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Sintesi di gelatina modificata con isocianati idrofobici e proprietà dei prodotti ottenuti

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

1.1 MATERIALI DA FONTI RINNOVABILI

Negli ultimi venti anni l’interesse per i polimeri ottenuti da fonti rinnovabili è cresciuto sia nell’opinione pubblica che in ambito industriale principalmente per due fattori: l’interesse sempre maggiore verso i problemi ambientali e la consapevolezza che le nostre risorse petrolifere non sono inesauribili.

Generalmente i polimeri da fonti rinnovabili possono essere divisi in tre principali gruppi[1]:

 polimeri naturali, come amido, proteine e cellulosa

 polimeri di sintesi ottenuti da monomeri naturali, come l’acido polilattico (PLA)

 polimeri ottenuti per fermentazione batterica, come il poliidrossibutirrato (PHB).

Nonostante l’utilizzo dei polimeri naturali (ad esempio carta, pelle, e seta) risalga all’antichità, la disponibilità di petrolio a basso costo ha rallentato il loro utilizzo nell’ultimo secolo. Solo con la crescita dell’attenzione verso le politiche ambientali, si è tornati a rivalutare tali materiali e a studiarli al fine di estendere il loro utilizzo in settori nuovi.

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1.2 LA GELATINA

1.2.1 Proprietà chimico-fisiche della gelatina

La gelatina è una proteina denaturata ottenuta per degradazione strutturale e chimica del collagene[2].

Strutturalmente è caratterizzata dalla stessa sequenza amminoacidica del collagene (Figura 1.1), che vede il ripetersi lungo la catena di una tripletta di amminoacidi (di cui uno è sempre la glicina) e l’organizzazione a tripla elica delle catena polipeptidiche. HN CHC CH3 O H N CH C H O N C O NHCH C CH2 O CH2 CH2 NH C NH2 NH H NCHC H O NHCH C CH2 O C OH O N C O OH NHCH C H O N C O NHCH C H2C O O H2C CH2 CH2 NH2 Figura [1.1]: Struttura primaria della gelatina

La gelatina commerciale è ottenuta dall’osseina (osso demineralizzato), dalla pelle di suino, dal pellame di bovino, dalla pelle dei pesci, e dal pellame d’asino (in Cina).

Durante il processo di produzione della gelatina, le catene che costituiscono la tripla elica del collagene vengono parzialmente separate e spezzate, per cui la gelatina è caratterizzata da una distribuzione piuttosto ampia di pesi molecolari (da 20.000 a 250.000)[2].

I processi per produrre gelatina dal collagene sono sostanzialmente due: uno che opera in ambiente acido e il secondo in ambiente alcalino[2][3]. Durante tali processi alcuni residui amminoacidici vengono parzialmente idrolizzati per cui la composizione amminoacidica della gelatina risulta dipendente dal tipo e dalla severità del processo di produzione. In particolare la gelatina commerciale è

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denominata di tipo A se ottenuta con il primo processo, di tipo B se ottenuta con il secondo.

La gelatina è caratterizzazione da diversi livelli strutturali (primaria, secondaria e terziaria). La struttura terziaria può essere globulare o di tripla elica, in analogia con i polimeri sintetici a catena lineare. Essa, in soluzione acquosa ad elevate temperature, assume la conformazione di un gomitolo statistico con un ampia varietà di conformazioni dipendenti dalle specifiche condizioni di temperatura, di solvente e di pH[5]. Inoltre, la gelatina può formare una larga varietà di strutture supermolecolari, da quella più semplice globulare, tipica dei polimeri amorfi, ad una struttura fibrillare ben sviluppata.

Tuttavia la gelatina ha anche proprietà tipiche dei biopolimeri, quale per esempio il carattere anfotero dovuto alla presenza di gruppi funzionali sia acidi sia basici, distribuiti lungo la catena proteica[2]-[4]. Come tale, la gelatina ha un punto isoelettrico, ossia esiste un valore di pH al quale la gelatina in soluzione assume carattere neutro, il cui valore può variare nell’intervallo 4,8-9 in dipendenza del processo di produzione.

Altra caratteristica che accomuna la gelatina ai biopolimeri è l’interazione specifica con l’acqua[2],[5]: è in grado infatti di assorbire grandi quantità di acqua fino a 5-10 volte il suo peso; inoltre in soluzione alle basse temperature, la gelatina forma un gel, dove porzioni di catena sono organizzate in strutture a tripla elica, interagenti tra di loro tramite legami ad idrogeni. Infatti durante il raffreddamento delle soluzioni acquose le macromolecole tendono a riarrangiarsi in segmenti di tripla elica (rinaturazione) che agiscono come punti di reticolazione dovuti a legami ad idrogeno termoreversibili e rendono possibile la gelificazione. La velocità di tale processo dipende da più fattori quali la presenza di reticolazioni chimiche, il peso molecolare, la composizione amminoacidica e la concentrazione di gelatina in soluzione. Inoltre esso è termicamente reversibile[3] (comportamento tixotropico).

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1.1.2 Impieghi della gelatina

La gelatina ha il pregio di essere facilmente reperibile, abbondante e a basso costo. Anche per questo essa è stata impiegata negli ultimi 40 anni in svariati campi[2],[3]:

 in campo alimentare per la preparazione di carni in scatola, maionese, insaccati, dolci, e come additivo nell’industria vinicola per le sue proprietà schiarenti;

 in campo fotografico per la preparazione di pellicole e lastre fotografiche: di fatto, la gelatina rappresenta il miglior mezzo disperdente per il bromuro d’argento che risulta così protetto dall’azione indiscriminata delle sostanze rivelatrici;

 in campo cosmetico e farmaceutico per la preparazione di capsule, creme, unguenti, e numerosi eccipienti, nonché come terreno di coltura batteriologica.

La gelatina riveste inoltre un notevole interesse come biomateriale grazie anche alle sue proprietà di biocompatibilità e biodegradabilità.

Dal momento che la gelatina è solubile in acqua, i materiali a base di gelatina per applicazioni biomediche a lungo termine devono essere stabilizzati rispetto ai fenomeni idrolitici causati dall’acqua e/o dagli enzimi mediante l’introduzione di modifiche chimiche.

La gelatina chimicamente modificata trova vasta applicazione nell’ambito dei biomateriali per la preparazione, per esempio, di membrane per dialisi, fasciature per tessuti ustionati e pelle artificiale, dispositivi cardiovascolari, fasci nervosi, e in sistemi d’impianto per il rilascio controllato di sostanze biologicamente attive[6]-[8]. Ulteriori potenziali impieghi possono essere trovati nel trapianto di cellule staminali e nelle applicazioni ortopediche, per esempio, nell'innesto di sostituti dell'osso[6]-[8].

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1.3 MISCELE POLIMERICHE (BLENDS)

Da tempo la scienza cerca di mettere a disposizione della moderna tecnologia materiali che presentino proprietà apparentemente inconciliabili tra loro: alti moduli elastici accoppiati a buone resistenze all’impatto, leggerezza in materiali ad alta tenacità, facilità di fabbricazione accoppiata ad una alta temperatura di esercizio continuato. Tali proprietà possono tuttavia difficilmente essere ottenute con un unico materiale ed è necessario ricorrere a sistemi complessi formati da almeno due componenti che possono essere accoppiati in fase di sintesi oppure per miscelazione di polimeri preformati[9]. A seconda che tra le unità di ripetizione dei due componenti si possano o meno instaurare interazioni con energia sufficiente a far mescolare le macromolecole, si può avere la formazione di un sistema monofasico o di un sistema bifasico con totale o parziale segregazione dei singoli componenti[9].

