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Il disegno di legge n

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Academic year: 2022

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Nota in data 28 settembre 2006 del Ministro della giustizia con la quale trasmette, per il parere ai sensi dell'art. 10 della Legge 195/1958, copia del D.d.l., approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 4 agosto 2006, concernente: "Disposizioni in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali e di pubblicità degli atti di indagine".

(Deliberazione del 21 dicembre 2006)

Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 21 dicembre 2006, ha approvato il seguente parere:

«Con nota del 28 settembre 2006 il Ministro della giustizia trasmetteva per il parere ai sensi dell'art. 10 della Legge 195/1958 il testo del disegno di legge recante “Disposizioni in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali e di pubblicità degli atti di indagine”.

1. - L'impianto normativo.

Il disegno di legge n. 1638/Camera dei deputati muove dalla volontà dichiarata di tutelare “il diritto al rispetto della vita privata e familiare e la libertà di ricevere e di comunicare informazioni o idee”

(v. relazione al ddl) ricercando i modi per contemperare al meglio tali prerogative della persona, tutelate dalla Costituzione, con le necessità investigative e le esigenze di pubblica informazione in occasione di vicende giudiziarie di pubblico interesse.

L'intento del provvedimento è certamente apprezzabile e giustificato dagli abusi che la cronaca giudiziaria ha ormai da tempo evidenziato, soprattutto con la pubblicazione di conversazioni intercettate spesso irrilevanti in relazione al merito delle indagini svolte, ma idonee a suscitare un morboso interesse dell'opinione pubblica per il loro contenuto o per la notorietà delle persone coinvolte.

Di seguito saranno evidenziati alcuni aspetti tecnici della normativa proposta e saranno formulate alcune osservazioni e qualche suggerimento auspicabilmente migliorativo, ma in via del tutto generale può fin d'ora dirsi che per rafforzare la tutela della riservatezza è stata scelta la via da un lato di irrigidire la disciplina del segreto degli atti di indagine e del conseguente divieto di pubblicazione di essi, predisponendo anche una serie di accorgimenti volti a prevenire le violazioni in materia, e dall'altro di inasprire il trattamento sanzionatorio dei depositari di tali atti che trasgrediscano gli obblighi per tale ragione loro imposti dalla legge.

L'intento di irrigidire la disciplina del segreto degli atti di indagine e del divieto di pubblicazione e di cautelare maggiormente il segreto degli atti appare evidente, ad esempio:

- dall'introduzione dell'art. 329 bis c.p.p. che rende perenne il segreto di tutte le intercettazioni non acquisite agli atti del processo perché non rilevanti;

- dal secondo comma dell'art. 114 c.p.p. che precisa come il divieto di pubblicazione degli atti del fascicolo del p.m. o delle investigazioni difensive si applichi anche in caso di archiviazione;

- dal comma 2 bis dell'art. 114 c.p.p. che prevede una nuova più rigorosa disciplina della pubblicazione delle intercettazioni rispetto agli altri atti d'indagine, stabilendo solo per esse il divieto di pubblicazione anche del loro contenuto in ogni caso fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare;

- dal comma 2 ter ancora dell'art. 114 c.p.p. che vieta la pubblicazione delle misure cautelari finché non conosciute dalla persona sottoposta alle indagini o dal suo difensore, e anche dopo che tale conoscenza sia avvenuta ne consente la pubblicazione solo del contenuto;

- dalla nuova formulazione degli articoli 268 e seguenti c.p.p. che dettano una nuova disciplina dell'esecuzione delle intercettazioni e degli adempimenti successivi ispirata a maggiore cautela mediante la previsione di strutture più impermeabili per le operazioni d'intercettazione e per il loro ascolto, nonché di un archivio riservato per la conservazione di tutta la documentazione, e infine stabilendo la distruzione delle intercettazioni stesse decorso un determinato periodo di tempo.

