I. LETTERA DEL RETTOR MAGGIORE SUL CENTENARIO DELLA REGOLA SALESIANA
DON BOSCO CI PARLA NELLE COSTITUZIONI
Roma, aprile 1974
Confratelli e figli carissimi,
il 3 ap rile d i q u est’anno, come ho già recentem ente ricordato, ricorre il CEN TEN ARIO D E LL’APPRO VA ZIO N E DELLE N O STRE CO STITU Z IO N I da parte della Chiesa.
V oi tu tti com prendete l ’im portanza e il significato d i questo evento. Non a caso, anche n ella società civile, le N azioni ricorda
no — dandovi p artico lare rilievo ogni anno — il giorno d ella na
scita d ella propria Costituzione.
P er noi Salesiani (e non solo per noi) la ricorrenza centenaria d elle C ostituzioni rappresenta un avvenim ento storico, la cui in ci
denza sulla v ita, sul divenire e la realizzazione d ella vocazione Sa
lesian a n ella C hiesa, appare evidente anche con un sem plice sguar
do retrospettivo e panoram ico su quanto si è andato progressiva
m ente sviluppando n ella nostra fam iglia n e ll’arco di qu esti cento anni.
T utto fa pensare che, grazie a D io, l ’evento d e ll’orm ai lon
tano 1874 continuerà a p ro iettarsi dinam icam ente fecondo anche nel futuro , superando le im m ancabili difficoltà che accompagnano n ella storia la v ita sia d egli uom ini che d elle società um ane ed ecclesiali.
(2 2 3 8)
Dobbiam o però riconoscere che questo non avverrà autom ati
cam ente, come per effetto di legge fisica: tu tt’altro ! Lo sviluppo fecondo d ella vocazione salesiana, che ha avuto in q u el giorno il sigillo di auten ticità, è subordinato a ll’azione d e ll’uom o: p iù ch ia
ram ente, dei Salesiani, che sono chiam ati n elle v arie generazioni a raccogliere la preziosa eredità paterna. L a storia ecclesiastica con
ferm a largam ente questa afferm azione.
Sia una celebrazione fruttuosa
In tale prospettiva una rievocazione del C entenario d elle Co
stituzioni non può, a mio parere, esaurirsi in un sem plice e forse sentim entale ricordo, o in un com piacimento di un passato certa
m ente ricco e glorioso; deve farsi stim olo per noi a continuare e sviluppare, per oggi e per dom ani, tu tti i valo ri sp iritu ali e aposto
lic i contenuti n el nostro « codice di v ita » . P iù in concreto, la rie vocazione deve portare tu tti i Salesiani degli « anni settanta » a vivere oggi con m otivata convinzione e con generoso entusiasm o quei valori che Don Bosco ci ha offerti nelle C ostituzioni, e che noi abbiam o abbracciato — in gioiosa lib ertà e in piena consape
volezza — come guida sicura e discreta nel cammino segnato d alla nostra vocazione.
A ppunto in questa linea e con queste preoccupazioni — m en
tre invito Isp etto ri e D irettori a prom uovere opportune iniziative cu ltu rali, sp iritu ali, liturgiche che valorizzino e rendano fruttuosa durante l ’anno la celebrazione della ricorrenza — vengo in questa sede a proporre a me e a voi alcune riflessioni. Esse rispondono a u n ’esigenza d el cuore, per chi ricordi le nostre o rigin i ricche di doni veram ente straordinari e di insegnam enti degni di m ed ita
zione; e vogliono insiem e porgere argom enti e m otivi per rendere la nostra adesione alle Costituzioni non solo convinta, m a amo
rosa ed entusiastica.
M i pare che sarà appunto questo risveglio di stim a fedele, sincera e fattiv a, per Don Bosco che ci p arla nelle C ostituzioni,
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ciò che darà a ogni Salesiano, e alle singole com unità operanti in questi tem pi non facili, l ’entusiasm o, la generosità e la « gio ia d el
la vocazione » che caratterizzavano i prim i Salesiani d ella Congre
gazione nascente.
1. L’APPROVAZIONE FU PER DON BOSCO IL SIGILLO DI DIO
Don Bosco presentando ai confratelli, in una circolare del 15 agosto 1 8 75 , il testo d elle Costituzioni definitivam ente appro
vate d alla Santa Sede il 3 aprile 1874, così si esprim eva: « Q ue
sto fatto deve essere da noi salutato come uno dei p iù gloriosi p er la nostra società, come quello che ci assicura che n e ll’osser
vanza d elle nostre Regole noi ci appoggiamo a b asi sta b ili e sicure » (1 ).
P er Don Bosco la duplice d efinitiva approvazione d ella Con
gregazione da lu i fondata (1 9 febbraio 1 8 69 ), e del testo d elle Costituzioni (3 ap rile 1874 ), non era soltanto un atto form ale con cui la C hiesa riconosceva l ’opera sua: era il sigillo con cui D io, attraverso la gerarchia intesa come « strum ento indispensabile, isti
tuito e voluto da Cristo come veicolo incaricato di trad u rre in linguaggio sperim entale il messaggio d el V erbo » (2 ), autenticava la voce m isteriosa che era risuonata a lu i fanciullo n el sogno dei nove anni, e che in seguito l ’aveva condotto per m irab ili v ie, in modo sem pre p iù preciso, a divenire fondatore di u n ’opera che si consacrasse al bene dei giovani.
