• Non ci sono risultati.

IL ROMANTICISMO CASPAR DAVID FRIEDRICH - JOHN CONSTABLE - WILLIAM TURNER FRANCESCO HAYEZ

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "IL ROMANTICISMO CASPAR DAVID FRIEDRICH - JOHN CONSTABLE - WILLIAM TURNER FRANCESCO HAYEZ"

Copied!
23
0
0

Testo completo

(1)

IL ROMANTICISMO

CASPAR DAVID FRIEDRICH - JOHN CONSTABLE - WILLIAM TURNER - FRANCESCO HAYEZ

CASPAR DAVID FRIEDRICH

Friedrich (1774-1840) è il pittore tedesco che per primo entrò nel clima del

romanticismo tedesco. La Germania ebbe un ruolo fondamentale nella definizione delle teorie romantiche sia grazie ai movimenti letterari quali lo «Sturm and Drung» sia grazie all’opera di alcuni pensatori e filosofi quali von Schlegel e Schelling. Ma l’arte romantica per eccellenza della Germania fu soprattutto la musica che ebbe come massimo interprete Ludwig van Beethoven.

Friedrich è interessato, nella poetica del romanticismo, soprattutto al lato mistico della natura. La prima opera che lo rese noto fu la «Croce sulla montagna» o pala di Tetschen, del 1808.

Questa pala d’altare è composta unicamente da un paesaggio di montagne, su cui si staglia il segno nero di una croce. Che un paesaggio potesse essere un immagine religiosa è una

(2)

grossa rivoluzione che non poco stupì i critici del tempo. In essa, tuttavia, è chiaramente avvertibile una suggestione religiosa data dallo spettacolo della natura, intesa come opera divina, in cui la presenza della croce serve principalmente ad elevare il nostro pensiero a Dio.

Il dipinto mostra un paesaggio di montagna, con una roccia su cui si ergono degli abeti e che è sovrastata da un crocifisso: il tutto sotto un cielo nuvoloso al tramonto da cui

provengono raggi di luce, che assieme al crocifisso sono gli unici particolari "sacri"

della composizione. Per Friedrich (in risposta alle critiche), la roccia simboleggia la fermezza della fede, e gli alberi che spuntano su di essa la speranza nel Salvatore.

Anche la cornice, disegnata dallo stesso Friedrich e scolpita da Gottlieb Christian Kuhn, reca simboli religiosi che rafforzano il significato del dipinto, come il grano e l'uva, metafore del pane e del vino, il corpo e il sangue di Gesù, o come l'occhio di Dio. Un dipinto quindi in cui la natura stessa si fa portatrice di simbolismi: una delle essenze del romanticismo, di cui la "Croce in montagna" è uno dei più grandi capolavori.

Questi paesaggi di Friedrich sono lo spettacolo della natura ma servono anche a misurare la piccolezza dell’uomo nel confronto con tale vastità di orizzonti.

E la categoria che più sfrutta questa pittura è proprio il sublime, così come lo aveva definito Kant: quel sentimento misto di sgomento e di piacere che è determinato dall’

assolutamente grande e incommensurabile.

Il sentimento di grandezza è contenuto nella natura, sede dell’infinito che ci riporta a Dio, e rappresenta la maggiore caratteristica di Friederich. Ed è ciò che lo distingue da altre tendenze romantiche anche tedesche e di ispirazione religiosa.

Il quadro trasmette una carica mistica, e non solo per la croce raffigurata tra gli alberi, ma anche per il senso di maestosità silenziosa che questa cima di montagna comunica. L’idea di unire il tema della natura con quello del sacro è sicuramente uno dei segni più chiari del passaggio da un clima culturale di impronta neoclassica al nuovo clima romantico.

(3)

OPERE

C. D. Friedrich, Il viaggiatore sopra il mare di nebbia, 1818

In questo quadro di Friedrich, forse tra i suoi il più famoso e anche quello più

sfruttato, si avverte immediatamente la poetica del pittore. Il sublime, ossia il senso della natura possente e smisurata, viene qui presentato con una evidenza da teorema matematico. Su una roccia di origine vulcanica un uomo, raffigurato di spalle, ammira il panorama che gli si apre davanti. La nebbia che gli è innanzi è quasi come un mare da cui emergono come isole le cime delle montagne. Non vi è vegetazione che crea angoli accoglienti. Le rocce sono nere e inospitali.

Emergono dai fumi di una nebbia che sembra quasi il vapore che sprigiona la terra dal suo interno.

Il paesaggio ha qualcosa di così arcaico che sembra di ammirare la Terra subito dopo la Creazione. L’uomo che ammira questo spettacolo ci dà il confronto tra la piccolezza della dimensione umana e la vastità dell’opera della natura. È raffigurato di spalle così che lo spettatore del quadro deve condividere il suo punto di vista e compenetrarsi nel suo stato d’animo.

Lo stato d’animo, cioè, di chi avverte dentro di sé il sentimento del sublime:

meraviglia e quasi sgomento di fronte all’immensità dell’universo.

(4)

I temi rappresentati nel dipinto sono quelli dell’infinito, del sublime e dello

smarrimento empatico attraverso l’immedesimazione con il paesaggio naturale sottoposto a un importante evento meteorologico.

La natura viene, quindi, assunta come un protagonista vivente, forse, più

importante del viandante che rimane di schiena. L’uomo, Il viandante in questo caso, è, indifeso e misero di fronte al meraviglioso infinito naturale che ha di fronte. Il mare di nebbia rappresenta questa condizione della quale l’uomo romantico ha consapevolezza. Il viandante si perde così nella contemplazione del mare di nebbia e questa perdita annulla la sua individualità.

