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1.1 Epilessia 1 INTRODUZIONE

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1 INTRODUZIONE

1.1 Epilessia

L’epilessia è un disturbo neurologico cronico, caratterizzato dall’insorgenza spontanea di crisi provocate da un’attività eccessiva e sincronizzata di gruppi discreti di neuroni nel cervello.

I sintomi caratteristici della malattia sono noti fin dai tempi di Ippocrate (400 a.C.): i Greci infatti avevano intuito la relazione esistente tra i traumi cranici e l’attività convulsiva a carico dei movimenti della parte opposta del corpo, ma nonostante ciò consideravano l’epilessia come la manifestazione di entità soprannaturali in grado di impossessarsi della mente umana, forse proprio a causa dell’inspiegabilità della sua comparsa e dell’imprevedibilità e drammaticità di alcune sue manifestazioni (il termine, che deriva dal greco ἐπιλαμβάνω – epilambano – significa infatti cogliere di sospresa). Tale visione si conserva fino all’Illuminismo, quando con il termine “epilessia” si cominciano ad indicare tutte le malattie associate con fenomeni convulsivi; solo nel 1860, con le ricerche di Sir John Hughlings Jackson, si giunse alla conclusione che gli accessi epilettici sono causati da “un’improvvisa ed eccessiva scarica elettrica originata da alcuni circuiti nervosi”, e che essi possono presentarsi sia in forma focale che in forma generalizzata. Questa scoperta permise, nel 1886, la riuscita del primo intervento chirurgico a scopo terapeutico su un paziente affetto da accessi motori focali, ad opera di Victor Horsley.

L’introduzione dell’elettroencefalografia da parte di Hans Berger, nel 1929, dette nuovo slancio agli studi sull’epilessia, consentendo l’approfondimento delle conoscenze sulla fenomenologia della malattia e il miglioramento delle terapie; questi studi culminarono con l’avvento del trattamento chirurgico moderno sui pazienti epilettici, sviluppato da Wilder Penfield e Herbert Jasper attorno al 1950.

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Sulla base delle conoscenze acquisite, l’epilessia viene oggi classificata in due grandi categorie: epilessia primaria (o idiopatica) ed epilessia secondaria (o sintomatica) (Engel, 1996). Le forme primarie sono a trasmissione genetica, la loro insorgenza è legata all’età (la maggior parte delle epilessie idiopatiche si manifesta durante l’infanzia, come l’epilessia mioclonica giovanile), e non sono mai associate a danni strutturali. Nelle forme secondarie, invece, le crisi sono causate da un substrato cerebrale patologico di tipo genetico o acquisito.

Sulla base dell’esame elettroencefalografico (EEG), che costituisce il prinicpale mezzo per la diagnosi di questa patologia nell’uomo, le epilessie primarie e secondarie vengono inoltre suddivise in epilessie generalizzate, in cui l’alterazione dell’attività eletrrica coinvolge tutto il cervello, e epilessie parziali, in cui un piccolo gruppo di neuroni, il così detto focolaio epilettico, presenta un aumento (epilettiforme) di eccitabilità; spesso le forme parziali evolvono in sindromi generalizzate (questo tipo di decorso viene definito marcia

jacksoniana, da Sir John Hughlings Jackson).

Le epilessie sintomatiche più comuni dono di tipo parziale; esse colpiscono prevalentemente gli adulti, e possono essere distinte in tre categorie in base alla loro causa scatenante:

• epilessie associate alla presenza di placche sclerotiche nell’ippocampo, che rappresentano l’alterazione più comune nelle forme di epilessia umana e che costituiscono il substrato patologico della epilessia dei lobi temporali mesiale

(MTLE);

• epilessie a lesione parziale, associate a specifiche lesioni corticali come tumori, malformazioni vascolari, cicatrici, cisti congenite e displasie di vario genere;

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1.1.1 Epilessia dei lobi temporali (TLE)

Tra le forme di epilessia parziale, l’epilessia dei lobi temporali (TLE) rappresenta un caso particolarmente interessante per l’alta frequenza con cui si manifesta nella popolazione e per la gravità dei suoi sintomi; essa colpisce le strutture del sistema limbico, in particolare l’ippocampo e la corteccia entorinale, ed è generalmente dovuta a sclerosi ippocampale o a lesioni corticali, anche se esistono forme criptogeniche di questa patologia (Engel, 1996).

Nella maggior parte dei casi questo tipo di epilessia compare nella tarda adolescenza in seguito ad un evento scatenante (trauma cranico, ischemia cerebrale, convulsioni febbrili prolungate nei primi anni di vita) che, dopo un lungo periodo di latenza (epilettogenesi) nel quale non si verificano attacchi, porta all’insorgenza della malattia vera e propria, caratterizzata da crisi spontanee, sempre più gravi e frequenti (epilessia cronica; Engel, 1996; Lothman e Bertram, 1993) (Figura 1.1).

