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4 1. L’aldoso reduttasi

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1. Introduzione

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4 1. L’aldoso reduttasi

1.1 Generalità

L’aldoso reduttasi (ALR2) (alditol:NADPH oxidoreductase, EC 1.1.1.21) è un enzima citosolico appartenente alla superfamiglia delle Aldo-Cheto reduttasi, comprendente enzimi monomerici, che si suppone derivanti per evoluzione divergente da un progenitore ancestrale multifunzionale comune caratterizzati da circa il 40% di identità amminoacidica, (Jez et al., 1997), e da elementi strutturali e funzionali conservati, come la struttura terziaria ad alfa/beta barile.

L’Aldoso Reduttasi è stato identificato per la prima volta circa cinquanta anni fa a livello della vescicola seminale umana (Samuels et al., 1962): esso è il primo enzima della via dei polioli, e converte il glucosio a sorbitolo in una reazione NADPH dipendente. Il sorbitolo prodotto viene successivamente ossidato a fruttosio in una reazione catalizzata dalla sorbitolo deidrogenasi (L- iditol:NAD

+

2-ossidoreduttasi, EC 1.1.1.14) in presenza di NAD

+

.

Il glucosio, sebbene sia stato studiato storicamente come substrato dell’aldoso reduttasi per il suo

contributo nell’eziologia delle complicanze secondarie del diabete, non è l’unico substrato

dell’aldoso reduttasi. L’enzima infatti riconosce come substrati anche diversi tipi di altre aldeidi, sia

di natura idrofilica, quali aldosi da 3 a 6 atomi di carbonio, sia aldeidi di natura idrofobica come il

4-idrossi-2-nonenale (HNE), una molecola citotossica che si genera nei processi di perossidazione

lipidica delle membrane a seguito di stress ossidativo. La bassa affinità dell’aldoso reduttasi per il

glucosio rende la via dei polioli quasi ininfluente in condizioni normoglicemiche (nelle quali la

percentuale del glucosio disponibile convertita dall’enzima si attesta intorno al 3%). Tuttavia, in

condizioni di iperglicemia il flusso del glucosio attraverso questa via acquista rilevanza,

raggiungendo una percentuale del 30% del glucosio totale presente nella cellula (Tang W.H. et al.,

2012), determinando cosi condizioni di sbilancio metabolico (e osmotico) ampiamente accettate

come concausa dell’insorgenza di quelle che oggi sono riconosciute come complicanze secondarie

della patologia diabetica, quali retinopatia, nefropatia, neuropatia periferica e cataratta.

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5 1.2 Struttura enzimatica e meccanismo d’azione

L’aldoso reduttasi si presenta come un monomero costituito da 316 residui amminoacidici (Graham et al., 1991).

Nel 1959 il dottor Van Heyningen osservò che l’enzima in cristallini di ratto era in grado di convertire glucosio, xilosio e galattosio nei prodotti sorbitolo, xilitolo e galattitolo; inoltre riportò la presenza di sorbitolo in cristallini di soggetti umani diabetici. Queste iniziali osservazioni portarono all’ipotesi del coinvolgimento della via dei polioli nell’eziologia delle complicanze secondarie del diabete, ipotesi che nel corso degli anni ha acquistato numerose evidenze sperimentali.

La struttura tridimensionale dell’enzima è stata determinata tramite approccio cristallografico per la prima volta nel 1993 con una risoluzione di 1,65 Ǻ (Wilson et al., 1992) . Studi successivi ne hanno migliorato la comprensione fornendo dati anche a risoluzioni di 0,85 Ǻ (Wilson et al., 1993;

Nakano et al., 1996), da cui è emerso come l’enzima sia, dal punto di vista strutturale, più simile a un’ossidoreduttasi FAD-dipendente che non alle ossidoreduttasi NADP dipendenti (Rondeau et al., 1992; Bohrani et al., 1992).

