“Canto Gregoriano”
a cura di Maria Grazia Stridente
Appunti di:
Il canto gregoriano
Per canto Gregoriano, si intende fino al Medioevo, un tipo di canto monodico, senza strumento, un canto che nasceva libero ,intonato su scala diatonica di Do maggiore ma più di tutto è importante dire che il canto Gregoriano è un canto di profonda spiritualità, nato dal bisogno di esprimere con la vocalità la preghiera e la parola di Dio; infatti possiamo definirlo il canto della chiesa Cristiana.
La prima documentazione scritta del canto gregoriano si ha nel VIII secolo, con soli testi cantati, con trascrizione orale, senza la notazione musicale (nell’Antiphonale Missarum Sextuplex di Don Renè Jean Hesbert, sono raccolti i più antichi Antifonali della Messa).
A partire dal X secolo invece, comincia a trovarsi nei manoscritti, la notazione musicale con neumi in un primo momento in campo aperto o senza rigo, poi con una linea immaginaria fino a tracciare una linea tirata a secco, fiancheggiata da più linee di cui, in seguito, due venivano colorate per distinguere il grado sopra il semitono: il rosso per la linea del fa e il giallo per la linea del do).
In seguito, le linee per la notazione gregoriana, furono fissate a 4 dato l’ambitus poco sviluppato. Quando i pezzi utilizzano una scala melodica più vasta, si rende necessario un
cambio di chiave.
Le chiavi utilizzate sono due: quella di Do (c) che si trova solitamente sulla terza e quarta linea, raramente sulla seconda e mai sulla prima (le linee si contano dal basso verso l’alto) e la chiave di Fa (f) che si trova sulla terza e quarta linea (solo in un caso dell’offertorio)
L’unica alterazione utilizzata nel canto gregoriano, è il si bemolle, che permane fino a che non interviene il bequadro (per evitare tritono Si-Fa).
Possiamo definire la notazione delle melodie gregoriane nelle grafiche della Vaticana, notazione quadrata (XIII e XIV secolo), in cui i neumi fondamentali sono:
Virga , Clivis, Porrectus, Climacus, Punctum, pes o Podatus, Torculus, Scandicus (che in seguito si sono ulteriormente sviluppati). I brani arcaici, si sviluppavano sulla teoria delle corde madri (do,re,mi) (o Fa,Sol,La) spesso, la nota finalis e quella di recitazione coincidevano, negli anni 60’
Padre Jean Claire dell’abbazia di Solesmes, cominciò a teorizzarla, sviluppata poi anche in Italia da Alberto Turco.
Si sentì l’esigenza di uscire dalla monotonia dell’ambito melodico dell’antifona e presto ci fù un innalzamento del tenor salmodico uno o due gradi sopra la corda madre; questo tipo di evoluzione, prende il nome di evoluzione arcaizzante artificiale, nel caso in cui la nota invece il tenor salmodico rimane sulla corda madre e la finalis dell’antifona slitta verso il grave, avremo l’evoluzione autentizzante naturale.
Le corde madri possono essere trasportate: quella di do in fa o sol, quella di re in la o in sol e quella di mi in si (raramente in la con si bemolle fisso).
In epoca carolingia, si cercò di sistemare le strutture modali in un sistema di otto modi chiamato
“Octoechos” (bizantino, ispirato dall’oriente) cioè:
1 protus, con finalis Re (oppure la);
2 deuterus, con finalis Mi;
3 Tritus, con finalis Fa;
4 Tetrardus, con finalis Sol.
A loro volta essi a seconda della posizione del tenor (corda dominante) potevano essere di modo autentico o plagale.
I modo PROTUS AUTENTICO nota finalis Re, nota tenor La II modo PROTUS PLAGALE nota finalis Re, nota tenor Fa
III modo DEUTERUS AUTENTICO nota sinalis Mi, nota tenor Si (Do) IV modo DEUTERUS PLAGALE nota finalis Mi, nota tenor La
V modo TRITUS AUTENTICO nota finalis Fa, nota tenor Do VI modo TRITUS PLAGALE nota finalis Fa, nota tenor La
VII modo TETRARDUS AUTENTICO nota finalis Sol, nota tenor Re
VIII modo TETRARDUS PLAGALE nota finalis Sol, nota tenor Do(anche qui, scende sul Do ma sarebbe stato Si).
Il canto gregoriano si orienta sulla modalità perché egli adatta in base al bisogno del cantore l’altezza, rispettando però il rapporto intervallare dei suoni.
Dal 1847, in cui viene scoperto nella biblioteca della Facoltà di medicina di Montpellier un manoscritto gregoriano, che risale al medioevo, con duplice notazione (sotto i neumi in campo aperto), dopo qualche anno molti sono i manoscritti, libri ormai destinati ad esso, il codice 359 di San Gallo un Cantatorium contenenti solo le melodie per solista, dopo il congresso di Arezzo, Solesmes (a cui poi, proprio il pontificio lo commisionerà a farlo proseguire nel suo impegno) pubblica nel 1883 il “Liber Gradualis” a cui seguirono altri, nel 1896 la prima edizione del “Liber Usualis Missae et Uffici” con la novità introdotta da Dom Moncquereau sui segni ritmici, sotto forma di episemi, verticali, orizzontali e di puntini. Con Solesmes operavano anche Dom Eugène Cardine e Dom Jean e Claire. Nel 1979 viene pubblicato l’importante “Graduale Triplex” con notazione di Laon , S.Gallo e quella quadrata.
Canto gregoriano nella messa
I canti della messa, vengono composti quasi tutti nell’arco di tempo che va tra il 490 e il 530 in quanto, da allora si è introdotta la prassi che ogni momento di preghiera doveva essere accompagnata dall’eucarestia. Questo genere di canti sono una mescolanza tra vecchio Romano e Gallicano che ne aggiunse l’ornamento.
Nella Messa, il repertorio gregoriano è formato da:
- Recitativi liturgici (testi delle Orazioni, Letture, Prefazioni, Pater noster, Acclamazioni ecc..) -Canti dell’ordinario (tutti i canti che mantengono lo stesso testo nella celebrazione, Kirye, Gloria, Santo, Credo e Agnello di Dio)
- canti del Proprio (dove il testo cambia ad ogni celebrazione e sono Introito, Graduale,alleluia, comunione e offertorio)
Da ricordare sono il “Graduale Romanum” del 1974 (che dopo il communio, si trova l’indicazione dei versetti che si possono intercalare) e il “Graduale Simplex” (dove abbiamo l’antiphona del tipo dell’ufficio con il salmo).
I canti dell’Ufficio invece, sono i canti che si cantano durante l’arco della giornata:
-Lodi (prima, alle ore 6,00)
-Vespri (tardo pomeriggio alle ore 18,00)
-Terza, Sesta e Nona (alle ore 9,00-alle ore 12,00- alle ore 15,00) -Compieta prima del riposo
-Nocturnum quello della notte e delle vigilie (il mattino presto).