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I FONDI “ HEDGE ” ( O SPECULATIVI )

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(1)

L EZIONE 14

I FONDI HEDGE ( O SPECULATIVI )

Premessa

Tra le quote di O ICR (come strumenti finanziari tipici ai sensi dell’art. 1, comma II, T.U.F.) e tra gl’investimenti alternativi di cui parlano gli studiosi di tecnica del mercato mobiliare – da considerare in qualche modo affini ai derivati (nel senso che “derivano” il loro valore da quello di un sottostante) – sono da esaminare per un verso i cc. dd. “Hedge Funds” (o fondi speculativi) e per un altro gli E TF (o Exchange Traded Funds), anche nella variante costituita da alcuni degli E TC (o “Exchange Traded Commodities”; v. lezione 15).

La disciplina del T.U.F. e dei regolamenti del Ministero dell’Economia, di B ANCA D ’I TALIA e C ONSOB che ne applicano le previsioni, nel regolare gli O ICR (le quote di fondi comuni d’investimento e le azioni di S ICAV ) faceva riferimento ad istituti generalmente noti nel nostro ordinamento – quanto meno al livello della normativa primaria – da più di una ventina d’anni

1

. Peraltro, l’evoluzione socio-economica ha continuato a ‘sfornare’ prodotti finanziari innovativi anche nell’ambito della gestione in monte di patrimoni, come prodotti destinati all’investimento, anche quando questo si deve ritenere del tutto precluso agli investitori al dettaglio e sostanzialmente riservato ad altre categorie d'investitori. Questi ultimi risultano in possesso di conoscenze qualitativamente più sofisticate, e possono vantare un patrimonio che per dimensioni, nonché per la frequenza e le attività delle operazioni di investimento/disinvestimento, non manifesta

1

La prima previsione dei fondi comuni d’investimento nel nostro ordinamento è da

riferire alla L. n. 77 del 1983; attualmente, la fattispecie e la relativa disciplina si

rinvengono agli artt. 6, comma II-bis, 36-42 del T

UF

e alle lett. 1, nonché 2.1, 4.1.3, 4.2

e 5. ) del Reg. Gest. Coll. Risp. e dell’art. 16 D.M. n. 228/1999, ma è opportuno tener

conto anche – con specifico riferimento ai cc. dd. fondi speculativi – dell’art. 35,

comma III, e all’art. 36 del Reg. S

GR

(come pure degli artt. 58 e 65 T

UB

).

(2)

alcun bisogno di protezione, aspetto che resta invece caratteristico degli investitori al dettaglio.

Dietro lo stimolo di modelli in voga Oltreoceano o anche di corpose ragioni economico-finanziarie (legate, tra l’altro, alla reazione dei risparmiatori alle vicende della congiuntura internazionale) nel nostro ordinamento sono stati introdotti prodotti finanziari che, di per sé, costituiscono rilevanti novità, ma che esulano dalla classica ripartizione a cinque dei fondi comuni d’investimento mobiliare aperti (che contemplano, oltre ai fondi azionari, obbligazionari e bilanciati, anche i fondi monetari e fondi flessibili). In realtà, i fenomeni cui si fa qui riferimento (cioè, hedge funds ed E TF ) impongono di rivedere la stessa concezione degli O ICR . Infatti, la “novità di impostazione”, riscontrabile per i fondi speculativi consente, quasi certamente, di collocarli (quantomeno per la parte rinvenibile nei mercati finanziari italiani) nell’ambito dei fondi comuni d’investimento – come

“terzo genere” – da situare accanto a fondi aperti e fondi chiusi. Infatti (anche in relazione all’oggetto degl’investimenti imputabili a ciascun O ICR ), accanto ai fondi mobiliari ed immobiliari, sono oggi posti i fondi cc.

dd. speculativi, dove l’oggetto non è predefinito dalla normativa primaria o secondaria, ma è completamente disponibile alle scelte imprenditoriali del gestore e, nella misura in cui il contenuto del contratto d’investimento viene “accettato” dai risparmiatori, degl’investitori.

Per quanto attiene gli E TF , la novità del fenomeno implica non solo la necessità di valutare se non si tratti di un nuovo tipo di derivato, ma anche la considerazione di prodotti finanziari non solo in precedenza sconosciuti, ma concepiti generalmente secondo una logica difforme rispetto ai classici fondi comuni d’investimento.

1. La storia, la struttura giuridica e le modalità operative.

(3)

L’espressione “hedge fund” costituisce un “amico ingannevole” (in inglese, “false friend”) perché, traducendola letteralmente, verrebbe fuori il significato (falso, appunto) di “fondi di copertura” o “di protezione”.

Tuttavia, guardando più da vicino alle caratteristiche di quel prodotto finanziario, la traduzione più rispondente sembrerebbe quella di “fondi speculativi”, adoperata nell’ordinamento italiano…

La definizione proposta a suo tempo dal finanziere George S OROS qualifica l’hedge fund come quel “mutual fund

2

che utilizza il leverage e varie tecniche di hedging”. Un’altra definizione – per certi versi ancor più calzante – promana da Michael S TEIHARDT : si tratta (quanto meno negli U SA ) di una “Limited Partnership

3

” in cui il General Manager (corrispondente al General Partner) è pagato in base agli utili del fondo”, ma fondamentalmente la scelta – basata su dati presupposti della normativa (specie statunitense) è funzionale a garantire al gestore – detto anche

“Money Manager” – una certa flessibilità operativa (legata alla sottrazione del fondo alla disciplina federale – o, comunque, di matrice pubblicistica – a tutela del pubblico dei risparmiatori e del mercato. Dunque, quanto meno negli U SA l’istituto sembrerebbe da reputare più un “private pool” (con natura contrattuale, non collettiva

4

) che un investitore istituzionale (sul quale insiste una pervasiva disciplina pubblicistica).

