa accezione vanno intesi gli enunciati scientifici di valore predittivo; concettualizzazione determinata dal fondamentale contributo di Galileo al metodo scientifico-sperimentale: l’approccio matematico adottato dal filosofo pisano nella descrizione del mondo fisico consente l’attuazione di un ragionamento per modelli che risulta poi applicabile ad altri campi di indagine, con un considerevole potenziale predittivo, dal momento che la descrizione matematica di un determinato sistema ne costituisce il modello stesso.

27

Dietro le apparenti antinomie dei “cortocircuiti” calviniani (cristallo - fiamma, ordine - disordine, aprico - opaco), che rivelano un’apprezzabile somiglianza con i ‘concetti fluidi’ e le ‘analogie creative’ di Douglas Hofstadter o di Edgar Morin, si estende l’influenza di due grandi modelli scientifici ed epistemologici della seconda metà del XX secolo: quello nomotetico e deterministico del

cristallo e quello complesso, stocastico e non-integrabile della fiamma. Modelli di indagine

epistemologica discussi, peraltro, nei famosi cicli di conferenze organizzati da Massimo Piattelli Palmarini al Centre Royamount di Parigi, nel 1975 e a Palazzo Vecchio a Firenze, nel 1978. Italo Calvino partecipò attivamente al convegno tenutosi presso il Centro fiorentino di storia e filosofia

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analitica dell’autore per il rigoroso “universo del cristallo”, delle formalizzazioni rassicuranti e ordinatrici della ragione, non ne preclude l’integrazione con quello a-causale e magmatico della fiamma: i due modelli si convogliano nel vortice paradigmatico reso dalla figura della spirale, che nella sua processualità di auto-delineazione richiama la volontà di costruzione di una possibile successione organizzata di infiniti punti d’ordine emergenti dal turbinio caotico e pulviscolare dell’esistente, come se si potessero condensare lungo una traiettoria strutturantesi in volute crescenti di condizioni di possibilità atte a infondere senso al reale. Come sottolinea lo stesso autore, nelle imprescindibili Lezioni americane:

Il mio problema potrebbe essere enunciato così: è possibile raccontare una

storia al cospetto dell’universo? Come è possibile isolare una storia singolare se

essa implica altre storie che la attraversano e la ‹condizionano› e queste altre ancora, fino a estendersi all’intero universo? E se l’universo non può essere contenuto in una storia, come si può da questa storia impossibile staccare delle storie che abbiano un senso compiuto? […] Non ci può essere un tutto dato, attuale, presente, ma solo un pulviscolo di possibilità che si aggregano e si disgregano. L’universo si disfa in una nube di calore, precipita senza scampo in un vortice d’entropia, ma all’interno di questo processo irreversibile possono darsi zone d’ordine, porzioni d’esistente che tendono verso una forma, punti privilegiati da cui sembra di scorgere un disegno, una prospettiva. L’opera

letteraria è una di queste minime porzioni in cui l’esistente si cristallizza in una forma, acquista un senso, non fisso, non definitivo, non irrigidito in una immobilità mortale, ma vivente come un organismo28.

Si può affermare e si intende sostenere, allora, che il ‘sistema Calvino’ costituisce un pioneristico percorso letterario di ‘conoscenza sull’umano’ che passa attraverso il tentativo, ogni volta aggiornato, di costituire una possibile cosmologia derivante dall’intreccio di

della scienza, intervenendo con una relazione in cui sosteneva che «l’opera letteraria potrebbe essere definita come un’operazione nel linguaggio scritto che coinvolge contemporaneamente più livelli di realtà», tanto da rendere interessante una riflessione al riguardo da parte dello scienziato, così come dell’antropologo, del linguista e del filosofo; cfr. Italo Calvino, La letteratura e la realtà dei livelli, in M. Piattelli Palmarini (a c. di), Livelli di realtà, Feltrinelli, Milano 1984, pp. 432-443; poi in Italo Calvino, Una pietra sopra, op. cit., pp. 374-390, cit. p. 374.