L'inasprimento del trattamento sanzionatorio per chi violi i doveri impostigli in relazione agli atti coperti da segreto è realizzato mediante una nuova formulazione del delitto di “rivelazione illecita

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di segreti inerenti a un procedimento penale” previsto dall'art. 379 bis c.p., che, oltre ad un complessivo inasprimento delle pene, estende anche soggettivamente la riferibilità del reato proprio ad un maggior numero di soggetti qualificati.

Sul piano generale si deve osservare che l'intervento legislativo proposto, come si è detto, muove dall'esigenza di rafforzare la tutela della riservatezza delle persone prevenendo e reprimendo abusi in tal senso, ed è quindi del tutto estranea a questa finalità la prevista modifica anche dell'art. 267 c.p.p. (art. 2 ddl), specialmente nella parte che limita la durata delle intercettazioni legittimamente disposte, rispetto a quanto previsto dall'attuale disciplina. Tale disposizione non ha alcun nesso logico con il tema del rafforzamento del segreto degli atti d'indagine e con la repressione delle violazioni di esso, mentre è idonea a incidere negativamente sull'efficacia delle indagini limitando il tempo di svolgimento legittimo delle intercettazioni a una durata troppo breve per consentire l'accertamento di molti reati.

Sotto il profilo dell'impatto sull'organizzazione degli uffici occorre sottolineare come la scelta, che si condivide pienamente, di effettuare le operazioni di registrazione per mezzo di impianti installati e custoditi in centri di intercettazione telefonica da istituirsi presso ogni distretto di corte d'appello - differenziandosi in ciò l'attività di ascolto che rimane decentrata presso le Procure della Repubblica o i servizi di polizia giudiziaria - comporti un impegno di risorse anche economiche che richiede una completa previsione di copertura di spesa.

2. - Il regime del segreto, la rivelazione e pubblicazione degli atti.

Gli artt. 1, 8, 11 e 12 del D.d.l. n. 1638 delineano, modificandolo, il regime prescrittivo e sanzionatorio relativo alla cognizione, rivelazione e pubblicazione - secondo una sorta di progressione nella condotta il cui disvalore penale viene progressivamente attenuato - di notizie concernenti atti del procedimento penale coperti dal segreto di indagine.

La scelta compiuta dal legislatore, particolarmente delicata perché graduata sulla possibile limitazione del diritto costituzionale di cui all'art. 21 della Carta relativo al diritto di cronaca e critica esercitato con il mezzo della stampa, appare orientata nel senso di punire, attraverso sanzioni penali anche particolarmente significative, il soggetto che attua, con le diverse condotte tipizzate, la violazione del segreto piuttosto che il soggetto - direttore della testata o giornalista redattore - che effettua la propalazione delle notizie riservate.

L'opzione di intervenire, per i professionisti dell'informazione, sul piano della sanzione amministrativa invece che su quella penale la si ricava facilmente dall'art. 12 del testo che modifica il codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003 n.

196, inserendo l'art. 164 bis (Illeciti per finalità giornalistiche) il quale prevede una specifica sanzione (da 3.000 a 18.000 euro) a carico dell'autore - ovvero del direttore o vice direttore responsabile - di una pubblicazione, a fini di informazione giornalistica, di dati personali in violazione del “codice della privacy” o del codice deontologico. L'aggravamento di sanzione (da 10.000 a 60.000 euro) viene prevista qualora la comunicazione concerna dati sensibili o riguardanti minori, ovvero risulti reiterata o comunque di particolare gravità.

La mancata modifica nella parte sanzionatoria dell'art. 684 c.p. (Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, che rimane fissata “nell'arresto fino a trenta giorni o con l'ammenda da Euro 51 a 258”), reato che si raccorda sul piano repressivo con l'art. 114 c.p.p., conferma la volontà del legislatore di non intervenire nei confronti degli autori della pubblicazione di atti di un procedimento penale - o del loro “contenuto” secondo la modifica inserita dall'art. 11 del DDL - per salvaguardare la tutela costituzionale della libertà di stampa. Non sembra infatti possedere, in tale ottica, un carattere significativamente dissuasivo la previsione della pena accessoria della

“pubblicazione della sentenza a norma dell'art. 36” inserita dall'art. 11 citato nel nuovo corpo dell'art. 684 c.p. che rimane un reato contravvenzionale.