2

I mutual funds corrispondono sostanzialmente ai nostri fondi comuni d’investimento.

3

Si tratta di un modello organizzativo di matrice associativa, connotato da una

responsabilità limitata dei soci che corrispondono ai “Limited Partners”, mentre il socio – o i soci – che esercitano poteri gestionali (vale a dire, il c.d. il “General Partner”) è gravato da una responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali.

4

In luogo del prospetto informativo, caratteristico di una sollecitazione all’investimento, sono previsti altri documenti da consegnare all’investitore:

 Il “memorandum d’offerta” (offering memorandum). Questo documento non ha un vero e proprio valore negoziale;

 L’accordo di sottoscrizione (o “subscription agreement”);

Negli U

SA

, a questi documenti si aggiunge

 L’accordo di Limited Partnership (L. P. Agreement).

(4)

È da dire, però, che in Italia l’istituto è regolato sostanzialmente come un fondo comune (O ICR ) sia pure di genere del tutto particolare, quindi dotato di una disciplina molto peculiare

5

.

Il prodotto finanziario hedge fund nasce negli U SA , negli anni ’50, grazie all’iniziativa di Alfred Winslow J ONES , come un investimento alternativo – disponibile, però, solo a wealty individuals (vale a dire, soggetti con un patrimonio molto importante, che generalmente non esprimono lo stesso bisogno di protezione degli investitori al dettaglio)

6

– capace di generare rendimenti “assoluti”, cioè (da un lato) indipendenti dai variabili andamenti del mercato e, per questo, tendenzialmente superiori ad esso, mentre (d’altro canto) essendo basati su sofisticate strategie di “copertura del rischio

7

di variazioni avverse sul mercato” (cioè, di “hedging”), capace anche di esprimere una logica del tipo “impiego speculativo” (più che di contenimento, come invece avviene nei mutual funds) dei rischi di mercato (perciò appositamente riconosciuti e “ricercati”).

Negli U SA la scelta del modello “Limited Partnership” (da considerare sostanzialmente corrispondente alla nostra S.a.s. – e quindi contrapposto come modello a quello della S.p.A. (prescritto in ambito bancario e finanziario, come pure assicurativo) o della S.r.l. – con il General Partner nella posizione dell’accomandatario e i Limited Partners in quella degli accomandanti) è condizionata all’emissione di un numero massimo di 100

8

5

Nella misura in cui il comma I dell’art. 16, D.M. n. 228/1999 pone un elemento caratterizzante proprio esentando i fondi speculativi dall’applicazione della disciplina prudenziale della Banca d’Italia.

6

A questa conclusione conduce sia l’elevata quota d’ingresso, ma anche il potere di vigilanza riconosciuto in generale ai Limited Partners riguardo alla gestione condotta dal General Partner-Money Manager.

7

L'investitore, infatti, potrebbe non aderire nessuna posizione sul mercato sottostante, e quindi nessun rischio da coprire.

E quanto comunemente si riscontra in una attività d'investimento di tipo speculativo.

8

Numero che nel nostro paese arriva fino a 200 (v. nel prosieguo del testo).

(5)

quote – compresa quella del G.M. – e risulta funzionale all’inclusione del fondo tra i prodotti “controllati” dalla S EC

9

e comunque soggetti alla disciplina nazionale. Il GP che volesse emettere un numero superiore di quote avrebbe solo la possibilità di costituire un’altra società (magari secondo il modello della “corporation”, corrispondente alla nostra s.p.a.),

“offshore” – e quindi sottratta (almeno in parte – alla disciplina nazionale – da gestire (ed eventualmente, collocare – ma comunque sempre senza fare appello al pubblico risparmio) insieme alla Limited Partnership.

In ogni caso, i soggetti che fanno parte della struttura di un fondo hedge – all’estero, ma ora anche in Italia – sono:

 Il “General Partner” o “Money Manager” (che, in Italia, corrisponde alla SGR speculativa

10

);

 Il “Prime Broker

11

”;

9

La S

EC

corrisponde alla nostra C

ONSOB

, essendo la autorità che vigila sui mercati finanziari americani.

10

Le caratteristiche proprie di una S

GR

speculativa sono:

 L’oggetto sociale esclusivo, consistente nella costituzione o gestione di fondi speculativi (art. 16, comma 7, D.M. n. 228/1999). La scelta del carattere esclusivo dell’oggetto sociale – impedendo che una S

GR

speculativa possa istituire o gestire altri fondi comuni e prodotti del risparmio gestito differenti, vale chiaramente a “circoscrivere” i rischi legati alla gestione di un fondo speculativo, impedendo che se ne possa propagare un’eventuale crisi.

 La denominazione di S

GR

speculativa. È un evidente tributo alla necessaria trasparenza del mercato.

Per il resto, vale per la S

GR

speculativa quanto previsto in generale dall’art. 34, D. Lgs.

n. 58/1998 (per ogni S

GR

), in ordine alla forma di s.p.a., alla sede legale e alla direzione generale in Italia, alla misura del capitale sociale versato, ai requisiti degli esponenti aziendali e dei titolari di partecipazioni rilevanti, alla struttura del gruppo e al contenuto del programma iniziale d’attività.