Il viandante si trova al centro del dipinto in primo piano. L’uomo è in piedi, appoggiato al suo bastone da viaggio, su di uno sperone roccioso che domina tutta la parte inferiore del dipinto come fosse il piedistallo di una statua. Sta, evidentemente, contemplando lo spettacolo naturale romantico e sublime che ha di fronte. Sotto di lui, oltre lo sperone sale la nebbia che lascia intravedere alcune cime coperte da radi alberi più in basso. Verso l’orizzonte si aprono nuovi scenari di montagne alte e impervie. Il cielo è denso di nubi verso l’alto e di strati di nubi più calmi verso il basso che si fondono con il mare di nebbia.

Nonostante la grande massa triangolare dello sperone roccioso e la sagoma nera del viandante i colori emergono in modo evidente nel dipinto.

I colori del paesaggio montano ingrigiti dalla prospettiva aerea di natura leonardesca, si fondono con i colori caldi del cielo riflessi dalla nebbia in basso. Colori chiari e brillanti sono distribuiti armonicamente nel cielo e nella nebbia. Blu, rosa gialli molto chiari si mescolano e intensificano il grigio perla dei vapori che si innalzano verso il cielo.

Queste tonalità ci consegnano una sensazione di atmosfera cristallina e pungente di alta montagna. Sulle rocce abbondano, invece, colori che ricordano la pietra umida, muschi e licheni.

La schiena del viandante, completamente nera, è al centro delle diagonali del rettangolo dipinto. A lui portano anche le linee oblique dell’orizzonte che dall’alto scendono verso il centro. La sagoma nera del protagonista viene innalzata dallo sperone roccioso in basso che funziona come un basamento triangolare. Questo triangolo compositivo ha il suo apice nella testa del viandante. I triangoli compositivi sono distribuiti nel dipinto e nascosti nelle

montagne come cunei grigio scuri all’orizzonte. A questi triangoli compositivi scuri vengono contrapposti triangoli compositivi chiari. Si tratta del mare di nebbia in secondo piano che crea due triangoli convergenti verso il centro dell’opera che si trova, più o meno, all’altezza del cuore del viandante.

(5)

C. D. Friedrich, Le bianche scogliere di Rugen, 1818

Anche in questo quadro il tema che Friedrich svolge è il rapporto dell’uomo con lo spettacolo della natura.

Due uomini e una donna osservano il mare profilarsi tra uno squarcio delle scogliere di Rugen, un’isola tedesca del mar Baltico. Il senso di vertigine che l’immagine vuole comunicare è un ulteriore esempio della ricerca del sublime, che Friedrich coglie nella visione incantata della grandiosità della natura.

Sagome e simbolismo: due uomini (Friedrich, al centro, e il fratello) e una donna (la moglie dell’artista) sono in ombra, voltati di schiena (ma sono sagome che ritornano frequentemente nelle sue opere, quindi riconoscibili) rivolti verso il panorama. Tutte compiono azioni ben precise: lei indica, Friedrich si abbassa per guardare bene, il fratello osserva l’orizzonte, perdendosi davanti alla contemplazione

(6)

dell’infinito. Alcuni riconoscono in questi gesti una valenza simbolica di origini cristiane, rispettivamente la carità (per la veste rosso squillante della donna), l’obbedienza e l’umiltà (a carponi), la speranza (il guardare ad un orizzonte infinito).La scelta di raffigurare le figure di spalle perché all’autore non interessava definire un uomo preciso, in quanto quella che nel quadro osserva l’infinito è tutta l’umanità. Ciascuno si potrebbe identificare in queste sagome anonime. È una presenza umana al tempo stesso particolare e universale.

Rapporto tra uomo e natura: gli uomini, oltre a non essere identificati, occupano uno spazio notevolmente ristretto della tela.

La natura non è più un semplice sfondo o scenario, ma diventa una presenza anche più imponente di quella umana (che però l’artista sceglie di mantenere in tutte le sue opere). Il cuore dell’opera è quindi la natura in tutto il suo mistero, ma Friedrich sceglie di porre nelle sue opere anche il soggetto osservatore, la presenza umana nella natura.

Contrapposizione tra finito e infinito nella tecnica: lo spazio in primo piano e il mare che si stende all’infinito sono realizzati con due tecniche notevolmente diverse (innovazione). Le figure, l’erba, le fronde dell’albero, le rocce e il ghiaccio sono nettamente e minuziosamente definiti, secondo la stessa tradizione di Friedrich, quella fiamminga, attenta alla cura del disegno. Invece il mare e il cielo si confondono in una pennellata molto liquida, luminosa e assolutamente non definita in cui prevale più l’aspetto del colore che quello della forma. Questo dice già della concezione che Friedrich ha dell’uomo in quanto creatura finita che ricerca l’indefinito, l’infinito.

Il viaggio: La presenza di due barche a vela nel vasto mare (se ne ipotizza una terza, sebbene non sia definita, per far corrispondere ad ogni figura una barca) dice di un altro tema molto caro a Friedrich: il viaggio. L’artista infatti considera il viaggio come metafora della vita dell’uomo.

JOHN CONSTABLE

La produzione artistica di John Constable (1776-1837) è quasi tutta incentrata sul tema del paesaggio. La natura, nella cultura romantica, svolge sempre un ruolo fondamentale. Ma alla natura gli artisti romantici si accostano con animo diverso: per scoprirvi la potenza imperiosa che spaventa ed atterrisce, e ciò lo si trova soprattutto nel romanticismo

tedesco, o per ritrovarvi angoli piacevoli ed accoglienti, ed è ciò che caratterizza il romanticismo inglese.