Più precisamente, l’analisi cristallografica ha evidenziato una struttura secondaria a α/β barile, con 8 foglietti β- paralleli alternati ad altrettante α-eliche e disposti in modo antiparallelo, con le eliche disposte esternamente e con legami ad idrogeno tra i foglietti 1 e 6 che determinano la struttura del “barile” (Wilson et al., 1992). Completa la struttura un loop di residui amminoacidici (Gly213-Ser226), che sono localizzati tra il filamento 7 e l’elica 7 del barile, deputati al legame con il NADPH. Il legame con il cofattore determina un cambiamento strutturale di questo dominio, definito “safety belt” (Wilson et al., 1992), che assume cosi una conformazione definita “ chiusa”, , contrariamente a quanto succede quando l’enzima non lega il cofattore, nel qual caso siamo la conformazione della “safety belt” è definita “aperta” (Biadene et al., 2007). La prima conformazione è caratterizzata da legami a idrogeno che si formano tra l’Asp216 e le Lys21 e 262.

La seconda conformazione è invece stabilizzata dalle interazioni tra Pro218 e Trp219 con Asn256.

Rilevante per l’interazione con il NADPH è risultato il residuo Arg268; il mutante Arg268Ala è stato

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cristallizzato in assenza del cofattore e ciò ha permesso di evidenziare la conformazione aperta della safety belt.(Bohren et al, 2005). Una condizione necessaria, ma non sufficiente, per l’apertura della safety belt è la possibilità per la Cys298 di interagire con l’anello nicotinammidico del NADP

+

mediante legami a idrogeno o mediante attrazione elettrostatica tra il residuo carico negativamente e l’anello, carico positivamente.

Il sito di interazione dell’aldoso reduttasi con il substrato è rappresentato da una cavità a forma ellittica che può essere considerata divisa in due parti principali: il cosiddetto “anion binding pocket”, una regione rigida comprendente i residui Trp20, Val47, Asp43, Tyr48,His110 e Trp111, e il cosiddetto “specifity pocket”, una regione flessibile e idrofobica, comprendente i residui Thr113, Phe115, Phe122, Cys303 e Tyr309. Vi è un’ulteriore regione, caratterizzata dai residui compresi tra Val297e Leu300, che modifica la sua posizione in relazione all’interazione con determinati ligandi.

(Klebe et al., 2004; Harrison et al., 1994; Podjarny et al., 2004) (Fig.1).

Il meccanismo d’azione dell’aldoso reduttasi è definito come sequenziale ordinato. L’interazione del cofattore con l’enzima ne determina un cambiamento conformazionale che consente il legame del substrato aldeidico. Nel complesso ternario, ALR2-NADPH-ALDEIDE, l’enzima catalizza la riduzione del substrato ad alcool, che viene quindi rilasciato. Una ulteriore modificazione conformazionale permette la dissociazione del complesso binario ALR2-NADP

+

ed il ripristino dell’enzima, che torna disponibile per un nuovo ciclo catalitico (Del Corso et al., 2008). Il meccanismo di catalisi consiste in un trasferimento stereospecifico dell’idruro 4-pro-R del NADPH al carbonio del gruppo carbonilico del substrato , seguito dalla protonazione dell’ossigeno del carbonile mediante un gruppo che funziona da donatore di protoni.

Studi cinetici e di mutagenesi, contestualmente a dati cristallografici (Harrison et al., 1994; Bohren

et al., 1994), hanno inequivocabilmente dimostrato che è la Tyr48 ad operare il trasferimento

protonico, mentre l’His110 riveste un ruolo importante nell’orientamento del substrato nel sito

attivo. Determinante per conferire alla Tyr48 il ruolo di donatore di protoni è l’abbassamento del

suo pKa dovuto alla partecipazione della Tyr48 a una rete di legami a idrogeno che include Asp43 e

Lys77 (Tarle et al., 1993).

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Figura 1. Struttura dell’aldoso reduttasi.