28

Italo Calvino, Cominciare e finire, in Id., Lezioni americane, op. cit., pp. 140 e 141. Corsivi nel testo miei.

Interessante è sottolineare come un passaggio pressoché identico compaia già nella terza lezione,

Esattezza, ove, però, l’immobilità della possibile cristallizzazione di una porzione dell’esistente viene

definita come «minerale», anziché “mortale”; la differente scelta terminologica si spiega in virtù del fatto che in Esattezza Calvino parla per la prima volta del binomio cristallo - fiamma e dedica diverse pagine alle sue riflessioni sulle fondamentali coppie categoriali filosofiche di finito - infinito, distinto - indistinto, discreto - continuo; senza contare poi che la versione dell’ultima lezione americana, editata postuma col titolo di Cominciare e finire, costituisce in realtà solamente una bozza di quello che sarebbe diventato il saggio sulla Consistency.

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prospettive d’indagine eterogenee, così come eterogenei e molteplici si presentano i circuiti e i sentieri della realtà: strutturalismo, “umanesimo anti-antropocentrico”, teorie dell’informazione e dei sistemi complessi, antropologia, fenomenologia e filosofia del linguaggio coesistono e si compenetrano nel discorso letterario calviniano, alla ricerca costante di un possibile seppur temporaneo equilibrio tra mondo scritto e mondo non scritto, fra mente e natura, per ri-orientare la conoscenza sul mondo verso una prospettiva di “filosofia naturale post-umanistica”.

Per questo, interfacciarsi con l’universo Calvino, calarsi nell’orizzonte delle sue intenzioni, delle sue visioni e indagini sul reale, comporta una meditazione di vasta portata su temi disparati, che spaziano dall’ambito letterario a quello scientifico, semantico, linguistico, storico, etico e filosofico in genere.

L’evoluzione della poetica calviniana è caratterizzata da periodi di esplorazione letteraria alquanto distinti, che spaziano dall’opzione neorealista degli anni Quaranta, alla trasfigurazione fiabesca dei Cinquanta, alla fase strutturalista e sperimentale degli anni Sessanta, a quella combinatoria dei Settanta, per approdare, infine, al tono filosofico-speculativo di Palomar. In un percorso siffatto, costellato nondimeno da illusioni e disillusioni, denso di accelerazioni e di rivisitazioni, è comunque possibile riconoscere una sostanziale coerenza di fondo che, ad ogni «cambio di rotta»29, si rivela nella reiterata sfida alla complessità del reale e nell’evidente volontà di differenziare sia le cifre stilistiche, quanto gli esiti di scrittura adottati: una sorta di attitudine irriducibile alla sperimentazione delle forme linguistiche e dei modi di narrazione, volta costantemente ad esprimere nella maniera più adeguata le evoluzioni della propria weltanschauung.

Va rilevato, in effetti, che la distanza intercorrente fra i diversi modi di resa letteraria adottai dallo scrittore ligure, si inscrive essenzialmente nella zona delle scelte stilistico-formali, che variano al mutare dei codici linguistici e dei differenti domini semantici scelti, in ogni caso, dall’autore al fine di comunicare meglio quel «qualcosa» che è sempre un tentativo di dare forma leggibile all’esterno, all’altro da sé, al mondo e alla relazione che il soggetto può instaurare con esso.

Ripercorrendo la vasta produzione di Italo Calvino, è possibile invero individuare i segni di una linea di ricerca persistente, i cui tratti sono riconducibili a declinazioni differenti di una

29

È Calvino stesso che ricorre a questa espressione nella sua ultima intervista, rilasciata a Maria Corti nel 1985. La scrittrice, volendo valutare nel complesso il suo percorso creativo, chiedeva se si potesse parlare di un processo di sviluppo coerente, oppure di una serie di cambiamenti di rotta, piuttosto che dare preferenza all’idea di aver scritto un ‘unico’ libro per tutta la vita; al che, Calvino rispondeva: «Propenderei per la seconda ipotesi: cambio di rotta per dire qualcosa che con l’impostazione precedente non sarei riuscito a dire»; cfr. ‘Intervista di Maria Corti’ in «Autografo», II, 6 (1985), pp. 47-53; ora in Italo Calvino, Saggi 1945-1985, op. cit., vol. II, pp. 2920-2929.

