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Cap. 5 “Antimicrobial Stewardship”

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Academic year: 2021

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Cap. 2 Antibiotico-resistenza

I tassi di antibiotico-resistenza hanno raggiunto livelli allarmanti nell’Europa del centro e del Sud con dati leggermente migliori al Nord [3].

Lo sviluppo di resistenza agli antimicrobici è riconosciuto come una delle più grandi minacce alla salute del genere umano. Basti pensare che il solo Staphilococcus aureus meticillino-resistente (MRSA) è causa in America di circa 19.000 morti/anno, più delle morti causate da enfisema, HIV/AIDS, malattia di Parkinson e omicidi insieme [2].

Circa due milioni di americani all’anno sviluppano infezioni acquisite in ospedale, risultando in 99.000 morti, la maggior parte delle quali sono dovute a patogeni resistenti agli antimicrobici.

Studi sul costo delle infezioni da patogeni antibiotico-resistenti versus patogeni antibiotico-suscettibili hanno evidenziato che, per il sistema sanitario Americano, il costo associato alle prime oscilla fra 21 e 34 bilioni di $ e sono inoltre responsabili di circa 8 milioni di giorni di ospedalizzazione addizionali [2].

Nell’era dell’antibiotico-resistenza ci troviamo ad affrontare da un lato il problema dei patogeni multi-resistenti e dall’altro lo scarso sviluppo di nuovi antimicrobici (fig.1) [2].

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4 Fig 1. Numero di nuovi antibiotici sistemici approvati dalla FDA Americana dal 1983 al 2012.

L’antimicrobico-resistenza è indotta dall’incremento dell’uso degli antibiotici, dal maggior movimento di persone (viaggi ed immigrazione) e dall’incremento dell’industrializzazione [4] ed avrà come conseguenza il crescente numero di infezioni tecnicamente intrattabili ed il non meno rilevante problema dei pazienti critici, affetti da infezioni da germi multi-resistenti, che riceveranno in prima istanza, inconsapevolmente, una terapia antibiotica empirica ed inefficace con un associato elevato tasso di mortalità [5,6].

Costelloe et al., in una interessante review nella quale hanno preso in esame lo sviluppo di antibiotico-resistenza successiva ad una terapia antibiotica per infezioni cutanee, delle vie urinarie e respiratorie, hanno messo in luce una forte evidenza di sviluppo di antibiotico-resistenza, in particolar modo nel primo mese successivo alla terapia ma, talvolta, identificabile fino a 12 mesi dopo; terapie di lunga durata e molteplici cicli di antibiotici sono associate ad un più alto tasso di resistenza. Questi dati sono a sostegno della raccomandazione che dovrebbe essere usato il minor numero di antibiotici e per il minor numero possibile di giorni [7]. Bisogna inoltre aggiungere che il corretto antibiotico va somministrato alla corretta dose in quanto una dose

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5 inadeguata, quindi una esposizione sub ottimale, è stata anche essa associata al maggior sviluppo di resistenza [8].

Resistenza nei batteri Gram negativi

Sono ampiamente diffusi batteri Gram negativi multi- resistenti, tra cui Acinetobacter baumannii, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa e le Enterobacteraceae ( es. Escherichia coli ed Enetrobacter spp.); di seguito alcuni dati epidemiologici sui suddetti batteri ed i relativi meccanismi di resistenza.

Β-lattamasi a spettro esteso (ESBL)

Il più importante meccanismo di resistenza agli antibiotici β-lattamici tra i bacilli Gram negativi coinvolge la produzione di β-lattamasi. L’ESBL conferisce resistenza alle oximino-cefalosporine, pertanto ,dato che frequentemente gli ESBL presentano resistenza anche verso aminoglicosidi e fluorochinoloni [9], il trattamento di scelta verso patogeni ESBL è rappresentato dai carbapenemi. Oltre l’80% delle batteriemie da E.coli positiva per ESBL, nel Regno Unito, sono resistenti ai fluorochinoloni ed oltre il 40%

alla gentamicina [5].

Dati recenti ricavati dallo studio Monitoring Antimicrobial Resistance Trends (SMART) hanno mostrato che in Asia ed in America Latina circa il 40% ed il 30% di E.coli e Klebsiella spp. rispettivamente, isolate da infezioni intra- addominali, erano ESBL positive [4].

Metallo-β-lattamasi

L’emergenza di metallo- -lattamasi con attività contro i carbapenemi ha compromesso l’utilità clinica di questa classe di antibiotici.

Nel 2007 sei nazioni, tra cui la Grecia con la più alta percentuale, hanno riportato tassi di resistenza ai carbapenemi superiori al 25% fra gli isolati di Pseudomonas aeruginosa. La Grecia ha riportato anche il più alto tasso di

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6 resistenza per K. pneumoniae (46% verso i carbapenemi, 58% verso i fluorochinoloni e il 63% verso le cefalosporine di terza generazione) [4].

Più recentemente un nuovo meccanismo di resistenza agli antibiotici è emerso in India e si è rapidamente diffuso nel Regno Unito ed in America; questo è indicato come New Delhi metallo β-lattamasi 1 (NDM1), un particolare tipo di metallo-β-lattamasi, ed i ceppi di E. coli e Klebsiella con l’NDM1 sono resistenti a tutti gli antibiotici ad eccezione di tigeciclina e colistina (associata ad elevata nefro- e neuro-tossicità), seppure si siano registrati casi in cui tali batteri sono risultati resistenti anche a questi ultimi agenti (fig 2) [2].

Carbapenemi-idrolizzante classe A β-lattamasi (KPC-type)

Il più recente cambiamento nella diffusione del meccanismo di resistenza verso i carbapenemi è rappresentato dalla KPC-type β-lattamasi. Tra il 2001 e il 2004 si erano registrati solo sporadici casi di K. pneumoniae con KPC β- lattamasi, mentre ad oggi risulta essere endemica in Israele ed in aumento in USA, Asia ed Europa [4,5].

