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Il welfare informale dei migranti. Chiese etniche e processi di inclusione sociale a Milano (doi: /100625)

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Maurizio Ambrosini, Paola Bonizzoni, Samuele Davide Molli

Il welfare informale dei migranti. Chiese etniche e processi di inclusione sociale a Milano

(doi: 10.1423/100625)

Rassegna Italiana di Sociologia (ISSN 0486-0349) Fascicolo 1, gennaio-marzo 2021

Ente di afferenza:

Universit`a di Trieste (units)

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RASSEGNA ITALIANA DI SOCIOLOGIA / a. LXII, n. 1, gennaio-marzo 2021

Il welfare informale dei migranti

Chiese etniche e processi di inclusione sociale a Milano

di Maurizio aMbrosini, Paola bonizzoni

e saMuele DaviDe Molli

1. Introduzione

Il progressivo insediamento della popolazione immigrata ha contribuito a ridefinire la geografia religiosa italiana. Nel corso degli ultimi due decenni il panorama delle fedi praticate nel Paese si è infatti visibilmente trasformato ed allargato (Pace, Butticci 2010; Pace, Ravecca 2010; Pace 2013; Gallo 2016; Scrinzi 2016; Ricucci 2017). Come in altri Paesi europei, anche in Italia l’emergere di tale pluralismo rappresenta una delle implicazioni più significative dei processi migratori. La letteratura sul coin- volgimento religioso degli immigrati fatica però ad emergere con continuità. Da un lato, il lungo dibattito sulla secolarizzazione del continente ha finito per trascurare il ruolo e il valore delle appartenenze religiose dei migranti (Foner, Alba 2008). Dall’altro, l’Islam – data la sua visibilità mediatica – ha sinora assorbito e monopolizzato la maggior parte degli sforzi di ricerca sui fenomeni religiosi collegati all’immigrazione, oscurando le sfaccettature di un panorama assai più complesso (Allievi et. al. 2009; Acocella, Cigliuti 2016)

Di fatto, solo recentemente si osserva una crescita dell’interesse per il tema; inoltre, il recente revival degli studi sociologici sul ruolo della religione nel continente europeo (Biolcati-Rinaldi et al. 2017) sta trainando un interesse di più ampio respiro, che coinvolge anche il pluralismo innescato dai processi migratori.

Tra le varie prospettive di analisi, spicca il ruolo svolto dalle istituzioni religiose frequentate dagli immigrati per il loro processo di insediamento e di inclusione nelle società riceventi. Come sot- tolineato da Hagan (2008), anche le congregazioni religiose sono parte attiva della complessa infrastruttura sociale che influenza,

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intermedia e sostiene l’integrazione della popolazione immigrata.

In tal senso, la letteratura sociologica insiste sul fatto che le istituzioni religiose non sono per gli immigrati soltanto luoghi che rispondono ad esigenze spirituali, ma si fanno carico anche di domande sociali ed economiche (Hirschman 2004). In terra straniera, gli spazi religiosi assumono spesso il profilo di poli multi-funzionali (Ebaugh, Chafetz 2000b), capaci di rispondere ai differenti bisogni che emergono durante il processo migratorio.

L’articolo entra nel merito di questi processi di intermedia- zione e supporto analizzando le risorse, gli strumenti e i servizi che le comunità religiose connotate etnicamente promuovono per sostenere i bisogni dei loro membri, un campo di attività che definiamo come welfare informale. Questi servizi, seppur non regolati (dal punto di vista politico-amministrativo) al pari delle prestazioni erogate nell’ambito dei servizi pubblici di welfare (nazionale e locale), interagiscono attivamente con le scelte e necessità occupazionali, abitative, educative dei migranti, con le loro domande di sostegno relazionale e psicologico. Sono quindi attività complementari, alternative, talvolta sostitutive (si pensi ad esempio al caso dei servizi inaccessibili agli immigrati irre- golari) alle politiche pubbliche, le quali lasciano scoperte molte delle esigenze e dei bisogni che scaturiscono proprio a partire dall’esperienza migratoria.

L’articolo si concentra su sei esperienze diverse ed emblema- tiche di cristianesimo plurale ed etnicamente connotato nella città di Milano1: tre di matrice protestante e tre di matrice cattolica.

In questo senso, la scelta dei casi studio mira ad aggiungere un tassello empirico su un panorama socio-religioso ancora poco co- nosciuto e dibattuto. Come i dati a disposizione rilevano (Naso, Di Sciullo 2018; Ismu 2019), la maggioranza degli immigrati pre- senti nel Paese è stimata appartenere a denominazioni cristiane.

Svariate chiese sorte su base etnica caratterizzano infatti in modo inedito la geografia religiosa del Paese, innescando un processo di diversificazione interno alle religioni storicamente insediate.

A partire dalle evidenze disponibili nella letteratura internazio- nale su immigrazione e religione, in primo luogo l’articolo dibatte

1 La ricerca si inserisce in un più ampio progetto di analisi delle esperienze religiose degli immigrati in Italia, promosso dal gruppo «Confronti e migrazioni» e sostenuto da un finanziamento dell’8x1000 della Chiesa Valdese. Gli autori ringraziano i colleghi per i proficui scambi intercorsi e i finanziatori per il determinante sostegno ricevuto.

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il tema del welfare informale, avanzando una schematizzazione in grado di cogliere induttivamente le attività di supporto che le comunità religiose offrono ai propri membri. L’articolo analizza infatti i meccanismi relazionali che alimentano la fiducia inter- personale, e che contribuiscono a sviluppare il capitale sociale religioso fondamentale per promuovere attività di aiuto. Quindi, alla luce dei dati raccolti, l’articolo approfondisce le risorse e le forme di sostegno ed assistenza che le comunità religiose composte ed animate da cittadini di origine straniera offrono ai propri membri. Successivamente, analizzando i meccanismi di funzionamento di tale welfare informale, si metteranno in luce le analogie e le caratteristiche distintive di ogni caso studio, concludendo con una discussione sulle implicazioni di questi processi per l’inclusione sociale della popolazione immigrata.

2. Il welfare religioso: uno sguardo al ruolo delle comunità etniche di minoranza

La promozione di attività solidali nell’ambito delle organizza- zioni religiose non è certo nuova: il termine welfare fu del resto coniato da un arcivescovo anglicano, William Temple, nella prima metà del Novecento, per connotare con un’accezione positiva nuove iniziative di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale, differenziandole così, in un periodo critico della storia europea, dal modello tedesco, definito in antitesi con il termine warfare.

Chiese ed istituzioni di stampo religioso hanno spesso incoraggiato nuove forme di solidarietà e attivismo civico in delicati passaggi storici e politici (Manuel, Glatzer 2019), favorendo la mobilita- zione di nuove energie per azioni ed interventi solidali. Cnaan et. al. (2016) hanno per esempio richiamato l’importanza del volontariato nell’ambito delle congregazioni religiose, affermando che negli Stati Uniti e in altri Paesi sono questi i contesti che in varie forme attraggono il maggior numero di volontari (si veda anche Putnam et al. 2010).

Il fenomeno non è nemmeno nuovo per le congregazioni religiose immigrate, come ben illustrato un secolo fa da Thomas e Znaniecki (1918) in riferimento alle parrocchie etniche erette dai contadini polacchi negli Stati Uniti, che divennero fonte di risorse e servizi per le necessità esistenziali e materiali dei fedeli.

A distanza di un secolo, la religione continua a svolgere un ruolo

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fondamentale nell’esperienza migratoria (Hagan, Ebaugh 2003), rappresentando una delle principali risorse per l’inclusione in una nuova società (Portes, Rumbaut 2006). I contesti religiosi diventano infatti spazi sociali in grado di recepire attivamente le esigenze che la migrazione detta, favorendo pratiche di mutuo- aiuto e alimentando l’impegno nel volontariato da parte dei propri fedeli (Handy, Greenspan 2009).

Se nella letteratura Nord-americana il tema è stato elaborato con maggior continuità e familiarità, in quella europea solo recentemente si riscontra una crescita dell’attenzione al tema.

