Pragmatica del linguaggio 2.
Sintassi, semantica e pragmatica Le origini della Pragmatica
Il paradigma dominante in semantica
La filosofia del linguaggio ordinario
Pragmatica, Pragmatica del linguaggio
• Pragmatica, dal greco praxis (azione)
Studio dell’azione intenzionale umana.
• Azione umana fondamentale comunicare.
• Pragmatica del linguaggio (da ora in poi “Pragmatica”).
Studio dei modi in cui i parlanti possono usare il linguaggio (gli enunciati) in situazioni concrete al fine di comunicare.
• La pragmatica si sviluppa nell’ambito della filosofia analitica del linguaggio negli anni ‘50 del secolo scorso
• Oggi se ne occupano filosofi, linguisti, psicologi, sociologi.
Sintassi, Semantica, Pragmatica (Morris, 1938, Carnap 1942)
a) Sintassi: lo studio delle regole che determinano quali sequenze di simboli primitivi sono enunciati del linguaggio e quali no.
b) Semantica: lo studio del significato delle espressioni del linguaggio, lo studio (nella prospettiva di Morris) delle relazioni fra i simboli del linguaggio e le cose che essi denotano.
c) Pragmatica: lo studio delle relazioni fra i segni e i parlanti che se ne servono per comunicare qualcosa (che può andare oltre il significato letterale degli enunciati usati).
• Ad (a), (b), (c) corrispondono tre diversi della competenza linguistica: 1) la competenza sintattica; 2) la competenza semantica; 3) la competenza pragmatica.
Carnap su sintassi, semantica e pragmatica
• Se in una ricerca si fa esplicito riferimento al
parlante o, in termini più generali, a colui che usa il linguaggio, la assegneremo al campo della
pragmatica […]. Se facciamo astrazione da chi usa il linguaggio e analizziamo solo le espressioni e
ciò che designano, siamo nel campo della
semantica. Infine, se facciamo astrazione anche
da ciò che le espressioni designano e analizziamo
solo le relazioni fra espressioni, siamo nell’ambito
della sintassi (Carnap, 1942, p. 9)
Filosofia analitica del linguaggio
• Sviluppata interamente nel Novecento (anno convenzionale di nascita: 1892, Frege, Senso e Significato).
• Non si identifica con un insieme di tesi su certi problemi filosofici ma con uno stile filosofico, metodo:
- attenzione al chiarimento del significato dei termini usati (definizioni);
- ricerca del rigore argomentativo;
- uso di controesempi per falsificare tesi;
- ricorso alle assunzioni del senso comune e ai risultati delle scienze e della matematica;
- uso degli strumenti della logica formale
Filosofia del linguaggio e linguistica
• Rapporti tuttora molto stretti.
• La fdl ha elaborato teorie e sviluppato problemi che si sono poi trasmessi alla linguistica.
Esempi:
1) Dallo studio della sintassi e della semantica dei linguaggi formali allo studio della sintassi e della semantica dei linguaggi naturali.
2) Alcune teorie centrali della Pragmatica (es.: atti linguistici; implicature conversazionali)
• Differenze:
• - La fdl si occupa soprattutto del problema del significato, che è solo una parte della linguistica e anche quella meno sviluppata.
• - La fdl non guarda solo al linguaggio naturale e ai suoi usi concreti ma anche ai linguaggi formali (es: logica/matematica).
• - La fdl ha discusso (e discute) opzioni teoriche di fondo concernenti la natura del significato linguistico che spesso i linguisti danno per
presupposte.
Le origini della filosofia analitica del linguaggio:
la filosofia linguistica
• Molti autori alle origini della fdl condividevano l’idea (oggi non più condivisa) che la riflessione sul linguaggio avesse un ruolo centrale in filosofia.
• R. Rorty (1967) ha parlato a questo proposito, per la filosofia di lingua inglese della prima metà del secolo scorso, di una filosofia linguistica che realizza la svolta linguistica.
• Idea centrale della filosofia linguistica I problemi filosofici sono problemi di linguaggio.
• Due modi in cui questa idea è stata sviluppata:
1) Filosofia del linguaggio ideale G. Frege, B. Russell, L.