È da evidenziare che – sulla base del Provv. adottato dalla Banca d’Italia il 12 giugno 2004 (in particolare, all’art. 1, comma II) – risulta eliminato l’obbligo d’istituire una S

GR

specializzata per la gestione di fondi speculativi, necessità che evidentemente resta per i fondi immobiliari.

11

Il ruolo del Prime Broker, nell’ambito dei fondi hedge, risulta di estrema importanza (costituendo un vero e proprio supporto esterno per l’attività giornaliera del fondo) e deve essere definito in una serie di attività strumentali a quella del gestore:

 Gestione esterna dei servizi di “back office” ed amministrazione;

 Servizi accessori di:

(6)

in Italia, si aggiunge:

 la banca depositaria (con dei compiti particolari, non solo in ordine al calcolo del valore di quota parte

12

);

 L’Advisor (generalmente coincidente con una società di revisione e consulenza) per la valutazione di ogni asset particolare e privo di un comune “valore di mercato”, in cui può essere investito il fondo.

Ciascuno dei fondi speculativi istituiti, promossi collocati o gestiti da una S GR speculativa deve prevedere un proprio “Prime Broker”, che corrisponde ad un intermediario finanziario di primaria importanza nel panorama internazionale. Ogni fondo speculativo, in Italia

13

, è suddiviso in non più di 200 quote, ciascuna d’importo non inferiore a 500.000 €, non frazionabile né suscettibile di comproprietà.

2. Le caratteristiche: la “leva finanziaria” superiore a 1 e le tecniche di

“hedging”.

In particolare, se in generale si definisce la specificità della gestione in monte (ad es., rispetto alle altre forme di gestione patrimoniale su base individuale) riferendosi alla rilevanza del regolamento del fondo (o dello statuto, nella S ICAV ) come linea-guida adottata dal gestore, conoscibile per

1) Custodia titoli (specie in ambito internazionale);

2) Clearing;

3) Gestione dell’attività di “reporting” del fondo;

4) Di fornitura di capitali (per azionare la “leva finanziarie”);

5) Di prestito titoli (per la copertura dello short selling).

 Consulenza esterna; (per lo start up del fondo), come vera e propria agenzia di

“fund raising”. Normalmente soprattutto nelle fasi iniziali di vita del fondo, il potenziale investitore entra in contatto col P.B., quindi questi si trova anche a dover gestire le relazioni con i sottoscrittori.

12

Alla banca depositaria, infatti, spetta in genere il ruolo del prime broker.

13

Negli U

SA

, invece, il totale è di 100 quote – di cui almeno una appartiene al Money

Manager-General Partner, con un importo minimo da 500.000 a oltre 5.000.000$.

(7)

il contraente-investitore e su cui i risparmiatori-investitori

14

possono fare ragionevole affidamento per definire la rischiosità e la redditività riferibile alla partecipazione nel fondo, un primo dato rilevante, come caratteristica tipica degli fondi hedge, in Italia e all’estero, dipende – su un versante – dalla sostanziale assenza (o ridotta “significatività”) nel regolamento del fondo di una serie di indicazioni, caratteristiche dei fondi comuni (come, ad es., i cc. dd. limiti alla concentrazione dei rischi), mentre invece sono necessariamente presenti – in chiave di necessaria informazione contrattuale (piuttosto che di una vera e propria “disclosure” per il mercato

15

) circa i caratteri propri del fondo – alcune speciali indicazioni:

 Quella relativa alla misura massima della c.d. “leva finanziaria

16

” che è propria di quel fondo speculativo ed è sempre superiore ad 1.

Questa misura nel rapporto tra il valore degl’investimenti operati dal gestore del fondo e l’ammontare che gli è stato dato da gestire. In pratica, un valore superiore ad 1 segnala che in Money Manager può:

a) Operare “allo scoperto”;

14

È improbabile – anche sulla base delle previsioni univoche del Titolo V, Cap. I, Sez.

V del Reg. Gest. Coll. Risp., e all'art. 2, comma V, Reg. Emittenti, come pure all'art. 12- bis, comma VI, del D.M. 228/99 – che possano trovare accesso a questi strumenti finanziari anche quei risparmiatori-investitori che sono generalmente ricompresi nel novero degli investitori al dettaglio (ciò si ricava agevolmente dalle previsioni dell'art.

26, comma I, lett. e), Reg. Intermediari e dell'art. 2, comma I, lett. j) del , Reg. S

GR

).

Tra le altre cose, un elemento dimensionale caratteristico dei fondi riservati e dei fondi speculativi è quello dimensionale, poiché si prevede un valore della quota minima di sottoscrizione pari a € 250.000 o a € 500.000 a seconda che il fondo venga istituito da una comune S

GR

speculativa o da una S

GR

con il capitale ridotto.

15

La trasparenza “per il mercato” (o disclosure) è un valore differente rispetto alla semplice corretta informazione del contraente, regolato in funzione della fattispecie

“sollecitazione all’investimento” che, invece, è necessariamente assente a proposito degli hedge funds.

16

La disciplina regolamentare dei fondi speculativi si ricava ai sensi del punto V. 3.12

del Reg. Gest. Coll. Risp., nonché del successivo art. 16, comma I-VII del già

menzionato D.M. n. 228/1999.