La preparazione di miscele meccaniche, macroscopicamente omogenee (nel fuso, in soluzione, o in fase dispersa), rappresenta il metodo tradizionale per combinare fisicamente due o più differenti materiali polimerici.

Tra gli esempi di miscele polimeriche, ricordiamo quelle tra polimeri naturali e polimeri sintetici dette Materiali Polimerici Bioartificiali. In questo caso, l’aggiunta del componente sintetico ha lo scopo di superare le limitazioni dei polimeri ottenuti da fonti rinnovabili, quale per esempio il loro carattere idrofilico che, in genere, è accompagnato da un’elevata velocità di degradazione. Tale peculiarità è positiva per certe applicazioni, ma negativa quando si vogliono dal materiale buone proprietà meccaniche in ambiente umido[1]. L’aggiunta del componente sintetico permette per esempio di combinare le buone proprietà meccaniche e di processabilità del polimero sintetico con quelle di biocompatibilità del polimero biologico (Figura 1.2). Per tal motivo i materiali polimerici bioartificiali possono essere utilizzati in ambito biomedico in quanto come tali non causano i problemi di compatibilità tipici dei materiali polimerici sintetici. Le interazioni tra polimero sintetico e sistema biologico sono infatti

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6

attenuate dalla presenza del componente naturale (biopolimero). Eventualmente il componente sintetico può essere modificato in fase di preparazione tramite l’introduzione di opportune funzionalità che aumentano la biocompatibilità con il tessuto biologico[10].

Figura [1.2]: Schema per la produzione di materiali polimerici

bioartificiali[11]Errore. L'origine riferimento non è stata trovata.

Per le dette applicazioni sono stati studiati materiali derivanti dalla combinazione di macromolecole naturali quali fibrina, collagene, acido ialuronico, o amido con polimeri sintetici. In questo caso è stata sfruttata la solubilità in acqua di entrambi i componenti: quello naturale e quello sintetico (poli(vinil alcol), poli(acido acrilico), poli(acido vinilsolfonico) e poli(acido stiren solfonico)). In questo modo è stato possibile ottenere nuovi materiali in un'ampia varietà di composizioni con proprietà fisico-meccaniche e biocompatibilità[11]-[17] variabili in un ampio intervallo.

Tra i polimeri naturali il collagene (CLG) è ampiamente studiato grazie alla sua diffusione nei tessuti degli organismi animali e alla sua bassa

Miscele, IPN,

Composite

Polimeri Biologici

Buona biocompatibilità Bassi costi di produzione Buone proprietà meccaniche

Scarsa biocompatibilità Bassi costi di produzione Buone proprietà meccaniche Materiali Polimerici

Bioartificiali

Polimero Sintetico

Buona biocompatibilità Alti costi di produzione Scarse proprietà meccaniche

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immunogenicità grazie alla quale può essere riconosciuto da un tessuto biologico come un costituente normale. La sua natura fibrosa gli conferisce la resistenza tipica dei tessuti e lo rende idoneo a svariate applicazioni in campo biomedico quali per esempio la preparazione di membrane per dialisi, di agenti emostatici, di protesi vascolari, di valvole cardiache, di impianti corneali, di espansori tissutali, di sistemi di rilascio di farmaci e di riparazione tissutale. Per questi scopi, in letteratura si trovano esempi in cui il collagene è stato mescolato con vari polimeri solubili in acqua quali per esempio poli(vinil alcol) (PVAL), poli(acido acrilico) (PAA), poli(acrilammide) (PAAM) e le miscele risultanti hanno mostrato una stabilità maggiore rispetto al solo collagene grazie ad un effetto protettivo del componente sintetico nei confronti di quello biologico. Tale effetto è particolarmente evidente se si utilizza PAA e PVAL.

Negli esempi in cui il CLG viene miscelato con PAA e PAAM la morfologia complessiva dei materiali ottenuti risulta influenzata dalla natura chimica del componente sintetico, con la scomparsa della tipica struttura fibrosa della proteina e il manifestarsi di una disomogeneità dei componenti [14].

I film ottenuti da miscele di collagene e poli(vinil alcol) possono venir reticolati termicamente[16] o con cicli di caldo-freddo[15] e i materiali così modificati mostrano una migliore stabilità biologica e ridotta solubilità in acqua. Lo stesso risultato può essere ottenuto con l’uso di reticolanti chimici che però potrebbero modificare la biocompatibilità finale del materiale e promuovere il rilascio di residui citotossici.

In questi ultimi anni si è osservato che le proprietà di un polimero naturale possono essere incrementate anche mescolando o realizzando multistrati di due polimeri ottenuti da fonti rinnovabili aventi caratteristiche chimico-fisiche diverse, come ad esempio negli accoppiati amido/gomma naturale, amido /proteine, amido/cellulosa, PLA/PHB, amido/PLA[1]. In questo caso i materiali ottenuti, oltre a superare il principale svantaggio dei polimeri provenienti da fonti rinnovabili, come le povere proprietà meccaniche, tentano di sostituire i polimeri sintetici biodegradabili, il cui più grande svantaggio è

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8

rappresentato dal loro elevato costo. Tuttavia non sempre tali miscele mostrano biodegradabilità comparabile ai singoli componenti. Un esempio in tal senso è la miscela amido/proteine che non è biodegradabile e quindi può essere utilizzata nel settore degli imballaggi alimentari.

Nel caso in cui vi sia scarsa compatibilità tra i componenti di una miscela, si possono migliorare le prestazioni della stessa attraverso l’aggiunta di compatibilizzanti o attraverso estrusione reattiva. In tal modo si può incrementare l’adesione interfacciale tra i due componenti, come nel caso della miscela amido/PLA dove aggiungendo metilendifenildiisocianato (MDI) il materiale acquista buone proprietà meccaniche dovute alla formazione in situ di un copolimero a blocchi che agisce da compatibilizzante[1].

1.3.1 Miscele polimeriche a base di gelatina

In alcuni studi è stata valutata la possibilità di realizzare materiali bioartificiali miscelando la gelatina con il polivinilalcool (PVAL)[18]-[20],[22]. Come accennato nel paragrafo precedente, per rendere tali materiali più stabili e meno solubili in acqua sono stati studiati due tipi di trattamenti, uno termico e l’altro di reticolazione con vapori di glutaraldeide (GTA). I due diversi trattamenti non alterano in modo evidente la struttura dei materiali ottenuti che risulta essere tipicamente bifasica[19], indipendentemente dalla composizione delle miscele. Il trattamento termico sembra non avere alcun effetto significativo sulla gelatina, mentre agisce sul PVA aumentandone la cristallinità e diminuendone, quindi l’idrofilicità. Di conseguenza, il grado di rigonfiamento, indice della capacità del materiale di assorbire acqua, aumenta al diminuire della percentuale di PVA. I campioni trattati con GTA mostrano un andamento, opposto al precedente, con il grado di rigonfiamento che aumenta al diminuire del contenuto di gelatina, ad indicare l’azione prevalente della GTA sul polimero di origine biologica[18]. È noto, infatti, che la gelatina non trattata riesce ad assorbire grandi quantità d’acqua fino a 5-10 volte il suo peso.

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9

Un altro polimero miscelato con la gelatina per migliorare le proprietà fisico-meccaniche è il gellano, un polimero naturale dotato di buona resistenza meccanica e spiccata rigidità. In tal caso i miglioramenti osservati sono risultati dipendere in modo significativo dal rapporto gellano/gelatina e dalla concentrazione di NaCl (0, 50, 150 mM) presente nella soluzione acquosa da cui si sono preparate le miscele polimeriche. Nei film dove la percentuale di gelatina assume valori rilevanti il materiale mostra un modulo modesto ed una elevata elongazione tensile. Inoltre la solubilità in acqua e il grado di rigonfiamento decrescono all’aumentare della frazione di gelatina[21].