Wittgenstein (Tractatus Logico-Philosophicus), R. Carnap, A.
Tarski.
2) Filosofia del linguaggio ordinario L. Wittgenstein (Ricerche filosofiche), J.L. Austin, P. Strawson, P. Grice.
La filosofia del linguaggio ideale
• Filosofia del linguaggio ideale i problemi filosofici nascono dalle imperfezioni del linguaggio ordinario vaghezza, ambiguità, mascheramento della forma logica degli enunciati da parte della loro forma grammaticale.
• Tali problemi vengono dissolti sostituendo questo
linguaggio con un linguaggio artificiale in cui tali
problemi non possono nemmeno essere
formulati o essere riformulati come normali
problemi scientifici.
La filosofia del linguaggio ordinario
• Filosofia del linguaggio ordinario i problemi filosofici riguardano, in ultima analisi, il significato di certe parole (es.
“verità”, “giustizia”, “conoscenza”) e l’analisi del linguaggio serve a risolvere questi problemi, nel senso che è per lo meno un primo passo necessario per risolverli.
• La pragmatica nasce proprio all’interno della
filosofia del linguaggio ordinario.
Il paradigma dominante in semantica
• PARADIGMA DOMINANTE (Marconi 1999) = insieme di tesi sul significato e il suo studio che sono all’origine della filosofia del linguaggio contemporanea e che hanno dominato la semantica fino alla seconda metà del XX sec.
• Autori all’origine del paradigma dominante: G. Frege
(1848-1925), B. Russell (1872-1970), L. Wittgenstein
(1889-1951), R. Carnap (1891–1970) A. Tarski (1902-
1983).
La semantica formale
• Il paradigma dominante trova il suo maggiore sviluppo nella SEMANTICA FORMALE, disciplina che si sviluppa a partire dalla fine degli anni ’60 con D. Davidson (1917-2003) e R. Montague (1930-1971).
• Idea centrale della semantica formale
• Alcune teorie e concetti sviluppati da autori come Frege, Russell, Tarski, Wittgenstein in relazione allo studio dei linguaggi formali possono essere applicate anche allo studio dei linguaggi naturali (mentre secondo i suddetti autori all’origine del paradigma solo i linguaggi formali potevano essere oggetto di studio rigoroso)
• Tale applicazione permetterà la costruzione di una teoria semantica rigorosa per il linguaggio naturale.
Le tesi centrali del Paradigma dominante
1) Condizioni di verità 2) Composizionalità 3) Valore semantico 4) Antimentalismo
5) Linguaggi artificiali e forma logica.
Significato e condizioni di verità
• Il significato di un enunciato si identifica con le sue condizioni di verità cioè con la situazione, o stato di cose, che deve sussistere affinché l’enunciato sia vero.
• La tesi fu formulata per la prima volta
esplicitamente da Wittgenstein nel Tractatus
logico philosophicus (1922).
Significato di un enunciato = condizioni di verità (1)
• Si considerino le tre seguenti immagini:
A B C
Significato di un enunciato = condizioni di verità (2)
Si consideri ora l’enunciato 1) Il gatto è sul tavolo
• Posto che il significato di un enunciato sia ciò che si conosce quando si comprendono gli enunciati, chiediamoci:
Che cosa sappiamo quando comprendiamo (1)?
• Per rispondere alla domanda si può osservare la seguente cosa:
se Tizio asserisse che (1) descrive correttamente le situazioni
(B) o (C) ma non la (A), cioè che esso sarebbe vero se (B) o
(C) si verificassero ma non se (A) si verificasse diremmo che
Tizio non conosce il significato di (1).
Significato di un enunciato = condizioni di verità (3)
• Dall’osservazione precedete si può concludere che:
Conoscere il significato di un enunciato consiste nel sapere a quali condizioni sarebbe vero (Wiittgenstein, Tractatus Logico-Philosophicus, 1921).
• Il significato di “Il gatto è sul tavolo” è che il gatto è sul tavolo.
• L’espressione “che il gatto è sul tavolo” si riferisce ad un certo stato di cose (rappresentato dall’enunciato) che si deve realizzare affinché l’enunciato sia vero = la sua condizione di verità.
