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L'ESODO DEGLI ALBANESI VENT'ANNI DOPO I PRIMI SBARCHI

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Academic year: 2021

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Introduzione

Capitolo primo

1.1 L'anniversario 5

1.2 Vlora, l'agosto 1991 12

1.3 Contesto storico albanese 24

1.4 Intervista al Capitano della Vlora 28

Capitolo secondo La mobilità perduta e ritrovata. 2.1 Il preludio delle ondate 31

2.1.1 Luglio 1990 contesto storico 2.1.2 Embassy immigrants 2.2 1991-1992 Main Mass Exodus, contesto storico 42

2.2.1 L'esodo di marzo, il primo ingente sbarco in Puglia 2.2.2 La normativa vigente: legge 39/1990 2.3 1992 – 1996 contesto storico 66

2.3.1 "Sensible migration" 2.3.2 La normativa vigente: la politica dei Decreti 2.4 Dicembre 1996 – aprile 1997 80

2.4.1 Piramyd Crisis Migration 2.4.2 La decretazione d'urgenza 2.5 1998 – 2002 contesto storico 99

2.5.1 "Il movimento silenzioso" 2.5.2 La normativa vigente: il testo unico sull'immigrazione 2.6 Ritorni e Circolarità 113

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Capitolo terzo

Le paure e il cambiamento

3.1 Le paure italiane di fine secolo 138 3.2 La categarizzazione mediatica di una comunità 149 3.3 Il lungo percorso della comunità albanese 170

Conclusioni

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Introduzione

In un epoca di grande cambiamento nel panorama socioculturale italiano l’immigrazione albanese ha ricoperto un ruolo di grande importanza nei difficili processi che hanno accompagnato la ridefinizione dell'identità italiana. La percezione del fenomeno migratorio dei bisogni ad esso connessi influenzarono le scelte politiche dei governi dei primi anni novanta. Questi governarono l' Italia in una fase di trasformazione da paese di emigrazione a paese di immigrazione e nel momento di entrata del Paese nell'area Euro e Schengen, dovendo affrontare un diffuso malessere della popolazione. L'aumento dei flussi migratori del periodo era un fenomeno dovuto al crollo del blocco sovietico, l'aumento di quelli italiani fu determinato proprio dalla dissoluzione dell'ultimo Stato comunista in Europa: l'Albania

Nel 2011 si sono tenute le celebrazioni dell' evento che ha condizionato il modo in cui gli italiani guardano all'immigrazione. Vent' anni prima, esattamente l'8 agosto del 1991, a Bari, avvenne lo sbarco di profughi più grande che l'Italia avesse mai sostenuto (i 28 mila del marzo del medesimo anno arrivarono su più navi in un lasso di tempo maggiore). La nave Vlora con il suo carico di persone rappresenta ancora oggi l'idealtipo dell'immigrazione italiana con tutto ciò che ne conseguì. Venne alla luce l'impreparazione ad un evento simile, l'inadeguatezza legislativa e la difficile accettazione dello straniero. Nei confronti della medesima comunità immigrata infatti, gli atteggiamenti della popolazione ospitante cambiarono nel giro di soli pochi mesi, radicalizzandosi negli anni che passarono dalla prima all'ultima migrazione di massa albanese del 1997. Questo avvenne anche a causa del fiorire delle organizzazioni criminali albanesi operanti Italia e della microdelinquenza connessa allo status giuridico del migrante albanese che lo costringeva ad una condizione di precarietà. Parallelamente la comunità albanese immigrata si è sviluppata fino a divenire la seconda per numero di residenti e la più integrata tra quelle non comunitarie, riuscendo a superare uno stigma che ha lasciato tracce profonde nel background culturale di entrambe le popolazioni. L'atteggiamento di diffidenza degli italiani verso l'Altro, sviluppato per la prima volta verso gli albanesi, ha cementato stereotipi e pregiudizi che oggi rischiano di invalidare il percorso di

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integrazione di altre comunità.

Nel primo capitolo, dedicato alle celebrazioni dell'anniversario, vengono portate alla luce alcune testimonianze che il comune di Bari ha invitato a lasciare, tramite il social network Facebook, sulla bacheca di "Missione Vlora", il profilo dedicato all'evento. Attraverso articoli di giornale dei maggiori quotidiani nazionali viene poi effettuata la ricostruzione dell'emergenza di quei giorni legata all'arrivo del mercantile sulle coste del Cilento. L'intervista conclusiva al capitano della Vlora è funzionale a mostrare la situazione di grande disagio che i primi immigrati furono costretti a vivere, nella consapevolezza che il ritorno in patria le avrebbe esposti a temibili conseguenze. Solo la perizia dell'uomo al timone permise al mercantile di navigare in quelle critiche condizioni.

Nel capitolo che segue vengono ripercorse le tappe principali della storia migratoria del popolo albanese, le condizioni sociopolitiche che hanno determinato la decisione di partire nonchè le leggi che di volta in volta l'immigrazione andava ad attivare. Vengono quindi analizzati gli esodi legati all'assalto alle ambasciate occidentali del luglio 1990, quelli di massa del 1991 passando per quelli legati alle difficoltà della transizione politico economica, ed in fine, i flussi connessi al crollo delle piramidi finanziare nel 1997 ed alla crisi kossovara dell'anno sucessivo. Nell'ultimo parafrafo viene dato spazio al fenomeno dei ritorni che, insieme a quello delle migrazioni circolari, sembra prospettare una carta in più per lo sviluppo futuro dell'Albania.

Il terzo capitolo si sofferma invece sull'evoluzione della società italiana nella travagliata fase 1990-2000, sulla sua ridotta capacità di confrontarsi con i cambiamenti che interessavano il sistema dei partiti ed il riposizionamento geopolitico, nonchè sul ruolo che i media ricoprirono nell'orientare le paure del paese, stigmatizzando la comunità albanese e catalizzando su di essa il malessere popolare.

La capacità di integrarsi dimostrata dal gruppo in esame mostra come lo stigma possa essere abbatutto, ma al contempo, come possa spostarsi su altre "comunità cattive". L'incapacità di eliminarlo è in parte determinata dal sedimentarsi di stereotipi che negli ultimi anni hanno avuto grande risonanza sia nella politica che nei media, riducendo la capacità di accogliere l'immigrazione da parte della popolazione italiana.

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Capitolo primo

1.1 L'anniversario

"All'improvviso mi accorsi che migliaia di persone venivano verso la nave, salivano come potevano. I cancelli di recinzione erano stati abbattuti e non c' era più polizia a presidiare il porto."1

Nell'agosto 2011 si è tenuta a Bari la Commemorazione del ventennale dell'arrivo del mercantile Vlora, con il suo carico di migranti, sul molo Carboni del porto cittadino.

Lo sbarco di quell'umanità disperata venne celebrato dalle autorità locali con un annullo filatelico ed una settimana di appuntamenti d’arte, cultura, spettacolo e sport in nome dell’integrazione tra i due popoli, quello italiano e quello albanese.2 Due popoli, come la storia dimostra, molto più vicini di quanto si sia portati a pensare. L’Albania, pur essendo un Paese vicinissimo all’Italia e pur avendo condiviso con essa millenni di storia, è un Paese rimasto per secoli sconosciuto ai più. Per alcuni secoli è stato un Paese che è quasi uscito dalla coscienza culturale comune. Indipendentemente dalle conoscenze approfondite, mentre quando si parla di Francia, di Inghilterra, di Germania viene subito alla mente un inquadramento, e più o meno si sa di quali popoli e vicende parliamo, quando si dice Albania, in mente viene ben poco. E' un errore pensare ai rapporti italo-albanesi solo alla luce dei tragici avvenimenti dell'ultimo decennio del secolo scorso. Tralasciando i primi contatti tra i due popoli, che avvennero ai tempi delle sette migrazioni dell'epoca moderna e furono principalmente legate a dinamiche di guerra3, la storia, quella che tutti conosciamo, è successiva al 1912, caratterizzata da notevoli periodi torbidi all’interno dell’Albania, e poi dall’Unione delle Corone di Italia e di Albania (teoricamente paesi su un piano di parità e con il re in comune). Il fascismo intese il legame in modo più profondo dell' avere la sola corona in comune, e gli albanesi si resero conto che l’indipendenza era quasi perduta ed anche per questo lottarono

1 Antonella Gaeta, Così venti anni fa guidai il grande esodo, La Repubblica, 5 marzo 2011

2 La sala Murat ha ospitato una mostra fotografica con gli scatti di quei giorni visti dall'obiettivo di Nicola Amato L'esposizione è intitolata Ritratti d'Al-Ba: Luci e ombre in un corridoio di speranza, raccoglie anche le opere artistiche di Massimo Narbi, Vincenzo De Rosa, Benito Ricci e Agim Nebi.