In questo senso, è interessante leggere le implicazioni di questo dibattito, da un lato alla luce dei processi di trasformazione del welfare nelle società contemporanee, dall’altro alla luce delle sfide che le migrazioni pongono alla cittadinanza. In primo luogo, la contrazione delle risorse pubbliche – tanto più in tempi di crisi – e la progressiva esternalizzazione e privatizzazione dei servizi accrescono la rilevanza dello «spazio intermedio» costituito dalle organizzazioni della società civile nel compensare, affiancare e, talvolta, sostituire, l’offerta pubblica di servizi, nell’ambito del

«secondo welfare» teorizzato da Maino e Ferrera (2019). Le attività di mutuo aiuto sviluppate dalle comunità religiose de- gli immigrati rientrano in modo particolare nella galassia delle forme di volontariato analizzate da un’ampia letteratura (Rossi 1997; Ranci 1999; Ardigò 2001; Ascoli, Pavolini 2017). Queste a loro volta si presentano sempre più differenziate, frammentate, contraddistinte da livelli elevati di informalità, ossia dallo sgan- ciamento da appartenenze associative formalizzate (Caltabiano 2006; ISTAT 2014; Ambrosini 2016c; a livello internazionale:

Eliasoph 2009; Hustinx 2010). Secondo una rilevazione Eurostat risalente al 2015, nell’UE il volontariato informale prevale su quello formalizzato, giacché il primo coinvolge il 22,2% dei cittadini al di sopra dei 16 anni, il secondo il 19,3%2.

In secondo luogo, i diritti di cittadinanza degli immigrati emergono spesso come tema di contesa, tanto più se questi versano in condizione di irregolarità. In queste nuove geografie post-secolari del welfare (Beaumont 2008; Beaumont, Cloke 2012), una galassia plurale di attori, sia religiosi sia laici, contri- buiscono infatti alla produzione di servizi e alla circolazione di

2 https://ec.europa.eu/eurostat/statisticsexplained/index.php/Social_participation_and_

integration_statistics#Formal_and_informal_voluntary_activities. Consultato il 18 agosto 2020.

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risorse. Anche le comunità di fede degli immigrati si inscrivono a pieno titolo in questo panorama (Ley 2008) assumendo un ruolo significativo nell’offrire attività di supporto ritagliate sulle specifiche esigenze dei propri membri, anche se l’informalità che caratterizza questi processi ne complica sia l’indagine em- pirica sia il loro pieno riconoscimento in veste di attori di un welfare sempre più destrutturato e frammentato (Ascoli 2011;

Ascoli, Pavolini 2017). In altri termini, raramente le attività del welfare informale rientrano nelle analisi e nelle rilevazioni statistiche dedicate al terzo settore (Barbetta et al. 2003). Per essere riconosciuto, questo richiede in genere una qualche formalizzazione.

La letteratura disponibile fornisce, in questo senso, una cornice teorica in grado di coglierne le specificità, entrando nel merito della cooperazione necessaria ad allocare risorse e pro- durre servizi. In primo luogo, rispetto all’offerta pubblica e ai servizi reperibili nel mercato, le attività di supporto sono infatti prodotte all’interno delle comunità religiose di minoranza e cir- colano sulla base della fiducia reciproca che fonda uno specifico capitale sociale etno-religioso (Foley, Hoge 2007; Molli 2020). Si possono quindi collegare alla prospettiva di un welfare relazionale e sussidiario, come teorizzato da Donati (2012), nonché all’idea di un «welfare generativo», proposto dalla Fondazione Zancan (2013), e inteso come «un welfare in grado di rigenerare e far rendere le risorse (già) disponibili, per aumentare il rendimento degli interventi delle politiche sociali, a beneficio degli aiutati e dell’intera collettività»3. In secondo luogo, la tensione etica che caratterizza questi contesti, animati da valori quali l’altruismo e la carità, alimenta differenti pratiche solidali, che di fatto rap- presentano forme uniche ed alternative di tutela per coloro la cui cittadinanza sociale è solo parzialmente garantita (Dobbs et al. 2019).

In riferimento al tipo di attività promosse in questi con- testi, il quadro che emerge è variegato e composito. Chafetz e Ebaugh (2000a) osservano che uno degli aspetti qualificanti di tali istituzioni è quello di favorire l’insediamento dei nuovi arrivati, proponendo corsi di lingua, sportelli di orientamento legale, supporto psicologico e sostegno emotivo a fronte delle complessità emerse in relazione alla vita familiare e lavorativa dei

3 www.welfaregenerativo.it/p/cose-il-welfare-generativo. Consultato il 18 agosto 2020.

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fedeli. Particolarmente diffusi sono i servizi di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro: date le caratteristiche degli impieghi che spesso caratterizzano il mercato del lavoro immigrato – lavoro presso famiglie o in imprese di piccole dimensioni, elevati tassi di informalità – il ruolo dei network etnici, del passaparola, e soprattutto della fiducia interpersonale, assume un rilievo par- ticolarmente importante (Ambrosini 2016a; 2017). In un certo senso si rivitalizzano dal basso pratiche un tempo diffuse, come quella dell’accreditamento da parte di parroci o religiose pres- so i datori di lavoro, tipicamente nei servizi domestici (Sarti 2010). Come osservato da Guest (2003) e Mooney (2009) è poi frequente osservare forme di intermediazione per la richiesta di affitti o di ospitalità temporanea: le chiese diventano così snodi cruciali nel fronteggiare le molteplici forme di svantaggio e discriminazione che caratterizzano il mercato abitativo. Inoltre, le comunità attivano pratiche solidali, sponsorizzando raccolte fondi per necessità dovute a situazioni di particolare fragilità sociale, come gravi emergenze sanitarie e periodi di inattività lavorativa (ibidem). Il ruolo svolto dalle istituzioni religiose è particolarmente rilevante per gli immigrati in condizione irrego- lare, poiché rappresentano degli spazi protetti (Menjívar 2003) che offrono risorse utili a superare condizioni di precarietà dal punto di vista legale ed amministrativo, generando «aree grigie» di sopravvivenza (Menjívar 2006), che la letteratura sulle cosiddette «città santuario» ha ben evidenziato nel caso nord- americano (Bauder 2017), e in alcune realtà anche in Europa (Oomen 2019).

Inoltre, bisogni e necessità, per il caso della popolazione immigrata, assumono specifiche sfaccettature che derivano dal confronto con una nuova società. Come già notato da Thomas e Znaniecki, le dinamiche di supporto emozionale e psicologi- co acquistano un peso specifico nelle istituzioni religiose. Le attività di aiuto per le fragilità emotive legate all’esperienza straniante della migrazione sono offerte da leader religiosi di origine straniera (definiti da Kim 1996 i «lavoratori della com- passione») che hanno cumulato una lunga esperienza, in grado di fornire consigli affidabili per affrontare le fragilità familiari, o le frustrazioni personali derivanti dal declassamento subito nel processo migratorio (Connor 2012). I luoghi di culto diventano dei «pronto soccorso spirituali», come nel caso emblematico dei rifugiati (Khawaja et al. 2008), dove possono elaborare le proprie

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sofferenze in termini di catarsi religiosa, attutendo l’impatto del passato e venendo accompagnati nel presente (Gozdziak 2002;

Dorais 2007). Anche McMichael (2002) mostra come le donne somale a Melbourne abbiano utilizzato la pratica islamica come supporto emotivo per far fronte al disagio della migrazione forzata e della separazione familiare. Inoltre, come osservato da Bloch, Sigona e Zetter (2014), nel caso degli immigrati in condizione irregolare le comunità religiose assumono un ruolo di rifugio spirituale per affrontare lo stress psico-sociale deri- vante dal loro status legale, offrendo uno spazio sicuro dove non sentirsi diversi o discriminati.

Queste riflessioni sul carattere emozionale del welfare pro- mosso dalle chiese migranti evidenziano come la migrazione sia anche un’esperienza teologizzante (Smith 1978). Venendo a mancare il contesto di origine, dove l’appartenenza e la pratica religiosa erano spesso un fatto scontato e irriflesso, il migrante sperimenta un’inedita revisione della sua dimensione spirituale, ricercando nelle comunità religiose istituite in terra straniera nuove risposte teologiche e morali (Warner, Wittner 1998).