I paesaggi di Constable sono sempre gradevoli. Ritraggono una natura in cui c’è un felice equilibrio tra gli elementi naturali (alberi, fiumi, colline) e gli elementi artificiali (case, stradine, ponticelli).

I paesaggi di Constable esprimono il sentimento di armonia tra l’uomo e la natura. Per la loro casuale ed irregolare disposizione i paesaggi di Constable rientrano pienamente in quella categoria estetica del pittoresco.

Ciò che manca, in questi quadri, sono le false rovine che davano al pittoresco precedente un carattere eccessivamente artificioso e letterario.

La pittura di paesaggio ha conosciuto una grande fortuna nei paesi nordici, ed in Olanda in particolare, per tutto il Seicento e il Settecento. Anche John Constable mosse i suoi primi passi da queste esperienze vedutistiche olandesi, ma la sua capacità di paesaggista fu di superare le qualità descrittive dei quadri precedenti per caricare i suoi paesaggi di

(7)

intensità lirica. La pittura di Constable produsse notevoli influenze su molti pittori, sia inglesi sia francesi.

OPERE

John Constable, Il carro di fieno, 1821

Ciò che caratterizza formalmente la pittura di Constable è la capacità di indagare gli elementi visivi che formano un paesaggio. Del tutto assente un disegno

compositivo, anche se si avverte la grande progettualità degli elementi che

compongono i suoi quadri, lo stile pittorico è tutto affidato al colore. Il suo tocco è filamentoso e sporco. Le forme non hanno un contorno definito ma si

riconoscono solo dai passaggi di tono e di colore. La superficie del quadro viene così a presentarsi, ad una visione molto ravvicinata, come un impasto formato da mille tonalità differenti. Questa tecnica fa sì che, ad una certa distanza, le immagini percepite sul quadro sembrano vibrare di una autonoma luce, rendendole più vive e dinamiche delle usuali rappresentazioni pittoriche. L’effetto è decisamente gradevole ed è ciò che suggestionò un pittore come Delacroix che, guardando quadri come questo, trasse le sue ricerche sulla scomposizione del colore.

In questo quadro il soggetto, il carro di fieno, è solo un pretesto per consentire la rappresentazione di un paesaggio tipicamente inglese. Il carro sta guadando un piccolo ruscelletto che, nello spazio del quadro, forma una duplice curva ad esse. In una delle due anse del ruscello, a sinistra, c’è una casa che sembra quasi confondersi con il paesaggio circostante. La casa viene protetta da una cortina

(8)

di alberi che creano una nicchia accogliente in cui si inserisce l’edificio. Sulla destra si apre una pianura che viene chiusa da una fila di alberi che si vede in lontananza.

La parte superiore del quadro è occupata da un cielo percorso da nuvole. Da ricordare che Constable ha condotto notevoli studi sulla forma e il colore delle nuvole che egli fece oggetto di quadri autonomi. Anche qui è possibile vedere la sua grande capacità di controllare un elemento, le nuvole, così poco definito come forma ma che realizzano un’immagine molto varia nei suoi tonalismi atmosferici.

Tutto il quadro tende ad un naturalismo molto accentuato. La forma non sono le cose, ma la percezione delle cose. Il sentimento che ispira è quella sottile vena di piacere che apre gli occhi per far loro godere l’atmosfera ampia che circola nella scena inquadrata.

Il carro del fieno

Il protagonista dell’opera di Constable è un tradizionale carro di fieno in legno. I due contadini nel carro suggeriscono un modo di vivere in sintonia con i ritmi della natura.

Il carro sta attraversando il fiume, probabilmente per consentire ai cavalli di bere e forse per garantire che le fasce metalliche attorno alle ruote di legno si adattino correttamente. Il legno infatti si restringe quando il tempo è caldo e secco, quindi i bordi in metallo potrebbero essersi allentati, ma potrebbero tornare nella loro forma grazie all’immersione in acqua.

I contadini

Piccole macchie di vernice bianca, marrone e rossa sullo sfondo dell’opera nel campo rappresentano i lavoratori che raccolgono il fieno a mano con le falci. Si riesce a intravedere anche un altro carrello carico di fieno appena tagliato.

Il cielo

La rappresentazione di Constable di luci e ombre sul campo suggerisce il cambiare del cielo, tipico in Inghilterra. Il bel tempo in estate per la mietitura del grano infatti non può essere mai garantito in questa regione dell’Inghilterra, che si trova a sud est. Qui il tempo varia molto e cielo azzurro e nuvole si mescolano come nell’opera di Constable.

Le macchie di rosso

I collari rossi dei cavalli impediscono alle loro imbracature di far sfregare le spalle e la schiena. Il rosso, tuttavia, è un colore insolito per i cavalli da lavoro. Constable ha usato schizzi di rosso qui e in altre zone del dipinto per integrare e intensificare il verde dei campi e del fogliame. Il pescatore vicino alla barca in primo piano ha un fazzoletto da collo rosso. Uno dei mietitori indossa una fascia rossa. E c’è un piccolo gruppo di papaveri nell’angolo in basso a sinistra del dipinto.

La lavandaia e il cane

Sulla sinistra dell’opera una donna è in ginocchio sul pontile del cottage. Non è chiaro se sta lavando i panni nel fiume o semplicemente sta raccogliendo acqua: dietro di lei c’è una brocca di terracotta. La sua inclusione, come quella delle altre figure in questo paesaggio, illustra un aspetto della vita domestica in questa comunità rurale che lavora.