Fig. 2 Distribuzione di E. coli ESBL e multiresistente ad altri antibiotici. In molti casi gli unici attivi sono polimixine e tigeciclina.

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7 Resistenza ai fluorochinoloni

In Europa la resistenza ai fluorochinoloni è incrementata significativamente, dal 7% (Estonia e Norvegia) nel 2001 al 53% (Turchia) nel 2007. Solo il 47%

di E.coli nel 2007 in Europa risultava essere suscettibile a quattro classi di antibiotici, con perdita di sensitività verso i fluorochinoloni più rapidamente che verso altre classi di antibiotici (fig. 3) [4,5].

Fig.3 Rise in the proportions of E. coli from bacteraemias in England, Wales and Northern Ireland resistant to fluoroquinolones (white), oxyimino- cephalosporins (grey) and both (black).

Resistenza nei batteri Gram positivi

Lo Staphilococcus aureus meticillino resistente (MRSA) è stato identificato per la prima volta negli anni ’60 in coincidenza con l’introduzione della meticillina. Alla fine degli anni ’90 i livelli di MRSA raggiungevano il 30% in molte nazioni ed apparvero in letteratura i primi casi di MRSA acquisito in comunità [4].

Nell’ultimo decennio l’MRSA è diventato endemico e si è inoltre aggiunto il rilevante problema dello S. aureus resistente alla vancomicina e alla rifampicina.

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Cap. 3 Staphilococcus aureus meticillino-resistente (MRSA)

Dinanzi ad un paziente con batteriemia, il clinico è obbligato a compiere una scelta empirica per la terapia antibiotica, non avendo immediatamente a disposizione l’identificazione del patogeno responsabile e l’antibiogramma.

L’incremento delle resistenze ha reso questa scelta più complicata: ad esempio, meno del 25% dei pazienti con infezione da MRSA riceve la corretta terapia entro 48 ore dall’ammissione in ospedale e solo il 40% riceve la terapia appropriata dopo 48 ore, con conseguente incremento della mortalità [10].

La mortalità media dovuta a setticemia da S.aureus meticillino-resistente è del 36%, in confronto al 24% di quella da S. aureus meticillino-sensibile; sale al 63% nei casi da S. aureus a sensibilità intermedia per la vancomicina (VISA) e a ben il 78% quando in quest’ultimo caso si aggiunge la resistenza alla rifampicina (Fig.4) [10].

Fig. 4 Tasso di mortalità da batteriemia stafilococcica.

Sebbene Tacconelli et al. nella loro metanalisi mettano in evidenza che i soggetti esposti ad antibioticoterapia hanno un rischio doppio rispetto a quelli

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9 non esposti ad acquisire l’MRSA, e che tale rischio salga al triplo se esposti a chinoloni e glicopeptidi [11], l’associazione tra uso di antibiotici (β-lattamici e chinoloni in particolare [12, 13]) e la diffusione di MRSA rimane ancora controversa.

Risulta evidente, per lo meno in vitro, che sotto la pressione degli antibiotici lo S. aureus potenzia alcuni meccanismi di virulenza, di seguito illustrati, che potrebbero rendere ragione, in parte, del peggior out-come dei pazienti infetti da MRSA.

Una terapia antibiotica inadeguata o insufficiente può:

- promuovere la proliferazione dell’MRSA attraverso l’eliminazione dei germi commensali ad essa sensibili;

- indurre l’espressione della tossina stafilococcica α, principale determinante di virulenza, aggravando la presentazione clinica dell’infezione;

- indurre l’espressione della Panton-Valentine leucocidina (PVL), noto fattore di virulenza prodotto dai ceppi di MRSA acquisiti in comunità.

La PVL è stata associata ad infezioni della cute, dei tessuti molli ed alla polmonite necrotizzante, in cui il tasso di mortalità raggiunge il 75%.

Clindamicina, linezolid ed acido fusidico inibiscono la produzione di VPL, la vancomicina non ha effetto su di essa e l’oxacillina, a concentrazioni sub-terapeutiche, ne incrementa il rilascio;

- attivare il segnale SOS favorendo la trasmissione di resistenza. Quando i batteri sono esposti ad antibiotici il loro DNA viene danneggiato e la risposta, denominata SOS, consiste nel tentativo di riparare il DNA e di trasferire ad altri patogeni elementi genetici, come plasmidi o trasposoni, portatori di sequenze responsabili per l’antibiotico- resistenza [10].

Il trasferimento di pazienti colonizzati da MRSA, ma non necessariamente infetti, da un ospedale all’altro o da un reparto all’altro contribuisce, inequivocabilmente, alla sua diffusione. La rete di sorveglianza americana

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10 (Surveillance Network-USA) nel 2007 riportava che il tasso di MRSA nei pazienti ospedalizzati non in terapia intensiva, in terapia intensiva e nei pazienti non ospedalizzati era rispettivamente del 59%, 55% e 48% [11].

Uno studio prospettico multicentrico francese condotto da Lucet et al. presso 14 diverse terapie intensive ha condotto alle seguenti evidenze:

- la prevalenza di portatori di MRSA è significativamente maggiore nei pazienti trasferiti da altri reparti rispetto a quelli ammessi direttamente in terapia intensiva (7.1% vs 3.0%);

- tra i pazienti trasferiti i fattori di rischio erano: età superiore ai 60 anni, trasferimenti da centri di riabilitazione e lungo-degenza, degenza ospedaliera superiore ai 21 giorni prima del trasferimento, lesioni cutanee aperte o stomie;

- tra i pazienti direttamente ammessi in terapia intensiva i fattori di rischio erano: età superiore ai 60 anni, storia di ospedalizzazione o interventi chirurgici nei precedenti 5 anni, presenza di lesioni cutanee aperte;

- l’estensione dello screening (tampone nasale e/o cutaneo) a tutti i pazienti trasferiti e a quelli direttamente ammessi in terapia intensiva con almeno un fattore di rischio avrebbe permesso di individuare il 94,8% dei portatori;

- l’MRSA screening potrebbe essere cruciale per il controllo efficace delle epidemie da MRSA [14,15].