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1.3 La via dei polioli e le complicanze secondarie del diabete

Gli elevati livelli di glucosio ematico sono la condizione predisponente allo sviluppo delle complicanze secondarie del diabete a causa dell’incremento del flusso del glucosio nella via dei polioli (Fig.2). Queste sono particolarmente eclatanti nei tessuti che non necessitano di insulina per l’uptake del glucosio, in quanto l’entità del danno risulta essere proporzionale alla concentrazione di glucosio circolante. Questi tessuti sono il parenchima renale, le cellule del sistema nervoso periferico e i vari distretti oculari, con particolare attenzione alla retina e al cristallino, che sono i siti maggiormente colpiti. Pertanto vengono annoverate tra le complicanze secondarie del diabete alterazioni della conduzione nervosa e in generale neuropatie, retinopatie, cataratta e nefropatie.

La connessione tra l’azione dell’aldoso reduttasi e in generale l’attività della via dei polioli e lo sviluppo delle complicanze a lungo termine del diabete è stata stabilita attraverso vari studi nel corso degli anni che hanno affrontato gli effetti dell’iperglicemia cronica tramite diversi approcci scientifici.

Il primo danno che si osserva a livello intracellulare è conseguente all’accumulo di sorbitolo; tale accumulo è dovuto alla incapacità della sorbitolo deidrogenasi, di convertire tutto il sorbitolo in fruttosio nelle condizioni di flusso sovrabbondante di glucosio nella via metabolica dei polioli. Il sorbitolo, essendo una molecola poco diffusibile attraverso la membrana plasmatica, si accumula e richiama acqua all’interno della cellula, causando uno squilibrio osmotico che porta a fenomeni apoptotici.

Le prime evidenze del collegamento tra l’accumulo di sorbitolo e lo sviluppo di neuropatie

risalgono agli anni 60, quando si rilevarono alti livelli di metaboliti connessi con la via dei polioli

(glucosio, sorbitolo, fruttosio e inositolo) in nervi periferici e nel midollo spinale di animali

diabetici, che stabiliva cosi una connessione tra il ruolo dell’aldoso reduttasi e lo sviluppo della

neuropatia diabetica (Gabbay et al., 1966).

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Per meglio comprendere il ruolo dell’accumulo del sorbitolo nello sviluppo delle complicanze diabetiche si è poi passati all’adozione di modelli più semplici, in quanto i livelli effettivi di sorbitolo in animali diabetici sono il risultato anche dei livelli di sorbitolo deidrogenasi, che lo metabolizza a fruttosio nella seconda tappa della via dei polioli. Si è cosi passati a modelli animali alimentati con dieta galattosemica, poiché il galattosio è substrato dell’aldoso reduttasi ma il suo prodotto, il dulcitolo, non viene ulteriormente metabolizzato dalla cellula. Nel corso degli ultimi 30 anni un numero elevatissimo di studi ha evidenziato, in diversi animali, come l’alimentazione con una dieta galattosemica porti alla rapida insorgenza delle diverse complicanze e come il trattamento con inibitori dell’aldoso reduttasi diminuisca la velocità di sviluppo e l’entità della gravità della medesime complicanze (Alexiou et al., 2009). Ulteriori evidenze a sostegno del ruolo dell’aldoso reduttasi nell’insorgenza delle complicanze secondarie del diabete sono fornite da studi condotti su topi transgenici nei cui cristallini è stata sovra espressa l’aldoso reduttasi, in cui si nota un’accelerazione dell’insorgenza della cataratta diabetica (Lee et al., 1995).

L’accumulo di sorbitolo è un fattore importante per lo sviluppo delle complicanze a lungo termine del diabete, ma il quadro è più complesso: vi sono infatti tessuti nei quali l’accumulo di sorbitolo non è sufficiente a creare uno squilibrio osmotico significativo (King et al., 1994). In effetti attualmente si ritiene che oltre l’accumulo di sorbitolo, altri fattori, comunque legati all’aumentato flusso attraverso la via dei polioli abbiano un ruolo rilevante nell’insorgenza della cataratta diabetica. Tra questi l’aumentato stress ossidativo legato alla ridotta disponibilità del cofattore piridinico per la glutatione reduttasi, un enzima chiave nella difesa antiossidante, in conseguenza dell’alterazione dei normali rapporti NADPH/NADP per effetto dell’azione di AR (Lee et al., 1999) Al tempo stesso l’alterazione anche del normale rapporto NAD/NADH, conseguente all’azione della sorbitolo deidrogenasi, determina una condizione di cosiddetta “pseudo ipossia”