(9)

In piedi sul bordo dell’acqua, il cane è un elemento importante nella pittura e orienta il nostro sguardo verso di lui. Uno degli uomini nel carrello fa un gesto verso l’animale, come se volesse attirare o lo conoscesse. Inoltre, lo stesso cane riappare in altre opere di

Constable.

John Constable, Flatford Mill,1817

Flatford Mill è una delle prime grandi realizzazioni di Constable realizzate in gran parte en plain air. Benché sia stato preceduto da numerosi studi e schizzi, il quadro cerca una visione quasi casuale del luogo raffigurato. Nella scena, ambientata nei suoi luoghi d’infanzia, vediamo sullo sfondo a sinistra il mulino ad acqua

proprietà del padre con un attracco per le barche che venivano trainate da cavalli su e giù lungo il fiume. L’immagine è una ricerca di quella spontaneità della natura, al quale l’uomo adatta le sue necessità e non viceversa. Il gusto per il

pittoresco è qui una dimensione non solo estetica, ma di grande partecipazione emotiva, come ci attesta la scelta di raffigurare proprio luoghi d’infanzia. E qui si coglie la maggior differenza tra il pittoresco rococò e preromantico, che era una scelta fondamentalmente estetica, ed il pittoresco romantico che è dimensione propriamente poetica.

Questa opera segnò la carriera di Constable, rappresentando il primo tentativo di fornire su una grande tela la documentazione realistica delle osservazioni compiute per tanti anni lungo il fiume Stour, dove era situato il mulino di Flatford, di proprietà paterna. La scena, ambientata in una calda giornata estiva dell’infanzia del pittore, è studiata nei minimi particolari, osservati direttamente dal vero.

Mentre il fiume scorre attraverso la chiusa e scende per un canale sotto il mulino, due barconi stanno facendo manovra: un ragazzo libera il cavo con

(10)

cui il primo barcone è attaccato al cavallo da traino; mentre un altro ragazzo con un lungo palo fa girare l’imbarcazione. Tra i tanti particolari

rappresentati il pittore raffigura se stesso con un cappellino rosso, mentre disegna; sul vialetto è descritta la scena di una coppia di contadini, in cui lei inciampa e viene aiutata dall’uomo a raccogliere il canestrino caduto; sulla destra è situato un contadino con un sacco di semi rotto, dal quale gli uccellini sono attratti; più indietro si trova una mandria di animali.

Dal punto di vista tecnico-formale, esso può essere definito come la somma dei più alti esiti raggiunti dall’artista; ad esempio l’uso del “colore locale”

viene utilizzato in una tela di così grandi dimensioni per la prima volta.

Questa tecnica consiste nelle varianti del colore reale dell’oggetto (“colore proprio”) prodotte dalla lontananza e dalla situazione atmosferica che si intendono rappresentare.

Proprio riguardo al fattore atmosferico, il cielo ha un significato simbolico, rappresentando ciò che deve avvenire, ma che non si conosce. È questo un

elemento romantico, che si unisce al tema del ricordo, ovvero alla proiezione del mondo interiore.

John Constable, Studio di nuvole, 1822

L’interesse per lo studio analitico del paesaggio in Constable è attestato da centinaia di tele che egli ha dedicato alle nuvole. Chi conosce l’Inghilterra sa che le nuvole

(11)

costituiscono, qui più che altrove, un elemento determinante del paesaggio.

L’interesse di Constable non si sofferma solo sulla diversa forma che i banchi di nuvole possono assumere, ma ne indaga soprattutto la qualità luminosa e cromatica in riferimento alle diverse ore del giorno. Questi esperimenti, che per certi versi anticipano l’Impressionismo francese, ci dimostrano l’intuizione di Constable che la luce è la grande protagonista del paesaggio.

John Constable, Arcobaleno su Hampstead Heath, 1836

È questo uno degli ultimi paesaggi realizzati da Constable. La piana di

Hampstead è uno dei paesaggi preferiti da Constable che spesso ritrae questi luoghi nei suoi dipinti. Qui vi inserisce un immaginario mulino a vento, ma soprattutto vi rappresenta due arcobaleni. L’interpretazione del luogo ci dimostra come nella sua attività matura l’indagine scientifica della natura cede sempre più il passo ad una ricerca di effetti visivi più lirici. Così come una semplificazione delle superfici ad effetti quasi astratti ci testimoniano una padronanza che riesce ad evocare e suggestionare anche senza più rappresentare.

(12)

Per Constable la pittura era il risultato di uno studio costante, meticoloso e dettagliato. La natura non è, secondo la sua poetica e secondo la sua concezione artistica, generica, ma deve essere l’espressione del momento specifico e della condizione particolare. “La natura – diceva C. durante i suoi studi di cieli – deve essere decifrata come si decifrano i geroglifici egiziani”. Il suo costante tornare sugli stessi temi e sui procedimenti di elaborazione attraverso disegni e bozzetti sono la dimostrazione di tale concetto.

(13)

WILLIAM TURNER

William Turner (1775-1851) è l’altro grande interprete, insieme a Constable, della pittura di paesaggio romantica in Inghilterra.

Le categorie estetiche a cui è improntata la pittura di Turner sono il pittoresco e il sublime. Quel sublime dinamico, come lo definiva Kant, che riguardava le manifestazioni della natura caratterizzate da grande esplosione di energia. Il soggetto di alcuni suoi quadri più tipici sono proprio le tempeste. Quella furia degli elementi che imprime grande velocità all’atmosfera.