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Il quadro clinico è aggravato dal fatto che in molti pazienti lo sviluppo dell’epilessia non si arresta con la diagnosi e l’inizio di una terapia farmacologica, ma anzi si ha una progressione della patologia dovuta al ripetersi delle crisi, che culmina in molti casi (circa il 30%) con lo sviluppo di resistenza al trattamento farmacologico (Pitkänen e Sutula, 2002). In queste circostanze l’unico tipo di terapia possibile è rappresentato dall’asportazione chirurgica dei focolai epilettici.

I pazienti affetti da TLE presentano crisi tipiche, le cui caratteristiche (Kotagal et al., 1995) dipendono dal fatto che l’area colpita fa parte del sistema limbico, responsabile del controllo delle emozioni e della memoria; esse possono essere distinte in crisi semplici e crisi complesse, a seconda che coinvolgano o meno lo stato di coscienza dell’individuo (Engel, 1996). Le crisi sono generalmente precedute da un insieme di sensazioni abnormi legate alle funzioni del lobo temporale, come innalzamento dello stomaco, paura e allucinazioni olfattive e gustative, definite complessivamente come aure epilettiche:

«… improvvisamente gli si spalancò davanti come un abisso: una straordinaria luce interiore gli illuminò l’anima. Quella sensazione durò forse un mezzo secondo; nondimeno egli si ricordò in seguito con chiara consapevolezza il principio, la prima nota dell’urlo terribile che gli sfuggì dal petto…Poi la sua coscienza, in un attimo, si spense e subentrò una tenebra fitta.»

Fjodor Dostojevskij, “L’idiota” (1868)

Molte forme di TLE umana sono epilessie secondarie, anche se esistono alcune forme idiopatiche (Berkovic et al., 1996; Cendes et al., 1998; Gambardella et al., 2000).

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1.2 Meccanismi cellulari e molecolari dell’epilettogenesi nell’uomo

1.2.1 Principali alterazioni morfologiche e funzionali durante l’epilettogenesi nell’uomo

L’accesso epilettico iniziale e l’instaurazione dello stato cronico della TLE sono separati da un lungo periodo di latenza, definito epilettogenesi, durante il quale si verificano modificazioni molecolari, citologiche ed elettrofisiologiche a carico dei neuroni dell’ ippocampo e della corteccia entorinale; queste strutture sono connesse in un circuito “riverberante”, e i cambiamenti da cui vengono interessate fanno sì che si verifichi un rimodellamento delle vie nervose, culminante nella manifestazione delle crisi (Figura 1.2;

Avanzini e Franceschetti, 2003).

Lo studio dei tessuti epilettici (espianti derivanti da pazienti sottoposti a trattamento chirurgico o da campioni autoptici) ha permesso di individuare le alterazioni anatomiche

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indotte dall’epilettogenesi nelle strutture del lobo temporale; esse includono sclerosi ippocampale (morte neuronale e gliosi), neurogenesi, sprouting assonale e dendritico, riorganizzazione della membrana cellulare e delle proteine della matrice extracellulare (Pitkanen e Sutula, 2002).

1.2.2 Alterazioni anatomiche: danno neuronale, “sprouting” e gliosi.

L’associazione tra epilessia e danno cerebrale (in particolare a livello dell’ippocampo) era già nota nel XIX secolo (Buchet e Cazauvieilh, 1825). Per molto tempo ci si è interrogati circa la relazione di causa – effetto tra la lesione e l’instaurazione della malattia, e ancora oggi non si è giunti ad una spiegazione definitiva del fenomeno.

Le analisi istologiche condotte sui tessuti espiantati da pazienti con epilessia farmaco-resistente sottoposti a trattamento chirurgico dimostrano la presenza di alterazioni anatomiche; in particolare, si osserva una estesa morte neuronale a livello delle diverse aree dell’ippocampo (Weissman et al., 2001; Mathern et al., 1995; Mathern et al., 2002), probabilmente causata dalla ripetuta comparsa di crisi generalizzate e dal lungo decorso della malattia: questi studi hanno infatti dimostrato che il danno diviene evidente solamente 20-30 anni dopo il primo attacco epilettico, e che l’ingenza dell’alterazione dipende dall’età di insorgenza e dal tipo di attacco (Mathern et al, 2002). L’incremento della concentrazione di BCL-X(L), BAX, e della caspasi 3 suggerisce inoltre che il meccanismo apoptotico contribuisca alla perdita di neuroni dell’ippocampo (Henshall et al., 2000).