(8)

b) Indebitarsi – con il Prime Broker – per effettuare investimenti che dovrebbero rendere più del costo del debito;

c) Investire in derivati;

d) Chiaramente, tutte le strategie sopra indicate nasconde un livello di rischiosità “assoluto (cioè, indipenndente dall’andamento del mercato in cui sono negoziati gli strumenti finanziari in cui investe il gestore)”, come del resto la redditività attesa.

 L’altra relativa alle tecniche di “hedging” cui il gestore intende fare ricorso:

A. Short selling: il Money Manager, in vista di un ribasso atteso – ad es., attesa relativa ad azioni momentaneamente sopravvalutate sul mercato – le “vende allo scoperto a termine”

(usando titoli nel portfolio del P. B.). Alla scadenza, acquisita sul mercato la stessa quantità di titoli già venduti in precedenza (ma ad un prezzo più basso di quello incassato a suo tempo)

“coprendo” il P.B. e incamerando la differenza (maggiorata degl’interessi maturati sul prezzo già depositato su un conto

“monetario” e decurtata dal costo del prestito dei titoli pagato al P.B.)

17

;

17

Negli Usa, la Federal Reserve impone – nell’ipotesi di short selling (quindi dell’attivazione di una strategia di vendite allo scoperto) – il versamento di un “margin account” (una garanzia cauzionale dell’operazione, costituita da denaro o da titoli di proprietà del gestore) pari al 50% del valore corrente delle azioni avute in prestito dal P.B., con l’obbligo di versare margini integrativi in caso di un rialzo imprevisto.

Nei regolamenti di attuazione del T

UF

, è da considerare insieme gli artt. 35-36 Reg.

S

GR

, con la Sez. III, del Tit. V, Reg. Gest. Coll. Risp.ma anche nella normativa

secondaria della Banca d'Italia in materia del patrimonio di vigilanza che si richiede a

proposito di banche, intermediari finanziari appartenenti a gruppi bancari ed O

ICR

(mi

riferisco, in particolare, alla circolare n. 164 del 25 giugno 1992, XII° aggiornamento –

li dove, a proposito delle S

IM

, ci si riferisce più volte alla possibilità che le stesse

stipulino contratti di riporto su azioni, sia come riportato che come riportatore, ai fini

dell'inserimento della società all'interno di un gruppo bancario. In tutti questi casi la

normativa di vigilanza si riferisce espressamente solo alle azioni ordinarie e privilegiate,

con espressa esclusione delle azioni di risparmio.

(9)

B. Long selling: il G.M. acquista titoli sottovalutati – distressed shares – in vista di un apprezzamento atteso per fatti già resi noti sul mercato (ad es., il lancio di un hostile take over (cioè, una scalata ostile al management della quitata) da parte di un concorrente);.

C. Arbitrage: è una tecnica che consente di trarre vantaggio dalle momentanee differenze di prezzo tra due mercati (che ne segnalano momentanee inefficienze). Questa strategia implica comprare e vendere simultaneamente lo stesso titolo e la medesima quantità su due mercati, in modo da incassare uno spread sussistente tra i due prezzi

18

;

D. Utilizzo di derivati: generalmente i derivati vengono impiegati – nei fondi comuni d’investimento aperti – in percentuali molto ridotte ed esclusivamente in funzione di copertura. Nei fondi hedge, il loro impiego può superare quelle limitazioni e rispondere anche a logiche speculative (usufruendo anche di un cospicuo “effetto leva”);

E. Leverage: l’impiego dell’effetto-leva tende a massimizzare il risultato utile, chiaramente a condizione che il costo del denaro preso in prestito sia inferiore al risultato utile conseguito dall’operazione realizzata con quel prestito. Dunque, col prestito ottenuto da P.B., il M.M. – diversamente da quanto si prevede in generale nella gestione dei fondi comuni d'investimento – aumenta la dotazione patrimoniale del fondo per ottenere migliori rendimenti (date le maggiori dimensioni degl’impieghi);

18

Almeno in teoria, una strategia d’arbitraggio non dovrebbe presentare rischi elevati.

(10)

3. Segue: le due tipologie nelle strategie di gestione.

Infatti, quanto al tipo di strategia di gestione adottata dal gestore, è da comprendere che ogni singolo gestore – in qualunque porzione del mercato voglia operare – tende a mantenere il massimo della riservatezza possibile circa la strategia che, in concreto, gli consente di generare rendimenti

“assoluti”: pertanto, stanti gli ingredienti già indicati (e quelli cui si accennerà nel prosieguo), ognuno cercherà la combinazione più produttiva in quel dato contesto di mercato.

Poi, è anche possibile distinguere – in termini generali – tra quelle

“direzionali” o “non direzionali” (a seconda che intendano o meno sfruttare le oscillazioni proprie di specifici mercati). Nel primo gruppo debbono essere incluse le strategie denominate:

a. Fixed Income Arbitrage: l’arbitraggio su titoli a reddito fisso consiste nell’assumere posizioni “lunghe” su obbligazioni sottovalutate (ad es., A BS ) e nelle vendite allo scoperto – posizioni “corte” – di obbligazioni sopravvalutate. Si adopera la leva finanziaria per amplificare gli utili;

b. Equity Market Neutral: i gestori costruiscono un mix

19

di posizioni lunghe e corte dello stesso importo, in modo da ottenere un risultato neutrale rispetto all’andamento del mercato. Il successo della strategia dipende dall’abilità del gestore come “stock picker”: si tengono a lungo in portafoglio (posizioni “lunghe”) titoli per i quali si prevede una

19

Non solo la tipologia generale di strategia, ma anche il tipo concreto di gestione adottato da G.P. – M.M. può variare. In tal senso, si distingue in generate tra tre tipi di gestione:

 Net long, quando le posizioni “lunghe” sono superiori a quelle corte (scelta ideale nelle “fasi Bull” del mercato);

 Net short, quando le posizioni corte prevalgono (il che s’impone nelle “fasi bear”);

 Neutral: posizioni lunghe e corte si equivalgono, per tener conto di una fase

d’incertezza sul mercato.