• Stato di cose = situazione possibile/nesso possibile di oggetti
Perché gli stati di cose sono situazioni (nessi di oggetti) possibili?
• Perché anche gli enunciati falsi hanno un significato e il loro significato è dato da un nesso di oggetti meramente possibile ma non reale.
• Se lo stato di cose rappresentato dall’enunciato sussiste effettivamente l’enunciato è vero, altrimenti è falso
• Per tale ragione tale stato di cose è detto la
“condizione di verità” dell’enunciato.
Condizioni di verità Valore di verità
• La conoscenza delle condizioni di verità deve essere distinta dalla conoscenza del valore di verità (la conoscenza dell‟essere un enunciato vero oppure falso)
per conoscere il valore di verità di “Il gatto è sul tavolo”
devo:
1) sapere a quali condizioni sarebbe vero
2) sapere se quelle condizioni si realizzano effettivamente, devo confrontare l‟enunciato col mondo.
• Si può comprendere un enunciato (conoscerne le condizioni di verità) anche senza sapere se è vero o falso (conoscerne il valore di verità).
Il principio di composizionalità
• Il significato di un’espressione complessa è determinato da quello delle sue espressioni costituenti e dalla sua struttura sintattica formulato originariamente da Frege nelle Ricerche logiche III (1923).
• Se si aggiunge al principio di composizionalità l’idea, condivisa nel paradigma dominante, che il significato delle espressioni semplici (le parole) è completamente determinato dalla loro forma e dalle convenzioni linguistiche ne segue che:
Il significato di un enunciato, cioè le sue condizioni di verità, può essere calcolato facendo uso solo di informazioni linguistiche (lessico + sintassi) le informazioni sul contesto extralinguistico in cui un enunciato è usato sono irrilevanti (o rilevanti solo in modo marginale) ai fini della determinazione delle sue condizioni di verità.
QUESTA IDEA VERRA’ CRITICATA DA MOLTI STUDIOSI DI PRAGMATICA
Il valore semantico
• Questa tesi è una conseguenza delle due precedenti.
• Valore semantico: il significato di un’espressione subenunciativa (che è parte di un enunciato) si identifica con il contributo che essa dà alle condizioni di verità degli enunciati in cui compare (detto “valore semantico”
dell’espressione).
• Infatti se
1) il significato di un enunciato è dato dalle sue condizioni di verità (prima tesi) e
2) tale significato è determinato dai significati delle espressioni costituenti e dalla struttura sintattica della frase (seconda tesi), allora
3) il significato di tali espressioni dovrà essere identificato con il modo in cui esse contribuiscono alle condizioni di verità dell’enunciato.
Teorie referenziali/estensionali vs intensionali
• Contrapposizione all’interno del paradigma dominante su quale sia il valore semantico di un’espressione subenunciativa, cioè il contributo che essa dà alle condizioni di verità degli enunciati
• TEORIE REFENZIALI (Wittgenstein del Tractatus, Russell, Tarski, Davidson) : le espressioni rinviano direttamente ad un oggetto, il loro riferimento/denotazione il significato di un’espressione si esaurisce nel suo riferimento.
• TEORIE INTENSIONALI (Frege, Carnap, Montague): le espressioni rinviano al loro riferimento in maniera mediata, in virtù cioè di una rappresentazione/concetto/regola cui sono associate (senso/intensione) e che determina quale sia il riferimento
Es. = “Gatto” si riferisce a x sse x ha queste e quelle caratteristiche
La nozione fregeana di senso
• Frege (1892) osserva la differenza fra 1) Espero è (identico a) Fosforo
2) Espero è (identico a) Espero
(1) può dare delle informazioni nuove a un parlante (2) no (è vero apriori).
• Per spiegare il diverso valore informativo di (1) rispetto a (2) bisogna ammettere che il significato di un nome proprio come
“Espero” non si riduce al riferimento (se no (1) e (2) avrebbero lo stesso significato e darebbero le stesse informazioni).
• Il significato di un nome proprio (senso) è dato da una descrizione identificante (modo di presentazione) del suo riferimento.
• Es. il significato di “Espero” sarà la descrizione di Venere “il pianeta che appare alla sera” mentre quello di Fosforo “Il pianeta che appare al mattino”.