Infine, se l’informalità di tali prassi può rappresentare un limite, ne costituisce anche un aspetto qualificante. La regolarità nella posizione giuridica, la regolarità in quella lavorativa, la stabilità della residenza e la sicurezza emotiva sono conquiste faticose, e spesso non definitive, durante l’esperienza migra- toria. Arretramenti ed avanzamenti in questi processi trovano risposta o sostegno in tali contesti, che possono attivarsi con flessibilità sulla base delle esigenze dei propri membri. Qui va notata una differenza rispetto alle attività di aiuto che molte istituzioni religiose offrono ai bisognosi: normalmente l’aiuto è asimmetrico, anche quando è fornito da volontari. Sono persone socialmente integrate, di solito appartenenti alla classe media, che si adoperano per rispondere ai bisogni di persone che vengono a presentare le loro necessità (per quanto riguarda le istituzioni cattoliche in Italia, si veda Ambrosini 2016b). Nei casi che verranno analizzati, il sostegno rientra maggiormente nelle categorie del mutuo aiuto tra pari: sono immigrati che aiutano altri immigrati, in base a un patto non scritto di reciprocità.

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3. Metodo e casi studio

Come riportato sinteticamente nella tabella 1, sono stati presi in esame 6 casi: 3 chiese protestanti, di cui una evangelica bat- tista frequentata da coreani e due pentecostali, una a frequenta- zione mista latina (ecuadoriani e peruviani) ed una frequentata prevalentemente da ucraini ed est-europei provenienti dall’area dell’ex-Unione Sovietica.

Nel caso delle chiese cattoliche sono state incluse una comunità etnica in cui il luogo di culto è diventato ad uso «esclusivo» dei fedeli immigrati provenienti dal Salvador, una parrocchia condivisa da fedeli filippini ed ispanofoni (prevalentemente ecuadoregni e peruviani) e una parrocchia che, originariamente istituita per i cattolici anglofoni nella città di Milano, vede oggi, nella pratica, un’ampia e consolidata presenza di fedeli filippini.

Sono state effettuate una serie di osservazioni in loco, sono stati intervistati i ministri di culto, i principali referenti «storici»

oltre che alcuni fedeli, per un totale di 30 interviste semi-strut- turate e registrate, a cui si aggiungono numerose conversazioni non registrate avvenute nel corso delle osservazioni. Sono stati raccolti dati sulla storia della congregazione, la strutturazione delle attività di culto e di eventuali altre attività parallele (di carattere sia ordinario che straordinario), è stato ricostruito l’organigram- ma interno (ad es. responsabili di attività e funzioni specifiche, numero e scopo di eventuali sotto-gruppi), l’eventuale rapporto e collaborazione con altri enti e realtà del territorio (sia religiosi che non), il profilo socio-demografico prevalente ed il numero dei fedeli, le principali esigenze e ragioni che hanno portato questi ultimi alla scoperta, scelta e frequentazione della rispettiva chiesa. A ciò si aggiungono ripetute conversazioni con esperti del mondo cattolico e protestante locale (soprattutto pentecostale), che sono state di grande aiuto per contestualizzare in un quadro più ampio i dati raccolti.

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Tab. 1. I casi studio

Chiese Protestanti chiesa

Coreana chiesa

Latina chiesa

Est-Europea Tipo di chiesa Evangelica battista

(affiliata UCEBI) Evangelica penteco- stale

(affiliata a chiesa di Dio Cleveland)

Chiesa pentecostale libera

(di derivazione Movi- mento GSN) Connotazione

etnico-nazionale Pastore coreano Culto bilingue (corea- no- italiano) Frequenza al 90% co- reana (circa 200 fedeli), con una minoranza di italiani (prevalentemen- te famiglie miste)

Pastore peruviano Culto in spagnolo Frequenza (circa 80- 100 fedeli) Latina (ecuadoriani e peru- viani)

Pastore ucraino Culto bilingue (italia- no- russo)

Frequenza (circa 50 fedeli) prevalentemente est-europea (area ex URSS).

Chiese Cattoliche Comunità

salvadoregna Parrocchia personale dei Migranti (cappellania generale)

Parrocchia personale (eretta per fedeli stranieri anglofoni)

Tipo di chiesa Cattolica Cattolica Cattolica

Connotazione etnico-nazionale

Pastore italiano Culto in spagnolo Frequenza (circa 150 fedeli) Salvadoregni

Pastore italiano, fi- lippino

Culto in spagnolo e tagalog

Frequenza alternata (circa 1000 fedeli), filippini e latino-ame- ricani (Ecuador, Perù)

Pastore italiano e sri- lankese

Culto in inglese e tagalog

Frequenza (circa 2/300 fedeli), 90 % Filippini

4. Dalla fede in Dio alla fiducia nella comunità: il capitale sociale religioso

Il capitale sociale è alla base dei meccanismi relazionali di condivisione e di supporto. La possibilità di disporre di rapporti intersoggettivi e di allargare le proprie relazioni può essere infatti capitalizzata dalle persone, e trasformata in risorsa per raggiun- gere determinati obiettivi (Coleman 2005). Come già osservato da Weber (2002), la religione è uno dei principali contesti per

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sviluppare queste dinamiche relazionali. Infatti, la partecipazione religiosa attiva il riconoscimento interpersonale, rafforzando la fiducia reciproca e la rispettabilità, e favorisce l’inserimento dei fedeli in network sociali stabili, attivabili per esigenze individuali.

Questi meccanismi relazionali necessitano però di essere continuamente rinsaldati e ravvivati. La fiducia e la rispettabilità sono prodotti sociali che si sviluppano nel tempo, sono processi graduali, frutto di impegno e di obblighi reciproci.

Infatti, tutte le chiese osservate si caratterizzano per una vita sociale articolata ed una serie di attività che si estendono oltre i tempi e gli spazi di celebrazione del culto. La metafora familiare e il tema centrale della condivisione – di spazi, stili di vita e valori, di momenti specifici e attività ripetute –costituiscono il perno della costruzione di un senso di comunità ed appartenenza:

La nostra diciamo che è una chiesa viva, come l’acqua viva che dice il nostro Signore, che deve sgorgare, l’acqua viva vuol dire che la chiesa va vissuta perché questa è una famiglia, una grande famiglia. Per cui, voglio dire, questa famiglia condivide proprio come una famiglia dei momenti, come quelli di oggi, in cui c’è stato il culto, il pranzo insieme, c’è lo spazio per i bambini, per giocare e poi si fanno tante iniziative… proprio per l’aggregazione, la condivisione. (Intervista fedele chiesa coreana)

Perché condividevamo qua, appunto, il tempo… ci vedevamo sempre per l’uno, per l’altro, perché poi si fanno tantissime cose assieme… A volte, quando magari parlo con il mio capo che sa che vengo in chiesa mi chiede: Ma cosa fate in chiesa? C’è così tanto da fare in chiesa? C’è tanto da fare proprio perché non è una questione solamente di culto, ma anche di comunità e di famiglia. So che magari non capiscono, perché non riescono ad immaginare cosa faccio... (Intervista fedele chiesa latina)

Un aspetto comune a tutte le comunità riguarda la costruzione di fiducia interpersonale attraverso la formazione di network di prossimità interni alle stesse chiese. Osserviamo infatti la presen- za di numerose cellule e gruppi locali (non di rado strutturati per genere, età o provenienza), in grado di generare forme di aggregazione che consentono di articolare la dimensione religio- sa (attraverso incontri settimanali destinati alla lettura, studio e commento dei testi sacri, alla preghiera) in funzione delle proprie esigenze, facilitando il confronto e il sostegno interpersonale e consentendo, al tempo stesso, di inserirsi in reti territorialmente contigue e accessibili:

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Intervistatore: E in queste riunioni che cosa si fa?