Altro esempio di miscele di due materiali ottenuti da fonti rinnovabili è costituito dalla miscelazione di gelatina di scarto (WG) e bagassa di canna da zucchero (fibra di canna da zucchero) (SCB)[22],[23]. Tale materiale può essere utilizzato per preparare film biodegradabili per uso agricolo, in quanto in seguito alla sua degradazione vengono rilasciate sostanze ad alto contenuto in azoto che sono fertilizzanti naturali per il terreno. I film aquistano un colore scuro conferitogli dalla fibra ed è sempre quest’ultima a renderli più resistenti dei rispettivi film di gelatina tal quale. Tuttavia ad alto contenuto di fibre di canna da zucchero il film prodotto appare fragile nonostante la buona adesione interfacciale tra i due componenti.

Recentemente invece è stato riportato che l’aggiunta di pectina alla gelatina può incrementare l’effetto barriera nei confronti dell’umidità dei film derivanti[24].

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1.4 MODIFICA DI POLIMERI

1.4.1 Reazioni di modifica per la compatibilizzazione

Come già descritto nel capitolo precedente esistono due categorie di miscele polimeriche: miscibili e immiscibili. Mentre le prime sono composte da un’unica fase e possiedono una singola transizione vetrosa, le miscele immiscibili si presentano come fasi separate dove ogni fase mantiene la temperatura di transizione vetrosa del componente corrispondente. In queste ultime, per tenere sotto controllo la morfologia delle fasi, l’adesione interfacciale tra le fasi e ottenere così una miscela stabile verso i fenomeni di coalescenza, si interviene con un processo di compatibilizzazione.

Ci sono diversi metodi di compatibilizzazione delle miscele polimeriche immiscibili raggruppabili principalmente in due grandi categorie: la compatibilizzazione fisica e quella reattiva. Nel primo caso si opera mediante l’aggiunta alla miscela polimerica di una sostanza preformata, come ad esempio un copolimero, nel secondo, invece, si induce la formazione del compatibilizzante in situ per reazione durante il processo di miscelazione a caldo.

I copolimeri preformati utilizzati come agenti compatibilizzanti, siano essi a blocchi o ad innesto, contengono nella loro struttura due differenti componenti, ognuno dei quali deve essere miscibile o deve interagire chimicamente in modo sufficiente con un componente della miscela. Ci si aspetta teoricamente che una quantità significativa del copolimero aggiunto vada a disporsi all’interfaccia delle fasi della miscela in maniera da ridurre la tensione interfacciale e stabilizzare così la dispersione contro fenomeni di coalescenza. In realtà, sia i copolimeri preformati a blocchi che ad innesto difficilmente si dispongono in quantità significative all’interfaccia, in quanto, a causa dell’elevata viscosità del mezzo di reazione, il copolimero forma micelle nella fase dove risulta più stabile. Tuttavia, nonostante la loro efficienza non sia sempre ottimale, tali copolimeri vengono praticamente utilizzati e in generale un copolimero a blocchi è più efficiente di un

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copolimero ad innesto, mentre copolimeri a due blocchi sono più efficienti di copolimeri formati da tre blocchi o a forma di stella (stair shape copolimer).

Come precedentemente riportato, nel processo di compatibilizzazione reattiva la compatibilizzazione è assicurata dalla formazione in situ di un copolimero a blocchi o ad innesto durante il processo di miscelazione allo stato fuso, attraverso una reazione chimica all’interfaccia tra i gruppi funzionali disponibili sulle catene polimeriche del sistema. I legami intercatena generati devono essere abbastanza stabili per sopravvivere alle condizioni termiche utilizzate durante il processo di miscelazione. La compatibilizzazione reattiva offre vantaggi economici rispetto alla compatibilizzazione per miscelazione fisica di un terzo componente, in quanto non è richiesta disponibilità in commercio di un copolimero ma esso viene preparato al bisogno; inoltre essa presenta altri vantaggi tra i quali il più importante risulta essere il fatto che il copolimero si forma direttamente all’interfaccia. Il principale svantaggio, invece, è legato al bisogno di avere sul polimero da compatibilizzare gruppi funzionali reattivi e a volte anche altamente reattivi visto che i tempi disponibili per la creazione del copolimero sono brevi e corrispondono a quelli di un processo di estrusione[25].

È noto che per una netta differenza in polarità il collagene idrolizzato, ad esempio, non si disperde facilmente in polimeri termoplastici non polari, come ad esempio il polietilene a bassa densità (LDPE). Il polimero naturale, durante il mescolamento, tende ad agglomerarsi a causa dei forti legami ad idrogeno intermolecolari. Per lungo tempo si è fatto fronte a questa incompatibilità mediante l’utilizzo di agenti compatibilizzanti come gli elastomeri etilene-propilene funzionalizzati con anidride maleica, che reagiva con i gruppi funzionali del collagene. Un esempio in tal senso è offerto dal lavoro di M.C. Dascalu et al. in cui il collagene è compatibilizzato con LDPE utilizzando polietilene a bassa densità funzionalizzato con acido acrilico AAc) o bimeleinimide (LDPE-g-BMI) come agenti compatibilizzanti. I materiali ottenuti miscelando diverse percentuali di collagene e LDPE mostrano tutti una buona stabilità idrolitica ed elevate proprietà meccaniche senza richiedere ulteriori procedure di reticolazione

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che potrebbero compromettere la biocompatibilità del polimero naturale. Si ipotizza che le buone proprietà delle miscele compatibilizzate siano dovute sia alla reciproca influenza dei componenti sia alla presenza di interazioni chimiche tra i gruppi –COOH o quelli –C=O innestati su LDPE-g-AAc e LDPE-g-BMI, e i gruppi –OH, -NH, e -NH2 delle macromolecole del collagene idrolizzato. Queste reazioni chimiche danno vita ad un interfaccia più resistente tra LDPE e CGL al punto da creare importanti modifiche delle proprietà globali della miscela. La più elevata reattività del BMI fà si che l’agente compatibilizzante a base di quest’ultimo mostri un efficacia maggiore nei confronti della miscela di reazione[26].

1.4.2 Reazioni di modifica per la preparazione di nuovi materiali

Un metodo molto utilizzato per apportare modifiche alle proprietà e alla struttura di polimeri naturali è la reticolazione chimica.

Rifacendoci alla definizione fornita dalla IUPAC, una rete polimerica[27] può essere interpretata come una struttura nella quale le singole unità costituzionali sono connesse a tutte le altre unità e al contorno macroscopico di fase da più percorsi permanenti attraverso la fase del polimero; il numero di tali percorsi aumenta con il numero medio di reticolazioni. In una rete covalente tutti i percorsi permanenti sono costituiti da legami covalenti, mentre in una rete fisica, alcuni dei legami sono costituiti da interazioni fisiche.

Quando la reticolazione avviene in presenza di un secondo polimero (reticolabile o non reticolabile) si ha la formazione di una rete polimerica interpenetrata, ossia un IPN. Quindi, per IPN (Interpenetrating Polymer Network) si intende un materiale che contiene due o più polimeri, ciascuno nella forma di rete. Un materiale IPN[28] possiede tre caratteristiche distintive:

 i polimeri che lo costituiscono sono ottenuti da monomeri reticolati che danno origine a due reticoli distinti e non possono essere separati senza dover rompere i legami

 hanno cinetica di reticolazione simile

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13

Se il primo polimero viene preparato in situ a partire dal proprio monomero, in presenza del secondo polimero e dell’agente reticolante, si parla di IPN sequenziale (SIPN). Se invece, entrambi i monomeri sono polimerizzati in presenza l’uno dell’altro, ma in modo da non influenzarsi a vicenda, e dell’agente reticolante, allora si ha un IPN simultaneo (SIN).