P er lu i la voce divina, che si era espressa « in due diversi m odi, m eravigliosi e convergenti » (3 ), era la p iù solida garanzia che l ’opera da lu i intrapresa tra in d icib ili difficoltà, era veram ente
(1) Costituzioni, Appendice p. 233.
(2 ) Discorso d i Paolo v i d el 5 .5 .1 9 6 5 . (3) Ibid.
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vo luta da D io, e che seguendo quella via che la Provvidenza aveva così prodigiosam ente tracciato, lu i e i suoi fig li avrebbero potuto veder realizzare progressivam ente quel m eraviglioso futuro di cui la m isteriosa voce man mano indicava sem pre p iù vasti orizzonti.
Da ciò l ’insistenza di Don Bosco e dei suoi successori alla fedeltà.
Fedeltà alla Regola e fedeltà alla missione
Che non si trattasse di pie illusioni, tutto il seguente svilu p po d e ll’opera salesiana lo sta a dim ostrare. G ià dopo c in q u an tan n i da tale approvazione, don R inaldi in una lettera rivo lta a tu tti i confratelli per celebrare il giubileo d ’oro d elle nostre C ostituzioni, poteva esclam are: « Q ueste Costituzioni in cin q u an t’anni hanno già salvato centinaia di m igliaia di gio v an i...; hanno già san tifi
cato tan ti e tanti confratelli: basta ricordare don R ua, don B el
tram i, don C zartoryski, Savio D om enico...; e con questi, quanti altri ci hanno lasciato esempi di lum inosa san tità che noi ricor
diam o con somma venerazione, come don B onetti, don Belm onte, don Sala, don D urando, don Lazzero, don Rocca, don B ertello, don Lem oyne, don C errutti, don B retto, mons. Fagnano, mons.
Costam agna, mons. M arenco, e, prim o fra tu tti, l ’indim enticabile mio predecessore don A lbera » (4 ).
A cen t’anni di distanza alcuni di questi nom i sono g ià en trati, o stanno per entrare, nei fasti della Chiesa con l ’aureola dei santi;
degli altri, forse, è sbiadito il ricordo n elle nostre generazioni, ma la loro lista potrebbe agevolm ente essere aggiornata con una serie lunghissim a di altri nomi il cui ricordo è più vivo e recente.
Di tu tti però, noti e ignoti, resta q u e ll’« im m ensa fio ritu ra di ope
re e di attiv ità, dovute al loro zelo e ai loro sacrifici » (5 ), che fanno della Congregazione Salesiana « uno dei fatti più notevoli,
(4) Don Rin a l d i, Atti del Capitolo Superiore n. 23, del 24.1.1924, p . 193.
(5) P a o lo v i, Discorso ai Membri del XIX Capitolo Generale.
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p iù benefici, p iù prom ettenti del cattolicesim o n el secolo scorso e n el nostro » (6 ).
Q ueste espressioni, invece di riem pirci di sterile orgoglio, do
vrebbero suscitare in noi un senso di sgomento per la responsabi
lità che abbiam o d i fronte a Dio e di fronte a tu tti i co n fratelli che ci hanno preceduto; tra essi non mancarono uom ini strao rd i
n ari, m a m olti — i più — furono uom ini com uni, con i loro im m ancabili d ife tti; m a furono fed eli: tram andarono in tatta l ’ere
d ità che avevano ricevuto, camminarono sulla traccia che Don Bo
sco aveva loro segnato, e il Signore non mancò d i operare prodigi attraverso il loro um ile lavoro.
A veva detto Don Bosco: « L a nostra Congregazione ha d a
van ti un lieto avvenire preparato dalla D ivina P rovvidenza, e la sua glo ria sarà du ratu ra fino a tanto che si osserveranno fed el
m ente le nostre regole » (7 ). I l nostro futuro q uin di è un problem a di fed eltà: fed eltà non tanto a un codice di norm e, m a allo spirito, alla v ita che tale codice esprim e, contiene, trasm ette.
Le Costituzioni nacquero dalla vita vissuta
Le nostre C ostituzioni, d ifa tti, prim a d i essere un a regola scritta, furono una v ita.
N ella citata lettera circolare don R in ald i afferm a : « Le Co
stituzioni, m iei cari, sono l ’anim a della nostra Società, e questa fu l ’anim a d i tu tta la v ita di Don Bosco. A nzi possiam o d ire che n elle C ostituzioni abbiam o tutto Don Bosco: in esse il suo id eale della salvezza d elle anim e; in esse la sua perfezione con i santi v o ti; in esse il suo spirito d i soavità, di am abilità, di tolleranza, di p ietà, d i carità, d i sacrificio » (8 ).
Q uesto spirito è g ià contenuto in germ e n el prim o sogno
(6) Ibid.
(7) Memorie Biogr., 17,279.
