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Trento, 11 marzo 2010

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Trento, 11 marzo 2010

“Osservazioni di CGIL-CISL-UIL del Trentino al Disegno di Legge provinciale 10 dicembre 2009, n.80 “Tutela della salute in provincia di Trento”.

Le Organizzazioni sindacali CGIL-CISL-UIL del Trentino considerano positivo che si ritorni a discutere della riforma della Legge provinciale n. 10 del 1993, (ultima legge organica di disciplina del servizio sanitario provinciale), perché a fronte delle nuove complessità sociali si è affermata la necessità di una politica di welfare coordinata ed integrata, che ruoti attorno all'idea della globalità della persona e della promozione del “benessere” e, di conseguenza, di una forte crescita e di una nuova e differenziata domanda di servizi sanitari, oltre che sociali.

Si ritiene, altresì, positivo che il disegno di legge n.80, qui oggetto di analisi, scelga di mantenere la separazione tra funzione di indirizzo, che compete ovviamente alla Giunta provinciale, e la funzione di gestione spettante all'Azienda provinciale per i servizi sanitari (artt.7 e 26)

Condivisibile e necessario, cercare di affrontare un tema spinoso come quello del contenimento dei tempi di accesso alle prestazioni sanitarie (art.25), vista la forte discrasia tra i tempi di attesa delle prestazioni nell'ambito delle attività istituzionali e quelle rese in regime di libera professione intramuraria.

La Provincia Autonoma di Trento ha competenza concorrente in materia di igiene e sanità, ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera, pertanto si ritiene si dovrebbero recepire i principi del Decreto legislativo n.229 del 1999, la cosidetta

“riforma Bindi”, decreto che a livello nazionale ha segnato l'ultimo processo riformatore per il sistema salute del nostro paese.

Da una prima lettura del disegno di legge provinciale, invece, sembra che la riforma Bindi non venga recepita nei suoi principi cardini.

Si afferma, infatti, che il servizio sanitario provinciale (art. 2 comma 3 lett.a) si ispira ai principi di “universalità, equità e solidarietà; poi però (agli art.1 comma 1 e 2 comma 3 lett.b) si sancisce la “tutela e la promozione della salute come diritto fondamentale del cittadino” e che il servizio sanitario provinciale si ispira alla

“centralità del cittadino, titolare del diritto alla salute”. Chi sono, quindi, i fruitori del servizio sanitario provinciale, secondo il ddl n.80? Solo i cittadini italiani, magari residenti? E come sono applicati i principi di universalità, equità, solidarietà per le persone che non sono residenti e/o non hanno la cittadinanza italiana, quali i carcerati, i senza dimora, gli immigrati, i comunitari?

Nella proposta di riforma trentina, poi, manca la grande scommessa che il Decreto legislativo n. 229 aveva fatto sul ruolo dei Distretti, e sull’importanza del territorio,

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come luogo di sviluppo della proposta e dell’offerta di servizi.

Distretto, come presidio nel quale si raccoglie e si coordina la domanda di salute e di cura dei cittadini, e nel quale si organizza la politica per la salute e il percorso terapeutico, dotato di poteri e mezzi, che superi la casualità e lo spontaneismo, che coinvolga gli Enti locali nella programmazione e nella valutazione dei risultati, che renda possibile la concertazione con i soggetti sociali, che impegni a realizzare la rete dei servizi distrettuali, e l'integrazione tra questi e i servizi sociali.

Le Organizzazioni sindacali, da sempre, hanno assunto la centralità del territorio e del Distretto come asse strategico della propria iniziativa politico-rivendicativa, per la realizzazione di una vera integrazione socio-sanitaria. Centralità del sistema territoriale-distrettuale, intesa come luogo nel quale si intercettano i bisogni, si interpreta la domanda di assistenza, si individuano le fonti del disagio, si incontrano la programmazione sociale e quella sanitaria; si portano i servizi vicino alle persone e ai loro bisogni, in forma partecipata; si supera l'approccio alla politica sanitaria, intesa solo come produzione ospedaliera e di posti letto: si afferma, compiutamente, il diritto alla salute e al benessere.