Esistono diverse architetture IPN, dal momento che questi sistemi differiscono nel numero e nel tipo di legami incrociati che percorrono il sistema, ma in prima approssimazione si possono distinguere due strutture principali (Figura 1.3):

Figura [1.3]: Principali architetture di IPNs

 un semi-IPN è un sistema che contiene una o più reti ed almeno un polimero lineare o ramificato, caratterizzato dalla penetrazione su scala molecolare di almeno una delle reti

 un full-IPN è un polimero che contiene due o più reti che risultano parzialmente intrecciate su scala molecolare, ma non sono legate covalentemente l’una all’altra. Tuttavia esse non possono essere separate a meno che non si provveda alla rottura di legami chimici.

Sulla base delle definizioni appena esposte una miscela di due o più reti preformate non è da considerarsi un IPN.

Come detto in precedenza la modifica chimica mediante reticolazione intra e inter-catena è ampiamente usata per modificare le proprietà

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fisico-14

meccaniche dei polimeri naturali e in particolare dei derivati collagenici. In questo caso si sfrutta l’elevata polifunzionalità della proteina e la conseguente reattività nei confronti di una ampia gamma di molecole bi- e polifunzionali. In letteratura sono riportati numerosi esempi di reazioni di reticolazione della gelatina e di polimeri naturali in generale utilizzando molecole polifunzionali capaci di formare legami stabili con i gruppi reattivi presenti sulla catena polimerica.

Di seguito vengono elencati gli agenti reticolanti bifunzionali maggiormente utilizzati:

 Aldeidi[29]-[36]

Tra gli agenti chimici reticolanti le aldeidi sono ampiamente utilizzate poiché permettono l’ottenimento di materiali ad alta stabilità: tra queste la glutaraleide (GTA) (Figura 1.4) è la più impiegata. La reticolazione con glutaraldeide prevede la formazione di legami intercatena in seguito alla reazione con i gruppi amminici liberi dei residui amminoacidici di lisina o idrossilisina.

Figura [1.4]: Rappresentazione semplificata della reazione di reticolazione con

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15

Tale processo di reticolazione tuttavia è complicato dal fatto che la glutaraldeide in soluzione acquosa è raramente nella sua forma monomerica e inoltre polimerizza facilmente[29].

Un’altra aldeide utilizzata per reticolare la gelatina è la formaldeide. Il suo meccanismo di reazione in H2O/ MeOH è stato studiato in modo dettagliato attraverso spettroscopia NMR. Il processo di reazione ha inizio con il rilascio di uno ione idrogeno dallo ione terminale ammonio dei residui di lisina e seguente reazione del gruppo amminico prodotto con il diidrossimetano. Si forma quindi un addotto protonato tra residui di lisina e solvente (Figura 1.5). Contemporaneamente, in modo analogo si può formare un protonato, ottenuto per idratazione della formaldeide tra un residuo di arginina e solvente (Arg-MeOH). Quando due addotti reagiscono tra loro formano un punto di reticolazione (Arg-Lys), con conseguente rilascio di una molecola di diidrossimetano[36]. -NH3+ -NH2 + H+ H2C O + H2O CH2(OH)2 CH2(OH)2 -NH2 + -NHCH2OH + H2O

H

2

C

O

+ H

2

O

CH

2

(OH)

2

CH

2

(OH)

2

-NHC(=NH)(NH

2

) +

-NHC(=NH)NHCH

2

OH + H

2

O

-NHC(NH

2

)

2+

-NHC(=NH)(NH

2

)

+ H

+

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16  Alcoli e fenoli[37]

Gli alcoli e i fenoli sono utilizzati come agenti di reticolazione fisica sia per la gelatina che per altri polimeri naturali come amido e cellulosa. Da studi effettuati utilizzando diversi fenoli a diversa struttura è emerso che la presenza di due sostituenti idrossilici in posizione meta- o para- sull’anello benzenico favorisce la formazione di legami ad idrogeno tra le catene di gelatina. Al contrario se tali sostituenti sono in posizione orto non si osserva reticolazione poiché i due gruppi in posizione adiacente formano legami ad idrogeno tra loroi e non sono così più disponibili per formare legami ad idrogeno con la gelatina.

gelatina O-H gelatina O-H O-H X X O-H X X

Figura [1.6]: Schema semplificato di reazione di fenoli para e orto sostituiti con

catene macromolecolari di gelatina

 Azidi[29],[33] e imidati[38]-[40]

Le azidi e gli imidati formano, prevalentemente, legami covalenti con i gruppi amminici contenuti nei residui amminoacidici della catena proteica.

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17

Una caso interessante di reticolazione che sfrutta il gruppo azidico è quello riportato da E. Khor[29]. L’autore in questo lavoro modifica prima la gelatina legando ad essa gruppi azidici in modo selettivo e poi sfrutta la reattività di tali gruppi nei confronti di gruppi amminici presenti sulla gelatina per reticolare la matrice proteica (Figura 1.7). La selettività della reazione di modifica è ottenuta grazie ad un processo in tre stadi in cui vengono utilizzati i residui di acido aspartico e glutammico della gelatina (Figura 1.7). Tali residui vengono prima esterificati con metanolo, trasformati quindi in idrazidi e per finire ad azidi.

Coll-COOH

Coll-COOCH

3

CH

3

OH 0,2M HCl

20°C, 7 giorni in 1M NaCl

Coll-COOCH

3

1% (NH

2

NH

2

) 1M NaCl

20°C tutta la notte, lavato con NaCl 1M

esterificazione

Coll-CONHNH

2

idrazide

Coll-CONHNH

2

0,5M NaNO2 - 0,3M HCl- 1M NaCl

Coll-CON

3

0-4°C per 3 min, lavato con tampone 1M NaCl pH 8,9

acil azide

Coll-CON

3

Coll-NH

2

tamponata con 1M NaCl pH 8,9

0- 4°C per 4 ore

Coll-CONH-Coll

collagene

reticolato

Figura [1.7]: Sequenza di reazioni chimiche nel metodo di reticolazione del

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18

Reticolanti bifunzionali contenenti catene idrocarburiche alifatiche sono maggiormente efficienti nella rigenerazione della struttura a tripla elica del collagene rispetto a reticolanti contenenti uno o due anelli aromatici[38]. I primi riescono a inserirsi più facilmente tra due catene polimeriche costituenti la tripla elica del collagene grazie alla loro maggiore flessibilità e minore ingombro sterico[39]. Tale effetto è tanto maggiore quanto più lunga è la catena idrocarburica, ossia quanto più la lunghezza del reticolante alifatico è paragonabile alla lunghezza del periodo della tripla elica[40].

La reticolazione può avvenire anche mediante reazioni di coupling di gruppi funzionali successivamente reticolati. Un esempio per quanto concerne la gelatina è l’innesto di anidride metacrilica che successivamente può venir reticolata tramite reazione radicalica fotoiniziata. Gli idrogel così ottenuti hanno mostrato buone proprietà fisico-meccaniche (Figura 1.16)[58].