(11)

performance superiore a quella del mercato, mentre si vendono allo scoperto (posizioni “corte”) quelli per i quali si prevede un andamento peggiore rispetto a quello del mercato;

c. Convertible Arbitrage: la strategia mira a sfruttare il mispricing tra le obbligazioni convertibili. Il gestore esperto prevede come probabilmente si modificherà il valore dell’obbligazione in rapporto alla quotazione delle azioni.

Quindi, decide quante azioni tenere – in posizione “corta” – per neutralizzare la variazione di prezzo delle obbligazioni convertibili detenute in posizione “lunga”;

d. Merger Arbitrage: l’arbitraggio sul rischio di fusione consiste nell’acquisto di azioni della società “target” e nella vendita allo scoperto delle azioni della società “raider”: l’obiettivo è lo spread tra il prezzo di mercato – all’annuncio dell’operazione – e il prezzo dell’offerta. Il prezzo delle azioni del target tenderà a salire solo a conclusione della manovra (quando scompare il rischio che l’operazione non vada a buon fine), mentre il prezzo delle azioni del raider comincerà subito a tendere al ribasso, per effetto dell’impiego di capitali nell’operazione di acquisizione e delle prospettive di diluizione dei titoli successiva alla sua positiva conclusione;

e. Distressed Securities: la strategia impiega titoli (obbligazioni

e/o azioni) di società in difficoltà.(per crisi che – dopo attenta

analisi – risultano essere solo momentanee). In particolare, per

quanto attiene alle obbligazioni emesse dalla società in crisi,

queste di conseguenza saranno emesse con tassi d’interesse

più elevati (per compensare il sottoscrittore del maggior

(12)

rischio accettato

20

). Le azioni della società in crisi, inoltre, soffrono svalutazioni anche importanti, per effetto della mancata distribuzione degli utili e (soprattutto) del fatto che tendono ad essere gradualmente tolte dal portafoglio degl’investitori istituzionali

21

. La strategia si basa sull’acquisto di titoli delle imprese in difficoltà, ma ritenute capaci di recuperare il livello “storico” di redditività.

f. Event Driven: le strategie “guidate dagli eventi” sono proprie dei gestori che investono i propri portafogli sui risultati degli avvenimenti più significativi nella vita di un’azienda. I gestori raramente cercano di “anticipare” (perché evitano così di sostenere ulteriori rischi), ma piuttosto si muovono solo dopo

“annunci” relativi a fatti straordinari (come, ad es., l’annuncio di un dividendo straordinario). Nell’ambito di questa strategia, il contenimento del rischio di default dell’emittente – che può essere reso effettivo, in particolare, da un’evoluzione imprevista della crisi societaria che sia accentuata da un’avversa congiuntura economica

22

, o da cause “endogene

23

” – può dipendere soprattutto da un’adeguata diversificazione,

20

Si pensi, ad es., al rischio di ritardi nel pagamento delle cedole o al più temuto rischio d’insolvenza.

21

Dal momento che il titolare potrebbe anche perdere del tutto il capitale inizialmente investito.

22

Che si traduca in un aumento dei tassi d’interesse, o in un’evoluzione sfavorevole dei cambi, o in un globale rallentamento dell’economia.

23

Il virgolettato dipende dalla circostanza che alcune cause endogene della crisi – come,

ad es., un’illiquidità del patrimonio sociale, che si traduce nella difficoltà di far fronte

regolarmente ai pagamenti – può essere generata sia da fattori interni all’impresa (come

errori nella gestione finanziaria dell’attività), sia da fatti esterni (ad es.,

l’inadempimento – o, addirittura, la sopravvenuta insolvenza – di un debitore che si

riverbera sulla stessa liquidità dell’impresa creditrice).

(13)

che renda il risultato del fondo “indipendente” dall’andamento dei mercati.

Nel secondo gruppo – tra le strategie non direzionali (cioè, non legate alle oscillazioni di uno qualsiasi tra i mercati finanziari) – troviamo:

1) Global Macro: le strategie incluse in questa categoria possono operare su qualsiasi mercato e con qualunque strumento finanziario (dalle obbligazioni alle valute, dalle merci ai derivati), ricevendo perciò il più ampio mandato dai partecipanti al fondo. La loro operatività è basata su previsioni a livello macro-economico o “top down

24

”, relative ad interi settori produttivi (a livello mondiale) o a interi Paesi, ed evita allora di prendere in considerazione singole attività. La loro caratteristica risiede nell’elevata variabilità della performance, in funzione sia dell’effettiva rispondenza dell’evoluzione economica alle previsioni, che dell’uso del leverage;

2) Long/Short Equity; questo tipo di strategia implica una composizione del portafoglio con posizioni “lunge” su azioni giudicate sottovalutate e “corte” in azioni (vendute allo scoperto perché ritenute sopravvalutate). L’obiettivo è massimizzare il rendimento del portafoglio nelle fasi del mercato caratterizzate da fluttuazioni, contestualmente

“coprendo i rischi” immanenti. La strategia, pertanto, tende ad assumere posizioni lunghe su titoli ritenuti capaci di dare risultati superiori al mercato, mentre opta per posizioni corte

24

Una strategia “top down” comporta un approccio d’investimento dove si sceglie – sempre in base ad analisi macro-economiche – rispettivamente:

1) la classe di attività, 2) i settori e

3) gli strumenti finanziari, in cui investire.