Un sistema socio-sanitario universalistico e solidaristico, ha bisogno di strutture adeguate per garantire servizi di qualità, e questo, rende necessaria una strategia e una progettualità, in grado di mettere in rete tutte le competenze e le risorse che operano sul territorio.

Il Disegno di legge di riforma del servizio sanitario provinciale tenta di affrontare il difficile tema dell'integrazione socio-sanitaria.

Da una parte, però, limita l'ambito di intervento ad alcuni settori che richiedono un approccio integrato (l'art. 20 del ddl n.80 cita l'area materno-infantile, gli anziani e disabilità) ed esclude, invece, rispetto alla normativa statale (art. 3 septies comma 4 del Decreto legislativo n.502 del 1992) le “patologie psichiatriche, dipendenze da droga, alcol e farmaci, patologie per infezioni da HIV e patologie in fase terminale, esclusione di difficile comprensione.

Dall'altra, opera una sorta di “aziendalizzazione” dell'integrazione socio-sanitaria, affidandone la responsabilità all'Azienda Sanitaria, che se comprensibile nella finalità, cioè risolvere il problema adottando strumenti agili, non risulta rispettosa dell'assunto che una integrazione socio-sanitaria di qualità non può prescindere da una pari dignità, coesistenza e corresponsabilizzazione di entrambi gli ambiti, sociale e sanitario.

Risulta indefinito, poi, il luogo ove avvengono progettazione, programmazione ed organizzazione della risposta, questo in contrasto con l'attuale Legge provinciale n.13/2007 sulle “Politiche sociali nella provincia di Trento”.

Sappiamo che le Comunità di valle saranno titolari di competenze in ambito sociale e non in quello sanitario, ma si potrebbe tentare la sfida e prevedere, all'interno del nuovo disegno di legge di riforma del sistema sanitario trentino, dei Tavoli distrettuali, composti dai presidenti delle Comunità, dai rappresentanti delle professioni sociali e del Terzo settore operanti nel territorio, dalle professioni sanitarie, dalle parti sociali. Con funzione non solo di individuazione dei bisogni sociali e sanitari, di analisi dello stato dei servizi e degli interventi socio-sanitari esistenti, ma di formulazione dei piani sanitari, sociali e per l'integrazione socio-

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sanitaria del territorio, piani che potranno concorrere alla formulazione del “Piano provinciale per la salute” previsto all'art.12 del ddl n.80.

Il disegno di legge provinciale, qui preso in esame, non osa sulla partecipazione.

Il Consiglio distrettuale per la salute (art.9); gli Enti locali (art.10); il Comitato di coordinamento per l'integrazione socio-sanitaria hanno funzione esclusivamente consultiva. Si afferma nell'articolato che il primo (art.9 comma 3 lett.a) “partecipa alla definizione degli atti di programmazione provinciale e alla valutazione della funzionalità dei servizi”, i secondi (art.10 comma1) “concorrono all'esercizio delle funzioni di programmazione delle attività sanitarie e socio-sanitarie, ma dove, con quali tempi e in che modo, non è chiaro. Sarebbe opportuno, pertanto, disegnare con precisione un modello partecipato della programmazione sanitaria e socio-sanitaria territoriale e provinciale.

Sulla partecipazione, inoltre, si è svilito il ruolo delle Organizzazioni sindacali confederali, se si pensa che non viene previsto nessun coinvolgimento sul territorio e un ruolo, unicamente, di “soggetti informati” per quanto riguarda il Piano provinciale per la salute (art.12 comma 3 “La Giunta provinciale adotta il progetto di piano e lo trasmette alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello provinciale”... che possono inviare alla Giunta entro sessanta giorni “le proposte di modifica o integrazione”.