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Le modifiche all'art. 114 del codice di procedura penale apportate dall'art. 1 del D.d.l. tratteggiano un quadro più restrittivo nel momento del precetto con riferimento alla categoria degli atti di cui è vietata la pubblicazione: il divieto investe la pubblicazione anche parziale, come nell'attuale formulazione dell'art. 114 cpv. c.p.p., “o per riassunto” degli atti, anche se non più coperti da segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari; il divieto viene ulteriormente esteso alla pubblicazione “per riassunto e nel contenuto” con riferimento sia alla documentazione relativa ad intercettazioni (art. 114, comma 2 bis c.p.p.) sia ai provvedimenti emessi in materia di misure cautelari (art. 114, comma 2 ter c.p.p.: quanto al contenuto, il divieto permane fino alla conoscenza del provvedimento da parte dell'indagato e del difensore). La soluzione delineata dal D.d.l. appare problematica, comportando l'equiparazione del regime relativo agli atti coperti da segreto a quello degli atti non più coperti da segreto: una parte significativa della fase delle indagini preliminari risulterebbe sottoposta ad un regime di indifferenziato divieto di pubblicazione degli atti “anche per riassunto” (ed anche nel “contenuto” con riferimento alle intercettazioni), con evidente compressione dei valori riconducibili all'art. 21 Cost. Analoghe considerazioni devono essere prospettate con riferimento al divieto integrale di pubblicazione degli atti dei procedimenti archiviati di cui alla nuova formulazione dell'art. 114, comma 2, ultima parte.

L'art. 8 del D.d.l. introduce l'art. 329 bis nel corpo del codice di procedura penale rubricandolo

“Obbligo del segreto per le registrazioni” con l'evidente intento di creare un regime di segretazione particolare di natura perenne, rispetto al regime di scansione temporale dell'art. 329 c.p.p. che detta i tempi procedimentali in relazione ai quali il vincolo del segreto di indagine viene meno, per tutti i dati acquisiti a seguito di attività di intercettazione ritenuta non rilevante nei contenuti e custoditi nell'archivio riservato. La previsione normativa appare condivisibile nell'impianto generale della normativa che tende a restringere al massimo i possibili contatti fra soggetti non legittimati e dati del procedimento potenzialmente lesivi della sfera di riservatezza di terzi.

Il rafforzamento della tutela penale nei confronti degli attori che vengono direttamente a contatto con informazioni coperte dal segreto di indagine e quindi pongono in essere condotte di propalazione di dette informazioni - art. 11 del D.d.l. - trova una evidente giustificazione finalistica in tutto l'impianto della normativa.

In particolare la nuova formulazione dell'art. 379 bis c.p. - che va comunque raccordata con l'art.

326 dello stesso codice - amplia la sfera dei soggetti potenzialmente autori della condotta fino a ricomprendere tutti coloro che siano venuti a conoscenza della notizia “in ragione del proprio ufficio, servizio o qualità” (appare evidente il riferimento alla categoria degli investigatori privati che agiscono nell'ambito dell'attività di indagine difensiva) e introduce una ipotesi di condotta di rilevazione di segreti di natura colposa con ciò rappresentando un nuovo scenario di illecito che potrebbe creare qualche problema applicativo.

Punti di criticità interpretativa presenta invece il reato introdotto con l'art. 617 septies c.p. (Accesso abusivo ad atti del procedimento penale) posto che il dato letterale della norma (Chiunque illecitamente prenda diretta cognizione di atti del procedimento penale coperti da segreto) appare in aperto contrasto con lo spirito della stessa (desumibile dalla relazione) laddove il legislatore intenderebbe “sanzionare chiunque prenda illecitamente diretta cognizione di atti del procedimento penale coperti dal segreto; tale formulazione consente di escludere la responsabilità penale di chi si sia limitato a ricevere gli atti di cui sopra, senza concorrere nell'accesso illecito ai luoghi ove gli stessi vengono custoditi”. Sul punto appare pertanto auspicabile una riformulazione del testo per evitare che possano essere coinvolti nella vicenda anche soggetti, al di fuori delle ipotesi di concorso nel reato, che si limitino a ricevere il materiale coperto dal segreto da parte di quello che dovrebbe essere l'autore materiale della sottrazione di informazioni sensibili.