3 Nacque in quel periodo la cultura cosidetta Arbereshe, tipica degli italo-albanesi. La comunità originaria si stanziò prevalentemente in Puglia e Calabria. Quelle più antiche, furono comunqe migrazioni numericamente limitate e legate a dinamiche guerriere (a causa della mobilità che ne consegue, si ha difficoltà nel determinare tempo di permanenza e ipotetici spostamenti della comunità)

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duramente durante il periodo resistenziale. La parentesi comunista instauratasi, sradicherà poi definitivamente il Paese dalla storica rete di relazioni politico-culturali balcaniche.

Il vuoto di notizie dall'altra parte dell'Adriatico venne riempito solo quaranta anni dopo, ed in maniera dirompente.

Quell'8 agosto del '91 la città di Bari fu palcoscenico di un cambiamento nella geopolitica dei Balcani, testimone e partecipe di un flusso di migrazioni tuttora ininterrotto: da allora ad essere cambiati, in effetti, sono soltanto i luoghi di partenza di un'umanità disperata che continua a fuggire dai propri paesi in cerca di un'altra terra promessa. In quella occasione non deve essere dimenticata la solidarietà espressa dalla cittadinanza davanti ad una emergenza di tale portata; per questo motivo, l’Amministrazione Comunale di Bari e dall’associazione Italo-Albanese Assoital, sono riusciti a creare nel 2011 una serie di eventi a cavallo tra memoria e presente a cui hanno partecipato anche le autorità albanesi. Queste sono rimaste impressionate al punto tale che l'allora presidente della Repubblica di Albania, Bamir Topi4, ha consegnato un riconoscimento al valor civile, la medaglia della gratitudine, alla città di Bari lasciandola nelle mani del Sindaco Michele Emiliano. Era la prima volta che l'Albania consegnava un' onoreficenza ad una citta straniera5 In questa occasione il presidente Topi ha avuto modo di dichiarare:

"Sono molto onorato ed emozionato di essere qui a Bari per questa ricorrenza e ricordare un evento che ha colpito tutti, non soltanto quando accadde, perché quello sbarco continua a dimostrare che un popolo isolato, terrorizzato da un regime comunista, ha potuto uscire da quella situazione. Allora l’unica via era proprio il fronte marino, la Puglia e Bari. Così vorrei ringraziare tutti dal cuore. Con il vostro Paese non c’è solo vicinanza geografica e culturale. L’Italia è un Paese amichevole e strategicamente importante da un punto di vista politico ed economico e un grande alleato verso l’integrazione europea. Dopo vent’anni l’Albania è un Paese della Nato e va sicura verso la Comunità Europea. In questo cammino dobbiamo ricordare anche momenti come quello del ’91 e ringraziare per tutto il sostegno che in questi vent’anni ci hanno dato il popolo di Bari e della Puglia, sia alla nostra comunità sia alle nostre istituzioni. Noi siamo stati fortunati ad avere di fronte a noi un grande Paese ed un grande popolo che ci hanno aiutato nei momenti più difficili della nostra storia. E per questo vorrei dare a Bari la Medaglia della Gratitudine."6

“È un evento importantissimo - ha dichiarato in conferenza stampa il sindaco Emiliano al di là

4 Ricoprì la carica dal 24 luglio 2007 – 24 luglio 2012

5 Bari ricorda lo sbarco dei ventimila, una lezione che nessuno può dimenticare, La Repubblica, 29 luglio 2011 6 http://www.albanianews.it/italia/migrazioni/2012-bamir-topi-kledi-kadiu-bari

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di una certa retorica celbrativa - perché Bari è orgogliosa di aver vissuto quell’8 agosto, di aver vissuto il ruolo che la storia ci ha assegnato. Se il Presidente albanese viene qui per darci questo riconoscimento, significa che, almeno nella memoria collettiva del popolo albanese, la città di Bari resta l’icona fondamentale di quei giorni [...] I baresi – ha commentato ancora il sindaco di Bari Michele Emiliano – ebbero la forza e l’umanità di abbracciare quella moltitudine di uomini e donne, pur nelle mille difficoltà che quell’emergenza determinava”. "Ricordo le numerose autobotti, spuntate dal nulla con una incredibile tempestività, e un gruppo di giovani militari, comandati da un Dirigente, forse di Polizia, magro e alto, con i baffi e con un accento romanesco, che riuscì quasi dal nulla ad impiantare in un tempo velocissimo una rete di tubi per la conduzione dell’acqua, lungo tutto il molo, con rubinetti a distanza regolare. "7

Non ci sono state però solo cerimonie ufficiali, la memoria deve essere un esercizio quanto più possibile collettivo e la cittadinanza è stata invitata a partecipare attivamente anche attraverso internet. La settimana di riflessione ha avuto, nel suo insieme, una struttura aperta, condivisa, partecipata, da 'tempi moderni' ed il Comune di Bari ha attivato un sito web ed una pagina ufficiale sul social network Facebook (“1991-2011 Il tuo ricordo della Vlora”) per dare la possibilità a tutti di lasciare un messaggio, pubblicare una fotografia, un video, scrivere un pensiero o rilasciare una semplice testimonianza sugli avvenimenti legati allo sbarco del mercantile Vlora. E' proprio on line che si può cogliere tutto lo stupore degli stessi funzionari di polizia al tempo incaricati di gestire l'ordine pubblico:

"Quella era molto più che un’emergenza: era un’enormità … un “cosa enorme”, quasi un mostro senza forma, di cui non sapevamo niente … non si poteva commentare, non si riusciva … riuscivamo solo a farci fra noi qualche domanda a mezza voce, qualche domanda che presto perdeva ogni senso, assorbita da tutta quella enormità che accadeva davanti ai nostri occhi: chi sono? … quanti sono? … saranno centomila … e se sono armati? … e se hanno intenzione di attaccarci?…"8

La popolazione della città entrò in contatto con gli sbarcati solo in occasione delle loro fughe dai cordoni improvvisati per contrenerli. I cittadini, infatti, non poterono vedere quello che stava accadendo, da una parte perché la città era di fatto vuota (quasi tutti in vacanza, compresi il Sindaco e il Vescovo) dall’altra, perché la nave venne fatta attraccare al molo Carboni, il più lontano dalle aree abitate. L’incontro fortuito quindi; ma non solo, la sorpresa e la gara di solidarietà

7 Patrizia Marzo, Bari 8 agosto 1991: c'ero anch'io, Missione Vlora, 28 settembre 2011, http://missionevlora.wordpress.com/

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caratterizzarono il primo approccio alla novità.

Ma quei giorni hanno anche tante pieghe meno luminose. La difficoltà della gestione dei soccorsi ed il tentativo di fornire una prima assistenza dovettero fare i conti con la ferma politica del rimpatrio immediato. L’ordine da Roma infatti era di trattenere i profughi nel porto e farli rientrare al più presto in Albania. Tra tanti solidali si distinse allora il sindaco Enrico Dalfino che si scontrò apertamente con le rigide disposizioni ministeriali, meritandosi epiteti poco gradevoli da una vasta cerchia di politici romani. Il vecchio sindaco è stato ricordato durante il Convegno organizzato per il ventennale, come una delle figure maggiormente illuminate dal punto di vista umano, tra le diverse istituzioni impegnate a gestire lo sbarco.

Durante la crisi gli emissari del Governo italiano si recarono in Puglia (clamorosa eccezione fu quella di Vito Lattanzio, capo della protezione civile di cui vennero chieste le dimissioni9) per avere il reale polso della situzione, ma quando il Presidente Cossiga arrivò a Bari usaò parole di incredibile brutalità contro il sindaco e la giunta tutta .

"[…] Non ringrazio, invece, il comune di Bari, né tantomeno ringrazio il sindaco le cui dichiarazioni sono semplicemente irresponsabili. Mi dispiace che questa città, così generosa, abbia un siffatto sindaco […]" colpevole, secondo Cossiga, di aver ecceduto con la pietas. Col senno di poi, sorge spontanea la domanda, se sarebbe stato meglio tenere donne, bambini e uomini al sole dell’agosto pugliese di un campo da calcio. Il sindaco, non ricevuto da quel presidente, rispose dicendo: "[…] Anche quando Adamo fu cacciato dall’ Eden sapeva di che cosa doveva rispondere. Quando saprò di cosa dovrò chiedere scusa, se effettivamente valuterò riprovevole questo mio comportamento sul piano morale e giuridico, chiederò scusa […]" 10

Tra gli ospiti delle iniziative dell'estate 2011, c'erano persone di diversa età, tra cui il ballerino Kledi Kadiu, che, appena adolescente, proprio sulla Vlora arrivò in Italia nell’estate di venti anni fa. Molti i ricordi e le testimonianze, tra le quali il poeta Visar Zhiti e il musicista Zhani Ciko. Storie di vite vissute, di sogni, di integrazioni, comunque, riuscite.