Sarebbe auspicabile, affermare l'importanza del confronto con le parti sociali nella programmazione e nella valutazione, a tutti i livelli, riconoscendo lo spazio necessario alla concertazione, cosa diversa dalla consultazione, stabilendo quando e come si aprono i Tavoli, quali sono le fasi e le materie oggetto di concertazione obbligatoria, quali i soggetti che sono chiamati al Tavolo, il valore delle intese sottoscritte ai fini della programmazione, le modalità di verifica degli impegni reciprocamente assunti.

Si pensi, che la Legge della regione Toscana sulla “Disciplina del servizio sanitario regionale” prevede all'art.3, addirittura, tra i principi costitutivi del servizio sanitario regionale “il concorso dei soggetti istituzionali e la partecipazione delle parti sociali agli atti della programmazione sanitaria regionale”.

Altro argomento, poi, quello del ridisegno della figura del medico di medicina generale all'interno dell'organizzazione distrettuale, prevedendone l'integrazione con le altre figure professionali, anche ai fini di un suo coinvolgimento diretto nella gestione sanitaria del servizio. E' ormai ampiamente condivisa la convinzione che un moderno Servizio sanitario, efficace nelle prestazioni e appropriato nell'uso delle risorse, deve fondarsi sulla prevenzione e sulla qualità delle cure primarie. In funzione di questo obiettivo, è indispensabile che gli accordi tra servizio sanitario e medici di medicina generale, assumano quali priorità l'associazionismo medico e lo sviluppo dell'assistenza domiciliare integrata. Il medico di medicina generale, in particolare, deve trovare nell'ambito del Distretto una efficace collocazione professionale, recuperando un ruolo di gestione effettiva della salute dei propri assistiti, che si è andato perdendo nel tempo, schiacciato da una politica poco attenta alla qualità, isolato rispetto al complesso dei servizi sanitari e sociali, sempre più condizionato da vincoli burocratici.

Il disegno di legge provinciale, invece, sembra affermare e confermare la

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responsabilità dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta

“nell'ascoltare, valutare e prendere in carico i bisogni degli assistiti”, ma nulla dice sulla loro funzione di cura. Né si prevede l'istituzione del Dipartimento delle cure primarie, previsto a livello nazionale e già operativo in quasi tutte le Regioni italiane.

Non condivisibile, infine, la previsione, data quasi per scontata, del Fondo per l'assistenza integrata, così come disciplinato dall'art.17, e delle forme integrative provinciali di assistenza sanitaria e socio-sanitaria, sancite dal quarto comma dell'art.15 del disegno di legge di riforma, qui oggetto di discussione. Tale previsione, infatti, sembra essere prematura rispetto alla discussione e all'approfondimento che si aprirà al Tavolo del “Patto per la qualificazione delle spese correnti” e, soprattutto, sembra essere contraddittoria rispetto a quanto affermato nel Protocollo di intesa, sottoscritto tra la PAT e le parti sociali ed economiche, il 10 dicembre 2009, dove si afferma: “promuovere la costituzione, previa valutazione positiva di un'analisi di fattibilità, di fondi integrativi di natura territoriale per far fronte ai bisogni e alle prestazioni sanitarie non coperte integralmente dal sistema pubblico (assistenza odontoiatrica e non autosufficienza)”.

Alcune osservazioni sull’articolato:

Art.1 comma 1;

Art.2 comma 1 e comma 3 lett.b):

Sostituire termine “cittadino” “cittadini” con individuo/i o persona/e.

Art.5 comma 2:

“La Provincia favorisce la partecipazione dei cittadini al processo decisionale”...in realtà non è chiaro con quali modalità. Serve istituzionalizzare un luogo di partecipazione vera dei cittadini.

Art.7 comma 1 lett.g):

Aggiungere: sentite le Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

Art.8 comma 2:

Aggiungere la lettera h) : un rappresentante designato dalle OOSS facente parte delle professioni sanitarie.