3. - Le esecuzioni delle intercettazioni.

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Gli artt. 3, 4 e 5 ridefiniscono la disciplina relativa all'esecuzione delle operazioni di intercettazione, al deposito e all'acquisizione dei verbali e delle registrazioni, alla trascrizione di quest'ultime, all'utilizzo delle intercettazioni nelle diverse fasi del procedimento, all'avviso alle persone non indagate e alla conservazione della documentazione.

L'art. 3 del disegno di legge (recante modifiche all'art. 268 c.p.p.) introduce la distinzione tra operazioni di registrazione e operazioni di ascolto: le prime sono compiute attraverso impianti collocati nei centri di intercettazione da istituire presso ogni distretto di Corte d'appello; le seconde sono compiute attraverso impianti installati presso ciascuna Procura della Repubblica ovvero, previa autorizzazione del Pubblico ministero, presso i servizi di polizia giudiziaria delegati per le indagini.

L'innovazione appare apprezzabile, risultando finalizzata ad una migliore tutela del riserbo dell'attività di intercettazione, a presidio della riservatezza dei soggetti coinvolti nelle operazioni e della stessa efficacia delle indagini. La concentrazione delle operazioni di captazione in un numero ristretto di centri e la distinzione di tali operazioni rispetto a quelle di ascolto si accompagna all'attribuzione al Procuratore generale e al Procuratore della Repubblica, dei poteri di “gestione, vigilanza, controllo e ispezione”, rispettivamente, sui centri di intercettazione e sui centri di ascolto (art. 268, comma 3-quater): si tratta di compiti riconducibili alle funzioni lato sensu di sorveglianza del Procuratore generale presso la Corte d'appello e del dirigente dell'ufficio di procura, con condivisibile esclusione di qualsiasi potere di intervento sulle determinazioni relative ai singoli procedimenti.

Va ovviamente salvaguardata l'esigenza di funzionalità del sistema così da consentire l'immediata fruibilità della registrazione da parte dell'Autorità giudiziaria procedente.

E' necessario altresì che l'istituzione dei centri di intercettazione e, più in generale, l'adozione delle innovazione tecnologiche sottese alle modifiche legislative in esame siano accompagnate dalle previsione di adeguati oneri di spesa, anche con riferimento alle dotazioni di personale amministrativo necessarie ad assicurare la piena efficienza all'attività di indagine incentrata sulle intercettazioni.

L'art. 4 del disegno di legge inserisce nel codice di procedura penale gli artt. 268-bis, 268-ter, 268- quater, 268-quinquies e 268-sexies: la disciplina dettata da queste disposizioni sostituisce quella di cui ai commi da 4 a 8 dell'art. 268 c.p.p. dei quali l'art. 3 del disegno di legge in esame prevede l'abrogazione. A questo proposito va segnalata l'opportunità di prevedere la modifica della disposizione di cui all'art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003 (che nel testo vigente richiama l'art. 268, comma 6, c.p.p.), allo scopo di coordinarla con la normativa introdotta dal disegno di legge n. 1638 A.C..

Per quanto riguarda l'art. 268-bis, le modifiche delineate dal disegno di legge in esame prevedono innanzi tutto, la sostituzione del parametro alla stregua del quale il giudice deve decidere sull'acquisizione delle conversazioni intercettate, parametro che il comma 6 dell'art. 268 nella formulazione vigente individua nella “non manifesta irrilevanza” e che la nuova disposizione definisce in termini di “rilevanza”; analoga modifica viene introdotta dall'art. 268-quater per quanto riguarda l'acquisizione dei risultati dell'intercettazione in un momento anteriore alla chiusura delle indagini preliminari.