A livello dell’ilo, la perdita degli interneuroni si traduce in un riarrangiamento delle connessioni da parte delle fibre muschiose, i processi delle cellule granulari del giro dentato; questo fenomeno è definito sprouting (dall’inglese to sprout, germogliare), e rappresenta un evento di plasticità assonale importante per il processo di epilettogenesi (Sutula et al., 1989): gli assoni delle singole cellule granulari si biforcano nella regione dell’ilo dell’ippocampo epilettico, quindi proiettano le proprie terminazioni sia alle cellule piramidali della regione

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CA3, sia alla regione sopragranulare e allo strato molecolare interno del giro dentato (Sutula et al., 1988), dove formano nuove sinapsi funzionanti. In questo modo, alcune cellule granulari del giro dentato si trovano ad essere monosinapticamente interconnesse in un circuito aberrante (Figura 1.3):

Circa gli effetti provocati dallo sprouting nella circuiteria ippocampale e sulle sue conseguenze sull’epilettogenesi, sono state formulate due ipotesi principali in netta contrapposizione tra loro; la maggior parte degli studi supporta l’ipotesi della “eccitazione ricorrente”: secondo questa teoria la formazione di sinapsi tra le fibre muschiose e i dendriti delle cellule granulari porterebbe alla formazione di circuiti a feedback eccitatorio (Isokawa et al., 1993; Okazaki et al., 1995). In effetti, questo tipo di riarrangiamento morfologico facilita la trasmissione glutamatergica mediata dai recettori NMDA; inoltre, analisi condotte su sezioni di ippocampo provenienti da pazienti affetti da TLE, hanno mostrato la presenza di un aumento di espressione dei geni codificanti per due distinte subunità di questa classe di recettori (Mathern et al., 1999). Questo aumento di eccitabilità può, nel tempo, innescare un aumento di suscettibilità delle aree interessate all’epilessia e quindi indurre la comparsa di

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nuove crisi epilettiche. L’ipotesi opposta, conosciuta come “ipotesi dell’inibizione ricorrente”, si basa sull’osservazione che una parte delle terminazioni delle fibre muschiose neoformate va a sinaptare sugli interneuroni inibitori dell’ilo (Sloviter, 1992); questo provocherebbe una iperinibizione dell’area del giro dentato, e sopprimerebbe la progressione dell’attività epilettica nell’ippocampo; in questo caso lo sprouting rappresenterebbe una forma di resistenza all’epilettogenesi. Altri studiosi hanno invece proposto che il sistema di trasmissione inibitoria sia coinvolto nel processo di epilettogenesi ipotizzando una diminuzione nelle capacità inibitorie degli interneuroni GABAergici (Sloviter et al., 1991). Questa possibilità può essere associata al basso numero di neuroni GABAergici trovati in tessuti di pazienti epilettici farmaco-resistenti (Lloyd et al., 1981) anche se questi risultati non sono mai stati confermati da indagini di elettrofisiologia.

L’altro meccanismo con cui l’ippocampo risponde al danno indotto dall’attività epilettica è la proliferazione della glia: nei tessuti epilettici viene tipicamente osservato un incremento nel numero e ipertrofia degli astrociti (Kim, 2001; Blümke et al, 2002; De Lenerolle e Lee, 2005) e, in particolare, un aumento dell’espressione della GFAP

(glial-fibrillary acid protein) nell’ilo del giro dentato (Adams et al., 1998). Negli ultimi anni una

serie di studi ha dimostrato che gli astrociti esprimono molti canali e recettori ritenuti precedentemente propri esclusivamente dei neuroni, con i quali sono in grado di stabilire meccanismi di comunicazione bidirezionale (Araque e Perea, 2004). Sulla scia di questi risultati è stato quindi ipotizzato che questo tipo gliale possa avere un ruolo importante nella regolazione dell’attività elettrica dei neuroni, e che alterazioni delle proprietà della glia (mantenimento della concentrazione extracellulare del potassio, assorbimento e rilascio di neurotrasmettitori) possano avere un ruolo nell’instaurazione e nel mantenimento dell’epilessia (Tian et al, 2005).