NH2

+

C O O C O N H C O

Figura [1.16]: Schema di reazione semplificato per l’innesto di anidride

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19

Essi sono infatti risultati chimicamente stabili, con punto di fusione sufficientemente alto per mantenere la forma fisica a temperatura ambiente per lungo tempo. Come tali questi materiali risultano particolarmente adatti ad applicazioni biomediche. Il corretto controllo dei differenti parametri sperimentali come il grado di sostituzione, la concentrazione di polimero, la concentrzione di iniziatore e il tempo di esposizione alle radiazioni UV permette di produrre un ampio intervallo di gel con differenti propietà meccaniche e potenziali applicazioni in svariati campi.

 Carbodiimmidi[29],[33],[41]

Si tratta di agenti reticolanti che non partecipano direttamente alla formazione del reticolo molecolare ma promuovono la reazione tra gli stessi gruppi funzionali già presenti sulla proteina. Nello schema di Figura 1.8 sono illustrate le fasi di una tipica reazione di reticolazione del collagene con una generica carbodiimmide[29].

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20

Figura [1.8]: Sequenza di reazione nel metodo di reticolazione del collagene

con carbodiimmide

La carbodiimmide dapprima viene protonata e reagisce con le funzionalità carbossiliche del collagene per formare l’o-isoacilurea. Segue poi un attacco nucleofilo di una funzionalità amminica presente su una catena collagenica adiacente, generando così il punto di reticolazione e rilasciando simultaneamente l’urea derivante dalla carbodiimmide usata come reagente. In un esempio di questo tipo la gelatina viene reticolata mediante N,(3-(dimethylamino)propyl)-N’-ethyl carbodiimide (EDC), e N-hydroxysuccinimidate (NHS). L’ECD attiva i residui di acido carbossilico dell’acido glutammico e aspartico presenti sulla catena di gelatina e i gruppi così attivati sono in grado, in presenza di NHS, di reagire con i gruppi amminici liberi presenti

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21

sui residui amminoacidici di lisina e idrossilisina. La reazione tra due gruppi su due diverse molecole di gelatina produce legami ammidici che si presentano come reticolazioni chimiche (Figura 1.9)[41].

gelatin-C OH O

+ EDC gelatin-C NH-gelatin O

NH2-gelatin

NHS

Figura [1.9]: Rappresentazione schematica della reticolazione di gelatina

mediante N,(3-(dimethylamino)propyl)-N’-ethylcarbodiimide (EDC) e N-hydroxysuccinimidate (NHS)

 Epossidi[29],[33]

Come nel caso della glutaraldeide, la funzionalità epossidica reagisce prevalentemente con il gruppo amminico della lisina. A differenza della glutaraldeide gli epossidi sono capaci di reagire anche con l’azoto dell’anello pirrolico dell’istidina.

La Figura 1.10 mostra il meccanismo proposto per la reazione di reticolazione del collagene con un epossido. Il gruppo amminico della lisina agisce come nucleofilo, sostituendo l’ossigeno legato al carbonio terminale per originare un legame carbonio-azoto stabile.

Figura [1.10]: Meccanismo proposto per la reticolazione del collagene con

(22)

22  Acidi naturali[46]

Rientrano tra gli agenti reticolanti gli acidi naturali che mostrano come limite di applicazione un costo troppo elevato. Nell’articolo di N. Cao e altri[46] la gelatina viene reticolata con due diversi acidi naturali, l’acido ferulico e l’acido tannico le cui strutture sono rappresentate in Figura 1.11

Figura [1.11]: Struttura dell’acido ferulico a sinistra e dell’acido tannico a

destra

Entrambi hanno origine vegetale, di cui il primo è un acido fenolico, il secondo possiede funzionalità fenoliche multiple capaci di reagire con diversi amminoacidi presenti in una catena proteica come ad esempio tirosina, lisina e cisteina. Si è osservato che quando il pH della soluzione da cui vengono preparati i film reticolati con acido ferulico è 7 la resistenza meccanica dei film di gelatina è massimizzata. Tale valore si sposta invece a 9 nei film trattati con acido tannico. La presenza dell’agente reticolante diminuisce il grado di rigonfiamento rispetto ai film di gelatina tal quale ma non incide in maniera evidente sulla permeabilità del Acido Ferulico Acido Tannico

(23)

23

vapor d’acqua. Gli autori ipotizzano che la presenza di numerosi gruppi idrossilici su entrambi gli acidi li rendano capaci di combinarsi con l’acqua.

 Isocianati[29],[39],[42]-[45]

Gli isocianati sono capaci di reagire con diversi gruppi funzionali presenti nei residui amminoacidici della gelatina. Di seguito sono rappresentati alcuni esempi di reazione del gruppo –NCO con i gruppi -NH2 dei residui amminoacidici di arginina e lisina (Figura 1.12), con i gruppi –OH dell’idrossiprolina, serina, treonina, tirosina (Figura 1.13) ed infine con i gruppi carbossilici –COOH dell’acido aspartico e acido glutammico (Figura 1.14).

N H CH C CH2 O CH2 CH2 CH2 NH2 N H CH C CH2 O CH2 CH2 CH2 NH C O NH R R NCO residuo di lisina

Figura [1.12]: Schema di reazione della lisina con una molecola isociano

(24)

24 N C O OH R NCO N C O O C O NH R residuo di idrossiprolina

Figura [1.13]: Schema di reazione dell’idrossiprolina con una molecola isociano

terminale N H CH C CH2 O CH2 C OH O N H CH C CH2 O CH2 C O O C O NH R R NCO N H CH C CH2 O CH2 C NH O R CO2

residuo di acido glutammico

Figura [1.14]: Schema di reazione dell’acido glutammico con una molecola

isociano terminale

Un isocianato bifunzionale spesso utilizzato per la reticolazione del collagene e della gelatina è l’esametilendisocianato (HDI). In seguito ad immersione di fibre collageniche in una soluzione all’1% v/v di esametilendiisocianato in alcool etilenico, il collagene risulta reticolato grazie alla formazione di legami tra i gruppi isocianici e i residui della proteina (Figura 1.15)[45].

(25)

25

Figura[1.15]: Reazione dell’esametilendiisocianato con i gruppi amminici del

collagene per formare legami ureici

Il processo di reticolazione della gelatina tende a far aumentare la viscosità delle soluzioni, la resistenza e i punti di fusione dei gel, e interessa tutte le proprietà fisico-chimiche e meccaniche della gelatina solida. È stata anche osservata l’esistenza di un rapporto lineare fra il rigonfiamento ed il modulo di rigidità di film di gelatina reticolata, indipendentemente dalla natura dell'agente reticolante, dalla temperatura e dallo stato conformazionale delle macromolecole.

Collagene

(26)

26

1.5 COPOLIMERIZZAZIONE A BLOCCHI E AD INNESTO

Il termine copolimerizzazione indica quella reazione di sintesi di due catene polimeriche in cui due o più monomeri sono incorporati quali parti integranti di ogni singola catena macromolecolare. Il prodotto della reazione è detto copolimero. È possibile ottenere copolimeri a blocchi con qualunque processo di sintesi macromolecolare, a catena o a stadi, per poliaddizione o per policondensazione.

I copolimeri possono essere classificati in base alla loro microstruttura ed alla geometria della catena macromolecolare. Nel caso più semplice di un copolimero ottenuto da due soli monomeri si possono avere le seguenti situazioni[47]:

 copolimero random: i due monomeri si succedono lungo la catena senza alcun ordine

 copolimero alternato: sitratta di una struttura con ordine massimo in cui i due monomeri si alternano regolarmente lungo la catena polimerica.

 copolimero a blocchi: ad una sequenza più o meno lunga, formata da un solo monomero, ne succede un’altra formata solo dall’altro.

