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Queste le motivazioni che mi hanno portato alla stesura di una sceneggiatura, come oggetto di tesi

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Academic year: 2021

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Introduzione

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INTRODUZIONE

Vi introduco, e mi introduco, questa significativa quantità di pagine dal titolo Dal testo letterario La casa dei fantasmi al testo cinematografico Come dei fantasmi: un adattamento, come il frutto di una scelta a cavallo tra necessità e probabilità.

La necessità era l’elaborazione di una tesi che mi permettesse di conseguire, un quanto mai sospirato, titolo accademico di Dottoressa in Cinema, Teatro e Produzione multimediale, la probabilità cimentarmi in qualcosa di veramente appassionante. Queste le motivazioni che mi hanno portato alla stesura di una sceneggiatura, come oggetto di tesi.

Per quanto io ostenti le ragioni che hanno veicolato la mia scelta con vigorosa determinazione, e come qualcosa di ovvio e naturale, queste hanno in realtà goduto di una gestazione molto più complessa, e sentita.

Un percorso di studi universitari in Cinema, Teatro e Produzione multimediale chiama in campo una riflessione sulla capacità dello stesso di definire una professionalità. A differenza di altri percorsi di studi ha il vantaggio, o il limite, di gettare molteplici germi di professionalità di uno stesso campo, senza definirne in modo imprescindibile uno che sia uno. Ho ritenuto in questi anni di raccogliere tutti gli stimoli che mi venivano offerti per sondare le mie preferenze ed attitudini professionali in un settore ampissimo, come si può dedurre dalla stessa titolazione del Corso di laurea, per poi giocarmi la tappa finale con un elaborato che fa riferimento ad un preciso mestiere cinematografico, quello dello sceneggiatore.

Il mio lavoro non è nulla più del tentativo di assaporare e appropriarmi degli strumenti di questo mestiere.

Si è trattato di un percorso a spirale.

Alla base c’è qualche anno di studio dei meccanismi di rappresentazione, narrazione, comunicazione filmica, e l’utilizzo del termine filmico è voluto perché racchiude in sé tutte le storie fatte di immagini in movimento a prescindere dai supporti.

L’indagine teorica, attuata attraverso l’analisi di tutto ciò che è stato prodotto dalle origini della cinematografia ai giorni nostri, è stata finalizzata a cogliere il senso della struttura intrinseca di un linguaggio e dei suoi contenuti, per giungere alla messa in atto di tali acquisizioni.

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Introduzione

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Ho cercato di resistere il più possibile alla lusinga creativa perché ho ritenuto necessaria prima una consapevolezza storica e strutturale delle dinamiche narrative.

Mi sono riservata, in ultima istanza, il tentativo di “fare un film”, o almeno di “scrivere ciò che alla base di un film”, come banco di prova per testare su me stessa, attraverso le mie capacità creative, il mio stesso bagaglio teorico e chiudere il mio percorso universitario con un’apertura ad una professione, anch’essa aperta e mobile ma possibile.

Che ossessione il movimento… la mobilità e anche la duttilità…

Mi sono ritrovata a pensare che in me sia talmente radicata la passione per il cinema da indurmi ad assurgere come mio statuto esistenziale il suo: il movimento, o forse è solo una analogia dedotta a posteriori e non elemento derivato.

Quindi muovo ad un altro livello stilistico per raccontarvi veramente come stanno le cose e cosa c’è davvero in queste pagine, e perché fra le tante possibilità proprio una sceneggiatura, o un adattamento. Userò i due termini indifferentemente perché si riferiscono ad una stessa sostanza delle cose, anche se da differenti punti di partenza, ovvero una struttura fatta di parole che rimanda ad un'altra struttura fatta di immagini e suoni in movimento.

Credo che tutti abbiano fatto l’esperienza del torpore e della confusione che genera una domanda come questa: “Che farai da grande?”; e se fino agli studi superiori la risposta si può venare di delicata incoscienza, nell’avanzare degli anni inizia a richiedere coscienza e cognizione di causa e molto altro.

Nella mia immaginazione ho spesso cercato di rispondere, almeno a me stessa, ed è così che mi sono ritrovata ad essere una discreta quarantenne in giacca e cravatta, ventiquattrore, manager di successo di una fantasmagorica azienda, tre cellulari, Mercedes, due segretari, pranzi di lavoro, megagalattico attico nel centro di Roma…

che arriva a casa stanca dal lavoro, chiavi nella serratura, la porta si apre, le luci si accendono da sole, e una voce maschile un po’

computerizzata, ancor prima che lei possa aprir bocca: “Bentornata, amore…”. Allora lei si avvicina alla televisione, schermo piatto cinquanta pollici, e sussurra dolcemente: “Caro, ti sono mancata?! Che è successo oggi?” e il televisore si illumina con il telegiornale della sera.