che inducendo delle alterazioni biochimiche a livello vascolare e nervoso, quali squilibri del metabolismo lipidico, aumento della produzione di anione superossido e incremento della formazione di ossido nitrico, contribuisce ad aumentare lo stress ossidativo in condizioni di iperglicemia (Williamson J.R. et al. 1993). A questo riguardo è rilevante notare l’azione di molecole antiossidanti che, senza andare ad influenzare l’accumulo di sorbitolo, sono risultate in grado di prevenire la carattogenesi, suggerisce (Ansari et al., 1994, Chung et al, 2003).

L’aumento del flusso attraverso la via dei polioli è considerato favorire anche i fenomeni di

glicazione proteica. Questi si originano a seguito della capacità degli zuccheri di reagire non-

enzimaticamente attraverso la reazione di Maillard con gruppi amminici di proteine, con lipidi ed

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acidi nucleici generando intermedi il cui riarrangiamento porta ai cosiddetti "advanced glycation end products" (AGEs). Il fruttoso (e suoi metaboliti), i cui livelli aumentato in concomitanza con l’aumento del flusso attraverso la via dei polioli risulta essere un agente glicante decisamente piu potente del glucosio (Hamada et al., 1996). L’ accumulo degli AGEs nei tessuti è strettamente connesso allo sviluppo delle complicanze (Schmidt et al., 1994), sia per la perdita di funzionalita delle macromolecole coinvolte nel processo di glicazione, sia per l'induzione di processi di tipo infiammatorio.

Figura 2. La via dei polioli.

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11 1.4 L’inibizione dell’Aldoso Reduttasi

La rilevanza dell’azione dell’aldoso reduttasi nell’insorgenza delle complicanze diabetiche a lungo termine ha dato una spinta importante nella ricerca di composti che potessero agire da inibitori, con l’intento di prevenire lo sviluppo o rallentare la progressione di tali complicanze.

Ad oggi, la maggior parte degli inibitori dell’aldoso reduttasi che sono stati testati appartengono a due classi principali; composti che contengonoimmidi cicliche a cinque termini, come ad esempio le spiroidantoine, e derivati di acidi carbossilici, come l’alrestatina.

Nonostante le differenze di struttura, potenza e farmacocinetica, tuttavia, tutti gli inibitori dell’aldoso reduttasi hanno caratteristiche comuni, cioè un gruppo polare e una o più porzioni lipofiliche planari, che si legano nella tasca idrofobica dell’aldoso reduttasi tramite interazioni idrofobiche estensive (Wilson et al., 1993 ; Harrison et al., 1994).

Un rappresentante del primo gruppo è il Sorbinil, sintetizzato e brevettato nel 1978 dall’industria farmaceutica Pfizer, che è stato il primo composto con un gruppo spiroidantoinico ad essere testato come inibitore di ALR2. Studi su animali sono stati condotti e hanno messo in evidenza che il trattamento con Sorbinil risulta in miglioramenti irrisori (o nulli) nel trattamento di complicanze quali la polineuropatia diabetica e le complicanze renali (Fagius et al., 1985; O’Hare et al., 1988 ; Kern et al., 1999). Inoltre, studi su pazienti diabetici hanno messo in evidenza l’insorgenza di diversi effetti collaterali i nelle prime settimane di trattamento, quali febbre, rush cutanei e mialgia, forse dovuti a metaboliti tossici derivanti dal metabolismo del farmaco (Spielberg et al., 1991). Ciononostante, diversi farmaci derivati dal sorbinil hanno avuto fortuna nel campo dei trattamenti sintomatici delle complicanze diabetiche; uno di questi, il Minalrestat, un 2-fluoro-4- bromobenzil-derivato, è stato visto correggere l’alterata reattività micro vascolare (Akamine et al., 2003).