9 "[...] “La situazione è stata sottovalutata”, aggiungono i verdi e i missini, che chiedono le dimissioni di Lattanzio",

Così invece si esprimeva, circa l'inefficacia del Ministro Lattanzio, l'onorevole Marzo:“Purtroppo altrettanto non si può dire del potere centrale che ha palesato ancora una volta la macchinosità di certi meccanismi e la latitanza di certi poteri. Un ministro della Protezione civile, pugliese, che arriva a Brindisi cinque giorni dopo degli albanesi, quando ormai la situazione scoppia, non depone certamente a favore dell’immagine di efficienza che proprio questo ministero deve poter dare, perché la sua funzione è strettamente collegata all’efficienza e alla rapidità delle sue decisioni. Pur concordando con chi afferma che si tratta di un evento eccezionale, si sarebbe preteso dal ministro e dai suoi rappresentanti un’applicazione eccezionale come quella offerta dagli enti locali e dal volontariato della gente”.

Giuseppe Marchionna, Diario dall’inferno di Brindisi, Il racconto dei giorni del grande esodo albanese e il “destino mediterraneo” della Città, Besa, 2011

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"Io all'epoca avevo solo diciassette anni ed ero spinto da una speranza e da una voglia di futuro incredibile. Molti mi hanno chiesto se c'era premeditazione nel nostro viaggio. Assolutamente no. Se fosse stato organizzato sarebbe stato impossibile da realizzare. Tutti noi conoscevamo l'Italia come un Paese magnifico, come ci mostravano le nostre televisioni. Quando siamo arrivati a Bari pensavamo di aver finalmente realizzato il nostro sogno. Invece, una volta sbarcati, non abbiamo trovato accoglienza ma solo i manganelli di un Paese che consideravamo fratello. In quei giorni, chiusi dento lo Stadio delle Vittorie, quindi chiusi fuori dalla vera Italia, molti si sono svegliati e hanno vissuto fino in fondo questa delusione."11 "Ricordo tutto di quel giorno, volevo assaporare la libertà, assaggiare la Coca Cola che non avevo mai provato. Ma dopo tre giorni in cui è successo di tutto, siamo stati rimpatriati, e a casa sono tornato con una lattina vuota…"

Le molte storie raccolte sono state lette e proiettate nella Sala Consiliare a Palazzo di Città, il giorno 8 agosto, in occasione della cerimonia conclusiva delle celebrazioni del ventennale. Un esercizio di memoria collettiva, quello della "Missione Vlora", che è caduto in un annus orribilis12 per l'immigrazione in Italia. Nel 2011 si ripresentano prepotentemente le "carrette del mare", cariche di profughi e sospinte al largo dall'instabilità politica che interessava le coste Sud del bacino mediterraneo e che andava concretizzandosi nella “primavera araba”, come è stata battezzata dai media occidentali: una catena d’insorgenze contro regimi dispotici o dittatoriali nel Maghreb e Mashrek, un evento di tali dimensioni e così gravido di conseguenze da essere comparabile alla svolta epocale della decolonizzazione13.

Gli stessi esponenti del governo di allora, nelle dichiarazione alla carta stampata, avanzavano parallelismi con gli eventi albanesi di venti anni prima:

"Si parla di tremila, forse quattromila clandestini. Lei cosa prevede per i prossimi giorni? «La nostra previsione è drammatica. Nel momento in cui il canale libico è chiuso si apre quello tunisino e il traffico di esseri umani diventa africano. Pensi cosa può succedere se domani arrivano anche gli egiziani, può determinarsi una situazione albanese». È allarme profughi, come negli anni Novanta? «Dall' Albania arrivarono quindicimila persone in una settimana e l'emergenza si risolse col pattugliamento italiano dentro le acque albanesi. Il governo di

11 http://www.albanianews.it/cultura/735-intervista-kledi-kadiu

12 Nel 2011 sono stati 60mila i migranti arrivati in Italia, circa 24mila di origine tunisina, 50mila dei quali sbarcati sulle coste di Lampedusa e Linosa. Mentre sono stati 10.611 i permessi di soggiorno concessi per motivi umanitari. http://www.stranieriinitalia.it/attualita-nel_2011_sbarcati_in_italia_60mila_immigrati_14337.html

"In calo (-82%) il numero di immigrati arrivati in Italia e a Malta, dai 59 mila del 2011 ai 10.380 del 2012" Dati del rapporto 2012 sull'immigrazione irregolare di Frontex.

13 Gianluca Sadun Bordoni, Il Mediterraneo dopo la primavera araba, Nuova Cultura, 2013, p. 8, Annamaria Rivera, 2011 l’anno della Primavera araba, MicroMega, 5 gennaio 2012

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Tirana accettò il nostro aiuto e il flusso migratorio finì. Ecco, io mi auguro che le autorità tunisine accettino il "modello Albania", perché quando i trafficanti di esseri umani vedono le motovedette a un miglio dalla costa, non fanno partire i barconi»"

Affermava Franco Frattini, Ministro degli Esteri dal 2008 al 201114

Guardando all'oggi, l’Albania ha attraversato un lungo e faticoso ventennio di transizione e, nonostante i forti conflitti politici15 che recentemente l’hanno di nuovo portata alla ribalta delle cronache, è un Paese avviato verso l’integrazione nell’Unione Europea16. Un vicino di casa con il quale avviare un percorso futuro comune. Una prospettiva edificante, dati i risultati, che ha permesso di parlare di "modello Albania", in riferimento alla gestione virtuosa della cooperazione internazionale. Negli anni immediatamente successivi al 1991 non si registrarono più arrivi di tale portata: il passaggio dell’Adriatico diventò un grande business della criminalità che gestì uno stillicidio di sbarchi quotidiani: potenti gommoni coprivano in poche ore la traversata e scaricavano direttamente in mare, a vari metri dalla costa i loro passeggeri da mille dollari al biglietto. Poi, quando nel 1997 sei anni dopo quella comunista, crollò anche l’Albania "turbocapitalista" delle piramidi finanziarie, fu di nuovo esodo in massa. Con tragedia. Nella notte del 28 marzo, Venerdì Santo, la corvetta Sibilla della Marina Militare, impegnata nel pattugliamento e nel blocco del canale d’Otranto speronò e affondò una arrugginita vedetta albanese che portò a picco con sé 81 persone.

L'occasione dell'anniversario dello sbarco permette di mettere in rilievo come gli arrivi del 1991 risultarono spartiacque per un Italia che viveva un periodo di ricerca della propria identità. E' infatti vero che prima di quella data l'Italia non era considerata come un Paese di immigrazione, dopo la sua secolare esperienza come terra di emigrazione. Già nel 1990 l'Italia aveva 800.000 immigrati

14 Guerzoni Monica, La nuova ondata. L' intervista al ministro degli Esteri Frattini: fermare la nuova ondata come facemmo per l' Albania, Corriere della Sera, 13 febbraio 2011, p. 13

15 Si può affermare che il braccio di ferro - cominciato con l’esito elettorale del giugno 2009 che ha premiato la coalizione di Berisha e non è mai stato riconosciuto dall’opposizione socialista che ha mosso l'accusa di brogli -arriva all' inizio del 2011 a toni sempre più accesi e minacciosi. Ancora una volta, Rama è tornato a chiedere le dimissioni del primo ministro e l’arresto del ministro dell’Interno Lulzim Basha, ritenuto reponsabile delle morti dei manifestanti durante le manifestazioni. Il governo ha indetto una manifestazione contro la violenza, un gesto definito dai socialisti l’ennesima provocazione. In questo clima, con le accuse reciproche lanciate in tv e l’uso della piazza come dimostrazione di forza si è avuta nel 2011 l'ultima grave crisi politica albanese. Si ebbe, da parte della comunità internazionale un appello congiunto, in cui l'ambasciata degli Stati Uniti, la delegazione dell'UE e l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) a Tirana invitavano tutte le parti alla "calma e al contegno, e ad astenersi da provocazioni"

16 Il 7 febbraio 2014 il Primo Ministro croato Zoran Milanovic, ha promesso il sostegno della Croazia, non solo per l`assunzione dello status di Paese candidato, ma anche per l'apertura dei negoziati di adesione entro giugno dello stesso anno. Parallelamente continua il processo di formazione della macroregione Ionico-Adriatica in cui il Paese è partner cardine. "Con quattro stati membri (Croazia, Grecia, Italia e Slovenia) e quattro paesi terzi (Albania, Bosnia e Erzegovina, Montenegro e Serbia), la strategia contribuirà anche a un'ulteriore integrazione dei Balcani occidentali offrendo loro la possibilità di lavorare di concerto con i loro vicini in ambiti d'interesse comune" . Angela Lamboglia, Macroregioni: ad Atene il punto su Adriatico-Ionio, www.euractiv.it

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regolari con documenti, che includevano, fino a quel momento, duemila albanesi.17

E' innegabile che gli afflussi albanesi del 1991, e i seguenti, arrivarono rapidamente a dominare la politica italiana ed i titoli dei media, orientandoli su posizioni che mal si coinciliarono con lo spirito solidaristico che caratterizzò l'attività di molti allora, e la cerimonia commemorativa di pochi anni fa. Il termine "albanese", in pochi anni diverrà sinonimo di esclusione sociale, partecipando alla creazione dello stereotipo di inaffidabile, bugiardo, criminale e sfuttatore.