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1.2.3 Alterazioni elettrofisiologiche

I neuroni che costituiscono un focolaio epilettico presentano una attività spontanea e sincronizzata caratteristica, definita paroxysmal depolarization shift (PDS; Matsumoto e Ajmone-Marsan, 1964). Esso consiste in una repentina depolarizzazione di grande ampiezza e di lunga durata, che al suo picco presenta un treno di potenziali d’azione, ed è seguita da una iperpolarizzazione postuma. Questo tipo di attività è presente anche in condizioni fisiologiche nei neuroni intrinsicamente “bursting” della regione CA3 dell’ippocampo, nei quali ha un ruolo importante per la sincronizzazione locale (queste cellule piramidali funzionano come un “pacemaker” nell’ippocampo); nei focolai epilettici il PDS compare anche in neuroni che normalmente non mostrano questa proprietà, e la progressiva perdita dell’iperpolarizzazione postuma provoca la diffusione della attività neuronale soprasoglia e l’avvento della crisi epilettica. Nell’EEG il PDS corrisponde a una brusca alterazione dell’attività elettrica basale dei neuroni rilevata nel periodo interictale (cioè in un momento in cui non si verificano crisi) (Lewis et al., 1990). Oggi il PDS viene considerato un indice di condizione epilettogenica stabilizzata, in quanto si verifica frequentemente, sia in maniera spontanea che evocata, in neuroni che non hanno questo tipo di attività fisiologica in tessuti espiantati da pazienti con epilessia focale (Prince, 1985).

Si ritiene che uno squilibrio tra eccitazione ed inibizione nei circuiti neuronali dell’ippocampo sia alla base dell’insorgenza delle crisi epilettiche. Studi condotti su tessuti cerebrali umani hanno dimostrato che l’attività di alcuni canali per sodio, potassio e calcio (gli ioni che modulano il potenziale di membrana) è alterata nell’ippocampo di pazienti epilettici (Lombardo et al., 1996; Biervert et al., 1998; Beck et al., 1998); inoltre, si osserva una facilitazione nella trasmissione eccitatoria NMDA-dipendente (Najm et al., 2000), in concomitanza con la disorganizzazione del circuito GABAergico (Spreafico et al., 1998; si veda anche il paragrafo 1.2.2 di questa Introduzione). In particolare, il cambiamento nella trasmissione GABAergica sembra contribuire all’attività interictale nell’uomo (Cohen et al.,

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2002): studi condotti su fettine di ippocampi recisi da pazienti affetti da MTLE dimostrano che la presenza di attività interictale nel subiculum; esperimenti di blocco farmacologico della trasmissione GABAergica e misurazioni elettrofisiologiche delle correnti di membrana hanno portato a ipotizzare che questo tipo di attività sia generata da interneuroni subicolari e da una sottopopolazione di neuroni piramidali nei quali la trasmissione sinaptica GABAergica genera potenziali depolarizzanti (Cohen et al., 2002).

Risulta quindi evidente che lo studio dei meccanismi molecolari e cellulari che stanno alla base dell’epilettogenesi potrebbe esere molto importante ai fini di sviluppare nuove terapie farmacologiche contro l’epilessia. Tuttavia vi è una grande difficoltà nel seguire, e quindi studiare, l’epilettogenesi nell’uomo, in quanto la maggior parte degli studi vengono condotti principalmente su campioni autoptici o su espianti post-operatori. Di conseguenza, è fondamentale disporre di modelli animali che riproducano nel modo più fedele possibile le caratteristiche della patologia umana, in modo da condurre esperimenti che risulterebbero impraticabili sull’uomo.

1.3 Principali modelli animali di TLE

1.3.1 Modello di epilettogenesi “post-status”: acido kainico

Lo studio dell’epilettogenesi implica la scelta di un modello animale di TLE che sappia riprodurre le caratteristiche pato-fisiologiche della malattia dell’uomo (Leite et al., 2002), ed in particolare:

- il decorso clinico che di solito consiste in i) un danno iniziale a carico del cervello che rappresenta l’effetto scatenante della crisi; ii) un periodo latente; iii) la comparsa di crisi spontanee ricorrenti indice della malattia vera e propria (cronicizzazione);

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- la consistente morte neuronale (sclerosi ippocampale) a livello delle varie aree dell’ippocampo quali CA1, CA3 ed ilo del giro dentato, che dovrebbe avvenire solamente nella parte di ippocampo interessata dal focolaio epilettico;

- la riorganizzazione assonale e sinaptica dei neuroni sopravvissuti alla crisi epilettica.

Lo stato epilettico che coinvolge il sistema limbico può essere indotto nei roditori mediante la somministrazione sistemica o locale (intracerebroventricolare o intraippocampale, di acido kainico (KA). L’acido kainico è un agonista dei recettori al glutammato i quali sono maggiormente distribuiti sui neuroni piramidali della CA1 e della CA3 dell’ippocampo (Monaghan et al., 1982; Ben-Ari e Cossart, 2000); in particolare, studi in vitro sulla CA3 isolata dimostrano che il KA induce attività epilettica in questa area attaverso recettori ad alta affinità espressi principalmente nella regione in cui le fibre muschiose sinaptano con le cellule piramidali; è stato perciò ipotizzato che i neuroni della CA3 agiscano come pacemaker per la generazione dell’attività sincronizzata, che da qui si propagherebbe poi alla CA1 e alle altre regioni del cervello (Ben-Ari e Cossart, 2000).