Il Regno Unito ha introdotto lo screening per MRSA (tampone nasale e/o cutaneo) per tutti i pazienti ammessi in ospedale e, nel caso di positività, procedure di decolonizzazione mediante mupirocina (gocce nasali e soluzioni cutanee). Tali interventi, insieme alle migliori norme igieniche riguardanti sia il personale sanitario (lavaggio delle mani, gel a base alcoolica [13]) che le infrastrutture (protocolli per la pulizia degli ambienti ospedalieri e degli arredi), al miglior controllo sulle infezioni, alla migliore gestione degli accessi venosi e dei vari dispositivi medici, e alla maggiore sorveglianza sulle terapie

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11 antibiotiche hanno determinato una significativa riduzione dell’incidenza di batteriemia da MRSA (fig.5) [5,10].

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Fig. 5 Numbers of MRSA bacteraemias in England by 6 month periods from 2001 to 2008 (bars, left axis) and rates of bacteraemia per 10 000 bed days (line, right axis).

Come dimostrazione di quanto detto, uno studio condotto in un reparto di geriatria a Londra ha descritto la riduzione dell’incidenza di MRSA da 3.95 su 100 ammissioni ospedaliere a 1.94 successivamente alla limitazione dell’uso di cefalosporine, alla maggiore enfasi sul lavaggio delle mani e alla limitazione delle terapie antibiotiche a 7 giorni [11].

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Cap. 4 Clostridium Difficile

Il Clostridium difficile fu descritto, per la prima volta, come causa di diarrea e colite associata ad antimicrobici e colite pseudomembranosa, nel 1978; da allora l’interesse nei suoi confronti è aumentato a causa della sua associazione con l’ospedalizzazione e l’alta morbidità e mortalità negli anziani [16, 17].

I primi dati epidemiologici, riguardanti l’intera Europa, risalgono solo al 2002, quando veniva riportata una incidenza media pari a 11 casi su 10.000 ammissioni ospedaliere. Un secondo studio, nel 2008, condotto in 34 diversi stati, evidenziava un’incidenza media pari a 5.5 casi per 10.000 pazienti, ma molto variabile fra ospedali (0-36.3) e fra stati (0-19.1) [16].

Sono stati individuati più di 66 differenti ribotipi mediante PCR. In Europa i più rappresentati sono ribotipo 014/020 (15%), 001(10%) e 078 (8%). La prevalenza del ribotipo 027 è pari al 5% ed i pazienti presentano, generalmente, un quadro clinico più severo, una minore risposta al metronidazolo, una più alta incidenza di recidiva ed una più elevata mortalità rispetto a pazienti affetti da altri ribotipi.

Nel Regno Unito, fra Ottobre 2003 e Giugno 2004, si è registrata presso una struttura ospedaliera la prima epidemia di C. difficile, con circa 174 casi e 19 (11%) decessi; nello stesso ospedale si è avuta una seconda epidemia, fra Ottobre 2004 e Giugno 2005, con 160 casi e 19 (12%) decessi. Ne è derivata l’istituzione di una commissione di investigazione che ha concluso che tali epidemie erano conseguenza di un ambiente non adeguato alla cura dei pazienti, scarso controllo delle infezioni, assenza di infrastrutture per isolare i pazienti infetti e scarsa attenzione data alla loro gestione [16].

Sebbene il C. difficile sia un organismo ubiquitario, si è sempre pensato che la sua prevalenza fosse maggiore nei luoghi di cura e che l’infezione avvenisse, esclusivamente, durante o subito dopo un’ammissione ospedaliera.

Indubbiamente l’incidenza è maggiore nei luoghi di cura rispetto alla comunità, a causa verosimilmente della più alta prevalenza di individui predisposti a

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13 contrarre l’infezione, cioè anziani con comorbidità. Detto ciò, non mancano i casi di infezione da C. difficile acquisito in comunità e non associato ai luoghi di cura. Quest’ultima può essere definita come un’infezione insorta in comunità o al massimo entro 48 ore dall’ammissione ospedaliera, in un individuo che non è stato dimesso da un luogo di cura nelle precedenti 12 settimane.

In alcuni studi l’infezione acquisita in comunità sembra coinvolgere una popolazione più giovane rispetto alle forme associate all’ospedalizzazione [16].

Uno studio condotto nel Regno Unito ha individuato alcuni possibili fattori di rischio per lo sviluppo di infezione da C. difficile:

- malattie infiammatorie croniche intestinali;

- sindrome del colon irritabile;

- ospedalizzazione negli ultimi 2 anni;

- insufficienza renale;

- uso di inibitori di pompa protonica (tale possibile fattore di rischio rimane ancora molto discusso, non essendoci una chiara evidenza a supporto);

- terapia antibiotica.

Fra tutti i possibili fattori di rischio, l’associazione con gli antibiotici ha un ruolo dominante, come meglio descritto di seguito.