Uno stereotipo adatto ad accogliere ogni nuovo flusso di emergenza.

17 I dati risalgono al dicembre 1990. Lo spaccato non calcola i migranti senza documenti. Caritas di Roma, 1992, p. 41 Rispetto alla percentuale albanese Jonathan Chaloff mostra che "There has been a steady flow of Albanians throughout the past decade, and Albanians have benefited from the regularizations conducted in 1995 (about 30,000), 1998 (about 39,000) and 2002 (47,763) (Carfagna 2002, pp. 66-67, and ISTAT 2005). Albanians have also benefited from special permits (about 10,000 issued to the first arrivals in 1991) and from special provisions for refugees during the Kosovo war." Circa il 1990: "In Italia, la comunità di immigrati albanesi è stata la protagonista di un significativo incremento della sua consistenza nel corso degli anni ’90: alla fine del 1990 solo 1.853 albanesi risultavano in possesso di un regolare permesso di soggiorno" , Letizia Bertazzon e Anna Miazzo Anastasia B., Disarò M., Fincati V., Gambuzza M., Maurizio D., Rasera, Gli immigrati albanesi in Italia e in Veneto", Regione Veneto, 2009, p. 8

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1.2 Vlora, l'agosto 1991

"Dopo la prima ondata di marzo, nel giugno si era deciso di non accogliere e da allora fino al 7 agosto abbiamo rimpatriato tutti quelli che arrivavano. Quando il 7 agosto sapemmo che una nave, si parlava di 4.000 profughi, si stava avvicinando alle coste, in una riunione nel pomeriggio al Viminale fu dato ordine di intercettare e respingere. Non fu possibile fermare quella nave, c' era rischio di collisione anche a fare manovre di dissuasione con i nostri mezzi navali" 18

Durante l'estate, sotto il torrido sole dell' 8 agosto 1991, Bari vide l'approdo sulle proprie coste di una nave mercantile di nome Vlora19.

All'interno, 20 mila persone circa, due giorni di navigazione, 74 miglia marine, senza viveri.

Il governo italiano durante l'anno già aveva dovuto affrontare arrivi via mare ma nonostante tutto si trovò assolutamente sorpreso nell'accogliere i boat-people20 impegnati in quest'ultima attraversata. Migliaia di queste persone erano salite sul mercantile a Durazzo, prendendolo con la forza e costringendo il Capitano Halim Milaqi, poco più che trentenne, a salpare e fare rotta verso l'Italia con un motore solo e senza radar.

Il dramma dell'immigrazione consumatosi in quel tratto di mare è il medesimo che si ripeteva ormai da mesi su scala minore, e venne classificato come "second wave"21 o "secondo tempo"22, a seconda che si voglia vedere il dramma dell'immigrazione come una sequenza di ondate che frangono sulle coste Sud dell'Europa o come la partita che in quegli anni la popolazione albanese giocava col proprio destino. Questo arrivo avrebbe potuto non essere un evento imprevisto e così gravido di conseguenze dato che, la Caritas, aveva esplicitamente parlato dell'imminenza di nuovi sbarchi in massa23, e tutto il mese di luglio era stato costellato dall'arrivo di zattere di fortuna sulle nostre coste. Ad agosto, furono decine i piccoli pescherecci che vennero fatti approdare24 nei porti italiani

18 Dichiarazione del Ministro degli Interni Scotti.

Mino Fucillo, Nessuna resa e lo dimostreremo, Il Corriere della Sera, 17 agosto 1991, p. 5.

19 La motonave Vlora (Valona in albanese) venne costruita nei cantieri di Genova negli an ni ’60. La Vlora fu una nave mercantile costruita all'inizio degli anni sessanta dai Cantieri Navali Riuniti di Ancona con il nome di Ilice per la Società Ligure di Armamento di Genova. Gemella delle navi Ninny Figari, Sunpalermo e Fineo acquisite da diverse compagnie, l'Ilice fu successivamente acquistata nel 1961 dalla Societè actionnaire sino-albanaise de la navigation maritime "Chalship" di Durazzo battente bandiera albanese e ribattezzata Vlora. Nell’agosto 1991 era un malconcio mercantile che faceva rotte lunghe, in quei giorni attraccò a Durazzo per scaricare tonnellate di zucchero cubano. http://www.shipspotting.com/gallery/search.php?query=Vlora&x=14&y=7

20 Il termine venne usato negli anni settanta per indicare coloro che scappavano da Laos e Cambogia

21 Pittau F. Reggio M. , Il caso Albania: immigrazione a due tempi, Studi Emigrazione , XXIX, n° 106, 1992, p. 232 22 Ivi.

23 Barjaba K., Dervishi Z., Perrone L. , L'Emigrazione albanese: spazi, tempi e cause, Studi Emigrazione, XXIX, n°107, 1992, p. 533

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dopo vani tentativi di respingimento da parte della Marina italiana. Il dramma dell'accoglienza, primo approccio al fenomeno migratorio di massa dell'Italia "post Muro di Berlino", si svolse dall'8 al 14 agosto sulle banchine del porto e successivamente tra le mura dello stadio della Vittoria dove il Ministero degli Interni decise di concentrare gli sbarcati.

Nelle dichiarazioni del Ministro degli Interni "Non c'erano aree libere per una tendopoli e ci sarebbe voluto più tempo a renderla funzionante delle 72 ore stimate per rimandarli tutti indietro. Dividere poi quella massa umana avrebbe comportato giganteschi problemi di ordine pubblico, sarebbero fuggiti e invece fughe massicce non ce ne sono state."25

La nave venne intercettata a poche miglia dal porto di Brindisi26 e deviata prima a Monopoli poi su Bari. Formalmente, non venne dato il permesso di attraccare. Erroneamente si pensò che disporre una sorta di linea di vedette e pilotine all’imboccatura del porto e tentare di "coprire" dal lato di terra la Vlora con la fregata Euro della Marina militare, potesse bastare a rispedire la nave a Durazzo. Il Capitano, circondato al timone da uomini armati e per nulla disposti a tornare in patria, consapevole sia della ridotta capacità di governo della nave sia della crescente insostenibilità della situazione a bordo, forzò il blocco comunicando di avere dei feriti a bordo e di non essere in grado di fare marcia indietro, e «avanti piano» entrò nel bacino portuale. All' arrivo in rada, la "Vlora", aveva il ponte a pelo dell'acqua, dieci metri sopra il pescaggio normale27, e la gente si era issata persino sui pennoni, a grappoli.

A bordo il caldo cresceva e con esso la sofferenza delle migliaia di persone ammassate sui ponti e nelle stive.

“Quella nave fu un'esperienza scioccante. Mi ricordo che avevo a disposizione meno di mezzo metro dove dormire, alzarmi, pensare. I bagni erano un orrore. Verso la metà del viaggio la sete diventò insopportabile e la mancanza d'acqua un incubo. Qualcuno suggerì di andare a cercare giù, in sala motori. Siamo partiti in due, io e un altro amico d'infanzia. Siamo riusciti a scendere dopo due ore e mezza, perché non si riusciva a farsi strada fra la gente. La sala motori era enorme, alta, con scale di ferro unte d'olio che gocciolava da tutte le parti. E

favore di cittadini interessati da fenomeni migratori di portata staordinaria" del 18 agosto 1991. 25 Dichiarazione del Ministro degli Interni Scotti.

Mino Fucillo, Nessuna resa e lo dimostreremo, La Repubblica, 17 agosto 1991, p. 5.

26 "Alle quattro del mattino la nave era in vista del porto, e da quello che mi riferirono gli ufficiali della Capitaneria che l’avevano vista, mi resi subito conto che noi, a Brindisi, non eravamo nelle condizioni di gestire la situazione. In quel momento avevamo, tra il campo di Restinco, un paio di camping e qualche albergo, circa quattromila albanesi a Brindisi, in parte la coda del grande sbarco di marzo, in parte accumulatisi con lo stillicidio di arrivi delle precedenti settimane: non avremmo davvero saputo come far fronte a una nuova ondata di quelle dimensioni".

Bruno Pezzuto, allora viceprefetto di Brindisi.

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2011/5-agosto-2011/20mila-disperati-finirono-prigionierilo-sbarco-vlora-venti-anni-fa-1901243680065.shtml

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poi era buio. Qualcuno aveva tagliato uno dei tubi di raffreddamento e la gente era scesa di corsa a bere. Praticamente abbiamo lottato per riuscire a fare un sorso a turno. Non dimenticherò mai il forte sapore del gasolio. Ricordo che, nelle interviste successive, il Capitano raccontò che finita l'acqua dei motori venne usata quella del mare come liquido di raffreddamento”28

Alle 11 di mattina, prima che il Vlora attraccasse al porto di Bari, centinaia di giovani albanesi si lanciarono in mare nel tentativo di raggiungere la banchina a nuoto:

"[...] una scena biblica sembrava che un’invisibile regista stesse girando un film".29

Ma non era un film. Attraccata la nave, dalle cime di ormeggio si calarono a decine toccando terra e inginocchiandosi.