Intervistato: È come uno studio della parola ma in una maniera particolare…

da un lato, c’è lo studio della parola, dall’altro ci sono le esigenze, i problemi delle persone. Noi siamo come una famiglia, quindi la chiesa non è soltanto lo studio della Bibbia, ma come lo applico alla mia vita. Se ho un problema al lavoro, se ho un problema con mio figlio, nella coppia… noi aiutiamo in queste situazioni. Quando il problema è grosso vengono da noi, quando è piccolo si aiutano tra di loro. Per questo dico si parla molto di sé, oltre che della Bibbia... Come metto la Bibbia nella vita di ogni persona, questo è il senso delle riunioni del mercoledì. Il venerdì è una notte di preghiera, solo preghiera, per noi è molto importante, è la conversazione che hai con Dio… e anche questo è molto diverso, perché magari cantiamo, le nostre riunioni sono come una festa, in cui la gente partecipa e vive il culto, non sono spettatori, ma partecipanti attivi. (Intervista pastore chiesa latina)

Le comunità mostrano dunque una complessa micro-strut- turazione organizzativa interna. In tal senso, richiamando la distinzione posta da Putnam (2004), la partecipazione religiosa osservata porta in primo luogo alla formazione di un capitale sociale di tipo bonding, emergente dallo sviluppo di cerchie so- ciali coese; le chiese in esame rappresentano spazi urbani ove i fedeli convergono sulla base di un’identità condivisa, e tramite interazioni regolari, descritte nei termini di un attivismo multi- sfaccettato, sviluppano tra di loro una serie di legami forti. Il capitale sociale di tipo bonding è la premessa analitica necessaria per comprendere le attività di supporto e mutuo aiuto promosse dalle comunità religiose in esame. Le norme di reciprocità generate internamente facilitano infatti la collaborazione tra i membri, convogliando risorse e interessi individuali verso obiettivi comuni e innalzano la probabilità che tali sforzi saranno ricompensati, favorendo un circuito continuo di atti di solidarietà.

Lo sviluppo di tali cerchie sociali coese presenta inoltre nu- merosi risvolti in termini di partecipazione alla vita della stessa comunità. Le chiese, nel diventare spazi per vivere una socialità oltre le dinamiche lavorative, offrono anche contesti dove poter esercitare e costruire responsabilità, assumere nuovi ruoli sociali, costruire un’immagine positiva del sé:

Per quello che posso capire dalla mia esperienza con loro, l’attivismo religioso è una caratteristica importante della loro vita associativa (riferimento ai filippini)… in settimana sono molto impegnati nei loro lavori ma il fine set- timana è come se risorgessero, trovano gli spazi che non hanno abitualmente…

come dire, il loro «subconscio» si riattiva, qui la comunità è molto attiva e ben organizzata, ci sono molti movimenti e gruppi interni… stabiliscono turni per

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tutte le attività, dal coro, ci sono 6-7 gruppi, alle letture, tutto ben pianificato, partecipano attivamente e spesso ci sono anche frizioni per coordinare tutte queste attività… (Intervista sacerdote chiesa cattolica filippina)

Il caso della comunità cattolica filippina è emblematico; le forme di partecipazione religiosa rappresentano infatti per i fedeli una compensazione importante per dinamiche lavorative spesso dequalificanti, concorrendo alla possibilità di acquisire rispettabilità e riconoscimento agli occhi dei correligionari.

Le chiese formate in emigrazione, oltre la sola dimensione spirituale, si trasformano quindi in importanti snodi relazionali nei luoghi di insediamento, nel nostro caso nella città di Milano.

Le dinamiche osservate, che vedono la costruzione di legami di fiducia e di rispetto, compresa una nuova attivazione soggettiva con assunzioni di responsabilità, ravvivano e rinsaldano il senso di comunità, favorendo così lo sviluppo di un capitale sociale religioso.

5. Anomia, solitudine e sofferenza: un welfare emotivo

Questa complessa infrastruttura di legami che si alimenta all’interno delle chiese diventa il presupposto sociologico per lo sviluppo del welfare informale; la sua forte connotazione relazionale lo rende inoltre particolarmente flessibile e ricettivo rispetto alle specifiche esigenze dei propri membri. In primo luogo, le fragilità della popolazione immigrata assumono spesso una specifica connotazione emozionale, necessità che si possono manifestare ed affrontare in contesti religiosi, capaci di recepire questo tipo di richieste.

Se nel complesso della popolazione tali dinamiche emotive trovano risposta nelle reti di prossimità, nei nuclei familiari e nelle amicizie, per la popolazione immigrata possono rappresentare un vuoto da riempire. La migrazione è infatti caratterizzata dalla brusca separazione da legami sociali e familiari, e dalla pressante necessità di ricostruirne altri nel nuovo contesto, legami volti a sopperire alla sofferenza e all’isolamento:

Tante persone vengono semplicemente per la solitudine, perché si sento- no soli, vengono qui specialmente per quello. Trovano la loro famiglia nella chiesa… qualcuno con cui festeggiare il compleanno. (Intervista pastore della chiesa latina)

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L’avere incontrato questo posto mi ha aiutato tanto, le sorelle che vi ho trovato, i loro abbracci, il loro sorriso, per me è come trovare un’altra famiglia e parlare con loro, stare assieme e mangiare assieme per me è una gioia... Adesso anche le mie figlie, stanno facendo amicizia con gli altri ragazzi e questo mi rende felice, e poi il coro… vedere la mia ragazza che suona la chitarra che le ho comprato… vederla crescere così, nella fede di Dio, mi riempie di gioia. (Intervista fedele comunità salvadoregna)

La solitudine e l’isolamento trovano in questi contesti un conforto psicologico significativo. Inoltre, la chiesa fornisce anche un’importante camera di compensazione per la pressione dovuta al declassamento professionale, alla necessità di accumulare risorse da trasformare in rimesse, favorendo la ricerca di un equilibrio tra le identità sociali sperimentate prima e dopo la migrazione:

Quando arrivi poi spesso non te lo aspetti fino in fondo finché non lo vivi… ma è così… qui si lavora, la gente lavora più che può, cerchi di ottenere e assicurarti le possibilità di lavorare, diventa tutto accelerato e stressante…

tanta fretta… poi se finisci di lavorare tardi come fai… sei stanco, dove vai?

Cosa fai? Si creano anche delle frustrazioni nei lavori, frustrazioni che non ti aspetti e che non ti immaginavi4… quindi poi cerchi di guadagnare lo spazio quando puoi, e qui in chiesa ti riprendi… hai un ruolo da persona. (Intervista fedele chiesa cattolica latino-americana)

Il senso di comunità condivisa favorito dalla chiesa consente inoltre, nel tempo, di superare lo stigma associato all’immagine di fallimento che si accompagna alla richiesta d’aiuto; in questo senso il counselling informale, l’offerta di spazi sicuri in cui par- lare (con il parroco/pastore, ma anche con altri fedeli) e potersi confrontare è un’attività riscontrata in tutti i contesti indagati:

Anche se non è semplice chiedere aiuto, neanche ai tuoi connazionali, qui cerchiamo di creare un’atmosfera dove poter parlare… se io so che qualcuno è in difficoltà, perché ormai ho una certa esperienza di queste cose, faccio girare la voce… alcuni temi sensibili paradossalmente spesso non vengono fuori subito, magari tu pensi di sì, ma non è detto, per questo c’è la comunità, magari vengono fuori solo dopo… non è facile comunicare la sofferenza. (Intervista fondatrice comunità salvadoregna)

4 Il riferimento tralasciato nel brano è inerente all’esperienza personale nei lavori di cura e di assistenza, che, oltre un impegno fisico rilevante, implicano situazioni emotive stressanti.

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Le chiese diventano quindi uno spazio emotivo, ove i fedeli possono condividere le sofferenze vissute, trovare ascolto e cercare un’esperienza profonda in grado di restituire conforto e serenità.

Nelle pieghe di queste dinamiche, assume particolare rilievo anche il ruolo dei pastori, che si trasformano in ricettori e con- sulenti rispetto ai bisogni emozionali. La vita comunitaria, assai articolata e partecipata nelle sue svariate attività, li espone ad un continuo confronto con i gruppi e con le difficoltà manifestate dai fedeli:

Non è facile, col tempo impari, come affrontare... come mediare il loro attivismo... conoscere le loro storie è una sfida emotiva, quando si entra in contatto con i migranti di persona, non con le storie raccontate dai media…

è davvero diverso, inoltre affronti tradizioni e approcci... e la loro fede è una sfida, una sfida anche per come siamo abituati normalmente a pensare alla religione, dall’esterno non puoi vedere... ma dall’interno puoi vedere il ruolo della religione per loro. (Intervista sacerdote chiesa cattolica latino-americana)

Quando ascolti alcune storie è davvero impegnativo, è come un campo di battaglia, una chiesa come questa è diversa... senti storie incredibili, col tempo ho imparato ad affrontare le sfide, ma a volte non è facile, devi essere pron- to ad ascoltare le loro esperienze, i problemi, e soprattutto un certo tipo di problemi, abusi, condizioni di lavoro impegnative e anche problemi familiari.