• Questo spiega perché (1) sia informativo mentre (2) no.
La priorità del senso
• Il senso, nella teoria di Frege, è la componente fondamentale/prioritaria del significato di una parola rispetto al riferimento per le seguenti ragioni:
1) Il senso determina il riferimento ma non viceversa:
a) due espressioni con lo stesso senso avranno lo stesso riferimento (“mucca”/”vacca”, “snow”/”neve”) il senso è come una strada che porta in un solo posto: il riferimento.
b) due espressioni con lo stesso riferimento possono avere senso diverso (“Madonna”/”L.V. Ciccone”, “Aristotele”/”Lo stagirita”) una stessa cosa può essere descritta in modi diversi, diverse strade possono condurre allo stesso posto.
2) Un‟espressione può avere senso senza avere riferimento (es.
“Molly Bloom”, «Ulisse»).
(1) + (2) Un‟espressione ha un riferimento (se ce l‟ha) in virtù del suo senso.
Antimentalismo
• Questa tesi e la seguente sono in parte di natura metodologica esprimono due idee riguardo al modo in cui il significato non dovrebbe (la prima) e dovrebbe (la seconda) essere studiato.
• Antimentalismo (antipsicologismo): i significati delle espressioni non sono entità mentali.
Dunque, lo studio dell’elaborazione mentale di tali
espressioni, e più in generale qualsiasi
considerazione di tipo psicologico, è irrilevante
per la teoria del significato.
L’antimentalismo L’argomento di Frege
• Frege offre il seguente argomento a sostegno dell’antimentalismo ARGOMENTO
• Se il significato (che F. chiama “senso”) fosse una rappresentazione mentale (che F. identifica con un’immagine mentale) allora le espressioni linguistiche avrebbero per ciascuno un significato diverso (la diversa immagine mentale che ciascuno associa all’espressione).
• Ma il significato delle espressioni linguistiche è oggettivo (condiviso da tutti i parlanti) e su questo si basa la possibilità della comunicazione.
• I significati dunque sono entità extramentali che la mente umana si limita ad afferrare terzo regno oltre a quello degli oggetti fisici e delle rappresentazioni mentali.
Frege: la metafora del cannocchiale
• Frege in Senso e denotazione paragona il rapporto che sussiste fra 1) l’oggetto cui si riferisce un’espressione, il suo 2) significato (che F. chiama “senso”) e 3) l’immagine mentale che si forma nella mente di chi la comprende a quello sussistente rispettivamente fra 1) la luna vista con un cannocchiale, 2) l’immagine prospettica di essa che si forma sulla lente e 3) l’immagine retinica che si forma nell’occhio di chi osserva.
• Le prime due cose sono uguali per tutti e accessibili da
diverse persone, la terza è invece privata e
idiosincratica (Frege, 1892, trad. it. p. 13).
Linguaggi artificiali e forma logica
• Mentre lo studio dei processi mentali è irrilevante per lo studio del significato, cioè in primo luogo delle condizioni di verità degli enunciati, è invece centrale a tale scopo l’uso di linguaggi artificiali come quelli usati nella matematica.
• L’uso di tali linguaggi, privi delle imperfezioni dei linguaggi naturali, è essenziale per rappresentare perspicuamente la forma logica degli enunciati del linguaggio naturale.
• Forma logica: il tipo di contenuto effettivamente espresso da un enunciato, che esso ha in comune con tutti gli enunciati dello stesso tipo (di qui il termine “forma”
contrapposto a “materia” che indica lo specifico significato per cui enunciati dello stesso tipo si differenziano)
• La forma logica degli enunciati è spesso occultata dalla loro forma grammaticale superficiale.
Un esempio
• 1) Tutti i sardi sono italiani , 2) Tutti i gatti sono animali
hanno significati diversi ma questi significati sono dello stesso tipo entrambi dicono che tutte le cose che hanno una certa caratteristica (l’essere sardi, l’essere gatti) hanno anche un’altra caratteristica (l’essere italiani, l’essere animali).
• Dunque essi condividono la forma descritta dallo schema:
Tutti gli A sono B
• Le lettere “A” e “B” sono come variabili a cui possono essere sostituite espressioni della giusta categoria grammaticale (in questo caso nomi comuni) per ottenere specifici enunciati di tale forma/tipo o, come si dice,
“esempi” dello schema.