Un altro composto, forse ad oggi il più promettente ed ancora oggi oggetto di studio, è il Fidarestat, un analogo del Sorbinil, del quale però mostra una potenza 10 volte superiore (Asano et al., 2002) e non ha mostrato rilevanti effetti collaterali anche dopo somministrazione continua.

Gli effetti terapeutici del Fidarestat sono stati evidenziati nel miglioramento della retinopatia e

neuropatia periferica diabetiche (Kato et al., 2003; Hotta et al., 2004), e nella normalizzazione del

contenuto di sorbitolo in eritrociti umani (Asano et al., 2004).

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Analogamente, diversi derivati di acidi carbossilici sono stati indagati quali candidati farmaci per il trattamento delle complicanze secondarie del diabete. Il punto debole di questi inibitori, però, è la biodisponibilità. Molti di questi inibitori, infatti, pur avendo un'elevata affinità per l'aldoso reduttasi in vitro, hanno dimostrato una scarsa potenza in vivo. E' universalmente accettato che la scarsa efficacia, in quest'ultimo caso, sia imputabile alla bassa pKa di questi composti, che sono quasi completamente ionizzati a pH fisiologico e quindi sono limitati nella loro capacità di passare attraverso la membrana plasmatica.

Il primo composto, tra i derivati di acidi carbossilici, ad essere testato sull’aldoso reduttasi è stato l’Alrestatin, che ha dimostrato modesti effetti in pazienti affetti da polineuropatia diabetica (Fagius et al., 1981).

Successivamente, ne è stato sviluppato un derivato che è rappresentato dal Tolrestat. La struttura cristallina del complesso aldoso reduttasi-Tolrestat (Urzhumtsev et al., 1997) mostra che gli atomi di ossigeno del gruppo carbossilico del Tolrestat formano un’estesa rete di legami a idrogeno con la Tyr48, la His110 e il Trp111. Il sistema di anelli idrofobici del Tolrestat viene intrappolato nella tasca formata da Trp111, Leu300 e Phe122. L’apertura della cosìddetta “tasca di specificità” (che invece rimane chiusa nel complesso enzima-Sorbinil) richiede un cambiamento conformazionale a livello della Leu300 e Phe122.

Nell’uomo, la somministrazione di Tolrestat ha dimostrato migliorare neuropatie e nefropatie (Boulton et al., 1990; Santiago et al., 1993; Passariello et al., 1993). Tuttavia, non ha mai avuto grossi effetti terapeutici, nonché dei gravi effetti a livello epatico che ne hanno indotto il ritiro dal mercato.

Altri derivati del Tolrestat sono l’Epalrestat e il Ponalrestat. A differenza di quest’ultimo, che ha dimostrato una scarsa potenza che gli ha impedito di proseguire il normale iter per la commercializzazione in qualità di farmaco (Ziegler et al., 1991; Faes et al., 1993) , l’epalrestat è un composto, ancora oggi oggetto di studio, promettente per il trattamento della neuropatia diabetica, in quanto migliora significativamente diversi parametri neurologici dei soggetti trattati, senza evidenti alterazioni metaboliche (Goto et al., 1995; Uchida et al., 1995).

Una nuova serie di inibitori è stata creata inserendo una porzione benzotiazolica ai derivati degli

acidi carbossilici: il più promettente, lo Zopolrestat, si lega all’aldoso reduttasi inducendo un

cambiamento conformazionale nella “tasca di Specificità”. In particolare, il legame dell’inibitore

causa una rotazione del segmento 121-135 (che contiene la Phe122) e del segmento

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amminoacidico 299-302 (che contiene la Leu300), che si allontanano dal Trp111. Questa condizione sembra crei spazio per l’allocazione dell’anello benzotiazolico dello Zopolrestat (Wilson et al., 1993).

Lo Zopolrestat mostra un buon assorbimento per via orale ed è risultato in grado di impedire in ratti resi diabetici sia l’accumulo di sorbitolo a livello del nervo sciatico, della retina e del cristallino, mantendo la trasparenza di quest’ultimo, che la proteinuria e l’albuminuria (Mylari et al., 1991; Beyer-Mears et al., 1996).