(14)

in titoli dove si prevede un rendimento inferiore; il mix tra posizioni lunghe e corte, chiaramente, varia a seconda che si preveda una fase “bull” (rialzista)

25

o “bear” (ribassista)

26

, e del livello di probabilità che s’assegna alla previsione. Il successo della strategia dipende dalle doti sia di analisi del mercato che di “stock picking” del gestore, ma anche dalla sua capacità di variare l’esposizione netta

27

del fondo in relazione all’andamento del mercato.

3) Emerging Markets: una strategia orientata sui mercati emergenti si riferisce prevalentemente ai mercati finanziari dei Paesi in via di sviluppo o di recente industrializzazione (come Asia, America Latina, Europa dell’Est). Le informazioni acquisite dal G.P. (o M.M.) su uno di questi mercati – informazioni generalmente poco abbondanti e poco

“disponibili” – possono consentire di trarre notevoli vantaggi soprattutto quando permettono d’individuare titolo sottovalutati da tenere in posizione “lunga”;

4) Short selling: questo genere di strategia si fonda sulla vendita allo scoperto. Si costituiscono portafogli esclusivamente con posizioni “corte”. Il M.M. seleziona titoli sopravvalutati e molto “liquidi” (più facili anche da “prendere in prestito”), di società gestite male (e, forse, anche vicine alla decozione). La

25

In fase rialzista una posizione lunga esprime un rendimento migliore rispetto a quello del mercato, mentre si assumono le posizioni corte in titoli che rendono meno del mercato.

26

Se il mercato è orientato al ribasso, il gestore tenderà ad assumere prevalentemente posizioni corte sui titoli che perdono valore più rapidamente, posizioni lunghe su titoli

“difensivi” (cioè, che perdono valore più lentamente).

27

L’esposizione netta del portafoglio è data dalla differenza tra il valore delle posizioni

corte e quello delle posizioni lunghe.

(15)

strategia suppone anche una corretta scelta del timing per l’intera operazione su ciascun titolo.

4. Gli ggetti d’investimento. La mancanza di indicazioni sul benchmark nel regolamento del fondo, commissioni di gestione e commissioni di

“performance”.

Uno degli aspetti qualificanti i fondi speculativi e la loro gestine – in rapporto ai comuni prodotti del risparmio gestito – concerne l’oggetto dell’investimento o (come sarebbe meglio dire, considerando il tenore della normativa regolamentare) i possibili oggetti d’investimento. L’art. 16, comma I, D.M. n. 228/1999 consente che il patrimonio dei fondi speculativi venga investito !in beni anche diversi da quelli individuati dall’art. 4, comma II” del medesimo D.M.

Nello specifico, è permesso acquisire:

Strumenti finanziari quotati su mercati regolamentati;

Strumenti finanziari non quotati su mercati regolamentati

28

; Depositi bancari di denaro;

Beni immobili, diritti reali su immobili e partecipazioni (azionarie) in società immobiliari;

Crediti e titoli di debito (in quanto rappresentativi di crediti);

Altri beni per i quali esiste un mercato e che abbiano un valore determinabile con certezza, con una periodicità almeno semestrale.

In quest’ultima categoria debbono essere comprese le merci ascrivibili tra le commodities, ma anche altre che – senza essere quotate attualmente su un mercato regolamentato – hanno comunque un mercato (e il relativo

28

Si può trattare sia di strumenti finanziari negoziati o comunque negoziabili su mercati

non regolamentati, sia di strumenti finanziari O

TC

(cioè “over the counter”). La

negoziabilità si può riferire alla sussistenza di un mercato “secondario” dove

l’investitore può trovare un acquirente dello strumento finanziario attualmente nella sua

disponibilità, non alla possibilità di mobilizzare l’investimento solo con la cooperazione

dell’emittente con cui ha stipulato il contratto che costituisce il prodotto finanziario.

(16)

valore di m.), o il loro valore risulti determinabile con relativa certezza e periodicità almeno semestrale.

Pertanto, la discrezionalità riconosciuta al gestore riguarda non solo la possibilità di operare in deroga alle norme prudenziali sul contenimento e frazionamento dei rischi (fissate dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 6, comma I, lett. c), T.U.F., ma anche con la chance di investire il patrimonio in beni materiali – dunque, non solo i contratti futures – come metalli e pietre preziose, e addirittura in opere d’arte (il che non sarebbe assolutamente possibile per i gestori di fondi comuni d’investimento).

La libertà del gestore nel definire la politica d’investimento del fondo speculativo si traduce anche nell’assenza di un benchmark di riferimento

29

– che, invece, è generalmente presente nei fondi comuni – che “fa il paio”

con la possibilità del gestore medesimo di scegliere se, come (quindi, anche in quale misura) e quando modificare le proprie scelte d’investimento.