Il C. difficile, come tutti i batteri sporigeni, può iniziare la conversione da forma metabolicamente attiva ad endospora quando esposto ad un ambiente avverso, come in presenza di disinfettanti antimicrobici e antibiotici. Nei nosocomi la trasmissione avviene, verosimilmente, in seguito all’ingestione di spore che, attraverso le mani degli operatori sanitari o mediante oggetti inanimati, vengono trasportate da paziente a paziente. Le correnti linee guida della OMS sull’igiene delle mani raccomandano due approcci:

- nel caso di esposizione a batteri sporigeni è consigliato il lavaggio delle mani con acqua e sapone;

- in tutte le altri situazioni cliniche sono sufficienti i gel a base alcoolica.

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14 C. difficile ed antibiotici

La diarrea è uno dei più frequenti effetti collaterali da antibiotici. I sintomi possono variare da un leggero discomfort addominale ad una grave diarrea e colite. La distruzione della normale flora intestinale causata dagli antibiotici può determinare la sovra-crescita di patogeni e disturbi funzionali del metabolismo dei carboidrati e degli acidi biliari, risultando in diarrea osmotica.

Cicli prolungati di antibiotici sono stati associati ad un più alto rischio di diarrea e i sintomi si manifestano generalmente dopo nove giorni dall’inizio del trattamento [17]. Circa il 20% delle diarree associate ad antibiotici è dovuto all’infezione da C. difficile.

Young et al., per la prima volta, hanno dimostrato che campioni di feci raccolti da pazienti non affetti da C. difficile ma con diarrea associata ad antibiotici, presentavano una ridotta diversità e prevalenza di organismi nella flora microbica, e che tali cambiamenti si risolvevano solo dopo due settimane dalla sospensione della terapia antibiotica.

Gli antibiotici, distruggendo la locale flora microbica, espongono al rischio di infezione da C. difficile durante la terapia e per le successive settimane, fintantoché non è stata ripristinata la normale flora. Ciò è vero in particolare per quegli antibiotici, come il ceftriaxone, che mancano di attività verso il C.

difficile. Alternativamente, antibiotici con attività verso di esso, come la vancomicina orale o la piperacillina/tazobactam, potrebbero proteggere dall’infezione durante il periodo di terapia, ma il paziente sarebbe comunque a rischio durante il periodo di ricovero della normale flora microbica.

Osservazioni recenti suggerirebbero che le forme di C. difficile resistenti ad antimicrobici, come clindamicina, cefalosporine e fluorochinoloni, giocherebbero un ruolo rilevante nei più recenti focolai epidemici.

Nella tabella 2 è indicata l’attività di vari antimicrobici nei confronti del Clostridium difficile [18].

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15 L’uso di multipli antibiotici e terapie prolungate è associato ad un maggior rischio di sviluppare l’infezione e, storicamente, le cefalosporine ad ampio spettro e la clindamicina sono quelle più frequentemente implicate; un ruolo ancora non del tutto chiaro è quello dei fluorochinoloni (Pepi et al. riportano un rischio maggiore nei casi di terapia prolungata) [16,17,18,19].

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16 Tab. 2

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17 Non tutti i pazienti che ricevono antibiotici e che sono esposti al C. difficile sviluppano l’infezione. Ciò è verosimilmente dovuto all’abilità del sistema immunitario dell’ospite di produrre anticorpi IgG contro la tossina A del C.

difficile (fig. 6) [18]. Questa potrebbe essere una delle spiegazioni per le quali i pazienti anziani sono più suscettibili all’infezione, insieme al maggior numero di ospedalizzazioni, al maggior rischio di esposizione nei luoghi di lungo- degenza e al maggior uso di antibiotici.

Fig. 6

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18 E’ importante sottolineare che per ottenere il controllo delle epidemie da C.

difficile non sono sufficienti solo le modifiche inerenti l’uso degli antibiotici, ma è necessario anche intervenire in termini di igiene degli ambienti (adeguata pulizia degli arredi e dei luoghi), isolamento dei pazienti infetti e sospetti tali, e altre misure preventive come il lavaggio delle mani e l’utilizzo di guanti e camici monouso ogni qualvolta si venga in contatto con il paziente ed il suo ambiente [18,19].

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Cap. 5 “Antimicrobial Stewardship”

L’ “antimicrobial stewardship” è un obbligo dello statuto dell’Unione Europea;

il dipartimento della salute ed altre organizzazioni internazionali hanno invitato tutti i sistemi sanitari a controllare l’uso adeguato degli antibiotici [20].

La terapia antibiotica dovrebbe avere la minor durata in grado di dare un appropriato out-come clinico e dovrebbe essere gestita nel contesto di un programma multifattoriale (comprendente il lavaggio delle mani e le misure atte al controllo e alla prevenzione delle infezioni) che ha come obiettivo la riduzione delle infezioni associate all’ospedalizzazione ed il miglior uso degli antimicrobici.

Il termine inglese “antimicrobial stewardship” descrive esattamente quell’insieme di azioni che hanno come fine la riduzione dell’uso inappropriato degli antibiotici e l’ottimizzazione del loro utilizzo (miglior out-come clinico, riduzione della tossicità, riduzione della selezione di germi resistenti) [20,21].

Il sistema sanitario del Regno Unito ha creato il progetto “Start Smart – Then Focus” (fig. 7) i cui punti chiave sono di seguito descritti [21]:

Iniziare in maniera intelligente:

 Non iniziare una terapia antibiotica in assenza di evidenza clinica di infezione batterica.

 In presenza di evidenza o sospetto di infezione batterica, fare riferimento alle linee guida locali per iniziare una efficace terapia antibiotica, il prima possibile nei pazienti con sepsi.

 Documentare nella cartella clinica il tipo di antibiotico, l’indicazione, la dose, la modalità di somministrazione, la durata e quando la terapia va rivalutata.

 Cercare di ottenere campioni biologici per gli esami batteriologici (colture e sensitività).

Successivamente focalizzare:

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 Rivalutare la diagnosi clinica e la necessità di terapia antibiotica entro 48 ore, quando i risultati di ulteriori indagini saranno disponibili.