Intanto ero diventata anche una paffuta cassiera ipnotizzata dai tintinnati prodotti fatti scivolare sulla cassa, poi un tecnico luci che

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Introduzione

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volteggiava atletico tra Par e Pc, fino a ritrovarsi incartato nelle sue stesse gelatine e ancora una produttrice che fa risorgere il cinema italiano dalle sue stesse ceneri, dopo un tracollo cosmico!

Poi mi sono fermata, e non sospirate!

Io non stavo facendo altro che raccontare storie e lo trovavo davvero piacevole, quindi perché non raccontare una storia e sfruttare un’irripetibile occasione come questa.

T.S. Eliot disse: “ Quando è obbligata ad operare all’interno di limiti rigorosi, l’immaginazione è spinta al massimo e produrrà le sue idee migliori. Se le viene data completa libertà è probabile che l’opera si disperda.”

Anche se condivido l’intuizione del suddetto premio Nobel, e ho agito di conseguenza, mi rendo conto che qualsiasi persona dotata di buon senso si sarebbe goduta questa tappa accademica su un terreno più sicuro, ma vi prego di dirmi oggi quale sia un terreno sicuro. C’è una tale proliferazione di precarietà in molti ambiti: professionale, istituzionale, relazionale, politico, accademico che il lusso più grande che una persona si possa concedere è di scegliere il proprio terreno precario.

Io ho scelto la terra dei conflitti, degli obiettivi, dei momenti culminanti, delle risoluzioni, degli archetipi o dell’assenza di questi e non perché sia particolarmente audace. È solo una questione di passione e incoscienza.

Raccolgo le obiezioni di chi resterà interdetto sulla forma del discorso e del contenuto di questa tesi, e sinceramente le avvallo.

A questi lascio la copertina e la strutturazione in capitoli, per tutti gli altri qui c’è una storia, e chi ne rintraccerà più di una non si sarà affatto sbagliato.

Sono partita dal racconto La casa dei fantasmi di Banana Yoshimoto, su questo ho condotto un’analisi tesa ad evidenziarne la trasponibilità cinematografica, questa prima fase del lavoro è confluita nel Capitolo I.

Nel Capitolo II sono raccolti tutti i frutti creativi organizzati secondo una scansione cronologica: abbiamo una riscrittura del racconto in forma di soggetto, la scaletta, il trattamento degli ambienti e dei personaggi e la sceneggiatura.

Nel Capitolo III illustro le fasi del processo creativo, dispiego un’analisi procedurale per enucleare la metodologia seguita.

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È tremendamente più semplice scrivere una storia che non scrivere, e spiegare, come ho scritto una storia. Nell’ultimo capitolo emerge questo oltre ad un evidente sincretismo metodologico che nella pratica ha dato vita al mio metodo. Questo vive dell’integrazione e della contaminazione dei diversi approcci di scrittura cinematografica, ricavati dai manuali e da precedenti esperienze di scrittura.

Parlo di approcci e non di regole perché ho potuto constatare che nell’arte di comporre si può parlare solo di proposte, prospettive possibili ma non imprescindibili. D’altra parte è anche vero che persistono delle direttive metodologiche di fondo che è fondamentale conoscere per poterle rispettare o eludere.

Nell’organizzazione e nella spiegazione delle scelte tecniche, delle intuizioni e dei contenuti ho cercato di restare il più possibile fedele agli illustri contributi scientifici, citandoli nelle note; ho tentato anche di esemplificare i vari passaggi tecnici con precisi riferimenti sia al testo letterario, che alla sceneggiatura.

Nel quadro di riferimento metodologico che ho cercato di tratteggiare relativamente al prodotto creativo, può accadere che vi imbattiate in zone buie. Se a volte determinate omissioni sono volute, molto spesso accade che derivano dall’estrema difficoltà di vedere, capire e spiegare se stessi e il proprio operato ad altri.

Sono tuttora piuttosto convinta che non sia l’autore a scegliere di raccontare una storia, ma che sia la storia a scegliere di raccontarsi attraverso una voce.

Quindi vi lascio a queste pagine e a queste storie…

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