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medesima questione di fondo: il rapporto fra soggetto e mondo, che si presenta, nella prima fase della sua poetica30, come ricerca dei nessi rintracciabili nel rapporto fra capacità progettuale dell’individuo e Storia. Di opera in opera, in un incessante processo di acquisizione di nuovi dispositivi di indagine epistemologica, Calvino espande poi il proprio bagaglio di esperienze e di cognizioni, incorporando idee e suggestioni che derivano dalla rielaborazione di materiali letterari ed extra-letterari, dagli impulsi di letture semiologiche, filosofiche, scientifiche e antropologiche. Nel tempo mutano le informazioni, ma resta salda la funzione conoscitiva rivendicata alla letteratura: Calvino rappresenta sempre la relazione individuo - Storia, riconfigurandola di volta in volta a seconda del mutare del contesto socio-culturale, nonché del proprio caleidoscopio interiore. Ed è precisamente in virtù di questo approccio metodologico, sistemico e sperimentale, che la natura del suddetto rapporto subisce una significativa evoluzione, a partire dagli anni Sessanta: adottando o addirittura

inventando forme letterarie inedite31, la scrittura fabulatoria del ‘secondo Calvino’ passa dall’esplorazione della relazione individuo - Storia a quella, di respiro più ampio,

soggetto - mondo, finanche all’ibridazione tra umano e non-umano, caratteristica di un orientamento post-umanistico nell’investigazione del reale. Specialmente nella fase finale della sua produzione, il nomadismo intellettuale caratteristico del suo modus pensandi, conduce Calvino a rivolgere uno sguardo, per così dire, naturalistico all’umano, arrivando a considerarlo imprescindibilmente collocato nel contesto evolutivo del ‘vivente’ e della materia; senza per questo adottare atteggiamenti idealistici o spiritualistici e senza cedere a prospettive di effusivo riduzionismo.

L’approdo conclusivo della poetica calviniana, interrotta purtroppo dalla scomparsa prematura dell’autore, sembra essere precisamente quello di una disposizione esplorativa a carattere post-umanistico nei confronti del rapporto soggetto - mondo; si avrà modo di sostenere teoricamente questa affermazione e di esaminarne gli sbocchi nella produzione

30

Si rimanda al Capitolo 1 per una trattazione più diffusa della distinzione fra ‘primo’ e ‘secondo’ Calvino, classificazione adottata e condivisa dalla maggior parte della critica; basti dire, preliminarmente, che lo spartiacque nell’evoluzione della poetica dello scrittore ligure è costituito dalla cosiddetta “traversata degli anni Sessanta”: decennio che ha costituito, a livello globale, un’epoca di forte rinnovamento dell’orizzonte culturale, passando dal riconoscimento dell’inadeguatezza della maniera conoscitiva umanistica, in definitiva autoreferenziale nei suoi tentativi di comprensione del mondo; linguistica e filosofia del linguaggio, semiologia, antropologia strutturale e scienza fisico-biologica sono i territori che hanno dato origine a nuove ibridazioni nella ricerca epistemologica sullo scibile umano. Nel corso degli anni Sessanta, Calvino ha frequentato assiduamente molti di questi territori, protraendo in seguito i suoi studi verso l’orizzonte delle Scienze della Complessità: tutte componenti, queste, che emergono chiaramente dalla sua produzione narrativa e saggistica dell’epoca e, ancor di più, delle stagioni successive.