Nei suoi quadri gioca un elemento fondamentale la luce. Egli cerca di dare un’autonomia alla luce rappresentandola non come riflesso sugli oggetti ma come autonoma entità atmosferica. Per far ciò, usa il colore in totale libertà con pennellate curve ed

avvolgenti.

Le immagini che ne derivano hanno un aspetto quasi astratto che non poco sconvolse il pubblico del tempo. Secondo alcuni critici egli non dipingeva ma impastava sulla tela

ingredienti da cucina, quali uova, cioccolata, panna, ricavandone un miscuglio da

pasticciere. Queste critiche dimostrano quanto fosse poco compresa la sua pittura. Essa, tuttavia, divenne un riferimento importante per la successiva pittura impressionista.

OPERE

William Turner, Pioggia, vapore e velocità, 1844

In Pioggia, vapore e velocità, William Turner utilizza un turbine di pennellate accostate per rappresentare il vortice creato dal passaggio del treno. Come in tutti i suoi dipinti la luce ha una importanza essenziale.

In questo quadro di Turner sono ben evidenti gli elementi caratteristici della sua pittura che tanto sconvolsero i suoi contemporanei. La tela è un impasto di colori indefiniti che non danno un’immagine molto riconoscibile. Tutto si riduce ad una linea di orizzonte e a due diagonali trasversali, una a sinistra, poco evidente, che

(14)

rappresenta un ponte ad arcate, una a destra, più evidente, che rappresenta un altro ponte su cui sta correndo un treno. Il resto è solo luce, colta nelle sue differenti colorazioni, nel momento che attraversa una atmosfera densa e dinamica.

L’aria, infatti, è pregna di pioggia e di vapore, come dice il titolo, ed è una presenza che diventa immagine che sovrasta il resto della visione.

Nei quadri di Turner tra i soggetti più usuali ci sono le tempeste di neve o le tempeste marine. Sono quadri vorticosi che riescono a curvare lo spazio in base alla energia impetuosa delle tempeste. Tempeste che travolgono tutto, rendendo irriconoscibile lo spazio e gli oggetti. E sono proprio quelle tempeste che rendono il senso del suo sublime dinamico. Un sublime che è caratteristica della sola forza della natura.

In questo quadro compare invece un elemento decisamente nuovo: il treno. Le ferrovie sono state inventate solo da qualche anno e questo è probabilmente il primo quadro artistico che abbia a soggetto un treno. Questa invenzione – il primo mezzo di locomozione che sfrutta l’energia del vapore – non poco dovette colpire

l’immaginazione di Turner. E l’artista riporta simbolicamente il treno nella stessa categoria del sublime. La categoria della potenza sovra umana ma che, in questo caso, non si curva come la tempesta ma procede per linee rette come è nelle cose fatte dall’uomo.

Il taglio decisamente inusuale dato dalla diagonale del ponte, il dinamismo che suggerisce la velocità del treno, ma soprattutto la tecnica fatta di macchie di luce che rendono vaghi gli oggetti, rendono questo quadro uno degli esiti più sintomatici delle ricerche formali di Turner. .

La natura quindi, per lui è una fonte di ispirazione per creare composizioni

movimentate e rappresentare molteplici composizioni cromatiche. I colori vengono utilizzati dall’artista per rappresentare al massimo la loro luminosità attraverso accostamenti di contrasti di chiarezza e di complementari. La luce che scaturisce dagli accostamenti cromatici e dall’andamento delle pennellate è il soggetto principale dei suoi dipinti. Il cielo è rappresentato tramite brandelli di azzurro. Il fiume si intuisce in basso, colorato di ocra e bruno.

(15)

WilliamTurner, Regolo, 1828

L’opera dipinta inizialmente a Roma nel 1828, è stata in seguito rielaborata dopo il suo ritorno in Inghilterra nel 1837. Turner ha voluto raccontare, come già ci presenta il titolo, la vicenda di Marco Attilio Regolo, il condottiero romano e prigioniero di Cartagine. Regolo fu fatto prigioniero e in seguito rinviato in patria per convincere Roma ad arrendersi. Quando fece ritorno non convinse i romani a consegnarsi, anzi lì incitò a proseguire la guerra contro Cartagine.

Il prigioniero tornò dai nemici, com’era stato pattuito, e ad aspettarlo ci fu soltanto la morte. Regolo subì atroci sofferenze, come il taglio delle palpebre, e fu poi rinchiuso in una botte irta di chiodi fatta rotolare da una rupe. Ritroviamo in quest’opera

l’elemento della “luce” sotto una forma diversa, perché abbagliante, tendente ai toni del bianco e diffusa in ogni angolo della tela. Questa volta la luce ha un significato che non è ancora ben chiaro: si pensa o ad una premonizione sul destino del nostro eroe in questione o all’effetto che la visione del sublime provoca nello spettatore, un accecamento dovuto alla visione di una forte luce che qualsiasi persona non potrebbe mai contrastare né dimenticare. La

luminosità velata che è all’interno dell’opera è comunque accompagnata da un senso di morbidezza, che comunica una piacevolissima impressione di pace.

Il quadro appartiene alla serie di opere che Turner dedicò ad episodi storici.

In esso è un episodio di storia romana ad essere rappresentato, ma basta

confrontare il quadro con una qualsiasi altra opera di un artista accademico dedicata a questo periodo, per capire la profonda distanza che separa il romanticismo di Turner dal precedente stile neoclassico. Non vi è alcuna ricerca di bellezza in forme pure e tornite, nessuna visione di atmosfere chiare e arcadiche, ma la ricerca di un’emozione che sollecita inquietudine e stupore. Nel quadro è rappresentato il porto di Cartagine, la città nemica di Roma.