(27)

27

 copolimero ad innesto: da una catena principale costituita da unità monometriche tutte dello stesso tipo si dipartono catene laterali, più o meno lunghe, costituite dal secondo monomero.

Quando le catene laterali uniscono due catene principali, il copolimero assume l’aspetto di una rete e pertanto viene detto reticolato (crosslinked), cioè legato trasversalmente. La presenza di molti legami trasversali produce una particolare struttura detta reticolo tridimensionale (network).

Per quanto concerne la reticolazione, come metodo di modifica chimica dei polimeri, esso è stato trattato nel paragrafo 1.4.2.

I quattro tipi di copolimeri sopra citati possono presentare notevoli differenze nelle loro proprietà chimiche e fisiche, proprietà che, all’interno di ciascuna classe, dipendono fortemente dal rapporto tra i due monomeri, cioè dalla composizione del copolimero. Spesso un copolimero è caratterizzato da proprietà (ad es. meccaniche) migliori dei due omopolimeri corrispondenti ai monomeri che lo costituiscono.

Generalmente, se ci si propone la sintesi di un copolimero a blocchi, si effettua la reazione in più stadi, in ciascuno dei quali si sintetizza un unico blocco utilizzando di volta in volta un unico monomero nella miscela di alimentazione (ad esempio polimerizzazione vivente).

Quando l’obiettivo è la sintesi di un copolimero ad innesto, a seconda dell’approccio sintetico si possono distinguere differenti processi di innesto[48]:

(28)

28

 grafting “from”: dopo la preparazione della catena polimerica principale si attivano lungo quest’ultima dei siti capaci di dar inizio alla polimerizzazione del secondo monomero. La polimerizzazione del secondo monomero dà vita alle catene laterali del copolimero ad innesto finale. Il numero di catene laterali innestate pùò essere controllato attraverso il numero di siti attivi generati lungo la catena polimerica principale assumendo che ognuno di essi dia origine ad un'unica catena laterale.  grafting “onto”: la catena polimerica principale e quelle laterali sono

preparate separatamente. La catena principale accoglie dei gruppi funzionali lungo se stessa capaci di reagire con i terminali delle catene polimeriche che origineranno le catene laterali. In particolare si tratta di processi in cui gruppi funzionali o macromolecole preformate sono connesse alla catena principale a seguito di un successivo atto reattivo. Da sottolineare comunque che in letteratura è spesso utilizzata indistintamente l’espressione grafting “onto” o coupling.

 grafting trough: in questo caso macro-monomeri sono copolimerizzati con un altro monomero con lo scopo di produrre un copolimero aggraffato. I macro-monomeri sono per lo più oligomeri o catene polimeriche che hanno un gruppo terminale polimerizzabile. In questo caso i macro-monomeri rappresentano le catene laterali del copolimero mentre la catena principale si origina in situ.

Lo scopo principale della sintesi di copolimeri ad innesto è quello di modificare il substrato in modo tale che vengano ritenute (totalmente o in parte) le sue proprietà e si possano aggiungere le proprietà delle catene laterali innestate. Ciò è di particolare interesse per i polimeri di origine naturale come amido, proteine e cellulosa: materie prime ampiamente disponibili, rinnovabili, economiche, biodegradabili, ma che spesso presentano proprietà poco versatili.

(29)

29

1.5.1 Copolimeri ad innesto a base di gelatina

Numerose reazioni chimiche sono state utilizzate per legare piccole molecole o macromolecole preformate a substrati di gelatina. Nella maggior parte dei casi viene sfruttata la presenza delle funzionalità chimiche del polipeptide le quali risultano reattive verso composti sia ad alto che a basso peso molecolare.

Tradizionalmente la preparazione di copolimeri a innesto basati su gelatina e polimeri sintetici[49]-[55] avveniva mediante polimerizzazione radicalica in presenza del polimero naturale . In tal caso l’attivazione dei gruppi funzionali presenti sulla gelatina avveniva mediante sistemi redox o iniziatori organici (benzilperossido, Bz2O2, tributilborano, TBB) che coinvolgono il substrato o ancora tramite la formazione di radicali sulla catena macromolecolare principale a seguito di irraggiamento con radiazioni di opportuna energia. La sintesi, la struttura, le proprietà termiche e fisico-meccaniche di tali copolimeri dipendono dai fattori che determinano una polimerizzazione radicalica: tipo di iniziatore, temperatura, concentrazione del monomero e della gelatina, natura del monomero (generalmente vinilico) e del mezzo di reazione (generalmente acquoso). I copolimeri a innesto a base di gelatina mantengono le principali proprietà della proteina nativa: la capacità di gelificare, la possibilità di formare eliche e l'alta resistenza termica. Allo stesso tempo, la gelatina acquisisce nuove proprietà secondo la natura del polimero innestato. Così, ad esempio, l’innesto del poli(butil acrilato) (PBA), un polimero a catena flessibile, produce un notevole aumento nell'elasticità e nelle proprietà meccaniche dei films di gelatina, mentre l’innesto di poliacrilonitrile (PAN), un polimero a catena rigida, porta alla formazione di prodotti con proprietà meccaniche opposte[5].

Un copolimero ad innesto a base di gelatina può però essere ottenuto anche mediante reazione di coupling dove, come già detto in precedenza, la catena macromolecolare principale e quella laterale sono preformate separatamente. Un esempio in tal senso è l’innesto del succinimidil succinato

(30)

30

metossi-PEG sulla gelatina (PEG-gelatina), per reazione con i gruppi amminici di residui amminoacidici (Figura 1.16)[56].

+

O O O O O O n in H2O

succinimidil succinato-metossi PEG

micella gelatina

N O

O

Figura [1.16]: Schema di reazione semplificato tra gelatina e succinimidil

succinnato metossi-PEG

Il copolimero gelatina-PEG assume una struttura micellare in cui la superfice è ricoperta dalle catene di PEG aggraffato sulla gelatina. Tale struttura è capace di circolare nel flusso sanguigno per un lungo periodo, proprietà che lo rende, secondo gli autori un nuovo e buon candidato per il rilascio graduale di farmaci per via intravenosa.

Un altro esempio di copolimero a base di gelatina è quello ottenuto in seguito all’innesto di N-isopropilacrilammide (NIPAM) fatta crescere in situ sulla catena polimerica principale mediante un processo di polimerizzazione radicalica controllata per quanto riguarda il grado di polimerizzazione (Figura 1.17)[57].

(31)

31

Figura [1.17]: schema di reazione semplificato tra gelatina e

N-isopropilacrilammide

Per ottenere il copolimero PNIPAM-gelatina il primo step di reazione consiste nel derivatizzare i gruppi amminici della gelatina mediante 4-(N,N-dietilditiolcarbamil) acido metil benzoico in presenza di un agente condensante. Successivamente la gelatina derivatizzata viene irradiata in presenza di una soluzione acquosa di NIPAM affinché venga originato il copolimero aggraffato. Tale copolimerizzazione riesce a far fronte ad uno dei limiti della gelatina cioè la sua solubilità in acqua a temperatura fisiologica, e la rende idonea per essere usata come corpo adesivo. Il polimero aggraffato originato contiene 23 catene di poli(N-isopropilacrilammide) per molecola e risulta solubile in acqua a temperatura ambiente ma precipita a temperature superiori a 35°C formando un idrogel con resistenza meccanica dipendente dal contenuto di PNIPAM nel copolimero.

Gelatina Gelatina derivatizzata con

ditiocarbammatoderivato (DC-Gelatina)

(32)

32

1.6 GLI ISOCIANATI

1.6.1 Reattività degli isocianati

Gli isocianati sono prodotti chimici reattivi[59] largamente usati nell’industria, soprattutto per la produzione di poliuretani, o come reticolanti nella produzione di reticoli polimerici.