Ciò giustifica anche la distinzione – usuale negli hedge funds – tra

“commissioni di gestione” (o managment fees)

30

e commissioni d’incentivo (performance fees): le prime – calcolate in proporzione al NAV – Net Asset Value, cioè al valore netto del patrimonio gestito, servono a coprire semplicemente i costi di gestione, mentre le altre rappresentano la vera e propria remunerazione del gestore.

Le commissioni d’incentivo più diffuse sono:

29

Obiettivo del M.M., negli hedge funds, non è semplicemente “battere il benchmark”

(ma sempre costruendo portafogli non troppo lontani da esso), ma è quello di ottenere rendimenti “assoluti”, cioè completamente sganciati dagl’indici di mercato. Perciò, la presenza di un benchmark di riferimento, nei fondi speculativi, sarebbe non solo inutile, ma addirittura controproducente.

30

Per effetto del numero dei partecipanti più ridotto nei fondi speculativi – rispetto ad un tradizionale fondo comune d’investimento – l’incidenza anche delle commissioni di gestione sul rendimento è mediamente più rilevante.

D’altro canto, la presenza in Italia di advisors non solo moltiplica i “protagonisti” della

gestione dei fondi hedge rispetto agli U

SA

, ma fa sì che il livello dei costi da coprire con

le managment fees sia più alto.

(17)

a. “Hight Water Mark”

31

, dove il pagamento dell’incentivo è previsto solo per l’effettivo conseguimento della performance;

b. “Hurdle Rate”

32

, quando l’incentivo è previsto per la parte della performance che supera il livello definito nel regolamento.

5. Aspetti normativi dei fondi speculativi in Italia.

Passando agli aspetti normativi dei fondi speculativi in Italia – e raffrontandoli con quelli previsti negli U SA e in altri Paesi occidentali – si nota che, oltre ad alcuni dati qualificanti già identificati in precedenza (ci si riferisce ai soggetti che intervengono nella gestione del fondo

33

, sull’entità della quota

34

e sul numero massimo delle quote

35

di partecipazione (negli USA e in Italia), si segnalano anche alcune indicazioni “positive

36

”.

Infatti, oltre alla previsione di una “leva finanziaria” superiore ad 1, della possibilità d’indebitarsi anche al di sopra dei limiti di cui all’art. e di operare in derivati anche a prescindere da una funzione di copertura, il regolamento del fondo speculativo deve prevedere:

A. Una generale indicazione di rischiosità

37

dell’investimento;

31

C.d. “segnale d’acqua alta”.

32

O “tasso ostacolo”. Questo tipo di commissione è meno diffusa dell’altra.

33

Ci si riferisce:

I. alla S

GR

“speculativa”;

II. al Prime Broker, che nei fondi hedge può affiancare la banca depositaria;

III. all’Advisor.

34

V. l’art. 16, comma III, del D.M. n. 228/1999 dispone sia che il valore minimo della quota non possa scendere sotto i 500.000€, non frazionabile e non suscettibile di comproprietà.

35

Sempre in base alla normativa italiana (il comma II dell’articolo appena citato) le quote non possono essere più di 200 e non possono (per il successivo IV comma) essere collocate con una sollecitazione all’investimento – offerta pubblica – ma solo nell’ambito di un collocamento privato.

36

Quelle “negative”, cui s’è già accennato in precedenza, attengono a:

37

I rischi comunemente legati ai fondi speculativi sono:

(18)

B. Il generale divieto di sollecitazione all’investimento in quote di hedge funds (che implica l'impossibilità – per i fondi speculativi – di rivolgersi alla generalità degli investitori, compresi gli investitori al dettaglio);

C. La scelta – del gestore – per il carattere aperto o chiuso del fondo e, come appendice di tale scelta, l’eventuale previsione di un periodo di

“lock in

38

” (cioè, l'impossibilità per l'investitore di ottenere la liquidazione della propria quota cedendo la ad altri);

D. Indicare il Prime Broker del fondo (l’indicazione, di per sé, non è però necessaria

39

).

È abbastanza evidente che la normativa italiana, nel recepire gran parte delle indicazioni ricavate dalla prassi dei mercati finanziari internazionali, opta per una strategia di selezione degl’investitori potenziali su base

“plutocratica” (il che giustifica le quote d’ingresso piuttosto elevate e il numero contenuto delle quote di partecipazione al fondo) ma “attenuata”

1) rischio di mercato;

2) rischio di credito;

3) rischio di liquidità.

Oltre a questi, l’investitore in quote di hedge funds deve considerare:

4) rischio di cambiamenti di strategia del gestore;

5) rischio di comportamenti fraudolenti del gestore (ad es., tesi ad occultare perdite o a “gonfiare” la performance… in sintesi, rischio legato alla scarsa trasparenza della gestione);

6) rischio legato alla “leva finanziaria” (che potrebbe accentuare le perdite, non solo i ricavi).

38

La clausola di “lock in” (o “lock up”) indica il periodo in cui l’investitore deve astenersi dal richiedere la liquidazione del proprio investimento al gestore-emittente le quote del fondo speculativo. L’effettività della clausola potrebbe essere migliorata con la previsione di exit fees, che potrebbero di fatto spingere il titolare della quota ad optare per una negoziazione della stessa (magari sull’M

TF

, come avviene in generale per le quote dei fondi chiusi).