Il vero protagonista dell’immagine è la grande luce che proviene dal fondo, punto di fuga ideale nel quale convergono le quinte degli edifici che si affacciano sul canale

(16)

del porto. Qui, più che altrove, appare evidente la ricerca di Turner di rappresentare direttamente la luce, senza utilizzarla come mezzo strumentale per la visione di altro.

William Turner, Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi, 1812

Il quadro, al pari di "Regolo", prende solo a pretesto l’episodio storico di

Annibale per una immagine che in realtà è una libera ricerca di effetti luminosi e dinamici attivati da una tempesta di neve. Lo schema compositivo ricorre in molte altre opere di Turner: una specie di vortice che ruota intorno ad un punto posto in posizione leggermente decentrata. In questo caso Turner cerca la

rappresentazione di quel sublime "dinamico" teorizzato da Kant: la sensazione di intensa ed emozionante paura attivata dalla potenza della natura. Potenza che ritroviamo nello spettacolare scatenarsi degli elementi in occasione di tempeste, uragani, eruzioni di vulcani, terremoti, maremoti, e così via.

Nel quadro si vedono alcuni soldati di Annibale a terra stremati dalla fatica a causa della bufera che ha colto l’esercito durante la traversata delle Alpi. Tra i massi del paesaggio alpino gli uomini cercano un riparo mentre a terra giace morto un elefante. All’orizzonte si scorge l’esercito che procede a fatica ma la sua vista è offuscata dalla tempesta. In basso a destra la massa dei soldati è visibile appena tra le nebbie. Infatti si coglie il riflesso delle armature, degli scudi e delle armi. Si

intravedono le deboli luci delle torce sollevate dai militari ma la tempesta incombe violenta e fa strage di soldati e animali. Come un’onda gigantesca e nera la natura si abbatte dall’alto su Annibale e il suo esercito.

(17)

William Turner, Tempesta di neve, 1842

Il quadro, conservato alla Tate Gallery di Londra, è uno degli esempi più noti della ricerca di Turner legata alla percezione della forza della natura. Lo scatenarsi di una tempesta di neve avviene in mare, travolgendo una nave che nel quadro appena si intravede nel gran turbinio d’acqua che Turner rappresenta. Il mare è anch’esso un soggetto molto amato dall’artista inglese, che in numerosi quadri rappresenta scene marine e navi. Qui il mare diviene il luogo di quel "sublime dinamico" che abbiamo visto spesso comparire nei quadri di Turner, che in questa tela, più che in altre, abbandona ogni preoccupazione di rappresentazione figurativa per darsi ad una pittura di gesto che sfiora quasi l’astratto. Inutile dire che il quadro, troppo in anticipo sui gusti del tempo, non ricevette critiche

entusiastiche. Per esso, come per altre tele di Turner, i critici inglesi parlarono di

"pasticceria", in quanto un quadro così fatto sembrava loro più un tavolo sporco di latte, farina, uova, cioccolato, ecc. che non la tela di un pittore.

(18)

CENNI SUL ROMANTICISMO ITALIANO

Il romanticismo italiano è un fenomeno che ha tratti caratteristici diversi dal romanticismo europeo. Le tensioni mistiche sono del tutto assenti, così come è

assente quel gusto per il tenebroso e l’orrido che caratterizza molto romanticismo nordico.

Queste diversità hanno fatto ritenere che l’Italia non abbia avuto una vera e propria arte romantica ma solo una imitazione del vero romanticismo nordico. Se la questione appare oggi superata, ciò che interessa è capire in che cosa si può individuare

un’esperienza romantica nell’arte italiana dell’Ottocento.

È da premettere che, in Italia, il romanticismo coincide cronologicamente con quella fase storica che definiamo Risorgimento. Ossia il periodo, compreso tra il 1820 e il 1860, in cui si realizzò l’unità d’Italia. Questo processo di unificazione fu accompagnato da molti fermenti che coinvolsero non solo la sfera politica e diplomatica ma anche la cultura del periodo.

I contenuti culturali furono indirizzati al risveglio della identità nazionale e alla presa di coscienza dell’importanza della unificazione. Secondo le coordinate del romanticismo, che in tutta Europa rivalutava le radici delle identità nazionale, il riferimento storico divenne il medioevo. E così anche l’Italia, che pure aveva vissuto periodi storici più intensi e pregnanti proprio in età classica con l’impero romano, si rivolse al medioevo per ritrovarvi quegli episodi che ne indicassero l’orgoglio nazionale.

Questo impegno civile e politico unifica tutte le arti del romanticismo italiano, dalla letteratura alla pittura, dalla musica al melodramma, ecc. Ma l’arte che più di ogni altra si affermò nel romanticismo italiano fu soprattutto la letteratura, grazie ad Alessandro Manzoni e al suo romanzo I promessi sposi. Questo predominio della letteratura sulle arti visive è stata una costante di tutta la successiva cultura italiana dell’Ottocento,

determinando non poco il ritardo culturale che l’Italia accumulò nel campo delle arti visive rispetto alle altre nazioni europee, e alla Francia in particolare.

I due principali temi in cui si esprime la pittura romantica italiana è la pittura di storia e la pittura di paesaggio. Nel primo tema abbiamo il maggior contributo pittorico all’idea risorgimentale dell’unità nazionale. E la pittura di storia, coerentemente a quanto detto prima, rappresenta sempre episodi tratti dalla storia del medioevo. Ma lo fa con spirito che denota la succube dipendenza dalla letteratura, tanto che questi quadri hanno un carattere puramente illustrativo e didascalico.