31

Basti pensare al ‘genere’ cosmicomico, del quale si avrà modo di trattare ampiamente nel presente studio: un’inedita configurazione del discorso letterario in cui fantastico e comico si fondono secondo logiche inaspettate, seguendo il filo rosso di un’indagine a carattere antropologico ed epistemologico sulla natura dell’umano e del mondo che abita.

(21)

calviniana nel corso del presente lavoro. Ciò nondimeno, è importante evidenziare fin da subito che il ‘postumanesimo’ è un orientamento del pensiero teorico contemporaneo che istituisce il tentativo di uscire dal pensiero “identitario” dell’umanesimo, il quale nel suo affermarsi e prosperare per secoli ha distrutto l’intrico essenziale di umano e non-umano, di organico e inorganico, naturale e artificiale, elevando la visione antropocentrica del mondo al massimo grado. In realtà, le specie viventi, dunque anche l’uomo, non si sviluppano in solitudine, attraverso il contributo di “inserti” accidentali e superficiali delle alterità, bensì vivono in una essenziale mescolanza e coniugazione con “ciò che è altro da sé”32.

Calvino ha dimostrato di aver sempre nutrito e maturato una simile prospettiva, per quanto declinata nei termini di un confronto sempre sofferto ma imprescindibile con l’eterogeneo groviglio del mondo. Nelle pagine del racconto autobiografico La strada di San Giovanni, Calvino esprime bene il genere di raffronto col mondo che lo accompagna come un’esigenza acquisita, sin dalla giovinezza, nell’ambiente familiare:

[…] ciò che muoveva mio padre ogni mattina su per la strada di San Giovanni – e me giù per la mia via – […] era passione feroce, dolore a esistere – cosa se non questo poteva spingere lui a arrampicarsi per i gerbidi e i boschi e me a addentrarmi in labirinto di muri e carta scritta? – confronto disperato con ciò che

resta fuori di noi, spreco di sé opposto allo spreco generale del mondo33.

A partire da questo sentimento ‘agonistico’ nei confronti del caos del mondo, Calvino svilupperà una poetica a costante tensione conoscitiva verso la realtà, senza per questo cedere alle logiche fascinazioni di una perfetta (in quanto idealtipica) adaequatio rei et intellectus fra scrittura e mondo, fra discorso letterario e realtà, secondo la convinzione che la ‘verità’ consista in una corrispondenza diretta fra soggetto e mondo, mente e realtà; differentemente, l’orientamento epistemologico calviniano può ascriversi ad una forma di realismo critico di stampo ipotetico-concettuale, dal momento che sostiene il motivo

32

Il ‘postumanesimo’ o, meglio, il postumanismo, non essendo una scuola ma un’attitudine o un’impostazione del pensiero critico, nata nella seconda metà del Novecento per la congiuntura di diversi contributi disciplinari e applicazioni tecno-scientifiche (dal riconoscimento di una soggettività animale alle teorie sull’Intelligenza Artificiale, dalla robotica all’interpretazione del soggetto umano come “multividuo”, sino alle teorie della conoscenza Complessa), trova un punto di sintesi condiviso in una visione di “antropo-decentrismo”: «per il paradigma postumanistico, quanto più il processo ontopoietico è integrativo di alterità non umane, tanto più realizza la condizione umana intesa come sistema aperto agli eventi dialogici e referenziali»; cfr. R. MARCHESINI, Ruolo delle alterità nella

definizione dei predicati umani, in P. Barcellona, F. Ciaramelli, R. Fai, Apocalisse e post-umano. Il crepuscolo della modernità, Edizioni Dedalo, Bari 2007, p. 34.

Ad essere messo in questione, dunque, non è l’uomo in quanto tale, ma il paradigma antropocentrico, che lo considera come un essere autonomo e autoreferenziale.

33

Cfr. Italo Calvino, La strada di San Giovanni (1963), in Id., La strada di San Giovanni, op. cit., p. 16. Corsivo nel testo mio.

Riferimenti

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