1.3.1.a Ratto

La somministrazione sistemica di KA (dose: 8-12 mg/kg) ha, nei ratti, un forte effetto convulsivante. Gli animali trattati mostrano una fase di immobilità iniziale seguita da movimenti ripetuti e tremori (“head bobbing” e “wet dog shakes”), che culmina in una crisi che non è più focalizzata nella zona del sistema limbico del cervello ma si espande a coinvolgere altre aree compresa quella motoria: si parla di crisi motoria limbica (LMS), caratterizzata da drizzamento dell’animale sulle zampe posteriori con conseguente perdita di equilibrio e caduta a terra (“rearing and falling”). L’effetto del KA può durare per diverse ore (Ben-Ari, 1985). Il danno al cervello, che induce lo stato epilettico, causato dalla

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somministrazione di KA è considerato equivalente all’evento scatenante la prima crisi epilettica riscontrato nei pazienti affetti da TLE. Il periodo latente prima della comparsa delle crisi spontanee dura dalle 2 alle 4 settimane (Stafstrom et al., 1992). Alcune settimane dopo l’iniezione di KA si osserva una consistente morte neuronale nelle zone CA1 e CA3 dell’ippocampo. Inoltre, altre popolazioni neuronali come gli interneuroni dell’ilo (parvalbumina, somatostatina e NPY-positivi) sono vulnerabili all’induzione da kainato. Si osserva anche il fenomeno plastico di “sprouting” della fibre muschiose nello strato molecolare interno del giro dentato (Tauck e Nadler, 1985).

1.3.1.b Topo

La somministrazione sistemica di KA nel topo (dose: 30 mg/kg) comporta, come nel ratto, l’insorgenza dello stato epilettico: a una fase di immobilità iniziale fa seguito uno stadio in cui gli animali eseguono movimenti ripetitivi e muovono compulsivamente il capo (head bobbing); successivamente si ha la crisi limbico-motoria (LMS), caratterizzata da “rearing and falling”, a cui segue lo status epilettico vero e proprio, con crisi limbiche continue. Nei topi si verificano inoltre crisi tonico-cloniche (TCS), che si manifestano con la comparsa di forti convulsioni che interessano tutto il corpo dell’animale (Schauwecker e Steward, 1997).

Le crisi indotte dal KA somministrato per via sistemica causano la perdita di neuroni in aree ristrette della formazione ippocampale (Ben-Ari, 1985), eccetto che in alcuni ceppi di topi resistenti alla citotossicità del KA, come il C57Bl/6 (Schauwecker e Steward, 1997); inoltre, i topi con questo background genetico non sviluppano sprouting (Schauwecker et al., 2000), ma mostrano attivazione della glia come conseguenza dell’intossicazione da KA, soprattutto a livello dell’ippocampo: esperimenti di ELISA e di immunoistochimica dimostrano infatti un forte aumento dell’espressione di GFAP in queste aree in seguito al trattamento (Benkovic et al., 2006).

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1.3.2 Principali alterazioni morfologiche e funzionali durante l’epilettogenesi nei modelli animali

I due modelli animali di TLE descritti nel precedente paragrafo presentano numerose somiglianze con la patologia umana. Le principali alterazioni morfologiche e funzionali durante l’epilettogenesi avvengono infatti a livello dell’ippocampo. La Figura 1.4 mostra in maniera schematica la struttura dell’ippocampo di ratto.

1.3.2.a Danno neuronale e sprouting

Nei ratti epilettici si ha una perdita massiva dei neuroni piramidali delle regioni CA1 e CA3 dell’ippocampo (Pitkänen e Sutula, 2002) (Figura 1.5, alto), dovuta molto probabilmente ad un effetto citotossico del glutammato liberato in eccesso in aree patologicamente attive (Ben-Ari e Cossart, 2000); si osserva inoltre la perdita di interneuroni GAD65 positivi (interneuroni GABAergici) dell’ilo del giro dentato e nello strato oriens della CA1 dell’ippocampo (Esclapez e Houser, 1999). Analisi condotte mediante la tecnica TUNEL e l’impregnazione argentica hanno dimostrato che a questo processo concorrono sia meccanismi apoptotici che necrotici.