Perché “logica”?
• La forma è detta “logica” perché da essa dipendono le proprietà logiche degli enunciati,
• Proprietà logiche degli enunciati = alcune delle relazioni di implicazione che sussistono fra di essi.
• Certi enunciati ne implicano un altro (e questo è conseguenza dei primi) = è impossibile che i primi siano veri e il secondo falso. In tal caso si dirà che quest’ultimo enunciato può essere legittimamente inferito dai primi.
• Certi enunciati ne implicano logicamente un altro (e questo è conseguenza logica dei primi) quando l’impossibilità di cui sopra non dipende dallo specifico contenuto di tali enunciati ma dalla loro forma che hanno in comune con molti altri enunciati.
Un esempio
(1) Tutti i sassaresi sono sardi, (2) Tutti i sardi sono italiani implicano
(3) Tutti i sassaresi sono italiani
poiché è impossibile che i primi due siano veri e il terzo falso.
• Tale impossibilità inoltre non dipende dallo specifico contenuto di (1)- (3).
• Infatti se sostituissimo in essi le parole “sassaresi”, “sardi” e “italiani”
con altre parole della stessa categoria grammaticale, otterremmo
sempre enunciati il terzo dei quali non potrebbe essere falso nel caso in cui i primi due fossero veri (fate la prova!).
• La relazione di implicazione sussistente fra gli enunciati in questione è invece spiegabile in base al fatto che essi hanno rispettivamente le forme:
(1) Tutti gli A sono B, (2) Tutti i B sono C, (3) Tutti gli A sono C.
Un esempio di come la forma grammaticale può mascherare la forma logica
• Si consideri la frase
1) “Il cerchio quadrato non esiste”
• Essa è simile, grammaticalmente, alla frase 2) “Trump non è intelligente”
Entrambe sono composte da un soggetto (”Il cerchio quadrato”/“Trump”), la negazione “non” e un predicato (“esiste”/”è intelligente”).
• Si potrebbe dunque pensare che entrambe le frasi hanno la forma “a non è B”, in cui “a” è un termine che si riferisce a un oggetto (detto “termine singolare”) e “B” si riferisce a una certa caratteristica.
…..continua
• Da qui si potrebbe concludere che tanto (1) che (2) sono vere nel caso in cui c’è un oggetto cui si riferisce il soggetto e tale oggetto non ha la caratteristica cui si riferisce il predicato.
• Ma se ragionassimo così dovremmo dire che (1) è vera perché c’è un oggetto cui si riferisce “Il cerchio quadrato” e tale oggetto non esiste (tesi effettivamente sostenuta dal filosofo austriaco A. Meinong “Ci sono oggetti di cui è giusto dire che non esistono”).
• Ma questa tesi secondo R. è contraddittoria perché afferma che ci sono oggetti che non ci sono.
• Per questo Russell in “On Denoting”(1905) sosteneva che la forma logica di (1) non può essere la stessa di (2).
• (1) è in realtà la negazione di un enunciato generale
Non si da il caso che [c’è almeno una cosa che: è un cerchio, è un quadrato ed è l’unica cosa ad avere tali caratteristiche].
Tre modi in cui è stata intesa la relazione fra linguaggio naturale e linguaggio formale
1) Filosofia del linguaggio ideale (autori alle origini del paradigma dominante) Tanto il linguaggio naturale quanto il linguaggio formale sono manifestazioni della struttura logica del pensiero (da distinguersi dall’atto psicologico del pensare).
Il linguaggio naturale ne è una manifestazione imperfetta e dunque non può essere studiato rigorosamente. Quello formale una manifestazione perspicua e dunque deve essere sostituito a quello naturale nella scienza e nella filosofia.
2) Paradigma dominante/semantica formale Proprio perché il linguaggio naturale è espressione quanto i linguaggi formali di una comune struttura logica allora i metodi usati per studiare i linguaggi formali si possono applicare ai linguaggi naturali.
3) Filosofia del linguaggio ordinario Non è possibile studiare il linguaggio naturale applicando i metodi logici usati per studiare i linguaggi formali (come (1) e Vs (2)) ma proprio per questo il linguaggio naturale può divenire un oggetto di studio autonomo.