 Considerare di sospendere la terapia antibiotica (in assenza di evidenza di infezione), cambiare la modalità di somministrazione (da parenterale ad orale), cambiare antibiotico, proseguire la corrente terapia (da rivalutare entro 72 ore) o considerare di continuare la terapia parenterale al di fuori dell’ospedale [22].

 Documentare ogni decisione nella cartella clinica.

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21 Fig. 7 ALGORITMO START SMART, THEN FOCUS [21,23]

Ogni struttura ospedaliera dovrebbe avere delle linee guida locali basate su quelle nazionali. Tali linee guida dovrebbero essere basate sull’evidenza, rilevanti per il contesto ospedaliero e tenere conto delle tipologie di antibiotico- resistenza presenti a livello locale. Dovrebbero inoltre comprendere le terapie per le più comuni malattie infettive. Coloro che prescrivono gli antibiotici

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22 dovrebbero aderire a tali linee guida e la loro adesione andrebbe monitorata e supportata.

Obiettivi delle linee guida locali dovrebbero essere [21]:

1. Minimizzare l’uso non necessario degli antibiotici.

2. Enfatizzare il bisogno di sistemi di prevenzione e controllo delle infezioni laddove appropriato.

3. Indicare tipologia, posologia, durata e modalità di somministrazione per le terapie delle più comuni infezioni batteriche.

4. Per le infezioni gravi (sepsi e sepsi severa), enfatizzare la necessità di iniziare senza ritardo una terapia antibiotica a largo spettro (in particolare quando la fonte dell’infezione non è nota).

5. Per le infezioni meno gravi, utilizzare l’antibiotico con lo spettro adeguato per il patogeno che si sospetta.

6. Considerare, in pazienti a rischio, la possibilità di infezioni da patogeni resistenti quali MRSA e patogeni ESBL ed offrire trattamenti alternativi.

7. Considerare terapie alternative in presenza di allergie.

8. Raccogliere campioni biologici per gli studi microbiologici prima di iniziare la terapia antibiotica, laddove possibile.

9. Raccomandare la somministrazione endovenosa solo per i pazienti gravi, non capaci di tollerare la terapia orale o dove la terapia orale non consentirebbe una adeguata copertura o biodisponibilità [22].

10. Modificare la posologia sulla base della funzione renale ed epatica [22].

11. Modificare le terapie sulla base dei risultati dei test microbiologici.

12. Rivalutare giornalmente la necessità di terapia endovenosa; la terapia orale può ridurre la durata della degenza, il costo del trattamento e le potenziali complicazioni legate all’accesso endovenoso. Studi randomizzati che hanno valutato gli effetti di un precoce passaggio da terapia endovenosa a terapia orale hanno dimostrato una riduzione dei giorni di degenza e dei costi senza inficiare l’out-come clinico [22,24].

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23 Per quanto riguarda il punto 6, sono da considerarsi fattori di rischio per infezione da germi mutli-resistenti: età avanzata, comorbidità, trasferimenti intra- and inter-ospedalieri, provenienza da luoghi di lunga degenza, prolungata ospedalizzazione, chirurgia gastro-intestinale o dei trapianti, esposizione a procedure invasive (es. catetere venoso centrale), precedente terapia antibiotica [25].

La struttura ospedaliera dovrebbe valutare l’aderenza alle linee guida ed il trend nei consumi degli antibiotici almeno annualmente [21].

Affinché l’ “antimicirobial stewardship” funzioni non è sufficiente creare delle linee guida basate su quanto sopra descritto, ma è necessario che il personale sanitario venga educato ed incoraggiato a seguirle al fine di garantire l’aderenza ad esse. Ciò è possibile in due modi: metodo restrittivo e metodo persuasivo.

Il metodo restrittivo consiste nel limitare la libertà del clinico nella prescrizione antibiotica, ad esempio mediante necessità di pre-autorizzazione, generalmente da parte di un infettivologo, di determinanti antibiotici ad ampio spettro. Rahal et al. nel loro studio dimostrano come in risposta ad una aumentata incidenza di Klebsiella resistente alle cefalosporine, la pre-autorizzazione dell’uso di queste ultime ha determinato una riduzione del loro uso pari all’80% con una successiva riduzione del 40% in tutto l’ospedale e del 71% nelle terapie intensive di casi di Klebsiella resistente al ceftazidime [22].

Il metodo persuasivo consiste nell’educazione attraverso conferenze, lezioni frontali, feedback sui risultati, divulgazione delle linee guida in tutti i modi possibili (cartacee ed on-line). A favore di questo metodo:

Bantar et al. nel loro studio riportano un cambiamento nel circa 25%

delle prescrizioni, consistente nella scelta di terapie meno costose nel 86% dei casi e nell’uso di antibiotici a spettro più ristretto nel 47% dei

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24 casi, portando un significativo incremento delle prescrizioni basate su fattori microbiologici (63% vs 27%) [22].

Uno studio condotto in un ospedale pediatrico australiano ha confrontato le scelte antibiotiche, prima e dopo l’introduzione di una carta plastificata con le raccomandazioni per il trattamento delle principali infezioni pediatriche. Dopo un periodo di 6 mesi si è avuto un significativo incremento nella percentuale di prescrizioni con il corretto antibiotico e la corretta dose ed il consumo delle cefalosporine di terza generazione è stato dimezzato [22].

Una recente review che ha preso in esame 89 studi in 19 differenti nazioni, nei quali era analizzato l’impatto dei suddetti metodi, restrittivo e persuasivo, ha dimostrato che, nel complesso, qualunque metodo è efficace nel migliorare la prescrizione di antibiotici e, di conseguenza, l’out-come clinico con una ridotta mortalità; in 21 studi tale miglioramento era anche associato ad un riduzione delle infezioni acquisite in ambiente ospedaliero (MRSA, C. difficile, ESBL etc) [26]. Il metodo restrittivo è risultato più veloce nel raggiungere l’obiettivo, rispetto al metodo persuasivo, ma con una riduzione di efficacia nel tempo.