Nel porto la situazione si fece fin da subito incandescente per le precarie condizioni fisiche dei nuovi arrivati, per lo stress emotivo dovuto all'estenuante viaggio e per la reazione delle autorità italiane che non si configurò come la più accogliente che si potesse sperare. La nave venne fatta ormeggiare nel punto più lontano dalla città, all’estremità della diga foranea, una banchina larga una ventina di metri, appena al di là dell’ultimo piazzale di carico, lungo i due chilometri di asfalto del cosiddetto molo Carboni, dove il caldo, per quanto possibile, non poteva che essere peggiore. La scelta di partire dal proprio Paese natale era nata lungo le strade di Durazzo, con il progetto-sogno di fuga per una vita migliore; dalle campagne dove tutto era immobile, quella nave doveva essere la culla momentanea del sogno. Poi, al momento dell'arrivo, tutti avrebbero imboccato singolarmente o uniti a un piccolo gruppo la propria strada nel nuovo continente così come fece Eva una delle protagoniste delle storie raccolte in rete.

"Racconta Eva30 che quando a Durazzo si sparse la voce di una nave in partenza per l’Italia, lei stava già correndo per salirci sopra, trascinando per un braccio il marito Meki. L’Albania per Eva era diventata una prigione. “Quel regime nessuno osava criticarlo apertamente. Per me scappare era rompere un tabù, manifestare apertamente quell’odio che covavo in silenzio”. L’odore e il rumore di quel viaggio le sono rimasti dentro. Come le è rimasta dentro la solidarietà che si respirava a bordo della Vlora. Tutto cambia una volta arrivati al porto e peggiora dentro lo stadio, quando si scatena la lotta di tutti contro tutti . “E’ come se avessi potuto assistere all’evoluzione umana nell’arco di poche ore: bastarono qualche bottiglietta d’acqua e qualche panino lanciati a casaccio dai poliziotti per trasformarci da compagni uniti

28 Daniele Troilo, Dall'Albania all'Italia vent'anni dopo, vi racconto l'inferno, skytg24, 8 marzo 2011 29 http://www.lsdmagazine.com/bari-storia-di-una-citta-1991-l%E2%80%99anno-del-nostro-scontento/8045/ 30 http://elvirapollina.wordpress.com/2011/03/14/che-fine-hanno-fatto-gli-albanesi-sbarcati-venti-anni-fa/

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nella stessa sorte a nemici in lotta l’uno con l’altro per la sopravvivenza”: Eva e Meki passano una notte a dormire sulla gradinate. “Poi qualcuno disse che c’erano degli agenti che lasciavano passare le donne”. Anche in questo caso è Eva a prendere il marito per il braccio e a trascinarlo fuori."

Fin da subito le infuocate banchine dello scalo si dimostrarono non adatte a contenere tutte quelle persone che, cordonate dagli agenti, non avevano modo di uscire dal porto. Le istruzioni furono di spostare la moltitudine allo stadio. Per il trasporto all'impianto vennero usati gli autobus di linea della Atmb.

"Non c’è nessuna partita, l’impianto è chiuso da tempo. Eppure i pullman scaricano migliaia di uomini, donne e bambini."31

"In cento su ogni autobus, vengono fatti scendere soltanto dalla porta davanti, uno alla volta. Li aspetta una delusione."32

Ciò che rimase maggiormente impresso nella memoria della maggioranza degli italiani fu la violenza che si scatenò all’interno dello stadio. Scontri tra profughi e polizia, violenza tra profughi, recrudescenza di tensioni tra fazioni importate dalle città d'origine, violenza di individui singoli che diventano folla. Quest'evento venne puntigliosamente documentato dalle telecamere nostrane, e contribuì allo sviluppo dell' "antipatia" verso i nuovi arrivati

"And today, the police said, some Albanians at the soccer stadium looted a car and some mopeds and drove them recklessly among their compatriots, causing panic. Later, a small group set fire to a Red Cross office and a garage at the stadium, destroying three cars, office furniture, medicine and food, Red Cross officials said."33

La folla non esisteva, come tale, in Albania, se non inquadrata in un ottica di regime.

Lo stadio-contenitore aggregò gli individui, in una folla tagliata fuori dal mondo, bagnata dagli idranti e nutrita dal cielo con alcuni elicotteri dell’esercito italiano che lanciavano viveri. La folla albanese è partita in verità come un gruppo occasionale di persone accomunati dalla nazionalità e dal sogno di fuggire. Sulle navi della traversata non c'erano gerarchie e probabilmente i rapporti furono mantenuti al minimo indispensabile. Ma la consapevolezza di appartenere ad un gruppo può crescere nella misura in cui si acquisisce la consapevolezza di essere di fronte ad un ostacolo qualsiasi. Una volta costretto a trovare un modus vivendi, il gruppo di reclusi nello stadio ha rivelato tutti i suoi punti deboli: si trattava infatti persone provate emotivamente, con molti maschi

31 Ivi.

32 Barbara Palombelli, La battaglia di Bari, La Repubblica, 9 agosto 1991, p. 2

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giovani, poche donne; pochi i nuclei familiari e tra i tanti, c’erano molti che ritenevano di meritarsi una collocazione alta nella gerarchia che si stava delineando. Le provviste, estromessi i responsabili della distribuzione dallo stadio34 vennero dapprima passate da un'autoscala dei vigili del fuoco e successivamente furono messi direttamente nella mani degli autoproclamatisi capi popolo, fino alla sciagurata decisione dei lanci dagli elicotteri. Quello riservato alle persone che si trovavano all'interno dello stadio venne considerato da molti un trattamento bestiale che si andava a sommare alle tremende pene patite da questo popolo in fuga, educato dalla storia a non abbassare la testa, ulteriormente umiliato dalla contenzione. Dopo pochi giorni la misura fu colma e seguì la reazione violenta alle privazioni imposte. I cordoni costituiti intorno allo stadio non sempre sostennero la spinta dei profughi, che a gruppi riuscirono a scappare. I reparti italiani contennero, ma solo a fatica, i continui tentativi di sfondare le porte che erano state chiuse anche dall'esterno con dei camion dell'esercito, un gesto che esacerbò ulteriormente gli animi35 .

Chi scappava, incontrava spesso la solidarietà degli abitanti locali.

"Tra loro c’è chi ricorda di aver dato ospitalità a famiglie albanesi, «che ora sono a New York», chi racconta la corsa a fornire cibo, vestiti, acqua. Chi invece il soccorso dei medici, il viavai delle ambulanze, gli spruzzi di acqua con l’idrante, il parto di due donne in ospedale e l’incontro con gli altri figli, ritrovati nel porto. Juan era piccolo, aveva sei anni. Suo padre era medico, e tutto il giorno era impegnato nelle cure d’emergenza, ma «tornava a casa felice». Lui, invece, al porto, giocò a pallone con dei bambini. E Monica, anche lei all’epoca giovanissima, regalò a un bambino suo coetaneo una pescanoce, e non dimenticherà mai «che la divorò in tre bocconi, e mangiò anche il nocciolo, masticandolo fino a quasi rompersi i denti»"36.

Subito dopo il primo giorno vennero sospesi i trasferimenti dal molo Carboni, spaccando ulteriormente le famiglie e lasciando in balia del malgoverno e dei clan i seimila che si trovavano nello stadio. Sulla Vlora, il mercantile di 9 mila tonnellate di stazza, restarono 30 persone e un morto.

A terra, era di scena l'impotenza di uno Stato colto di sorpresa per la seconda volta in cinque mesi37, e che riservò agli arrivati di agosto, un trattamento peggiore rispetto a quello toccato in sorte ai fuggiaschi di marzo. Questo, se l'italiano medio ne ebbe percezione sui giornali, dove alla

34 La Croce Rossa

35 http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2011/5-agosto-2011/20mila-disperati-finirono- prigionierilo-sbarco-vlora-venti-anni-fa-1901243680065.shtml

36 http://www.linkiesta.it/vlora-albanesi-bari-1991 37 Il riferimento è agli sbrachi del marzo 1991.

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solidarietà in quei giorni andava progressivamente sostituendosi un forte malessere ed una campagna di discredito, l'albanese immigrato lo viveva sulla propria pelle:

"The Italians don't help us. They helped our friends who came to Italy earlier. Us, they don't help."38

Il ministro Martelli, del resto, nel difendere le politiche del governo era stato chiaro: "Non tollereremo assolutamente una nuova immigrazione clandestina dall'Albania come quella degli ultimi mesi"39 Nel braccio di ferro con il governo centrale il sindaco Dalfino ottene solo di far montare in uno spiazzo adiacente allo stadio una piccola tendopoli: lì, a sera, le mamme albanesi portarono a mangiare e a dormire i figli. Donne e bambini, uscivano la sera per rientrare la mattina nel campo sportivo. Per la prima volta con pasti caldi e latte. Attorno allo stadio la tensione cresceva inesorabilmente, si susseguivano i tentativi di sortita40, sassaiole degli albanesi contro la polizia e cariche della polizia contro gli albanesi che tentavano la fuga. Al porto la situazione dell’ordine pubblico era un poco più sotto controllo, anche se si registrò l'assalto e il saccheggio di una nave battente bandiera maltese41 ormeggiata a poca distanza dalla Vlora.