Art.13 comma 1 e comma 3:

Al primo comma, si chiede di aggiungere al capoverso “L'Osservatorio, anche avvalendosi della collaborazione dell'università...definisce criteri e indicatori di valutazione dei risultati del servizio sanitario provinciale”.... e dell'integrazione socio- sanitaria.

Al comma terzo, si chiede di esplicitare la composizione dell'osservatorio,

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comprendendo anche la presenza di un esperto o di un rappresentante designato congiuntamente dalle Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

Art.15 comma 4:

Si chiede la riformulazione di tale previsione sulla base delle considerazioni generali

Art. 17:

Si chiede lo stralcio dell'articolo o la riformulazione sulla base delle considerazioni generali.

Art.20 comma 1 e 2 e comma 4:

Al comma 1 dopo le parole “assieme ai comuni e alle comunità istituite ai sensi della Legge provinciale n.3 del 2006”, sono aggiunte le seguenti: in coerenza con l'art.41 della LP n.13 del 2007 “Politiche sociali nella provincia di Trento”.

Al comma secondo, è condivisibile l'esigenza della presa in carico dei cittadini attraverso l'istituzione di punti unici provinciali di accesso, tuttavia va fatta una razionalizzazione tra i vari sportelli che ogni legge di settore istituisce (si pensi all'art. 45 della LP.13 del 2007 sulle “Politiche sociali nella provincia di Trento”, o l'art.25 del DDL “Sistema integrato delle politiche strutturali per la promozione del benessere familiare e della natalità”). Inoltre, si chiede che nella composizione dei punti unici di accesso si preveda la presenza di figure professionali specifiche.

Il comma quarto, invece, nel secondo capoverso sembra in contraddizione con quanto previsto all'art. 32 comma 5.

Art. 32 comma 5 è sostituito dal seguente:

Presso la comunità prevista dalla legge n.3 del 2006, se il suo ambito territoriale coincide con quello del distretto, o presso la comunità con la maggior popolazione residente nell'ambito territoriale del distretto è costituito un comitato di coordinamento dell'integrazione socio-sanitaria, composto da:

− il presidente/i delle comunità;

− il rappresentante/i dei servizi educativi e scolastici;

− il rappresentante/i del terzo settore operanti nel territorio della/e comunità;

− i rappresentanti delle parti sociali;

− i rappresentanti delle professioni sociali designati dai rispettivi colleghi operanti nella/e comunità di valle;

− due medici della medicina generale e uno specialista ambulatoriale, scelti tra i medici convenzionati con il servizio sanitario provinciale e designati dai rispettivi colleghi operanti nel distretto;

− il direttore medico dell'assistenza territoriale;

− il direttore del presidio ospedaliero situato nell'ambito territoriale del distretto;

− il dirigente del servizio infermieristico del distretto;

− un farmacista convenzionato con il servizio sanitario provinciale, designato dai farmacisti operanti nel distretto;

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− un rappresentante degli enti gestori delle residenze sanitarie assistenziali situati nell'ambito territoriale del distretto;

−un medico coordinatore di RSA (o APSP) situate nell'ambito territoriale del distretto di appartenenza, designato dai rispettivi colleghi operanti nel distretto.

Dopo il comma 5 è aggiunto il seguente 5 bis:

Il Comitato di coordinamento dell'integrazione socio-sanitaria svolge le seguenti funzioni:

a) raccoglie le istanze del territorio e contribuisce all'individuazione e all'analisi dei bisogni socio-sanitari;

b) provvede ad attivare le condizioni organizzative necessarie al funzionamento dei servizi integrati;

c) concorre alla formulazione dei piani sociali di comunità e alla definizione della parte relativa ai servizi socio-sanitari del piano sanitario provinciale di cui all'art.12.

Per le Segreterie Provinciali

CGIL CISL UIL

P.Burli L.Pomini E.Monari

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