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Anche nel ratto l’epilettogenesi promuove fenomeni di riorganizzazione delle connessioni nervose: l’induzione dello sprouting delle fibre muschiose da parte delle crisi epilettiche venne inizialmente dimostrato nel modello del kindling, in cui stimoli elettrici sotto soglia (di per sé non epilettogenici) vengono somministrati un alto numero di volte a livello dell’amigdala o dell’ippocampo fino generare un aumento della suscettibilità alle crisi ed eventualmente all’insorgere di crisi spontanee (Goddard et al., 1969; Sutula et al., 1988; Sutula et al., 1989). Lo sprouting è presente anche nei ratti trattati con KA, e come nell’uomo provoca la formazione di circuiti eccitatori riverberanti (Lynch e Sutula, 2000) mediante la formazione di sinapsi nello strato molecolare interno del giro dentato (Figura1.5, basso). Esso viene rivelato mediante la colorazione argentica di Timm, che marca selettivamente le terminazioni delle fibre muschiose a causa del loro alto contenuto di ioni zinco (Henze et al., 2000), o con immunoistochimica per NPY, (neuropeptide Y), che normalmente marca una classe di interneuroni dell’ilo del giro dentato; questi interneuroni muoiono in seguito alle crisi, e il neuropeptide comincia ad esprimersi in maniera consistente negli assoni delle fibre muschiose che vanno incontro a sprouting (Vezzani et al., 1996).

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1.3.2.b Ruolo della glia

Come nell’uomo, anche negli animali si osserva proliferazione cellulare indotta dall’epilettogenesi; si nota inoltre una sovraespressione della GFAP (glial-fibrillary acid protein), che ha come conseguenza la proliferazione e l’ipertrofia delle cellule gliali (Torre et al., 1993). In particolare, la sovraespressione di questa proteina è principalmente a carico delle cellule dell’ilo dell’ippocampo; sempre nell’ilo aumenta il numero di astrociti (incremento di circa il 46%) (Heinemann et al., 1999). Oltre all’ipertrofia e alla proliferazione eccessiva, l’epilettogenesi induce modificazioni nella fisiologia degli astrociti: in particolare si hanno modificazioni a livello delle proteine espresse sulla membrana plasmatica (canali ionici, recettori, trasportatori e componenti delle giunzioni gap), nelle vie di trasduzione intracellulare del Ca2+, nel metabolismo e nei meccanismi di rilascio (Seifert et al., 2006). Ciò ha conseguenze importanti sul circuito nervoso in cui si sviluppa la gliosi, in quanto normalmente gli astrociti sono deputati alla conservazione dell’ambiente extracellulare in cui si trovano i neuroni: mantengono costante la concentrazione del K+, secernono molecole di matrice e fattori di crescita e riassorbono il glutammato in eccesso a livello delle sinapsi; l’ambiente extracellulare risulta perciò fortemente compromesso nell’ippocampo epilettico (Heinemann et al., 1999).

E’ noto che la glia dispone di recettori per il glutammato e il GABA (Verkhratsky and Steinhauser, 2000), e che sia in grado di rispondere a questi neurotrasmettitori con il rilascio di glutammato secondo un meccanismo Ca2+-dipendente (Parpura et al., 1994; Araque et al., 2000); inoltre, è stato dimostrato che la stimolazione delle afferenze eccitatorie nell’ippocampo induce l’attivazione dei recettori metabotropici del glutammato (mGluR) sulla membrana degli astrociti (Porter e McCarthy, 1996). Sulla base di questi risultati si fonda il concetto di “sinapsi tripartita”, in cui i meccanismi di trasmissione del segnale sono mediati dal neurone pre-sinaptico, dal neurone post-sinaptico e dall’astrocita (Fellin e

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Carmignoto, 2004; Rogawski, 2005). Studi recenti dimostrano che il rilascio di glutammato da parte degli astrociti è in grado di generare SICs (slow inward currents) nei neuroni vicini attraverso i recettori glutamatergici extrasinaptici di tipo NMDA (recettori NR2B) (Fellin et al., 2004), e che una singola cellula gliale può indurre questo effetto in più neuroni simultaneamente (Angulo et al., 2004); è stato quindi proposto un ruolo degli astrociti nella sincronizzazione dell’attività neuronale e, in particolare, è stato ipotizzato che il rilascio di glutammato da parte degli astrociti sia alla base dell’attività sincrona di scarica dei neuroni epilettici (“paroxysmal depolarization shift”, PDS) (Tian et al., 2005) (Figura 1.6).

Gli astrociti quindi concorrerebbero, insieme ai neuroni, a determinare lo stato di iper-eccitabilità tipico del cervello epilettico (Fellin e Haydon, 2005; Rogawski, 2005; Seifert et al., 2006); questa ipotesi apre nuove prospettive alla ricerca di approcci terapeutici alternativi per curare l’epilessia.