Le origini della semantica formale
Carnap: le intensioni (Meaning and Necessity, 1947)
• Carnap precisa la nozione fregeana di senso fornendo condizioni di identità precise per i sensi (cosa che Frege non aveva fatto).
• Senso = intensione.
• Le condizioni di identità delle intensioni sono date facendo uso della nozione di estensione (riferimento) e di quella di mondo possibile (situazione possibile).
• Mondo possibile: un modo in cui sarebbero potute andare le cose Es.: c’è un mondo possibile in cui Madonna insegna all’Università, uno in cui è Presidente degli USA, etc.
• Due espressioni hanno la stessa intensione sse hanno la
stessa estensione in tutti i mondi possibili
Intensioni di termini singolari
• Due termini singolari (nomi propri, descrizioni definite) hanno la stessa intensione sse denotano lo stesso individuo in tutti i mondi possibili.
• Descrizioni definite: espressioni come “Il presidente della Repubblica italiana”; “La montagna più alta della Terra” espressioni che si applicano a una sola entità (oppure non si applicano a nulla).
Es.: “Madonna”/”La cantante autrice di Like a Virgin” hanno la stessa estensione (si riferiscono allo stesso individuo) ma diverse intensioni perché vi sono mondi possibili in cui denotano individui diversi.
• Invece: “5”, “la somma di 3 e 2” hanno la stessa intensione (oltre che la stessa estensione).
Intensioni di predicati
• Due predicati hanno la stessa intensione sse denotano lo stesso insieme in tutti i mondi possibili:
Es.: “Abitante di Sassari”/”Abitante della seconda città della Sardegna”
hanno la stessa estensione perché l‟insieme degli abitanti di Sassari è l‟insieme degli abitanti della seconda città della Sardegna, ma hanno diverse intensioni perché vi sono mondi possibili in cui denotano insiemi diversi (Sassari avrebbe potuto essere la prima città della Sardegna).
• Invece
1) “essere uno scapolo”/“essere un uomo non sposato”
2) “essere un triangolo equilatero”/”essere un triangolo equiangolo”
hanno la stessa intensione (oltre che la stessa intensione)
Intensioni di enunciati
• Due enunciati hanno la stessa intensione sse sono veri negli stessi mondi possibili conoscere l‟intensione di un enunciato = conoscere le condizioni in cui esso è (sarebbe) vero.
• L‟estensione di un enunciato = il suo valore di verità.
1) Madonna è italoamericana
2) L‟ autrice di „Like a Virgin‟” è italoamericana 3) 2 + 2 = 4
pur avendo tutti e tre lo stesso valore di verità hanno diverse intensioni perché vi sono mondi possibili in cui i loro valori di verità sono diversi.
• Il senso di un enunciato può essere identificato con un insieme di mondi possibili: l’insieme dei mondi possibili in cui l’enunciato è vero.
Montague: l’applicazione della semantica intensionale ai linguaggi naturali (L’inglese
come linguaggio formale, 1970)
• La semantica di Carnap è una semantica per un linguaggio formale.
• R. Montague: la semantica intensionale di
Carnap si può applicare a frammenti
(sempre più ampi con l‟evolversi della
teoria) del linguaggio naturale.
Le intensioni come funzioni da mondi possibili a intensioni
• Montague interpreta le intensioni come funzioni da mondi possibili ad estensioni.
• Intensione di un termine singolare: funzione da mondi possibili ad individui (l‟individuo cui, in ciascun mondo possibile, si riferisce il termine singolare).
• Intensione di un predicato: funzione da mondi possibili a insiemi (l‟insieme di individui ai quali, in ciascun mondo possibile, si applica il predicato).
• Intensione di un enunciato: funzione da mondi
possibili a valori di verità (il valore di verità che ha
l‟enunciato in ciascun mondo possibile)
La semantica come calcolo delle intensioni
• L‟intensione di una qualsiasi espressione è ottenuta mediante la composizione delle intensioni delle espressioni componenti composizionalità.
• Il modo in cui le intensioni delle espressioni
componenti determinano l‟intensione
dell‟espressione complessa è determinato da
regole parallele a quelle sintattiche.