"Sullo spiazzo antistante gli autobus vuoti aspettano il loro carico umano sfinito e maleodorante. E' un attimo: da un ingresso laterale una valanga di migliaia di disperati, travolge le poche decine di agenti e di carabinieri. Un gruppo, con i coltelli, taglia le gomme di una Uno dei carabinieri. I profughi, come indemoniati, sferrano calci e bastonate contro i pochi terrorizzati ragazzini di leva che l' esercito ha mandato qui da Trani. E' una scena da film, da guerriglia sudamericana: dall' alto, in cima alla tribuna, gli albanesi scagliano sulle forze di polizia termosifoni, caldaie, scarpe, sassi e oggetti trafugati dallo stadio. La massa avanza, qualcuno scappa verso i cancelli della confinante Fiera del Levante e inizia un' improbabile fuga verso la libertà [...]"42

Era lampante la condizione di difficoltà di tutti coloro che erano scappati da una nazione in fallimento come l'Albania di allora, ma la politica rispose con severa rigidità alle richieste di asilo avanzate dai "rifujat" e la decisione fu di rimandarli a casa. "Non siamo assolutamente in grado di accoglierli". Da Cortina, Giulio Andreotti chiuse così la saracinesca italiana davanti alla nuova

38 Alan Cowell, Crestfallen Albanians Speak of Death, International New York Times, Agosto 11, 1991 39 Ivi.

40 Secondo Daniele Viccari, nel documentario "La Nave dolce", furono 1500 coloro che riuscirono a scappare dallo stadio.

41 "In cielo, esplodono razzi luminosi. Arrivano dalla nave maltese Susan, che è stata occupata dagli albanesi delle retrovie che si divertono a giocare con le pistole che hanno trovato a bordo. Ma le autorità presenti negano l' evidenza dei fatti. Per loro l' assalto alla nave non esiste."

Barbara Palombelli, L'inferno chiamato Bari, La Repubblica, 10 agosto 1991 42 Ivi.

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marea albanese. L'espulsione dal nostro territorio degli sbarcati, era la prima volta che tale istituto veniva attivato per così tanta gente, non fu semplice.

La resistenza albanese alla prospettiva di rimpatrio venne piegata con false promesse e con l'inganno. Addirittura in quei giorni venne approntato un "negoziato all' italiana": offerta di jeans, camicie e scarpe, una manciata di soldi, un biglietto da 50 mila lire, consegnato in segreto da un funzionario della prefettura ("un' iniziativa personale del capo della polizia") a chi accettava di salire su traghetti e aerei e tornare in patria.43 La sera del 8 agosto, fu quella più difficile "Trecento profughi sono fuggiti, dallo stadio della Vittoria poco dopo le dieci di sera, forzando il blocco e abbattendo un cancello."44 All' interno dello stadio esplose improvvisa la rivolta:

"è stata battaglia con armi e coltelli nascosti sotto i pantaloni. Dalle tribune più alte piovevano pietre e blocchi di marmo divelti dagli spalti verso i carabinieri che, in assetto di antiguerriglia, hanno risposto sparando in aria e usando i manganelli davanti alle entrate [...] La caccia all' uomo è andata avanti fino all' alba. Alcuni sono stati ripresi."

Il 9 agosto il traghetto Tiziano cominciò ad imbarcare i profughi mentre, a gruppi di sessanta altri albanesi vennero trasferiti all’aeroporto di Bari Palese per essere imbarcati sui C130 dell’areonautica che decolavano per Tirana ogni mezz'ora. A tutti venne raccontato che il trasferimento era verso altre città italiane, che l’aereo li avrebbe portati a Roma e la nave a Venezia e a Genova. Tutte fandonie. Passarono comunque tre giorni e si dovette attendere l’arrivo di altri due traghetti, l’Espresso Grecia e il Malta, prima che il molo si svuotasse del tutto.

La testimonianza più diretta è quella dell’ispettore di Polizia Nicola Montano, che all’epoca dei fatti seguì tutte le operazioni di sbarco e di respingimento alla frontiera di tanti albanesi.

“Ebbi l’incarico di far imbarcare tutti sulla “Tiziano” per il ritorno in Albania. Arrivò un pullman carico di persone e mi colpì la disperazione di una donna che piangeva. Le chiesi cosa le fosse successo e mi disse che aveva perso la sua bambina e che non voleva andare da nessuna parte senza di lei. Avevo l’ordine di rimpatriare tutti, ma non potevo rimandare indietro quella donna senza sua figlia e non lo feci.”

La maggior parte dei presenti nello stadio aveva ceduto alle bugie e aveva accettato di farsi caricare sui mezzi dalle forze dell'ordine. Tra questi erano presenti i militari che godevano, paradossalmente, di una situazione, burocraticamente, privilegiata rispetto alla possibilità di restare in Italia; per gli altri, rimanevano gli atti di autolesionismo, ultimo e disperato escamotage per evitare il rientro.

43 Claudio Gerino, Trecento mila Lire per non tornare, La Repubblica, 13 agosto 1991, p. 3 44 Barbara Palombelli, La battaglia di Bari, La Repubblica, 9 agosto 1991, p. 2

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Rimanevano, quindi, coloro che avevano in gioco di più, tra le duemila e le tremila pesone. Coloro che avevano disertato e che, se rispediti a casa, avrebbero pagato con la vita la loro voglia di libertà e di cambiamento.

"Racconta Eugenio Santoro, assistente capo della polizia: "Sono tanti, sono quelli a cui avevano dato l' ordine di sparare contro i fuggiaschi. Invece di obbedire hanno disertato e si sono buttati a mare per seguire i loro fratelli. Alla fine, saranno forse i più avvantaggiati: hanno guadagnato sul campo la qualifica di rifugiati politici"45

Molti accettarono di partire, ma non tutti.

A questi ultimi, noti alle cronache nostrane come gli "irriducibli", dopo altri tre giorni di assedio venne riservata l’ultima bugia: "Avete vinto, potete restare in Italia", venne detto loro auspicando un trasferimento verso le regioni del Nord.46 Coloro che non avevano accettato le proposte del governo italiano erano circa 2000, tra cui uomini armati47 ma anche famiglie e bambini nel numero di 1500, la maggior parte. Da tutti era arrivata la richiesta di asilo, ed "hanno chiesto di restare in nome di una persecuzione politica, perché hanno mostrato i segni di torture [...]".

Se le cose non fossero state così complicate, e non vi fosse il rischio di vedere violate norme internazionali riguardanti i diritti umani, il governo italiano era pronto a misure più drastiche per risolvere il problema, a cambiare, come diceva Enzo Scotti, la tattica, ma non la strategia (rimpatrio completo)

"Erano pronti i Nocs, ma abbiamo scelto di cambiare tattica, non strategia: farli uscire, frazionarli, controllarli e quindi adottare per tutti quelli che non hanno diritto all' accoglienza i provvedimenti di rientro in Albania"48

Alla fine, senza neanche le cinquanta mila lire ventilate, vennero rimandati a Tirana, dove già si

45 Ivi.

46 Pittau F. Reggio M. , Il caso Albania: immigrazione a due tempi, Studi Emigrazione, XXIX, n° 106, 1992, p. 228 47 "[Gli irriducibili] sono un gruppo di disperati in mezzo ai quali la fanno da padrone due squadre ben organizzate:

una viene da Durazzo, la seconda - la più organizzata, la più potente - è fatta da trenta giovanotti che arrivano tutti dallo stesso quartiere di Tirana, Ruga Bardhyl. Qualcosa di simile a una banda di hooligans, una delle tante nate all' improvviso tra il crollo della dittatura e la incerta nascita della democrazia, spinte dalla rabbia e dall' insoddisfazione in quella terra di nessuno del diritto creata dal cambio di regime [...] I racconti di chi è tornato a casa dicono che gli altri che, come loro, hanno fatto i "duri" durante il viaggio di andata, in Albania stanno incontrando severe punizioni. "Al porto di Durazzo ci sono stati dei pestaggi - racconta Mentor, arrivato in Italia a marzo - le squadre che avevano provocato gli incidenti a Bari sono state individuate e picchiate. Quelli che sono ancora nello stadio di Bari sanno che li attende una sorte simile. [...] Anche sulla presenza di armi si è fatto dell' allarmismo esagerato, almeno per quanto si è visto finora: il ministro degli Interni ha parlato di sedici pistole e un kalashnikov, che sono tutte armi di ordinanza dell' esercito"

Trenta teppisti di Tirana sono i capi della rivolta, Il Corriere della Sera, 14 agosto 1991 48 Mino Fucillo, Nessuna resa e lo dimostreremo, La Repubblica, 17 agosto 1991, p. 5

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tuonava contro di loro e contro la mancanza di risolutezza del Governo italiano.