1.3.2.c Alterazioni dell’espressione genica

Evidenze emergenti dalla letteratura suggeriscono che le modificazioni anatomiche (sprouting, gliosi, morte neuronale) e fisiologiche (variazioni nelle funzioni di

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neurotrasmettitori e canali ionici) associate con l’epilettogenesi siano il risultato di un’alterazione attività dipendente dell’espressione genica nell’ippocampo (De Lorenzo e Morris, 1999; Hevroni et al., 1998). La presenza di ceppi di animali resistenti al danno da kainato, come il topo C57Bl/6, indica inoltre che il background genetico può influenzare il decorso dell’epilettogenesi (Schauwecker 2002) e rafforza questa ipotesi.

Lo sviluppo di tecniche di screening su larga scala, come la SAGE e i microarray, ha permesso lo studio e l’identificazione di molti geni potenzialmente coinvolti nel processo di epilettogenesi. Diversi gruppi (Hendriksen et al., 2001; Lukasiuk et al., 2003) hanno analizzato i profili d’espressione nell’ippocampo di ratti di controllo, durante il periodo latente ed epilettici, ed hanno così osservato che vari geni sono differenzialmente espressi prima, durante e dopo l’epilettogenesi. Tra questi sono stati individuati geni coinvolti nel meccanismo di gliosi, molecole di adesione e geni coinvolti nelle funzioni sinaptiche e di plasticità assonale, oltre a fattori di trascrizione, trasduttori del segnale e proteine strutturali e metaboliche. Gli esperimenti mostrano una specificità spaziale e temporale dell’espressione genica durante l’epilettogenesi (Lukasiuk et al., 2003), con un andamento sovrapponibile agli eventi neuropatologici che si susseguono ed osservano durante l’instaurazione della TLE (Coulter e DeLorenzo, 1999). I risultati ottenuti dai vari gruppi di ricerca non sono del tutto sovrapponibili, probabilmente a causa della bassa sensibilità e alle differenze dei protocolli sperimentali utilizzati (Lukasiuk et al., 2003; Matzilevich et al., 2002; Hendriksen et al.,2001; Becker et al., 2000), ma ciò non sminuisce l’importanza di questo tipo di ricerca, in quanto capire le modalità secondo le quali l’espressione genica cambia in funzione del tipo e della durata delle crisi permetterebbe di ottenere informazioni sui meccanismi molecolari che regolano la risposta delle cellule e dei circuiti neuronali all’attività epilettica, e quindi fornirebbe nuovo materiale per lo sviluppo di terapie per l’uomo.

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Anche se poco studiati in relazione all’epilettogenesi, i meccanismi di trasporto citoplasma-nucleo, che regolano trasporto al nucleo di proteine aventi attività regolatoria sulla trascrizione genica, hanno un ruolo sicuramente molto importante. I principali modulatori del movimento di queste proteine dal citoplasma al nucleo sono le importine.

1.4 Le importine

1.4.1 Struttura, funzione e meccanismo d’azione delle importine

Le importine, insieme alle esportine, costituiscono la superfamiglia delle carioferine, proteine adattatrici che mediano il passaggio attraverso il complesso del poro nucleare proteine ed RNA dal citoplasma al nucleo e viceversa (Fried e Kutay, 2003; Macara, 2001); in particolare, le importine trasportano molecole dotate di un segnale di localizzazione nucleare (NLS) dal citoplasma al nucleo. Le importine si dividono in due sottotipi: importine α ed importine β. Le importine α costituiscono una famiglia di adattatori del trasporto; esse hanno una struttura costituita da due domini principali: un dominio C-terminale, mediante il quale interagiscono con il NLS delle molecole che devono entrare nel nucleo, e un dominio N-terminale NLS-like; la specificità del trasporto è assicurata dalla presenza di isoforme diverse in grado di interagire con NLS diversi (Jans et al., 2000). Le importine β sono i mediatori diretti del trasporto, in quanto esse interagiscono con con specifi domini presenti nelle proteine del complesso del poro nucleare (le nucleoporine). I componenti di questa famiglia, di cui si conoscono almeno venti isoforme diverse nei mammiferi (Harel e Forbes, 2004), hanno una struttura molecolare caratteristica, costituita da 19 domini HEAT (motivi di 39 aminoacidi trovati come ripetizioni in tandem in molte proteine): i domini all’N-terminale (ripetizioni HEAT 1-10) partecipano al legame con Ran GTP, mentre quelli al C-terminale (ripetizioni HEAT 7-19) riconoscono domini NLS-like; altri due domini (ripetizioni HEAT 5-7 e 14-16) mediano l’interazione diretta con le nucleoporine (Chook e Blobel, 2001). Secondo

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il meccanismo di trasporto più classico, l’importina β lega la molecola da trasportare attraverso l’importina α, che funziona da adattatore: il riconoscimento avviene attraverso il dominio N-terminale dell’importina α, che viene legato dall’importina β; quando la importina β non è presente, questo dominio assume una conformazione tale da mascherare il sito di riconoscimento dell’NLS della importina α, che così cosi si autoinibisce (Goldfarb et al., 2004). In alternativa, l’importina β può legarsi direttamente alla molecola da trasportare.