Un esempio
F
SN SV
DET N SPREP V SN
P N N
La fidanzata di Piero ammira Gigi
• L‟intensione del SN “la fidanzata di Piero” è composta dalle intensioni del D (det) “la”, del N “fidanzata” e del SPREP “di Piero” che è a sua volta composto dalle intensioni della P “di” e del N “Piero”.
• Ognuna di queste funzioni
complesse costituisce una diversa regola di composizionalità
semantica a cui corrisponde una regola sintattica.
• L‟interpretazione semantica avviene con un processo “regola per regola”.
La semantica è parte della matematica
• Poiché la teoria semantica ha un oggetto matematico (funzioni complesse), la semantica di una lingua naturale è una teoria matematica (matematica applicata).
• I linguaggi naturali sono assimilabili, considerati ad un certo livello di astrazione, ai linguaggi formali studiati dalla logica (matematica).
• Dunque considerazioni riguardo ai processi
mentali coinvolti nella comprensione linguistica
sono irrilevanti per la teoria antimentalismo.
La filosofia del linguaggio ordinario
• Ha origine dal “secondo” Wittgenstein (Ricerche filosofiche, 1953), si sviluppa soprattutto negli anni ‟50-‟60 con autori come Austin, Ryle, Grice, Strawson.
• Due idee importanti elaborate da W. nelle Ricerche filosofiche
1) Giochi linguistici 2) Significato come uso
La nozione di gioco linguistico
• Wittgenstein: bisogna sostituire alla nozione di linguaggio (inteso come una realtà unitaria di cui si possa scoprire l‟essenza) quella di giochi linguistici.
a) Analogamente ai giochi, i molteplici usi del linguaggio non hanno un‟essenza comune ma solo somiglianze di famiglia.
b) Come i giochi, i diversi usi del linguaggio sono azioni regolate socialmente e dirette ad uno scopo regole sia intralinguistiche (relazioni fra parole) sia extralinguistiche (cosa si può dire quando)
Ogni gioco linguistico ha la sua specifica «grammatica» che è compito dello studioso del linguaggio descrivere
Il significato come uso
• Sapere come Vs Sapere che
• La padronanza del linguaggio non consiste tanto nell'avere certe conoscenze (es: sapere che “gatto” si riferisce ai gatti o che un certo enunciato è vero a certe condizioni).
• La padronanza del linguaggio consiste nel possedere certe abilità, sapere come impiegare le parole saper giocare il gioco linguistico (o i giochi linguistici) in cui una parola è normalmente usata.
“Il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio”
(Wittgenstein 1953)
La nozione di USO, e non quelle di VERITA’ e RIFERIMENTO, è la nozione centrale per lo studio del significato linguistico
• Permane l’antimentalismo del paradigma dominante: i significati non sono enti mentali ma pratiche sociali
La filosofia del linguaggio ordinario:
le critiche al paradigma dominate
1) Il paradigma dominante si concentra sull‟uso descrittivo/referenziale del linguaggio che è solo uno dei molteplici usi che si possono fare delle parole e degli enunciati.
2) Il linguaggio non è solo un sistema di segni, con la funzione di rappresentare stati di cose (veicolare informazioni), ma è in primo luogo un insieme di azioni socialmente regolate (normatività del linguaggio).
3) Anche gli enunciati con cui descriviamo la realtà (quelli dichiarativi) spesso non hanno di per se stessi, cioè indipendentemente dalle circostanze in cui vengono usati, condizioni di verità determinate/precise. .
Alcuni esempi della terza critica (Austin)
1) Questo è un cardellino [detto di un cardellino che improvvisamente si mette a citare Virginia Woolf]
2) C’è un uomo in casa *detto riferendosi a un morto disteso sul letto]
3) La Francia è esagonale [detto da un generale: vero e detto da un geografo: falso]
• Il significato letterale/convenzionale di (1) e (2) non consente di determinare se, nelle circostanze citate, essi siano veri o falsi (mentre la conoscenza delle condizioni di verità dovrebbe consentire di determinare in ogni situazione se l’enunciato è vero o falso in quella situazione).
• (3) ha condizioni di verità diverse a seconda di chi lo proferisce.