Il gruppo isocianato può infatti dar luogo a reazioni di addizione con differenti composti che possono essere generalmente considerati partner di reazione filoisocianici.

La spiccata reattività degli isocianati si manifesta anche nelle loro tendenza a reagire con se stessi a formare dimeri, trimeri o oligomeri e polimeri.

La reattività del gruppo isocianato è basata sulla sua polarizzazione rappresentata dalle seguenti strutture limite di risonanza (Figura 1.18)[60].

N C O

R R N C O R N C O

Figura [1.18]: Strutture di risonanza del gruppo isocianico

Le strutture di risonanza lo rendono molto reattivo nei confronti dell’addizione nucleofila, sul doppio legame N=C, solo raramente sul doppio legame C=O, da parte di composti insaturi od aventi idrogeni acidi[59],[60] (Figura 1.19).

In accordo con la teoria dell’orbitale molecolare, il gruppo isocianico presenta una struttura lineare, in cui i due doppi legami N=C e C=O giacciono sullo stesso asse con gli elettroni П dei due rispettivi doppi legami situati in due differenti piani perpendicolari.

La natura elettrofilica dell’isocianato è modificata dalla presenza di sostituenti R elettron-attrattori o elettron-donatori.

(33)

33

Gli isocianati, e soprattutto i diisocianati, risultano quindi particolarmente adatti per la reticolazione in una grande varietà di sistemi polimerici, che presentino gruppi con idrogeni mobili, tra cui, appunto, la gelatina.

N

C

O

R

+ Nu

H

R

NH

C

O

Nu

Figura [1.19]: Reattività degli isocianati verso specie nucleofile

La reattività degli isocianati con acqua (Figura 1.20) ha una notevole rilevanza quando li si impieghi in reazioni che avvengono in mezzo acquoso.

H2O R N H C O OH -CO2 R NH2 R N H C O O R NH3 -CO2 N R H C O N H R R-NCO R-NCO R-NCO OH

-Figura [1.20]: Reattività degli isocianati con acqua

Sia il meccanismo di reazione che la natura dei prodotti dipendono dal rapporto tra le concentrazioni di acqua e isocianato. Per alti rapporti [H2O]/[NCO], ed a pH neutro, l’acqua si addiziona all’isocianato, per dare un acido carbammico intermedio, che decompone spontaneamente in ammina primaria ed anidride carbonica. L’ammina liberata reagisce con l’acido carbammico intermedio, per dare un sale di carbammato, stabile in acqua a basse temperature. Ad alte temperature, il sale di carbammato decompone, formando anidride carbonica ed un’ammina, che si addiziona ad una seconda molecola di isocianato, generando un derivato ureico.

In presenza di un eccesso di isocianato, ovvero per bassi rapporti [H2O]/[NCO], la reazione con acqua non è spontanea a temperatura ambiente, probabilmente a causa della scarsa solubilità in acqua dell’isocianato. Solventi polari come eteri del glicole etilenico o ammidi, favoriscono la reazione

(34)

34

aumentando la solubilità del substrato. In generale la reazione è catalizzata da ammine terziarie e composti metallici.

L’addizione nucleofila di specie alcoliche sugli isocianati consiste in una N-idro-C-alcossi addizione e porta alla formazione di carbammati o uretani sostituiti (Figura 1.21). R N C O+ R-OH R N C O O H R RNHCO2R + R-OH R-OH

Figura [1.21]: Reazione con alcoli primari o secondari

La reazione procede velocemente per alcoli primari e secondari, anche in assenza di catalizzatori, a temperature di 50-100°C. Alcoli terziari e fenoli reagiscono più lentamente.

La sequenza di reazione può essere scritta come un processo a due stadi dove nel primo stadio si ha la formazione di un complesso alcol-isocianato intermedio, mentre una seconda molecola di alcol viene coinvolta cataliticamente nel secondo stadio, a formare il legame uretanico.

Inoltre i carbammati derivanti da alcoli terziari, ad alta temperatura, si decompongono facilmente dando ammine, anidride carbonica ed olefine (Figura 1.22). OH N R H C O O R-NH2+ CO2 + R-NCO +

Figura [1.22]: Reazione con alcoli terziari

Alcuni catalizzatori usati sono: trietilammina, cloruro stannico, cloruro ferrico, 2-etilesanoato ferrico, dibutilstagno di (2-etilesanoato), ottanoato di stagno.

(35)

35

Gli isocianati reagiscono con i gruppi NH amminici, uretanici, ureici ed ammidici formando rispettivamente derivati ureici, allofanati, biureti ed aciluree a temperature comprese tra i 100 e i 140°C (Figura 1.20).

La reazione con ammine è una reazione solitamente esotermica, veloce e quantitativa e la velocità della reazione dipende dalla basicità dell’ammina. Le ammine alifatiche primarie e secondarie, e le ammine aromatiche primarie, reagiscono velocemente a temperature di 0-25°C ed in assenza di catalizzatori (Figura 1.23).

N

R

1

H

C

O

OR

2

R

N

H

C

O

N

R

1

C

O

OR

2

R-NCO +

N R1 H C O N H N R H C O N R1 C O N R2 H R2 R-NCO + R N H C O N R2 C O N R1 H + N R1 H C O R2 R N H C O N R1 C O R2 R-NCO +

Figura [1.23]: Reazione con uretani, uree, ammidi

Diminuendo la basicità dell’ammina, come nel caso di ammine difenilsostituite, decresce la velocità della reazione di addizione. Generalmente, le ammine reagiscono con gli isocianati molto più velocemente degli alcoli.

N

R

2

R

1

H

N

H

R

C

O

N

R

1

R

2

R-NCO +

(36)

36

Gli isocianati reagiscono con gli acidi carbossilici formando N-carbossianidridi termicamente instabili; queste decompongono a caldo (generalmente ad una temperatura di 80-180°C) od in presenza di catalizzatori, ad ammidi ed anidride carbonica.

R-NCO + R1 COOH R N H C O O C O R1 Cat R N H C O OR1 + CO2

Figura [1.25]: Reazione con acidi carbossilici

Gli isocianati possono dare anche reazioni di oligomerizzazione mediante reazioni di cicloaddizione sul doppio legame C=N. Con gli isocianati alifatici generalmente si ha la ciclotrimerizzazione ad esaidro-σ-triazintrioni 1,3,5-trisostituiti o isocianurati, in adeguate condizioni di reazione, mentre per gli isocianati aromatici, oltre alla ciclotrimerizzazione, è possibile anche la ciclodimerizzazione, in alcuni casi catalizzata; il dimero formato risulta labile a caldo, dando luogo alla formazione di carbodiimmidi per eliminazione di anidride carbonica. Inoltre i diisocianati alifatici danno omopolimerizzazione anionica, in solventi polari ed a temperatura inferiore a quella ambiente, formando omopolimeri reticolati ad alto peso molecolare[61]-[62].

1.6.2 Copolimeri ad innesto per reazioni di addizione di gruppi isocianato

Nel paragrafo precedente abbiamo descritto in modo dettagliato l’elevata reattività degli isocianati nei confronti di numerosi gruppi funzionali spesso presenti sia sui polimeri artificiali che sui polimeri naturali al fine di ottenere dei copolimeri innesto. In questo paragrafo ci soffermeremo su alcuni esempi di copolimeri ad innesto, che coinvolgono o meno polimeri naturali, ottenuti con l’utilizzo di diisocianati come agenti di coupling.