[26]. In qualunque caso, fondamentali sono un continuo processo educativo e regolari attività atte a mantenere elevato il livello di consapevolezza del problema e delle risorse disponibili tra il personale sanitario, come dimostrato in uno studio condotto in India, nel quale sono stati analizzati i consumi di antibiotici, in un arco temporale di 10 anni, prima e dopo l’introduzione delle linee guida secondo varie modalità [27].

Uno degli elementi sottolineati nell’ “antimicrobial stewardship” è l’importanza che le linee guida possono avere nella scelta del corretto antibiotico e nella tempestività della somministrazione. La rilevanza di questi aspetti è correlata all’out-come clinico.

Il ritardo nell’iniziare la corretta terapia antibiotica è stato associato ad una più alta mortalità nei pazienti con sepsi (39% vs 24%) e nei pazienti critici in

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25 terapia intensiva (42% vs 18%) [22]. Il tasso di sopravvivenza nel caso di terapia iniziata entro un’ora è pari al 79.9% e si riduce del 7.6% per ogni ora di ritardo addizionale [28].

Uno studio retrospettivo ha osservato che i pazienti ospedalizzati con una infezione da ceppi di Enterobacteriaceae producenti ESBL, trattati con terapia antibiotica solo dopo 48 ore, presentavano una mortalità del 21.4%, superiore a quella dei pazienti trattati precocemente, che era pari al 10.7% [28].

In uno studio prospettico di qualche anno fa è stato analizzato l’out-come di 895 pazienti ospedalizzati, con febbre, in relazione al trattamento con il corretto antibiotico. I risultati sono stati che i pazienti trattati inizialmente con l’antibiotico inappropriato hanno avuto un più alto tasso di mortalità (20.1% vs 11.8%) ed una più lunga degenza (di almeno 2 giorni) [28]. A supporto di tali risultati vi sono diversi studi che hanno come gruppo in esame sia pazienti in terapia intensiva che pazienti non in terapia intensiva. Tali studi giungono a simili conclusioni: l’antibiotico inadeguato, la terapia iniziata in ritardo, la presenza di fattori di rischio per infezione da patogeni multi-resistenti (in particolare la pregressa esposizione ad antibiotici) sono fattori di rischio indipendenti per una aumentata mortalità [6, 28, 29].

Antimicrobial Stewardship e risultati

Gli antimicrobici rappresentano circa il 30% della spesa farmaceutica ospedaliera e nel 50% dei casi il loro uso è inappropriato. L’introduzione di efficienti “antimicrobial stewardship” ha permesso negli Stati Uniti di ridurre la spesa di circa il 22-36%, pari ad un risparmio annuo di 200.000-900.000 $ sia nei grandi che nei piccoli ospedali.

Per quanto riguarda il Regno Unito, a partire dal 2003-2004 sono stati investiti circa 120 milioni di £ per “antimicrobial stewardship” e programmi di prevenzione atti a ridurre le infezioni acquisite in ambiente ospedaliero. Il consumo ospedaliero di antibiotici ha visto solo una leggera crescita (fig. 8),

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26 nonostante un incremento del 14.3% delle ammissioni ospedaliere (tra il 2004 ed il 2009); si sono osservati da un lato il dimezzamento dell’uso delle cefalosporine di seconda generazione, una riduzione dell’uso dei fluorochinoloni superiore al 40% e delle cefalosporine di terza generazione pari al 22%, dall’altro lato l’uso dei carbapenemi e dell’amoxicillina/acido clavulanico è duplicato e quello della piperacillina/tazobactam è triplicato (fig.

9-10) [23].

Fig. 8 Consumo di antibiotici nel Regno Unito. Carbapen, carbapenemi; Cephs, cefalosporine; AP Pens, penicilline anti-pseudomonas; BS Pens, penicilline a largo spettro; PR Pens, penicilline resistenti alle penicillasi; NS Pens, penicilline a spettro ristretto; DDDs, defined daily doses.

(25)

27 Fig. 9 Uso complessivo negli ospedali inglesi di fluorochinoloni, cefalosporine, carbapenemi e penicilline antipseudomonas.

Fig. 10 Uso complessivo di amocicillina-acido clavulanico negli ospedali inglesi.

(26)

28 In Inghilterra, inoltre, è stata raggiunta entro il 2008 la riduzione di circa il 57% dei casi di batteriemia da MRSA ed il 41% dei casi di infezione da C.

difficile con un risparmio, rispettivamente, di 45-59 milioni e 97-204 milioni di

£. Complessivamente il risparmio è stato fra 141 e 263 milioni di £, ben al di sopra del budget investito per ottenere tali risultati [23,30].

(27)

29

Cap. 6 “Antimicrobial Stewardship” e The Royal Wolverhampton NHS Trust – New Cross Hospital

Il New Cross Hospital è una struttura ospedaliera situata nella città di Wolverhampton, in Inghilterra, con una popolazione di circa 250.000 abitanti, il cui dipartimento d’emergenza (Pronto soccorso e medicina di fase acuta) gestisce circa 130.000 ammissioni all’anno.

Tale ospedale, grazie alle azioni di seguito illustrate (fig. 11), ha raggiunto risultati eccellenti in termini di controllo delle infezioni da MRSA e Clostridium difficile.

Nel 2006 venivano pubblicate on-line le prime linee guida con gli antibiotici suggeriti per le più comuni infezioni batteriche, con dose, durata e modalità di somministrazione consigliata. Insieme alle linee guida veniva distribuita al personale medico una piccola carta plastificata con le medesime informazioni (fig. 12-13-14).