(Intervista sacerdote chiesa cattolica filippina)

Oltre gli aspetti prettamente legati al culto, i ministri parte- cipano sensibilmente alle esigenze emotive della comunità, che cerca e trova nella dimensione spirituale da loro rappresentata una significativa valvola di sfogo e di sostegno. Anche i pastori contribuiscono quindi al funzionamento di questo welfare emo- tivo basato sulle reti di prossimità ricostruite nelle congregazioni religiose degli immigrati.

Ad un compito rivisitato in chiave di attento supporto psi- cologico, di appoggio morale, e di esortazione spirituale, fa però da contraltare la centralità dei gruppi interni prima osservata.

In questo senso, il vivace congregazionalismo – alla base dei meccanismi relazionali che caratterizzano la genesi e lo sviluppo delle comunità – ridimensiona invece il loro ruolo in termini di centralità organizzativa. Un processo che emerge in modo particolare nelle chiese di matrice cattolica, ove il ministro di culto ricopre tradizionalmente un ruolo fondamentale. Inoltre, il tempo alla guida della stessa comunità, così come previsto dagli accordi canonici che ne regolano la presenza nell’ambito delle

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comunità immigrate, non può eccedere una durata determinata, limitando quindi la possibilità di sviluppare maggiore centralità nella vita associativa interna.

A partire dall’infrastruttura relazionale che rinsalda lo spirito comunitario, e dalla sua capacità di esprimere supporto emotivo, possiamo ora entrare nelle dinamiche di aiuto materiale che le comunità offrono ai loro membri.

6. Aiutare il prossimo: dal principio alla pratica della solidarietà Il principio teologico della solidarietà è un valore intrinseco e comune alle istituzioni religiose, e assume un profilo specifico e complesso nelle chiese migranti, connotandosi innanzitutto per la sua informalità. Tali scambi non sono infatti pienamente regolati, codificati ed istituzionalizzati in specifiche forme organizzative, ma costituiscono una prassi regolare, analizzabile a partire dalle risorse che tali processi contribuiscono ad allocare.

Se l’azione di sostegno delle reti etniche per rispondere a bisogni di natura materiale – casa, lavoro, prestiti – non è né nuova né sorprendente, va osservato che le chiese forniscono un ambiente relazionale affidabile per evitare le forme di abuso che non di rado caratterizzano tali reti (Engbersen et al. 2006).

La circolazione di risorse materiali (ad esempio un’offerta di lavoro o una casa) è infatti legata alla produzione delle risorse reputazionali di cui la chiesa è lo sponsor, fungendo da inter- mediario di fiducia tra offerta e domanda. Pertanto, la rispetta- bilità garantita dall’appartenenza alla chiesa diventa la base per partecipare allo scambio:

Intervistatore: Quali sono secondo lei i principali bisogni che esprimono i fedeli, con cui lei si trova a confrontarsi?

Intervistato: Sicuramente i documenti, anche se ora un po’ meno…

Intervistatore: E in quel caso come riuscite a…

Intervistato: Ci sono nella chiesa alcune persone che magari conoscono un po’ di più la legge o che conoscono altre persone e allora… si cerca di aiutare… Oppure la salute, ci sono alcune persone che hanno dei problemi gravi e hanno bisogno di qualcuno che stia loro vicino, che vada ad assisterli in ospedale. Persone che hanno magari conflitti familiari, persone che hanno bisogno di un aiuto con i bambini…

Intervistatore: E con il lavoro? Capita che qualcuno…

Intervistato: Capita che qualcuno chieda «c’è qualcuno della tua chiesa che vuole venire a lavorare per me?» Perché il pensiero è che se va in una chiesa

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allora è una persona onesta… e noi ovviamente lo facciamo per favorire questa situazione no? Per cui sì, capita che venga qualcuno qui a chiedere lavoro e il giorno dopo se ne va… capisci, è vero che dobbiamo aiutare tutti, ma se la persona non la conosco a fondo… (Intervista pastore della chiesa latina)

Loro [i datori di lavoro] chiamano qui se hanno bisogno di una badante o di un lavoratore domestico e io faccio circolare le informazioni ai vari gruppi, al gruppo del coro, ai lettori della Bibbia [...] mando loro un messaggio: c’è un’offerta di lavoro... qualcuno di voi è disponibile? Altrimenti me lo chiedono i fedeli, io so chi sta cercando un lavoro e quando sento che gira un’offerta di lavoro... metto in contatto le persone. (Intervista responsabile interna chiesa cattolica filippina)

Il mercato degli affitti informale è un classico, o... notizie sui posti letto, sul loro prezzo, se sono confortevoli e convenienti... qui puoi anche trovare affitti temporanei, se non sai dove sei oggi e dove sarai domani per vari motivi, o se ne hai bisogno per i documenti o per scopi di ricongiungimento familiare...

Una sistemazione adeguata non è sempre facile da trovare... Ospitano e sono ospitati, pagano o offrono per uno scambio reciproco. (Intervista sacerdote chiesa cattolica latino-americana)

Va notato che tale welfare non è accessibile liberamente a chiunque, ma richiede anch’esso delle specifiche credenziali:

Cerchiamo di aiutare il più possibile, ma non lo facciamo... facciamo solo ciò che ha una realtà e un’attività specifica. Per esempio: se una persona ha un’assistenza medica costosa da sostenere... raccogliamo fondi e paghiamo per quello. Se qualcuno ha un problema economico, forse può chiamare quelli del gruppo, dice che cucinerà qualcosa e poi ci parliamo e compriamo tutto...

queste sono persone che di solito vediamo e che conosciamo molto bene...

Ma poi, sai... A volte uno ti racconta una storia toccante, e noi diamo aiuto e poi... non li vediamo più e forse li vediamo da qualche altra parte, non possiamo fidarci di tutti, ma diamo il benvenuto a tutti, parliamo con tutti e poi lasciamo crescere la relazione. (Intervista capogruppo chiesa cattolica latino-americana)

L’accumulo e la distribuzione delle risorse sono intrinsecamente legati alla continuità della presenza religiosa e alle pratiche di riconoscimento ed accreditamento. Questo filtro selettivo evita le ambiguità che un accesso indiscriminato potrebbe implicare (in termini di perdita di coesione, fiducia, solidarietà e control- lo, rischi di opportunismo) ed impedisce al contempo che la principale identità religiosa venga oscurata dalle sole esigenze materiali dei fedeli.

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È possibile anche osservare la circolazione di risorse di tipo economico, auto-finanziate attraverso l’organizzazione di pranzi o specifiche iniziative:

In caso di necessità si organizzano, organizzano cene per raccogliere denaro o risorse di vario tipo, spesso lo fanno... cucinano un’enorme quantità di cibo e di piatti tipici per raccogliere fondi per quelli che si trovano in bisogno.