39

Dal momento che costituisce una scelta del gestore relativa alla struttura

organizzativa della propria impresa (cfr. il Provv. della Banca d’Italia del 14 aprile

2005, spec. nel Titolo V, Capitolo I, Sez. III, parte 3); tuttavia, una volta adottata tale

scelta, la S

GR

ha l’onere di scegliere un P.B. differente per ciascuno degli hedge funds

gestiti (cfr. il Tit. IV, Cap. III, Sez. III, par. 6).

(19)

risetto al modello statunitense, mentre – d’altro canto – non rinuncia del tutto alla possibilità di un mercato delle quote di questi O ICR , capace di ridurre la relativa illiquidità di questi prodotti finanziari (soprattutto quando gli stessi risultano in concreto abbastanza diffusi anche tra gli investitori al dettaglio

40

).

Si tratta, a ben vedere, di scelte sinergiche, adottate per favorire la nascita e lo sviluppo di iniziative del genere anche in un Paese come il nostro, caratterizzato da un cronico ritardo sullo sviluppo dei mercati finanziari e da una certa ritrosia a percorrere le vie d’investimento più speculative.

6. L’investimento in “hedge funds” e i fondi di fondi (F OF ) o le G PF : la questione della c.d. “doppia commissione” (per un’analisi di costi e benefici).

Oltre all’investimento diretto in hedge funds è possibile un investimento indiretto: l’investitore investe in un fondo di fondi speculativi, che – a sua volta – investe le proprie disponibilità in quote di hedge funds, caricandosi il compito di selezionarle, monitorarne la gestione, decidere il timing del disinvestimento (anche tramite la vendita della quota). Analogamente, si può realizzare una gestione patrimoniale di portafogli d’investimento su base individuale, basata sull’investimento in quote di fondi hedge: nel primo caso, come nel secondo l’attività – di gestione in monte o su base individuale – è riservata alle sole S GR speculative. È da aggiungere che gran parte dell’operatività in Italia della hedge fund industry assume i caratteri dell’investimento indiretto.

I vantaggi dei prodotti F OF (o “G PF ”), rispetto all’investimento diretto in hedge funds possono essere così sintetizzati:

40

Laddove, tuttavia, la normativa secondaria impone che la quota risulta negoziabile

sull’M

TF

(v. sopra,nt. 9).

(20)

I. La possibilità di una “diversificazione” dei fondi hedge (“per numero”

o “per strategia”), utile a contenere i rischi;

II. La professionalità del gestore nella scelta delle quote in cui investire, nel monitoraggio degl’investimenti, nonché nel “timing” dei disinvestimento;

D’altro canto, gli svantaggi devono essere riferiti ai punti seguenti:

 La sussistenza di una sostanziale duplicazione delle commissioni che “riducono” gli utili della gestione (ci si riferisce alle commissioni pagate ai Money Managers dei fondi hedge nelle cui quote investe il F OF o la “G PF ”, ma anche a quella relativa alla gestione “in monte” o su base individuale, praticata dal gestore);

 La relativa “illiquidità” delle quote (per consentirne i rimborso, il gestore deve – a sua volta – ottenere il rimborso delle quote di hedge funds in cui ha investito;

 Il rischio di “selezione avversa” delle quote da parte del gestore, che potrebbe perseguire interessi diversi da quello dell’investitore a massimizzare il profitto (come, ad es., quello a contenere l’incidenza delle commissioni, o a perseguire la liquidità degl’investimenti).

In ragione delle differenti strategie di gestione, è possibile distinguere la seguente tipologia di F OF :

 “target return

41

”:

 “maximum return approach

42

”;

 “dedicated strategy

43

”;

41

Che prevede un determinato obiettivo di rendimento.

42

Che invece prevede la massimizzazione del rendimento possibile in una data

congiuntura di mercato.

(21)

 “combination

44

”.

Le condizioni per un investimento in un fondo di fondi hedge coincidono con quelle per l’investimento diretto:

a) Quote d’ingresso elevate (sopra i 500.000 Euro);

b) Un numero di quote contenuto – non superiore a 300;

c) Divieto di sollecitazione all’investimento.

7. La negoziabilità sul M IV come modalità di disinvestimento dagli hedge founds.

Se spetta all'imprenditore decidere se il prodotto possa essere o meno accessibile anche per gli investitori-risparmiatori, evidentemente gli compete anche una determinazione circa la negoziabilità o meno della quota sul M IV .

È vero però che la negoziazione possa in concreto dipendere non tanto da una positiva decisione della S GR , quanto dalla dimensione concreta mente assunta dalla circolazione delle sue quote presso la generalità degli investitori.

Infatti, l'ammissione delle quote su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione può dipendere non solo da una domanda in concreto proveniente dall'emittente, ma anche da una conforme richiesta proposta da investitori, specie se questi rientrano nella categoria degli investitori al dettaglio. Infatti, non potrebbe essere ammessa una configurazione dell'ordinamento che lasci questi in balia delle determinazioni dell'emittente o del suo gruppo di controllo, che potrebbe non avere affatto un positivo l'interesse ad “aprire” alla partecipazione degli investitori al dettaglio, soprattutto per evitare le implicazioni della loro tutela sulla propria “governance”.

43

Vale a dire, una strategia "incentrata" su dati obiettivi di di rendimento (ad esempio.

in previsione di un mercato orientato al ripasso oppure al rialzo),

44

Con la combinazione tra alcuni degli approcci appena indicati.

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