Un nuovo copolimero biodegradabile è stato sintetizzato in soluzione di dimetilsolfossido (DMSO) aggraffando poli(1,4-dioxan-2-one) (PPDO) a molecole

(37)

37

di amido (amido-g-PPDO) utilizzando come agente di coupling 2,4-toluendiisocianato (TDI).

I copolimeri vengono preparati mediante reazione a due stadi. Nel primo, l’intermedio monoisocianico (PPDO-NCO) viene preparato introducendo un gruppo isocianato del TDI sul gruppo idrossilico terminale del PPDO; nel secondo stadio, il PPDO-NCO viene aggraffato alla catena macromolecolare di amido di mais per addizione del gruppo isocianico non reagito sui gruppi idrossilici dell’amido (Figura 1.26).

Figura [1.26]: schema di reazione semplificato per la preparazione del

copolimero amido-g-PPDO

Mediante tale procedura si sono preparati differenti copolimeri ad innesto che differiscono per la lunghezza delle catene laterali aggraffate. Quelli aventi catene laterali più lunghe esibiscono una migliore stabilità termica, una più elevata capacità di cristallizzare e una temperatura di transizione vetrosa più alta rispetto a quelli contenenti catene laterali a basso peso molecolare[63].

Amido

(38)

38

In modo analogo in un recente lavoro nanoparticelle di amido monocristallino sono state modificate superficialmente per innesto di poli(etilen glicol)metil-etere (PEGME) sfruttando il 2,4-toluendiisocianato (TDI) come agente di coupling (Figura 1.27).

Figura [1.27]: schema di reazione semplificato per la sintesi di amido-g-PEGME

Le nanoparticelle così modificate, secondo gli autori, possono legare selettivamente farmaci o tossine e quindi sono utilizzabili per il trasporto dei farmaci o per la purificazione dei fluidi corporei. I legami covalenti tra il polimero utilizzato come rinforzo e la matrice permettono un perfetto trasferimento dello sforzo all’interfaccia conferendo alle particelle eccezionali propriètà meccaniche[65].

Per migliorare la compatibilità dei poli(eter uretani) (PEUs) con il sangue, si è sfruttata una reazione di modifica superficiale con un monomero zwitterionico (sulfobetaina) che prevede quattro stadi di reazione (Figura 1.28):

 il poli(propilen ossido) viene fatto reagire ad entrambe le estremità della catena con l’esametilendiisocianato (HDI); si ottiene in tale maniera un polimero diisociano terminato (OCN-PPO-NCO)

 l’OCN-PPO-NCO viene fatto reagire ad una delle estremità della catena con N,N-dimetiletanolammina (DMEA), per formare OCN-PPO-N(CH3)2

Dibutil dilauril stagno Dibutil dilauril stagno Amido Amido

(39)

39

 la sulfobetaina viene preparata mediante una reazione di apertura di anello tra OCN-PPO-N(CH3)2 e 1,3-propansultone (PSu)

 la sulfobetaina è aggraffata alla superficie del PEU grazie ad una reazione tra il gruppo isocianico e i legami N-H del PEU.

Figura [1.28]: schema semplificato per l’innesto di sulfobetaina su superfici di

PEU

Un esempio invece di copolimero a blocchi costituito da macromolecole di amido di mais e un poliuretano a base di esametilendiisocianato (HDI) è quello descritto nell’articolo di M. Barikani e colleghi[64]. L’amido di mais è fatto reagire con un prepolimero uretanico in modo da ottenere un nuovo copolimero idrofobico mediante un processo in due fasi (Figura 1.29). Nella prima fase il policaprolattone terminato ad entrambe le estremità con HDI (prepolimero) è ottenuto facendo reagire il policaprolattone con HDI in eccesso, nel secondo stadio tale prepolimero è miscelato a soluzioni di amido in DMSO in diversi rapporti amido/prepolimero.

Verifica contenuto NCO

(40)

40

Figura [1.29]: schema semplificato di reazione per la preparazione di amido

modificato con poliuretano

L’amido così modificato assume una struttura micellare in cui il poliuretano forma il guscio esterno. Tale copolimero è potenzialmente utilizzabile, secondo gli autori, come additivo in miscele amido/poliolefine grazie alla sua migliore compatibilità con matrici idrofobe quali le poliolefine[64].

Amido

Poliuretano a base di amido

(41)

41

1.7 SCOPO DELLA TESI

Il presente lavoro di tesi si inserisce nell’ambito di ricerche volte a modificare attraverso l’innesto di polimeri sintetici le proprietà di macromolecole di origine naturale che rappresentano materie prime ampiamente disponibili, rinnovabili, economiche, ma che spesso mostrano proprietà poco versatili.

Lo scopo del lavoro di tesi è quello di innestare molecole isocianiche idrofobiche su catene macromolecolari di gelatina con l’intento di influire sulle proprietà fisico-meccaniche.

In particolare nella prima parte del lavoro si intende modificare la gelatina mediante l’innesto di un isocianato a basso peso molecolare (1-naftilisocianato, NphI), caratterizzato nella sua struttura chimica da un cromoforo rilevabile mediante spettroscopia UV-Vis allo scopo di quantificare i gruppi isocianici innestabili sulla gelatina.

Allo scopo di interpretare gli spettri di assorbimento e quelli di emissione della gelatina funzionalizzata si utilizzeranno molecole modello preparate facendo reagire 1-naftilisocianato con molecole di semplice struttura in grado di mimare i gruppi funzionali presenti nei residui della gelatina. In particolare, per il gruppo idrossilico presente nei residui di idrossiprolina, serina, treonina e tirosina della gelatina si è scelto l’alcool propilico. Come molecola simulante il comportamento del gruppo carbossilico del residuo di acido glutammico e acido aspartico si utilizzarà l’acido propionico.

I prodotti di modifica ottenuti saranno caratterizzati mediante varie tecniche spettroscopiche (FT-IR, UV-Vis, fluorescenza), analisi termogravimetrica ed analisi elementare.

Nella seconda parte del lavoro di tesi l’attenzione sarà focalizzata alla modifica della gelatina tramite innesto del poli(propilenglicol)monobutiletere (PPO), avente una temperatura di transizione vetrosa molto inferiore alla temperatura ambiente (Tg=-88°C), utilizzando l’esametilendiisocianato (HDI) come agente di accoppiamento. Il poli(propilenglicol)monobutiletere (PPO) sarà

(42)

42

legato all’esametilendiisocianato (HDI) tramite reazione di addizione ad uno solo dei due gruppi isocianici dell’HDI formando così il 6-isocianato esil carbammico acido [poli(propilen glicol)monobutiletere] propil estere (PPO-HDI).

Inizialmente saranno messe a punto le condizioni di reazione sintetizzando prima l’1,6-esametilen-oxa-poli(propilenglicol)monobutiletere (PPO-HDI-PPO) che verrà poi utilizzato come composto modello nelle caratterizzazioni. In un secondo momento tali condizioni saranno applicate per modificare la gelatina e ottenere un copolimero ad innesto gelatina-g-PPO.

I prodotti saranno sottoposti a caratterizzazione mediante spettroscopia FT-IR, cromatografia ad esclusione sterica, analisi termogravimetrica, prove fisico-meccaniche e analisi morfologiche (SEM).

Al fine di studiare l’effetto della presenza di legami covalenti tra la gelatina e il PPO saranno preparate delle miscele a differenti rapporti (90:10 e 95:5) di gelatina/PPO e gelatina/PPO-HDI-PPO e le proprietà fisico-meccaniche di tali materiali saranno confrontate con quelle dei copolimeri ad innesto.

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