"Se li tiene, il governo italiano avrà premiato tanti piccoli Saddam Hussein, a rischio di suscitare tensioni in quelli che sono tornati [...] Una decisione sbagliata e immotivata, un cattivo esempio capace di ritorcersi come un boomerang contro l'Italia, incoraggiando nuove ondate di profughi."

Così si esprimeva la riguardo Alfons Gurashi, il più noto commentatore televisivo dell'epoca in Albania. Il problema dell'esempio negativo dato alla popolazione era molto sentito dal governo di Tirana che aveva dato ordine di non far partire più nesuno, per nessun motivo, come raccontava un militare di leva di guardia al porto di Durazzo.

"Se è vero quello che mi raccontate, e cioè che l' Italia forse chiuderà un occhio nei confronti di quelli dello stadio, allora penso che sarà un bel problema per noi. Cercheranno di nuovo di prendere il mare. L' unica differenza rispetto al passato è che ora siamo autorizzati a usare qualsiasi misura pur d' impedire l' esodo. Qualsiasi misura, ho detto...". 49

Il presidente della Repubblica, Ramiz Alia, decise di dichiarare provvisoriamente zone militari strategiche i porti di Durazzo, Valona, Shengijn, Saranda.

E' doveroso ricordare che anche l'Alto Commissariato dell'Onu per i rifugiati politici (l' organismo che Palazzo Chigi aveva coinvolto direttamente nella gestione burocratica dell'emergenza) emise una nota in cui prendeva le distanze dalla soluzione a sorpresa trovata dal nostro Paese al problema, e ne teneva sotto controllo un altro, quello degli oltre cinquecento soldati e ufficiali accolti in un primo tempo e poi tranquillamente espulsi dato che "il governo italiano ha ottenuto chiare garanzie che non saranno processati al loro ritorno". In realtà, nei colloqui tra il ministro degli Esteri De Michelis (era volato a Tirana per fare pressioni sul governo perche non permetta/controlli maggiormente, le partenza dai porti) e il primo ministro Ylli Bufi non si ottenne la garanzia dell' impunità50, ma solo la garanzia che la loro sorte sarebbe stata giudicata con "umanità". Per il governo albanese era prioritario, oltre a non rovinare i rapporti con l'Italia, unico ramo verde della politica estera albanese, riavere a casa tutti i suoi cittadini per evitare di mostrare la propria

49 Alessandra Longo, Italia attenta, noi torneremo, La Repubblica, 15 agosto 1991

50 Una parte egli irriducibili erano militari ai quali era stato inizialmente propspettato un trattamento differente. "Ai 584 militari che avevano disertato dall'esercito albanese e avevano raggiunto la Puglia, era stato detto "I soldati avranno asilo politico", appena dopo lo sbarco dalla motonave Vlora a Bari "perchè se tornano in Albania gli ufficiali rischiano la fucilazione e i militari di truppa condanne pesantissime". Poi era calato il silenzio sulla loro sorte fino a ieri pomeriggio, quando il ministro dell' Immigrazione ha detto: "Non sarà automatico - aveva detto l' onorevole psi - il riconoscimento dello status di rifugiato a tutti i soldati, perchè è chiaro che la maggioranza di loro non sono rifugiati politici ma economici". Ancora più esplicito il ministro degli Interni Vincenzo Scotti, che aveva fatto capire chiaramente che - risolto il problema degli irriducibili - anche i soldati avrebbero seguito la medesima sorte".

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debolezza internamente.

"[...] Kastriot Islami, che dell' assemblea è il presidente, fa l' esempio di un padre che vizia i propri figli. La volta successiva ne vorranno di più e vedrete altri che ne vogliono".

Islami era socialista ma anche Besnik Mustafaj, un giovane scrittore deputato del partito democratico, era sulla stessa linea:

"Seicento persone sono un simbolo, soprattutto perché il governo italiano non cederebbe sui primi arrivati, ma sugli ultimi. Insomma, il messaggio sarebbe: chi la dura la vince. E la speranza di restare è il maggior incentivo a riprovare la fuga"51

A seguito della decisione di militarizzare i porti presa in Albania, confidando in un effettivo e fattuale interessamento a fermare i profughi alla partenza, il governo italiano decise "di far scattare il "piano di rientro" che a sera Scotti e Boniver annuncirono in una improvvisa conferenza stampa al Viminale: tracciando i piani di ciò che all' Immigrazione ricordando i grandi ponti aerei di Israele -chiamarono scherzando "la nostra piccola 'operazione Mosè' "52e che vide il Battaglione San Marco impegnato nell'accoglienza degli albanesi nella segretissima base di Porto Palermo53.

La popolazione albanese, al rientro dei compatrioti fuggiti rimase di stucco. Frustrata nelle proprie speranze. Il regime albanese cercò di mascherare quella massa di persone che da Porto Palermo avrebbe dovuto rientrare nei propri paesi. A questo proposito il governo attuò un dispiegamento di mezzi con un investimento al di sopra delle proprie forze requisendo gli autobus necessari.

Tutta l'Operazione Sardegna54, con la quale il governo italiano rimpatriò i 2500 "irriducibili", è stata

51 Maurizio Ricci , Tirana irritata, ma gli accordi erano diversi, La Repubblica , 15 agosto 1991, p. 5 52 Stefano Marroni, Linea dura del governo, non possono restare, La Repubblica, 09 agosto 1991, p. 7

53 Uno smacco per l'Albania che dovette aprire ed accettare la presenza di forze straniere in una delle proprie basi militari, quella in cui erano custoditi i sommergibili di Hoxha.

"Le autorità di Tirana, forse mortificate dalla vergogna di Bari, hanno messo a disposizione per l'amaro blitz la base navale per sommergibili di porto Palermo, luogo altrimenti irraggiungibile ai comuni mortali. La San Marco, con i suoi mezzi anfibi, era attesa proprio qui, dalle prime ore del mattino. [...] Una brutta data, il 10 agosto, per l' Albania. In un certo senso l' Italia invasa ha "reso la visita". Nelle acque limpidissime del porto di Palermo si è giocata una partita politica molto importante per il futuro del Paese. Il governo di Tirana doveva dimostrare all' Italia la sua buona fede, la sua buona volontà, forse anche il suo pentimento per quanto è successo. Per questo ha lasciato entrare i militari italiani nelle sue roccaforti più inaccessibili. E ha organizzato anche, con un sacrificio economico non indifferente un servizio di vecchi pullman e camion per trasportare i rimpatriati e allontanarli subito dal mare." Alessandra Longo, Italia ci tratti come bestie, La Repubblica, 11 agosto 1991, p. 3

54 Tutte le cifre dell' offensiva del Viminale Tremila agenti, Venti aerei per l'operazione rimpatrio "L' Operazione Sardegna" s' è conclusa a tarda notte. Il Viminale ha reso note le cifre del blitz. Alcuni dati, però, sono ancora coperti da riserbo, come il numero complessivo di aerei civili impiegati (dovrebbero essere comunque una dozzina, tutti dell' Alitalia) e quello dei militari impegnati nell' operazione. Il ministero dell' Interno ha però fornito anche un consuntivo dell' intera emergenza profughi. L' 8 agosto sono arrivati, a Bari, 16.317 albanesi. A Brindisi, Lecce, Otranto e Siracusa, invece, ne sono sbarcati 4227. Al 14 agosto erano stati rimpatriati 17.467. In Italia ne rimanevano 2.665. Per farli tornare a casa sono stati impiegati 3.000 uomini (1.200 poliziotti, 1.200 carabinieri e 600 guardie di Finanza), l' intera 46esima aerobrigata (una ventina di velivoli "C 130" e "G 222") che hanno compiuto una sessantina di missioni, una ogni quaranta minuti, in "tandem" con le partenze dei voli speciali Alitalia.

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criticata dall'Alto Commissariato per i rifugiati politici non solo per il fatto di non essere stato preventivamente consultato, ma anche per il comportamento delle autorità italiane verso i profughi che sono stati "raggirati".

"Ai rifugiati è stato fatto credere che avrebbero potuto avviare la procedura di asilo", ha detto Sergio Vieria De Mello, ex direttore per le relazioni estere dell' Alto Commissariato. "Le Nazioni Unite non hanno avuto alcun ruolo nell'operazione di rimpatrio. Non siamo stati informati né delle modalità né dei dettagli del piano", e questo "malgrado le autorità italiane avessero assicurato che l' Alto Commissariato dell' Onu avrebbe contribuito a stabilire chi aveva i requisiti per l' asilo politico e chi no"55. Si poteva forse evitare di utilizzare il nome delle Nazioni Unite per dare credibilità all' intera operazione.