Soprattutto con riferimento a questa seconda ipotesi, la disciplina in esame presenta profili meritevoli di approfondimento, potendo risultare problematica la prognosi - richiesta sia al Pubblico ministero sia alla difesa - in ordine alla rilevanza, nella prospettiva del giudizio, di una determinata conversazione. In questa ottica, il recupero delle intercettazioni in precedenza ritenute irrilevanti consentito, ai sensi dell'art. 268-quinquies, al giudice dell'udienza preliminare e al giudice del dibattimento (solo nel primo caso anche d'ufficio) può rivelarsi foriero di possibili appesantimenti dell'iter del processo derivanti dalla rivisitazione delle originarie determinazioni del giudice sull'esclusione delle conversazioni dal novero di quelle ritenute rilevanti.

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L'art. 268-sexies disciplina l'avviso alle persone non sottoposte ad indagini titolari delle utenze in ordine alle quali è stata disposta attività intercettativa: l'avviso interviene a conclusione delle indagini e non deve essere inviato nei casi di cui al terzo comma (procedimenti per reati ex artt. 51, commi 3-bis e 3-quater, e 407, comma 2 lettera a) c.p.p., nonché per i reati di cui agli artt. 600-ter e 600-quinquies c.p.; utilizzo dell'utenza intercettata da parte di indagati; acquisizione di taluna delle conversazioni intercettate sull'utenza nella titolarità di terzi). La modifica in esame determina un indubbio incremento del carico di lavoro per l’ufficio del Pubblico ministero e richiede una più attenta e precisa formulazione tesa ad evitare che la giusta tutela accordata alla posizione dei titolari di utenze sottoposte ad intercettazioni risultati del tutto estranei alle indagini si traduca nella ingiustificata violazione della riservatezza di altri utilizzatori delle medesime utenze (a cominciare dai familiari dei titolari).

La normativa di cui all'art. 4 del disegno di legge si completa con l'istituzione dell'archivio riservato delle intercettazioni dettata dall'art. 10 del disegno di legge che inserisce l'art. 89-bis disp. att. c.p.p.:

la norma relativa alle funzioni del Procuratore della Repubblica (anche in questo caso riconducibili ai compiti direttivi allo stesso attribuiti) e l'analitica disciplina prevista con riferimento alla tenuta e all'accesso all'archivio si presentano come senz'altro idonee a garantire una migliore tutela delle esigenze di riservatezza sottese all'attività intercettativa. Nella stessa direzione si muove l'individuazione, presso ciascuna Procura della Repubblica, di un funzionario responsabile del servizio di intercettazione e della tenuta del registro riservato delle intercettazioni e dell'archivio riservato di cui all'art. 9 del disegno di legge che integra l'art. 89 disp. att. c.p.p..

L'art. 5 del disegno di legge interviene sull'art. 269 c.p.p. (“Conservazione della documentazione”), sostituendone il primo e il secondo comma. Quest'ultima disposizione, in particolare, presenta una rilevante innovazione: è previsto, infatti, che, salvo quanto disposto dall'art. 271, comma 3 c.p.p., le registrazioni sono conservate fino alla sentenza non più soggetta a impugnazione (norma coincidente con quella attualmente in vigore) e ”fino a che non siano decorsi cinque anni dalla data di deposito del decreto di archiviazione”. La previsione di un limite temporale per la conservazione della documentazione acquisita in procedimenti archiviati rappresenta una novità che deve essere valutata con attenzione e raffrontata con la disciplina processual-penalistica in tema di riapertura delle indagini, disciplina che non conosce vincoli temporali: da questo punto di vista, la soluzione adottata dal disegno di legge in esame non sembra adeguatamente coordinata con quella di cui all'art. 414 c.p.p., così che la distruzione della documentazione dopo il quinquennio dal deposito del provvedimento di archiviazione potrebbe compromettere le indagini oggetto di riapertura. Tale rischio potrebbe essere escluso confermando la previsione di un termine di durata della conservazione della documentazione acquisita in procedimenti archiviati, ma ancorando tale termine, ad esempio, al decorso del termine di prescrizione dei reati per i quali si era proceduto.»

Tutto ciò premesso, il Consiglio superiore della magistratura facendo proprio il parere espresso dalla Commissione

delibera nei termini di cui sopra.»

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