(Sacerdote chiesa cattolica latino-americana)

Nel caso della chiesa evangelica dell’Europa orientale, la

«missione» della riabilitazione sociale verso persone gravemente svantaggiate è così fondamentale da costituire una risorsa iden- titaria per la chiesa stessa:

Intervistato: Tempo fa io andavo a frequentare tutti i barboni, persone senza tetto, alcol dipendenti, li portavamo in chiesa… e facevamo le docce, gli preparavamo da mangiare… Li portavamo a casa nostra. Ora da quando siamo in questa sede abbiamo dei letti a castello, delle camerette… Ma c’è stato un momento in cui tutti dormivano così, sui divani. Diciamo che in un anno sono passati tramite il nostro locale circa 50 persone, 40 persone. Anche per questo preghiamo per avere un locale a parte… il nostro sogno è avere un locale nostro, magari in montagna, o in campagna, per recuperare le persone…

Intervistatore: Avete questa forte vocazione sociale…

Intervistato: Sociale sicuramente! Non per forza tutte le chiese vanno per strada a tirare su le persone… ogni chiesa ha la sua identità, io direi anche un dono più... più forte che si manifesta. Siamo tutti diversi, come in famiglia come le donne e gli uomini, se la chiesa scopre la sua chiamata, diciamo, più principale di altre, funziona. Ci sono chiese anche di 10-15 persone che in una città riescono ad avere influenza, con il teatro, o le attività culturali…

Veramente quando senti quelle cose capisci che alla fine ogni chiesa ha la sua chiamata. Una chiamata più forte, che si manifesta, che funziona meglio di altre e niente, il nostro è sociale, solo per quello. (Intervista pastore chiesa est-europea)

D’altro canto, il circuito di risorse e il tipo di attività che si svolgono variano molto da un contesto all’altro, anche per la peculiare composizione socio-demografica della popolazione che compone la chiesa e per la sua specifica missione. Come ben evidenzia il caso della chiesa coreana, la frequentazione degli ambienti offerti dalla chiesa può fornire altresì rilevanti occasio- ni di network-building finalizzati alla mobilità professionale per persone di estrazione sociale più elevata:

Sì, certo diciamo che i coreani vengono per studiare o perfezionare la lirica, infatti qua ci sono tantissimi cantanti già professionisti in Corea che

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vengono qui al conservatorio per migliorare il loro canto nell’opera lirica. Poi ci sono anche altri fatti tra i quali anche il settore della moda, infatti molti coreani vengono qua a studiare presso l’università… tipo l’istituto Europeo del Design piuttosto che la Marangoni per il campo della moda. […] Per quanto riguarda l’esport qui a Milano esistono tante realtà, sia di import-export che rappresentanze di grandi gruppi, la Samsung, la Hyundai, l’LG… tutte queste grandi catene, e la chiesa è frequentata anche da questi responsabili. Per esem- pio, oggi ho visto c’era giù anche il responsabile della Kia, capisce… Anche perché chiaramente la chiesa essendo una chiesa coreana hanno anche modo di interagire nei rapporti commerciali oltre che di fede, capisce? E logicamente un punto di incontro. (Intervista fedele chiesa coreana)

In questo universo altamente circolante di studenti di musica e moda, stilisti e musicisti, manager in distacco presso multinazionali, il soggiorno in Italia è parte di un progetto di mobilità sociale articolato su scala transnazionale per classi medio-alte impegnate in un percorso di accumulazione di capitale simbolico, in cui Milano rappresenta uno snodo cruciale. La chiesa rappresenta uno spazio privilegiato, anche se la fede, come ammette lo stesso pastore, non è necessariamente l’elemento prioritario o dominante:

In Corea la percentuale di cristiani è circa del 20%, ma tra i coreani in Italia e comunque a Milano, la quota è molto superiore, ma non credo che ciò sia dovuto solo a una questione di fede. Penso che ci sia anche una questione riguardo al ruolo che ricopre la chiesa in Italia, quindi di ruolo di ponte o comunque di collegamento con la comunità coreana… quindi proba- bilmente non tutte le persone che vengono qui in chiesa vengono, diciamo, semplicemente per una questione di fede. Mediamente in un anno dipende…

però in realtà da anno ad anno, abbiamo una variabilità abbastanza grande, si passa dalle 60 alle 90 persone che vengono come nuove famiglie. (Intervista pastore chiesa coreana)

Ogni contesto religioso si attiva dunque per produrre le risorse funzionali alle esigenze dei propri membri, che possono variare significativamente al variare dell’estrazione sociale dei partecipanti.

Le forme di scambio e i tipi di sostegno attivabili dalle comu- nità possono dipendere anche da fattori ascrivibili alla dimensione organizzativa ed istituzionale. La partecipazione religiosa può infatti favorire l’accesso dei fedeli a risorse che appartengono a circuiti relazionali più ampi rispetto al proprio gruppo di riferimento e ai legami forti rinsaldati internamente: un tipo di rapporti che le chiese possono instaurare rispetto all’affiliazione denominazionale di riferimento, così come sulla base di un riconoscimento formale costruito nel corso del tempo a livello locale.

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Da questo punto di vista, le chiese etniche di matrice cattolica, se da un lato, per loro stessa genesi, rispondono al bisogno dei propri fedeli di frequentare un ambiente socio-culturale differente rispetto a quello delle parrocchie italiane, dall’altro, in caso di necessità, possono anche accedere al circuito diocesano grazie al quale hanno avuto in uso gli spazi e ottenuto un riconoscimento canonico, entrando in rapporto con attori del solidarismo cattolico e usufruendo così di risorse difficili da attivare internamente in caso di necessità. Da un punto di vista relazionale, tali chiese, oltre a promuovere e inserire fedeli in reti di prossimità, rappre- sentano anche uno snodo rispetto ai circuiti solidali milanesi e ai servizi offerti (es. Caritas, Acli). Alcune comunità nel tempo sono anche diventate un punto di riferimento per ambasciate e consolati. In questo senso, luoghi religiosi istituiti dai fedeli sulla base di un attivismo spontaneo e informale si sono poi trasformati in terminali e snodi semi-formali per la diaspora delle comunità migranti all’estero. Un’intermediazione particolarmente evidente rispetto alle necessità socio-economiche dettate dalla pandemia da Covid 19:

È il consolato che ha chiesto di aiutare, ci sono troppe domande e non riescono a gestirle da soli, anche ad altre comunità filippine hanno chiesto di gestirle come facciamo noi (ci sono altre chiese etniche nella città di Milano, N.d.A), questo è il terzo sabato che lo facciamo… infatti qui vengono par- rocchiani da tutta Milano, aiutiamo per la distribuzione dei relief good che ci arrivano (pacchi contenenti beni di prima necessità N.d.A), ci siamo organizzati, abbiamo organizzato i nomi di coloro che hanno fatto richiesta, anche se non sono della comunità, e provvediamo alla distribuzione qui da noi il sabato sulla base delle richieste ricevute. (Intervista capogruppo chiesa cattolica filippina)

La chiesa filippina, nel fungere da raccordo, consolida di fatto un profilo formale che istituisce una differenza rispetto alle comunità religiose di matrice evangelica. In questo caso, le normative vigenti in tema di libertà di culto e destinazione degli spazi condizionano lo status organizzativo e giuridico di molte comunità religiose neo-evangeliche all’interno della città. Nei casi osservati, oltre il contesto coreano dove l’estrazione sociale dei fedeli ha facilitato forme di accreditamento con altri attori istituzionali locali, il profilo organizzativo semi-informale delle altre chiese segna una differenza sostanziale rispetto alla capacità di partecipare a forme di scambio non centrate esclusivamente sui legami forti interni. La possibilità di accedere a circuiti più

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ampi dipende infatti dal tipo di relazionalità maturata dall’intra- prendenza dei leader che guidano tali comunità, così come dalla capacità dei fedeli di attivarsi su base individuale per trovare soluzioni da condividere poi con i correligionari.

Se dunque molte delle forme di sostegno materiale analizzate sono strettamente correlate al capitale sociale religioso costruito internamente, allo stesso tempo si osservano differenze sulla base del tipo di riconoscimento istituzionale sviluppato dalle chiese. In questo senso, le comunità religiose presentano un duplice volto rispetto al tema del welfare: sono attori in grado di mobilitare risorse e promuovere forme di sostegno dirette, così come snodi relazionali, intermediari che fungono da connessione con circuiti di aiuto e sostegno più ampi a cui rivolgersi in caso di necessità non affrontabili direttamente.

7. Le chiese di fronte ai bisogni delle famiglie: conciliazione, educazione, istruzione

È possibile osservare come questi rapporti su base religiosa abbiano delle implicazioni rsipetto alle dinamiche familiari della popolazione migrante, dalla conciliazione vita-lavoro delle madri, alle pratiche educative per i ragazzi di seconda generazione.