Protagonisti di questa pittura di storia sono stati il milanese Francesco Hayez, il fiorentino Giuseppe Bezzuoli, il piemontese Massimo D’Azeglio.

Nel genere del paesaggio il romanticismo italiano trovò invece una sua maggiore autonomia ed ispirazione che la posero al livello delle coeve esperienze pittoriche che si stavano svolgendo in Europa. Anche per la diversità geografica tra l’Italia e l’Europa del nord i paesaggi italiani non sono mai caratterizzati da quella atmosfera a volte tenebrosa e a volte inospitale del paesaggio nordico. Ma il paesaggio italiano si presenta più luminoso, più gradevole, più caratterizzato da un pittoresco accogliente e piacevole.

La pittura di paesaggio italiana ha soprattutto due grandi protagonisti: Giacinto Gigante a Napoli, esponente principale della locale Scuola di Posillipo, e Antonio Fontanesi a Torino.

La vicenda del romanticismo italiano tende a prolungarsi fin quasi alla fine del secolo collegandosi, in alcuni casi, direttamente con la pittura divisionista. Nell’ambito del

romanticismo italiano, un posto a sé lo occupa un altro movimento, detto «Scapigliatura», sviluppatosi a Milano nell’immediato periodo dopo l’unità d’Italia. La Scapigliatura si sviluppa

(19)

sulle suggestioni di un altro originale pittore romantico, la cui attività si è svolta a Milano:

Giovanni Carnovali, detto il Piccio.

FRANCESCO HAYEZ

Francesco Hayez (1791-1882) ebbe una formazione giovanile neoclassica. Originario di Venezia, nel 1809 si trasferì a Roma dove entrò in contatto con Antonio Canova di cui divenne amico ed allievo. Trasferitosi a Milano nel 1820, in questa città raccolse l’eredità del maggiore pittore neoclassico italiano: Andrea Appiani. Il suo stile pittorico si formò di un linguaggio decisamente neoclassico che non perse mai neppure nella sua fase romantica. Il suo romanticismo è infatti una scelta solo tematica. Nel 1820 realizzò il suo primo quadro di ispirazione medievale «Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri» che venne considerato il manifesto del romanticismo italiano. Due anni dopo realizzò il quadro de «I Vespri siciliani». La sua produzione, oltre ai temi storici, fu proficua anche nel genere dei ritratti. Dal 1850 diresse l’Accademia di Brera, divenendo un personaggio di spicco dell’ambiente culturale milanese.

OPERE

Francesco Hayez, I Vespri siciliani, 1822

I Vespri siciliani fu una rivolta popolare scoppiata a Palermo nel 1282. In Sicilia dominavano, dal 1266, gli angioini, dinastia francese che era subentrata agli svevi dopo la sconfitta di Manfredi di Svevia da parte di Carlo d’Angiò. I soldati francesi, all’ora vespertina del 31 marzo 1282, arrecarono offesa ad una donna che si era appena sposata e stava uscendo dalla chiesa. Questa fu la causa che fece scoppiare la rivolta popolare nei confronti degli angioini che sfociò in una guerra che durò venti anni. I siciliani furono aiutati da Pietro III d’Aragona. Nel 1302, con la pace di

Caltabellotta, la Sicilia passava dalla dominazione angioina a quella aragonese.

(20)

L’episodio dei Vespri siciliani acquistava il significato simbolico, nell’ottica risorgimentale, di rivolta contro lo straniero. Gli angioini erano francesi ed è da ricordare che l’Italia, ancora nell’Ottocento, era suddivisa in tanti stati e staterelli che erano dominati da dinastie o potenze straniere: i Borboni nel mezzogiorno, gli

austriaci nel lombardo-veneto, e così via. Pertanto l’unità d’Italia andava

perseguita affermando gli interessi degli italiani contro quelli degli stranieri.

Il quadro di Hayez illustra l’episodio in maniera molto letteraria ma poco emozionante.

Le figure sono scandite secondo pose molto teatrali che risentono ancora dei quadri storici neoclassici del David.

L’influenza teatrale (si ricorda che Hayez lavorò per la Scala di Milano) è

evidente nelle pose statiche ed espressive delle figure, nella calcata gestualità e negli sguardi eloquenti. Nonostante ciò l’immagine appare nel suo insieme movimentata grazie ad alcune tecniche di impostazione stilistica, come le diagonali formate dalle gambe delle due figure in primo piano e l’asimmetria, elementi che rompono la staticità per un dinamismo compositivo, seppur molto contenuto.

Lo stile di esecuzione è anch’esso fondamentalmente neoclassico, fatto di precisione di disegno, rilievo chiaroscurale, fattura molto levigata, chiarezza di visione.

La resa dell’immagine risulta nitida e pulita, rimanendo fedele alle origini

veneziane. Infatti Hayez non usa il colore per rompere i contorni come il pittore inglese William Turner, né utilizza il colore liquido e dalle tonalità scure, tipico degli altri artisti romantici. I suoi colori sono vivi, si richiamano tra di loro seguendo così una tradizione che risale fino a Raffaello. Hayez inoltre fa un uso simbolico dei colori: non a caso usa spesso il rosso, il bianco e il verde della bandiera di quell’Italia che si voleva costituire.

Hayez infonde ai suoi dipinti una carica sentimentale che accentua l’espressione delle ispirazioni risorgimentali.

L’unica cosa che fa collocare questo quadro nell’ottica del romanticismo è solo il soggetto ed il contenuto: il riferimento ad una storia del medioevo che ha come messaggio un contenuto patriottico e risorgimentale.