Fig.11

2006

• Linee Guida Antibiotici - on line

• Carta plastificata 2007 • Mandatory Training 2011 • Sticker Antibiotici

2012 • Antimicrobial Stewardship Committee 2013

• Nuove Linee Guida Anitbiotici

• Nuova carta plastificata

• Aggiornamento Mandatory Training

2014 • Aggiornamento Linee guida

(28)

30 Fig.12 Carta plastificata lato A (dimensioni cm 5 x 8.5)

Fig.13 Carta plastificata lato B

(29)

31 Fig. 14 Carta plastificata lato C

L’anno successivo veniva introdotto il “mandatory training”, cioè un corso obbligatorio per tutto il personale medico, da frequentare annualmente, che aveva come oggetto la corretta prescrizione antibiotica.

Tali progetti furono seguiti, nel 2011, dall’introduzione di uno sticker da applicare nella cartella clinica in modo da evidenziare la terapia antibiotica.

Tale sticker (fig.15) conteneva le seguenti informazioni: stato allergico del paziente, nome dell’antimicrobico scelto, indicazione, modalità di

(30)

32 somministrazione, durata prevista e se l’antibiotico era ad alto rischio per infezione da C. difficile.

Fig. 15 Sticker

La svolta decisiva per l’ospedale risale al 2012 quando veniva istituita la commissione per l’ “antimicrobial stewardship” che, basandosi sulle linee guida nazionali rilanciate con vari programmi nello stesso anno, apportava profonde e rilevanti modifiche sia in termini di prevenzione delle infezioni che in termini di prescrizione antibiotica.

Le misure per il controllo delle infezioni messe in atto da questo ospedale nel corso degli ultimi anni sono molte (nuovi arredi, nuovi protocolli per la pulizia degli ambienti, isolamento dei pazienti infetti o sospetti infetti da MRSA, C.difficile, patogeni ESBL, screening per l’MRSA di tutti i pazienti ammessi in ospedale etc.) ed esulano dall’oggetto di questa tesi. Rispetto all’antibiotico- terapia, esse non sono meno rilevanti, in quanto solo dal sinergismo delle due è stato possibile raggiungere eccellenti risultati.

La commissione ha generato nel 2013 le nuove ed aggiornate linee guida antibiotiche, seguite da una nuova carta plastificata (fig.16-17), ed ha introdotto una sezione specifica per il rischio di infezione da C. difficile all’interno del “mandatory training”. Il messaggio sull’importanza della prescrizione antibiotica è stato divulgato in maniera capillare all’interno

(31)

33 dell’ospedale e la necessità di aderenza alle linee guida è stata sottolineata.

Mediante audit e feedback viene effettuato un monitoraggio continuo, che si traduce in formazione continua del personale coinvolto.

Le linee guida non coprono, ovviamente, qualunque situazione clinica, pertanto per i casi più complessi è stato predisposto un servizio attivo 24/24 h di consulenza da parte dello specialista infettivologo, facilmente raggiungibile per via telefonica ed in grado di fornire un fondamentale supporto al clinico in tempo reale.

Fig. 16 Nuova Carta plastificata lato A (dimensioni cm 5.5 x 9)

(32)

34 Fig. 17 Nuova Carta plastificata lato B

Nonostante grandi obiettivi siano stati raggiunti come una compliance alle linee guida pari al 94% (report annuale della commissione “Antimicrobial stewardship” 2013-2014) [31], altri miglioramenti vanno ancora apportati, in particolare riguardo alla documentazione clinica relativa alla terapia

(33)

35 antibiotica, ad esempio lo sticker risulta essere compilato con una percentuale variabile dallo 0% al 40%.

Date tali premesse, obiettivo di questa tesi è mostrare, con l’impiego di una semplice statistica descrittiva, quali cambiamenti sono stati osservati nel corso degli ultimi anni in termini di uso degli antibiotici, casi di batteriemia da Staphilococcus aureus meticillino-resistente e infezione da C. difficile.

 E’ stato preso in esame il consumo di quattro classi antibiotiche (cefuroxime, carbapenemi, amoxicillina/acido clavulanico, ciprofloxacina) dall’Aprile 2011 all’Aprile 2014 (Fig. 18). I dati sono stati forniti dal Dipartimento di farmacia dell’ospedale. Il consumo è espresso con l’unità di misura defined daily doses (DDD)/1000 posti letto occupati. La OMS definisce la DDD come la dose media di mantenimento al giorno per un determinato farmaco per la sua principale indicazione in un adulto.

L’uso di cefuroxime è stato minimo e prevalentemente presso l’unità di pediatria, in accordo con le loro linee guida.

Come in tutte le statistiche l’uso dei carbapenemi ha un trend in aumento; il loro utilizzo è stato osservato in particolare nei reparti di ematologia, nefrologia e pneumologia, sempre nel rispetto delle linee guida o sotto indicazione dell’infettivologo.

L’uso dell’amoxicillina-acido clavulanico dopo una importante riduzione, osservata nel 2011, è nuovamente in aumento, in particolare in pronto soccorso ed in pediatria.

La ciprofloxacina ha un trend in quasi costante aumento. Inizialmente il suo utilizzo è incrementato a causa della bassa correlazione con l’infezione da C. difficile (come detto in precedenza l’associazione con i chinoloni è ancora oggetto di discussione). Poiché sempre più spesso l’esposizione ai chinoloni è chiamata in causa in presenza di infezione da C. difficile, in particolare per alcuni ribotipi (es. 027), l’ospedale sta attentamente monitorando il loro impiego. Il recente aumento è stato

(34)

36 osservato in pronto soccorso, in ematologia, oncologia, nefrologia e pneumologia.