Il 16 agosto l’International Herald Tribune e tutti i giornali del mondo poterono titolare che l’invasione di Bari era stata respinta. "Il sogno italiano di una notte d'estate", come lo definisce il quotidiano "Pasqyra" (lo Specchio), organo dei vecchi sindacati unitari ex comunisti, è finito. "Un breve sogno come tutti i sogni"."Gli albanesi dovranno costruire la loro vita in Albania", titolava, non in apertura di giornale, ma pur sempre in prima pagina, lo Zeri I Populitt.

Il ministero dell'Interno Vincenzo Scotti giustificò il sotterfugio.

"[...] un governo che, per evitare il peggio, assume un impegno con duemila poveracci, indica una procedura, ottiene il consenso, sapendo già in partenza che a quei duemila poveracci sta vendendo una gigantesca patacca, va incontro inevitabilmente ad un crollo drammatico di credibilità. Questo non è neppure "ésprit florentin"; questa è una caduta di stile che rende ancor meno affidabile il Paese Italia, sulla cui parola, evidentemente, è assai rischioso fare conto. E così si chiude la sciagurata operazione Albania. Speriamo almeno che serva."56 Rispetto ai mille circa che vennero autorizzati a restare in Italia, una commissione speciale (riunitasi il 20 agosto) prese in esame le domande di asilo.

Sembrava passata un' eternità dai giorni del luglio 1990, quando il governo italiano pensava di creare una task force per aiutare gli albanesi a lasciare il loro Paese, organizzando un espatrio di massa con le navi passeggeri della nostra flotta civile. Cinque mesi più tardi la task force venne invece organizzata per fermare il fermabile di questa invasione condotta con ogni mezzo, nel tentativo di fronteggiare in qualche modo l'inesauribile inventiva che questa popolazione stava

Superlavoro anche per i controllori del traffico aereo che hanno coordinato i flussi di traffico verso l' Albania. Claudio Gerino, Il sabato nero degli albanesi, La Repubblica, 18 agosto 1991

55 Luca Fazzo, L' ONU boccia l'Italia, albanesi cacciati a nostra insaputa, La Repubblica, 20 agosto 1991, p. 23 56 E.S., Un segnale dall'Italia, La Repubblica, 18 agosto 1991

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dimostrando nel trovare un modo per raggiungere l' Italia.

Fondamentale per una chiara ricognizione degli eventi, l'intervista rilasciata proprio dal sindaco: "Torniamo alla mattina di giovedì 8 agosto", racconta il sindaco. In prefettura, alle 9, c' è una riunione d' urgenza. Il viceprefetto comunica a Dalfino che s' è deciso di fare sbarcare gli albanesi e portarli allo Stadio Vecchio. Lo Stadio Vecchio, fa sapere il sindaco, è parzialmente inagibile. Ma il Ministero dell' Interno non sente ragioni espropriando lo stadio come affare di Stato, e chi chiede l' intervento della Protezione Civile e dell' Esercito, o non ottiene risposta o gli viene detto di "non dare consigli". Intanto allo stadio regna solo il caos. Si scopre che il custode dello stadio è praticamente prigioniero in casa con la famiglia. La polizia non può intervenire e, allora, è il sindaco stesso ad andarlo a prendere. Venerdì 9. Precipita la situazione anche al molo. Le forze dell' ordine si attestano alla fine della diga foranea. La banchina diventa "terra di nessuno" e gli albanesi si impadroniscono di due navi in disarmo. Allo stadio i pasti, solo panini, vengono lanciati agli albanesi o gettati da un elicottero. E si scopre un nuovo dramma, quello delle donne e dei bambini che da 48 ore non mangiano dentro lo stadio. Il Comune apre una trattativa con i profughi: si riesce a organizzare una tendopoli fuori dallo stadio. Donne e bambini, circa 200, usciranno la sera e ritorneranno la mattina nel campo sportivo. Per la prima volta con pasti caldi e latte. Sabato 10. C' è il problema dei fuggiaschi e il Comune diffonde un appello alla popolazione: "Non sono criminali, date loro cibo, vestiti ed acqua, poi cercate di convincerli a presentarsi ai centri d' accoglienza". Domenica 11. E' l' emergenza sanitaria a caratterizzare la giornata, assieme ad una nuova "battaglia" allo stadio e al molo. L’11 agosto iniziano le operazioni di rimpatrio. Restano, fra lo stadio e il porto, duemila ‘irriducibili’, gente disposta a tutto pur di non tornare in Albania, prevalentemente militari che in patria avrebbero pagato cara la loro diserzione, con la corte marziale Con questi il governo italiano arriverà ad un nuovo compromesso. Trasferimenti in varie zone d'Italia con la promessa di esaminare individualmente i singoli casi di richiesta di asilo politico ma poi ingannati e frettolosamente rimpatriati. Un cinico bluff del governo italano in una partita al ribasso con gente stremata da giorni di fronteggiamento con esercio e polizia. Gli ospedali sono ormai saturi, i presidi sanitari non hanno medicine e personale. In un intervista al "Manifesto", al sindaco viene attribuita la definizione di "stadio lager". E' la molla che fa scattare l' ira del ministro degli interni Scotti e, poi, quella di Cossiga. Lunedì 12. Primo incontro tra Parisi e il sindaco. Il capo della polizia assicura che non ci saranno interventi armati. Ma a preoccupare è soprattutto il rischio di epidemie. La situazione, riferiscono i responsabili della sanità a Dalfino, è ormai al limite. E il sindaco si rivolge ancora al ministro Scotti, così come aveva fatto già sabato e domenica. Ma non ci sono risposte. Martedì 13. Cossiga arriva a Bari e chiede le dimissioni del sindaco, "cretino e

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irresponsabile". A sera, l' annuncio: "Accoglimento" provvisorio per gli irriducibili, poi si vedrà. Mercoledì 14. E' la fine dell' emergenza. Da Pian Cansiglio comunica ufficialmente di avere chiesto al governo di dimissionare Dalfino

1.3 Contesto storico albanese

Per quanto possibile l'esito della competizione elettorale della primavera (31 marzo 1991) spaccò ancor più la popolazione: non a caso il periodo viene definito "forcat e erreta", il periodo delle forze oscure. La vittoria fu, come era immaginabile, del PLA (169/250 seggi all'Assemblea popolare, gli ultimi sei raggiunti al ballottagio)57 seguito da PD (75/250) e Omonia (3/250) ma segnata dall'umiliante 36% di Alia a Tirana e dalle inaspettate vittorie di Berisha a Kavaje e di Pashko a Valona (80%). Le organizzazioni internazionali certificarono le elezioni come "free and fair" nonostante le denunce di pressioni da parte del PD e dell'effettiva impossibilità di acceso ai media. Nonostante lo scontato esito della competizione, il dato rilevante è l'esplosione dei consensi a favore di un partito nato solo tre mesi prima. La vittoria dei comunisti ed il rifiuto di un governo di coalizione58 da parte del PD determinò un impennata della tensione nel Paese, seguì uno stillicidio di attacchi alle sedi del partito avversario e manifestazioni imponenti come quella dell'aprile a Scutari, una delle città roccaforti del PD, dove vi furono quattro vittime59.

Nello scenario politico, la vittoria dei comunisti aveva spinto sempre più lontano dalla via parlamentare l'opposizione, insaprendo, per contrasto, le posizioni dell'ala più conservatrice del PLA e rendendo ulteriormente ostico il lavoro del Presidente. Alia aveva iniziato ad attuare un vasto progetto di riforma che rispondeva all'esigenza di tutela dei diritti negativi dell'individuo, la cui violazione era ora sanzionata costituzionalmente. Questo rappresentò una svolta importante per un Paese sottoposto all'onnipotenza della polizia segreta. La riconquista della libertà, però, si accompagnò ad un generale crollo dei valori ed i nuovi diritti concessi da Alia si tradussero nella sola libertà di fuggire all'estero. All'interno del Paese niente funzionava più e la disoccupazione toccava il 70% con un'infalzione al 260%60

Non essendo stato possibile arrivare ad una effettiva Carta Costituzionale61 venne decisa

57 Aveva raggiunto i 2/3 della maggioranza parlamentare potendosi così permetere di modificare la Costituzione senza ricorrere al sostegno di altre forze politiche.

58 I rifiuti del PD furono due, il primo a ridosso dei risultati elettorali, il secondo dopo i 4 morti di Scutari.

59 Tra di loro Arben Brozi, uno degli studenti che aveva trattato con Alia. Solo dopo l'apertura di una commissione d'inchiesta, i democratici decideranno di sedersi sugli scranni parlamentari, boicottando così la prima giornata di insediamento del nuovo Parlamento.

60 Pettifer J. Vickers M., Albania, dall'anarchia a un'identità balcanica, Asterios, agosto 1997, p. 101 61 Il Pd si ritirò sull'aventino ed il 16 aprile non partecipò alla prima seduta del Parlamento

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