Una volta nel nucleo, l’importina β interagisce con la proteina Ran GTP: questo legame provoca la dissociazione del complesso e la liberazione della molecola “cargo” nel nucleo (Figura 1.7).

Oltre a mediare il trasporto di molecole attraverso la membrana nucleare, le importina sono coinvolte in un gran numero di meccanismi cellulari, fra i quali l’assemblaggio del fuso mitotico, la formazione della membrana nucleare e l’assemblaggio del poro nucleare (Harel e Forbes, 2004). In particolare, è stato dimostrato che l’importina β può agire come adattatore

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molecolare per mediare il trasporto di altre proteine lungo i microtubuli; proprio per questa sua caratteristica sembra essere coinvolta nella trasduzione di segnali di danno neuronale mediante il trasporto retrogrado di alcuni fattori di trascrizione dall’assone danneggiato verso il corpo cellulare del neurone (Guzik e Goldenstein, 2004).

1.4.2 Importine nel sistema nervoso

Molti studi dimostrano che le importine α e β sono espresse nel sistema nervoso centrale (Kohler et al., 1997) e periferico (Hanz et al., 2003), con una distribuzione specifica delle varie isoforme in aree cerebrali diverse (Hosakawa et al., 2007), e analisi immunoistochimiche dimostrano che, nei neuroni di ippocampo e cervelletto, esse sono espresse sia a livello del soma che nei dendriti (Kamei et al., 1999).

Nei neuroni le importine trasportano un gran numero di molecole importanti per la regolazione dell’espressione genica, soprattutto fattori di trascrizione e protein-chinasi (Otis et al., 2006; Lai et al., 2007; Heusner et al., 2007); in particolare, Fainzilber e colleghi hanno dimostrato che in risposta alla lesione di un nervo periferico l’espressione dell’importina β aumenta nell’assone danneggiato e media il trasporto radido della MAP-kinasi pERK al nucleo (Hanz et al., 2003;Perlson et al., 2005).

Oltre all’identificazione dell’importina β come molecola di segnalazione di un danno neuronale è stato dimostrato, in culture cellulari di ippocampo di ratto, che la localizzazione nucleare delle importine (α1, α4 e β1) è dipendente dall’attività elettrica. In seguito a somministrazione di tetrodotossina (TTX), un bloccante dei canali sodio che impedisce la generazione di potenziali d’azione, la presenza delle importine nel nucleo diminuisce significativamente, e così anche in seguito ad inibizione della risposta post-sinaptica ai potenziali d’azione mediante antagonisti per i recettori glutamatergici AMPA e NMDA (Thompson et al., 2004). In particolare, la traslocazione delle importine sembra essere

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regolata dall’attivazione dei recettori glutamatergici NMDA, oltre che dall’attività elettrica: esperimenti di LTP chimica su cellule e su fettine di ippocampo di ratto (in particolare su CA1), hanno evidenziato un aumento significativo della localizzazione nucleare delle importine che può essere inibito con la somministrazione di un antagonista specifico dei recettori NMDA (APV); l’aumento della concentrazione delle importine nel nucleo è inoltre accompagnato da una diminuzione della loro densità nei dendriti (Thompson et al., 2004).

La traslocazione delle importine verso il nucleo della cellula è dunque un meccanismo attività-dipendente, che potrebbe giocare un ruolo cruciale durante i meccanismi alterazione dell’espressione genica che si realizzano durante l’epilettogenesi.

1.5 Scopo della Tesi

Studi molto recenti condotti nel nostro laboratorio (Brilli et al., 2006) hanno dimostrato che l’espressione delle importine è regolata durante l’epilettogenesi. Osservazioni preliminari derivanti da questi studi indicano inoltre che l’espressione della importina β1 aumenta negli astrociti dell’ippocampo in seguito ad attività epilettica cronica.

Lo Scopo della mia Tesi è stato quindi quello di confermare e quantificare le osservazioni riguardanti la regolazione dell’importina β1 in seguito agli attacchi epilettici, e di studiare più dettagliatamente l’effetto a lungo termine di tale regolazione sugli astrociti mediante il blocco farmacologico dei recettori metabotropici del glutammato mGluR5.

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