Fig. 18

 Per quanto riguarda lo Staphilococcus aureus meticillino-resistente sono stati raccolti, mediante l’aiuto del dipartimento di microbiologia, i dati riguardanti sia l’acquisizione di MRSA in ospedale che i casi di batteriemia da MRSA. I miglioramenti ottenuti si devono soprattutto alle misure di prevenzione messe in atto e alle terapie di decolonizzazione nei pazienti portatori.

1. Tutti i pazienti ammessi in ospedale e quelli che devono sottoporsi a procedure invasive non in urgenza vengono sottoposti a MRSA 0

50 100 150 200 250

No. of DDDs/FCE x 1000

A Chart to show the quarterly use of Monitored Antibiotics

carbapenem cefuroxime ciprofloxacin co-amoxiclav

(35)

37 screening mediante tampone nasale e cutaneo. Un paziente inizialmente negativo che risulta positivo dopo 48 ore si ritiene che abbia acquisito l’MRSA in ambiente ospedaliero. Nell’anno 2008-2209 sono stati registrati 184 di tali casi, nell’ultimo anno soli 35, con una riduzione quasi dell’81% (fig. 19).

Fig. 19

2. I casi di batteriemia da MRSA registrati nell’anno 2006-2007 sono stati 45, numero drasticamente ridotto (- 100%) nel 20013-2014, con nessun caso (fig. 20, tab. 3 ).

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

2008-09 2009-10 2010-11 2011-12 2012-13 2013-14 Anno

Num.

MRSA Acquisito in ospedale da quando è stato introdotto lo screening di tutti i pazienti

(36)

38 Fig. 20

Tasso di batteriemia da MRSA per 100.000 posti letto occupati

Financial Year Trust Apportioned

MRSA Bacteraemia

Occupied Bed Days

MRSA Bacteraemia rate per 100,000 bed days (95% confidence intervals)

2006/07 45 224.081 20,1 (14.6 - 26.9)

2007/08 7 220.924 3,2 (1.3 - 6.5)

2008/09 8 230.098 3,5 (1.5 - 6.9)

2009/10 2 229.858 0,9 (0.1 - 3.1)

2010/11 0 222.236 0,0 (0.0 - 1.7)

2011/12 0 251.303 0,0 (0.0 - 1.5)

2012/13 1 259.163 0,4 (0.0 - 2.1)

2013/14 0 260.998 0,0 (0.0 - 1.4)

Tab. 3

 La commissione istituita nel 2012 ha prestato particolare attenzione al rilevante problema rappresentato dal C. difficile. Sono state osservate tutte le necessarie norme igieniche e le nuove linee guida antibiotiche, con il maggiore peso dato nel mandatory training a questa infezione, hanno reso possibile la notevole riduzione di casi osservata in

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50

2006-07 2007-08 2008-09 2009-10 2010-11 2011-12 2012-13 2013-14 Serie1 Num.

(37)

39 particolare a partire dal 2012-2013 (fig. 21, tab. 4). I dati di partenza risalgono al 2007-2008 con 118 casi, mentre nell’ultimo anno ne sono stati registrati 39 (riduzione del 66.4%).

Fig. 21

Tasso di Clostridium difficile per 100.000 posti letto occupati

Financial Year Trust Apportioned Clostridium difficile

Occupied Bed Days

Clostridium difficile rate per 100,000 bed days (95% confidence intervals)

2007/08 118 220.924 53,4 (44.2 - 64.0)

2008/09 80 230.098 34,8 (27.6 - 43.3)

2009/10 81 229.858 35,2 (28.0 - 43.8)

2010/11 80 222.236 36,0 (28.5 - 44.8)

2011/12 88 251.303 35,0 (28.1 - 43.1)

2012/13 41 259.163 15,8 (11.4 - 21.5)

2013/14 39 260.998 14,9 (10.6 - 20.4)

Tab. 4

0 20 40 60 80 100 120 140

2007-08 2008-09 2009-10 2010-11 2011-12 2012-13 2013-14

C. difficile

N um .

(38)

40

Cap. 7 Conclusioni

L’antimicrobico-resistenza rappresenta un problema a livello internazionale, nazionale e locale, rilevante dal punto di vista clinico ed economico. Essa è frutto di una lotta impari tra l’essere umano ed i germi e l’unico modo per limitarne gli effetti consiste nel migliorare in qualità di medici le nostre conoscenze e nell’applicarle quotidianamente. Il medico d’urgenza è chiamato per primo a migliorare il suo approccio clinico-terapeutico alle infezioni, sia per fornire il proprio contributo nel controllo dell’antibiotico-resistenza sia per migliorare l’out-come del paziente (tempestività nella somministrazione del giusto antibiotico, alla giusta dose e secondo la giusta modalità), che dipende tanto dalla cura della patologia infettiva quanto dalla prevenzione di evitabili

“effetti collaterali” (vedi infezione da C. difficile).

L’ospedale inglese citato dimostra che nessun progresso può essere compiuto dall’oggi al domani, ma richiede un articolato programma multidisciplinare mediante il quale è possibile controllare l’uso degli antibiotici e ridurre i casi di batteriemia da MRSA ed infezione da C. diffcile. Il medico può trovare supporto nelle linee guida locali che, seppur basate su quelle nazionali, devono essere frutto di un attento studio a livello locale. Esse da sole non bastano, ma necessitano di essere affiancate ad un programma educativo rivolto a tutti i medici, che mantenga elevata l’attenzione per l’argomento e che stimoli l’aggiornamento scientifico.

È bene comunque ricordare che le linee guida non sostituiscono il giudizio clinico che deve sempre tener conto dell’applicabilità di esse nel caso del singolo individuo.

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