Una forma di supporto frequentemente osservata nelle comu- nità religiose indagate è infatti il sostegno alla genitorialità. Il tema della conciliazione, ad esempio, è un bisogno urgente che spesso non trova risposta a causa della mancanza di reti familiari estese (Bonizzoni 2014), per la limitata possibilità economica di acquistare queste risorse di cura sul mercato oltre che per eventuali difficoltà nelle disponibilità di posti nei servizi pubblici.

Le chiese cercano di far fronte a queste esigenze favorendo la creazione di gruppi informali o fornendo spazi sicuri, in cui le madri possono portare i bambini durante le loro attività lavorative.

Qui nella chiesa noi fedeli abbiamo cercato di costruire un asilo nido per le madri che lavorano. Spesso non sanno dove lasciare i propri figli per il lavoro e non hanno i nonni per lasciare i figli… come fanno? Cercano di organizzare il tempo ma è difficile… dove lasciano i loro figli? Cosa fanno da soli? Sono anche impegnata a cercare di affrontare la questione scolastica, l’orientamento dei bambini in un nuovo sistema scolastico che non conosco- no… è molto importante, io ho già avuto esperienze con i miei figli ma i figli degli altri [ricongiunti] hanno studiato in altri luoghi… in un altro sistema

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educativo… con corsi differenti… e cerco di aiutarli. (Intervista capogruppo chiesa cattolica latino-americana)

Gli spazi religiosi possono inoltre fornire risposta anche alle preoccupazioni relative al nuovo sistema scolastico che le famiglie affrontano in Italia, consigli e aiuti che diventano cruciali per orientarsi in una nuova struttura educativa, o (tramite spazi per l’aiuto nei compiti) per seguire i figli nelle carriere scolastiche, data la carenza di risorse cognitive, come la padronanza della lingua italiana, che limita la possibilità di sostegno negli studi:

Io ora sono una catechista qui, con il gruppo dei ragazzi giovani, e sono anche la coordinatrice del gruppo dei giovani… ti devo dire che è molto im- pegnativo, devo prepararmi, devi studiare e coordinare… Educare è un ruolo veramente importante nella vita, e veramente importante per noi filippini… loro (i genitori) ci tengono che questo gruppo sia fatto bene… famiglie e giovani sai che sono temi grandi per noi e qui cerco di costruire bene questi temi… i genitori mi fanno un sacco di domande sulla scuola, mi chiedono se i figli fanno i bravi e se sono bravi, come vanno, se seguono bene… domande importanti, dalla tua risposta dipende tanto, e lo sanno anche i genitori… ci tengono al futuro dei ragazzi, a quello che faranno, loro non possono seguirli essendo spesso al lavoro tutto il giorno. (Intervista fedele chiesa cattolica filippina)

Inoltre, le famiglie migranti sono spesso soggette a dinamiche relazionali complesse, dovute ai fenomeni di separazione e ricon- giungimento (Bonizzoni 2015): le chiese diventano così spazi di confronto su esperienze difficili, agenzie ricreative ed educative informali, oltre che luoghi di socialità e divertimento percepiti come selezionati e sicuri (Bankston, Zhou 1996).

8. Welfare transnazionale: la solidarietà religiosa oltre i confini dello Stato-nazione

Come ben osservato da Levitt (2007), la prospettiva teorica transnazionale, oggi in voga negli studi sulle migrazioni, può essere adottata anche per indagare le attività di supporto che le istituzioni religiose attuano verso le comunità di provenienza.

Proprio la religione, grazie alla sua capacità di trascendere i confini geografici e di generare significati capaci di connettere comunità situate in contesti differenti, denota oggi un campo empirico rilevante sotto il profilo dei legami e delle pratiche transnazionali.

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Varie forme di interazione e flussi di risorse connettono le comunità religiose degli immigrati con quelle della madrepatria.

Tra le più frequenti possiamo ricordare le collette per le neces- sità dei confratelli, delle opere sociali e dei luoghi di culto in patria (Garbin 2019); la circolazione di messaggi e predicazioni dei leader religiosi, favoriti oggi fra l’altro dalle nuove tecnologie della comunicazione; l’istituzione di centri religiosi affiliati a una casa-madre insediata nei Paesi di origine, fino a dar luogo a forme di «franchising» spirituale (Levitt 2004); i flussi pluridirezionali di messaggi e di risorse promossi dalle diaspore che mantengono una peculiare identità religiosa (Cohen 2008); i più tradizionali pellegrinaggi verso i luoghi santi oltre i confini (Ambrosini et al.

2018). Nei campi sociali transnazionali avvengono inoltre processi di de-territorializzazione, trans-territorializzazione, ri-territorializzazione di devozioni popolari, emblemi, pratiche rituali, che vengono importate e adattate ai nuovi contesti (Roldán 2019).

La nostra ricerca rivela che, anche in spazi aggregativi fre- quentati da persone di modesta estrazione sociale, la raccolta di fondi a favore di progetti, attività e bisogni di persone e comunità nella madrepatria è una pratica regolare:

Qui organizzano varie attività, come concerti, finalizzate alla raccolta di denaro per le Filippine. Ad esempio, quando c’era il tifone tutti noi ci siamo mobilitati, è stato molto bello e importante... ma in caso di necessità possiamo anche inviare denaro per le scuole, o per attività sportive ed educative... Questo è fortemente sentito dalla comunità... Inoltre, se qualcuno muore, anche se non lo conosciamo personalmente, ci mobilitiamo e organizziamo una raccolta durante la messa domenicale per le spese funerarie nella sua città natale, è uno di noi. (Intervista membro della chiesa cattolica filippina)

Qui nella chiesa ci sono 3 gruppi, uno proveniente da Concepción Quezal- tepeque, noi da Tejutla e c’è un altro gruppo misto, in questi gruppi aiutiamo El Salvador, con piccoli progetti […] un progetto di calcio per bambini e bambine a Tejutla, 5000, 6000 mila euro l’anno... Ad esempio abbiamo aiutato le Unidad de Salud, acquistando mascherine ed aerosol... abbiamo investito tan- to, come chiesa, nell’unità di salute... sarà almeno 11-12 anni che lo facciamo.

Pannolini, medicinali. (Intervista fedele comunità salvadoregna)

Nel caso della chiesa coreana, la solidarietà transnazionale si indirizza verso l'Africa:

Qui alle tue spalle trovi delle fotografie… Per esempio questi sono dei bambini… mi sembra della Tanzania se non vado errato, che sono sostenuti dal primo corpo della missione femminile, sono adottati dal primo corpo

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missionario. Quindi si fanno delle iniziative, si raccolgono dei fondi che poi si destinano a questo genere di progetti. (Intervista fedele chiesa coreana)

Il dinamismo organizzativo interno osservato in precedenza si mobilita anche verso obiettivi esterni, sulla base dei legami che le comunità hanno stabilito nel corso del tempo o di necessità che si vengono a delineare. Le chiese diventano di fatto attori transnazionali dello sviluppo locale, attraverso pratiche solidali che rafforzano il valore ed il prestigio internazionale della co- munità religiosa e dei suoi fedeli, contribuendo a generare forme di riconoscimento su scala trans-locale, destinate sia ai Paesi di provenienza sia, come evidenzia il caso coreano, ai Paesi in via di sviluppo.

In questo senso, tale attivismo solidale può essere interpretato come parte di un processo transnazionale sempre più ampio e significativo. Come mostrato da Cherry and Ebaugh (2016) in uno dei rari studi sul tema, istituzioni e movimenti sociali di stampo religioso, come effetto dei processi migratori che hanno contribuito alla dislocazione e circolazione internazionale dei fe- deli, operano sempre di più su scala globale e promuovono con maggior intensità e grado di formalità forme di aiuto e sostegno.

Come gli stessi autori mostrano, molte chiese, congregazioni e comunità religiose hanno di fatto prodotto una «circolazione transazionale di servizi di welfare» che mira a fornire suppor- to e sostegno rispetto a vari bisogni. In questa prospettiva, le istituzioni religiose contribuiscono attivamente a quella che oggi viene anche definita la sfera civile transnazionale: una filantropia non più circoscritta all’interno dei confini nazionali, che istitu- isce circuiti solidali tra comunità dislocate nel mondo. Seppur qui identificate in scala minore all’interno della città di Milano, e segnate da differenti gradi di formalità, le pratiche osservate rivelano comunque gli sforzi che le comunità religiose stanno mettendo in campo per promuovere nuove forme di aiuto che oltrepassano le frontiere.