(21)

Francesco Hayez, Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri, 1818-20

Quest’opera è il primo quadro (seguito dai Vespri Siciliani) di soggetto storico- medievale della produzione di Francesco Hayez. Anche questo quadro, come «I vespri siciliani», utilizza un episodio storico come metafora per gli ideali risorgimentali. Siamo nel XIV secolo e Pietro Rossi fu chiamato dal doge di Venezia per assumere il comando delle forze veneziane, per resistere ai tentativi di espansione degli scaligeri, guidati dal Mastino della Scala, che stavano assediando il Castello di Pontremoli. La moglie e le figlie del condottiero lo pregarono di non

accettare, ma, nonostante ciò, Pietro Rossi diede il suo assenso. In questo quadro vengono dunque esaltati i valori dell’eroismo, nonché delle libertà repubblicane di contro a quelle dispotiche, rappresentate dagli scaligeri, signori di Milano.

La storia narra che Pietro Rossi, signore di Parma, spogliato dei suoi domini dagli Scaligeri, signori di Verona, mentre è invitato nel castello di Pontremoli, che stava difendendo, gli venne richiesto di assumere il comando dell’esercito veneto.

(22)

L’episodio storico al quale fa riferimento l’opera fu pubblicato nel volume Histoire de la République de Venise di Laugier del 1758. Il condottiero è al centro della scena con indosso l’armatura. Alla sua destra lo accompagnano alcuni soldati. In basso, invece, la moglie e le figlie lo scongiurano e soffrono immaginando il suo sacrificio. La scena è raccolta all’interno si una architettura gotica. Tra le mura massicce si apre, in alto, un rosone mentre a sinistra si intravede la folla di armati da un arco a sesto acuto.

Francesco Hayez, Il bacio, 1859

(23)

Il quadro rappresenta due giovani in abiti del quattrocento in piedi abbracciati che si baciano. Il giovane è interamente coperto da un ampio mantello mentre la giovane indossa un semplice abito azzurro. Il ragazzo porta un cappello che copre il suo viso invece la protagonista ha i lunghi capelli sciolti. Sebbene il ragazzo sia nascosto dal mantello si intravede un’arma al suo fianco sinistro.

La scena si svolge all’interno di uno scenario architettonico medioevale. Infatti le mura sono costruite da grandi blocchi di pietra. Inoltre sullo stipite si intravedono decorazioni scolpite. Infine a sinistra nel buio si proietta sul muro quella che pare essere l’ombra di una sagoma umana.

Il dipinto rappresenta una scena, apparentemente, intima tra due innamorati, ambientata nel passato medioevale cavalleresco tra le mura di un castello. Il

Romanticismo, in Italia, si declinò nell’amore nazionalista e nell’odio verso lo straniero, che nelle zone dell’attuale Lombardia, era rappresentato dalla dominazione austriaca.

Il giovane che da un bacio alla ragazza porta un pugnale e si appresta a salire il primo gradino della scala. Il messaggio politico che nasconde il dipinto è racchiuso quindi in questi particolari appena percepibili. Si tratta, forse, di un giovane patriota che saluta la ragazza amata prima di andare a combattere. Nell’ombra che si intravede sulla sinistra, alcuni storici hanno visto la presenza di una spia austriaca che sorveglia i due giovani.

La scena è immersa nel colore ocra delle architetture medievali che fanno da sfondo ai due ragazzi descritti con colori più accesi. Soprattutto la giovane

indossa un abito in seta azzurro molto luminoso. In questa versione del dipinto la veste azzurra della fanciulla e il rosso della calzamaglia ricordano il tricolore francese. Infatti al tempo la Francia era alleata con i Savoia contro gli austriaci.

La luce de Il Bacio proviene dall’esterno dl dipinto e colpisce i due ragazzi illuminando intensamente l’abito della ragazza.

Gli scalini, le cui linee di fuga convergono verso il fianco del ragazzo, creano un ambiente tridimensionale e prospettico. Anche l’illuminazione che allontana in profondità il porticato in ombra permette di costruire uno spazio. Infine il punto di vista è basso e contribuisce ad elevare la scena rispetto alla posizione dell’osservatore, creando un senso di monumentalità delle figure.

Le due figure si trovano esattamente al centro del dipinto e il corpo del giovane è fermamente saldo sulla verticale centrale. La fanciulla è poi inclinata all’indietro e il suo corpo crea leggera curva verso destra.

Riferimenti

Documenti correlati

1) First of all, I had the chance to observe directly what Bowker (1998) proved in her pilot study, that is to say that corpora are useful in increasing

The utopians also associate gold with slavery, they transfer anything made of gold to the slaves and prisoners of their society. By doing this, slaves can be seen and recognized

L'azione scenica e la recitazione si svolgono in due luoghi chiaramente individuati: la casa nel I e nel III atto e la fabbrica di cappelli nel II atto, entram- be rappresentate

CREPARDI, Turner and Constable: natura, luce e colore nel Romanticismo inglese, Leonardo Arte, Milano 1999;J. FINBERG, The Life

C’est dire que le silence chez Caspar David Friedrich, comme la solitude dont il est frère, n’est pas une fin en soi, plutôt un véhicule, un viatique à la méditation

risiede nella rigogliosa foresta sub-tropicale, dove vive e dove crescono i bambini e le bambine della Grande Madre e Bea non crede nella necessità di certezze da un punto di vista

5 Proprio il carattere simbolico delle azioni rituali si costituisce come «codice di re- lazione tra umano e divino» (Tomasello 2016) ben superiore a qualsiasi altra for-

ial exostosis-like projections, depression of medial portion of tibial plateau, and coarse reticular bone pattern, most promi- nent at the metaphyses and epiphyses. Patient