La complessiva insufficienza terapeutica di queste classi di composti chimici, cosi come il ruolo

detossificante dell’AR, legato alla sua capacità di ridurre, oltre al glucosio, anche aldeidi

idrofobiche provenienti dalla perossidazione lipidica ad elevata citotossicità, quali l’acroleina ed il

4-idrossi 2,3nonenale (HNE) (Srivastava et al., 1995; Vander et al., 1995; Kolb et al., 1994) ha

portato alla proposta di un nuovo approccio nella inibizione dell’aldoso reduttasi, attraverso la

cosidetta “ la inibizione differenziale”. Con questo termine è stata definita una nuova strategia di

inibizione (Cappiello et al., 2014) mirata a inibire l’enzima in dipendenza dal substrato che viene

convertito. Questo nuovo approccio mira a individuare molecole in grado di inibire selettivamente

la riduzione del glucosio, lasciando intatta (o influenzandola minimamente) la capacità

detossificante di AR legata alla riduzione dell’HNE e delle altre aldeidi idrofobiche derivanti dalla

perossidazione lipidica.

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1.5 Comportamento non-Michaeliano dell’aldoso reduttasi

In vari casi la caratterizzazione cinetica dell'aldoso reduttasi ,isolata da svariate fonti e condotta utilizzando diversi substrati, ha evidenziato l’esistenza di fenomeni di apparente cooperatività negativa che, in una analisi effettuta mediante grafico dei doppi reciproci, si traducono in andamenti bifasici anziché lineari (Conrad and Doughty, 1982; Daly and Mantle, 1982; Del Corso et al., 1989; Dons and Doughty, 1976; Grimshaw et al., 1989; Grimshaw and Lai, 1996; Halder and Crabbe, 1984; Håstein and Velle, 1969; Poulsom, 1986; Sheaff and Doughty, 1976; Srivastava et al., 1985.

Poichè l’aldoso reduttasi è un enzima monomerico, l’apparente cooperatività osservata è stata

spiegata nei diversi casi con la simultanea presenza di più forme enzimatiche caratterizzate da

diversi parametri cinetici. Tuttavia in molti degli studi sopracitati risulta difficile definire con

esattezza la natura delle forme enzimatiche presenti nel preparato proteico utilizzato per lo

studio cinetico. E’ comunque a tutt’oggi chiaramente evidente che l’aldoso reduttasi è suscettibile

di modifica tiolo-dipendente, che si realizza a livello della Cys298 e che è indotta da disolfuri o da

tioli in condizioni ossidanti. Gli effetti della S-tiolazione a livello della Cys298, che si ripercuotono

sia sulle caratteristiche strutturali che cinetiche dell’aldoso reduttasi, variano a seconda

dell’agente modificante. Ad esempio, limitandoci agli effeti sulle proprietà cinetiche, la modifica

indotta dal ditiodietanolo (il disolfuro del beta-mercaptoetanolo) determina un incremento di

circa 2,5 volte dell’attività enzimatica (Bohrenet al., 1993; Giannessi et al., 1993). Al contrario, la

modifica indotta dal disolfuro del glutatione si traduce nella generazione di una forma enzimatica

che possiede un’attività pari a circa il 40% della forma nativa (Cappiello et al., 1994; Cappiello et

al., 1996). Infine la modifica indotta da cistina non ha effetto sull’attività catalitica

dell’enzima(Vilardo et al., 2001). E’ stato dimostrato che la semplice conservazione di un

preparato enzimatico in tampone contenente beta-mercaptoetanolo come agente riducente,

favorendo la formazione di forme ossidate dell’enzima, può generare fenomeni di apparente

cooperatività negativa (Giannessi et al. 1993; Del Corso et al. 1989). Alla luce di queste evidenze è

pertanto possibile ipotizzare, almeno per alcuni dei casi in cui è stato mostrato il realizzarsi di

fenomeni di apparente cooperatività (Grimshaw et al. 1989, Poulsom 1986; Dons and Doughty,

1976) la generazione di forme tiolate dell’enzima nei preparati proteici utilizzati negli studi.

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