9. Conclusioni: il welfare informale, criticità e possibili sviluppi internazionali

Quello che abbiamo definito come «welfare informale» è una caratteristica osservabile in tutte le comunità religiose prese in

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esame. Animato dal principio della solidarietà si attiva un capitale sociale religioso, che genera meccanismi relazionali in grado di alimentare numerose attività di aiuto e supporto. Lo sviluppo di questo welfare alternativo, parallelo e informale diventa decisivo per le esperienze della popolazione immigrata; in questi contesti religiosi possono trovare risposta le necessità che faticano ad essere coperte dai servizi ordinari, e che spesso sono anche impossibili da soddisfare, come le esigenze emotive e relazionali, o le ne- cessità dei migranti in condizione irregolare. Anche in Italia, le comunità religiose entrano dunque a pieno titolo nella complessa infrastruttura sociale che favorisce l’inclusione sociale dei migranti.

Questi processi stimolano un’ulteriore riflessione. Frequente- mente (in Italia come altrove in Europa: Itçaina 2006; Laubenthal 2011), il rapporto tra religioni e immigrati è asimmetrico: sono le istituzioni religiose storicamente insediate a venire in aiuto dei nuovi arrivati. Anche a livello micro-sociale, nelle attività di sostegno gestite da volontari presso le chiese storiche, la distanza sociale tra donatori e beneficiari è la regola (Ambrosini 2016b).

Un aspetto significativo delle esperienze che abbiamo analizzato è invece il mutuo aiuto tra persone che condividono condizioni sociali simili, e soprattutto la medesima esperienza di immigrazio- ne: nelle comunità religiose analizzate si tratta di immigrati che aiutano altri immigrati alla ricerca di cibo, lavoro, riparo, ascolto, sostegno morale. Questo dinamismo solidale assume uno specifico rilievo in Italia: se infatti in molti ambiti, come quello politico, si nota uno scarso protagonismo degli immigranti e delle loro asso- ciazioni, è possibile invece osservare come attraverso la religione gli immigrati stiano assumendo un ruolo attivo inedito, almeno a livello locale e nei circuiti dell’aiuto reciproco (Ambrosini 2020).

Alcuni vincoli però condizionano tali forme di aiuto. Appaiono prevalenti quelle più semplici e immediate: attività assistenziali a bassa complessità, soprattutto in risposta a domande emergenziali (distribuzione di cibo, vestiti, piccole somme di denaro…). Pur nell’informalità, le comunità provano però a rispondere anche ad esigenze più complesse (aiuto nella ricerca di casa, lavoro o nelle procedure burocratiche), che faticano a trovare risposta negli apparati pubblici. Non si tratta tuttavia di forme di im- pegno solidaristico riconducibili sic et simpliciter al paradigma canonico del terzo settore, in cui la crescente formalizzazione e il rapporto con il sistema pubblico appaiono oggi prevalenti (Ranci 1999; Donati, Colozzi 2004). Informalità, reciprocità, co-

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mune appartenenza culturale sono gli aspetti caratterizzanti del welfare dal basso promosso dalle comunità religiose immigrate.

Tali processi vanno poi letti alla luce della specificità di ogni istituzione: il caso della chiesa coreana, forse atipico in Italia (ma non nel panorama internazionale) mostra che i legami interper- sonali instaurati presso i luoghi di culto non sono una risorsa soltanto per gli immigrati socialmente deboli, ma anche per quanti occupano posizioni professionalmente qualificate o aspirano ad accedervi. Nel caso della chiesa evangelica est-europea la missione religiosa si collega invece ad un’attività alquanto impegnativa di recupero sociale nei confronti di persone gravemente emarginate, vittime dell’abuso di alcool o altre sostanze.

Inoltre, rispetto alla possibilità di attivarsi per le esigenze dei propri membri, va notata una differenza tra le chiese in esame in termini di capacità di fungere da intermediari con altri attori istituzionali, favorendo così l’accesso a forme di scambio e risorse differenti dalle reti di prossimità interne basate sul capitale sociale religioso. In questo senso, la presenza di legami che possono fungere da snodo varia rispetto al tipo di riconoscimento e ac- creditamento che le chiese sono state in grado di sviluppare. Da questo punto di vista, le comunità di matrice cattolica possono godere di un riconoscimento che permette loro di accedere in caso di necessità ai circuiti solidali tipici dell’ecologia istituzionale diocesana. La semi-informalità delle chiese evangeliche rappresenta invece un limite, e lascia all’intraprendenza e all’abilità individuale dei responsabili la capacità di costruire relazioni con l’esterno, ottenendo informazioni e risorse da condividere poi internamente.

Possiamo inoltre notare che il personale religioso in genere non è interessato a sviluppare servizi sociali più specializzati, ritenendoli estranei alla propria missione. Il ruolo dei ministri di culto è certo rilevante nel predisporre il terreno su cui si sviluppano queste pratiche, sia in termini di esortazione morale, sia di reperimento di spazi logistici, sia come attenti interlocu- tori rispetto alle sofferenze esistenziali dei fedeli, ma le attività caritative sono poi solitamente auto-organizzate dagli immigrati stessi. L’attenzione dei leader è alta anche per evitare che le co- munità religiose si riducano a centri di servizi, volendo ribadire il mandato religioso originario. Si tratta di un sottile equilibrio, continuamente soggetto a tensioni, e rinegoziato a contatto con le esigenze pressanti che i migranti presentano nelle proprie comunità.

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Va sottolineata anche la rilevanza della proiezione transna- zionale delle attività sponsorizzate dalle chiese etniche. Tramite pratiche solidali che varcano i confini nazionali, gli immigrati hanno sviluppato un canale che permette loro di mantenere vivi anche i legami simbolici e culturali con la madrepatria. Sotto questo punto di vista, le nuove comunità religiose istituite dagli immigrati riscrivono e rinnovano un processo che storicamente ha caratterizzato le denominazioni europee. Le chiese etniche stanno dunque contribuendo a sviluppare un campo religioso transnazionale, che innova le tradizionali identità cristiane e alimenta legami socio-religiosi oltre i confini dello Stato-nazione.

La sfida che si prospetta è l’evoluzione di questa infrastruttu- ra solidale, nello specifico non delle pratiche di aiuto, ma degli atteggiamenti che sono alla base delle pratiche. In altri contesti migratori, questo impegno si è spesso evoluto verso altre forme di partecipazione, per esempio verso ruoli di responsabilità in istituzioni pubbliche. Il civismo storicamente ha avuto spesso basi religiose, e non di rado è diventato anche politico. Le chiese sono state anche trampolini di lancio per la mobilità sociale dei partecipanti (Warner, Wittner 1998). La sfida è comprendere se, oltre a svolgere la funzione di camere di compensazione delle tensioni tra immigrati e nuova società, le comunità religiose stiano diventando siti di anticipazione di altre forme di attivismo sociale.

A livello internazionale vari filoni di letteratura hanno elaborato in differenti modi queste novità introdotte dagli immigrati; negli Stati Uniti, l’attivismo spirituale dei migranti si è conciliato con il panorama religioso nazionale, in cui queste realtà sono viste come strumenti di inclusione e di produzione di servizi. In Europa, solo di recente ha preso piede l’attenzione per il dinamismo religioso della popolazione immigrata, al di là del caso specifico dell’Islam.

Questa riflessione apre uno spiraglio per costruire analogie internazionali, nell’ambito di un dibattito fin qui caratterizzato dallo schema bipolare elaborato da Foner e Alba: in Nord Ame- rica le religioni sono viste come un ponte per l’integrazione, in Europa (prevalentemente) come una barriera (Foner, Alba, 2008).

La nostra analisi si inserisce in processi più ampi che sollecitano una rivisitazione del paradigma. Possiamo oggi affermare che sia molte chiese nazionali europee, sia almeno embrionalmente quelle costituite da immigrati, sono attori che di fatto prendono parte alla complessa governance che regola i processi migratori, e in modo particolare contribuiscono all’integrazione degli immigrati

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