( 8 ) Don Rin a l d i, o.e., p. 177.
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fatto da Don Bosco a nove anni (n el quale eg li in tuisce in modo confuso la sua futura m issione), e vive n ella casa dei Becchi, n el
l ’am biente educativo creato da quell'incom parabile m aestra di edu
cazione cristian a che fu mamma M argherita. G erm i che la P ro vvi
denza andrà m an mano m aturando e determ inando quasi per ab
bozzi successivi.
N ella m isura in cui si m anifestava con m aggior chiarezza la volontà di D io, Don Bosco « tranquillam ente, senza fre tta, m a con tenacia e costanza m irab ili, studia, consulta, prega, fa ten ta
tiv i per fondare una società; e alla lunga insensibilm ente si p re
para i p rim i soggetti, senza m ai parlare di legam i nè di vo ti, nè di Congregazioni » (9 ).
G iustam ente « più che fondatore Don Bosco può d irsi crea
tore della sua Società, perché seppe tirar su dal n u lla i suoi sog
g etti, crescendoli attorno a sè e trasfondendo in loro a poco a poco tutto il suo spirito » . « Don Bosco — afferm a ancora Don R in al
di — scrisse g li articoli d elle sue Costituzioni prim a n e ll’animo e n ella v ita di q u elli che aveva scelti per suoi fig li, e solo quando g li parve che corrispondessero al fine che si era proposto, li fissò e ordinò sulla carta » (1 0 ).
1874: l'approvazione definitiva
Possiam o scorgere la prim a form ulazione d i u n ’iniziale « co
dificazione scritta » delle Costituzioni salesiane g ià n el Regolam en
to d e ll’O ratorio del lontano 1847 (1 1 ). N ella m inuscola cellu la d e ll’O ratorio così come la vediamo descritta, appaiono i tim id i li
neam enti della struttura del futuro organism o. T u ttav ia il prim o vero abbozzo del suo progetto di Congregazione d ev’essere consi
derato quello che presentò a Pio IX nel 1 8 58 : offrendogli tale
(9) Ibid., p. 178.
(10) Ibid.
(11) Esso fu pubblicato nel 1852: cfr. Memorie Biogr., 3,93 e segg.
— 9 (2 2 4 3)
traccia in iziale delle fu tu re nostre Costituzioni, poteva con tu tta sincerità afferm are: « Ecco, Beatissim o P adre, ...il regolam ento che racchiude la disciplina e lo spirito che da ven ti anni guida coloro i q u ali im piegano le loro fatiche negli O ratori » (1 2 ).
Don R in ald i, riassum endo felicem ente e autorevolm ente il nucleo fondam entale di questo abbozzo di C ostituzioni che d eli
neava il volto della fu tu ra Congregazione, così lo presentava:
« Non coercizioni, m a il vincolo della carità fratern a, onde for
m are un cuor solo per acquistare la perfezione n e ll’esercizio di ogni opera di carità sp irituale e corporale verso i giovani, special
m ente i p iù poveri, e n ella cura delle vocazioni ecclesiastiche;
non preoccupazioni p er le cose m ateriali, m a ciascuno — p ur conservando i propri d iritti — sia realm ente come se n u lla più possedesse; non attaccam ento alla propria volontà, m a obbedienza così filiale al Superiore che questi non abbia neppur bisogno di com andare; non m olte pratiche di pietà in com une, m a l ’esercizio d e ll’unione con Dio n ella pienezza della v ita attiva che è il d istin tivo e la gloria dei suoi fig li.
« Don Bosco, p iù che una società, intendeva form are un a fa
m iglia fondata quasi unicam ente sulla paternità soave, am abile, v igilan te del Superiore, e su ll’affetto filiale, fraterno dei su d d iti;
anzi, pur m antenendo il principio d e ll’autorità e della corrispet
tiva sudditanza, non desiderava distinzioni, m a uguaglianza fra tu tti e in tutto » (1 3 ).
T ale progetto di v ita condensato nelle C ostituzioni, n elle sue diverse fasi di approvazione (23 luglio 1 8 64 : « decretum lau d is » ; 19 febbraio 1 8 69 : approvazione definitiva della Società; 3 ap ri
le 1 8 74 : approvazione defin itiva delle C ostituzioni) dovrà passare per le stretto ie d ella m entalità e del d iritto vigente. In tu tto que
sto laborioso ite r Don Bosco si lascerà guidare dal suo tem pe
ram ento pratico, d u ttile, m a soprattutto d alla sua viva fede n el
la Provvidenza che guida g li eventi.
(12) Memorie Biogr., 5,881.
(13) Don Rin a l d i, o .e ., p . 179.
(2 2 4 4)
Se da un punto di vista puram ente um ano si può forse pen
sare che in tale processo di rielaborazione delle C ostituzioni siano stati sm ussati g li spigoli più originali del progetto di Don Bo
sco, in una visione di fede possiamo pensare che tale tem poraneo ridim ensionam ento fosse provvidenziale: i tem pi non erano an
cora m aturi. Se Don Bosco avesse allora insistito a ll’attuazione in tegrale del suo progetto, forse la Congregazione Salesiana non avrebbe avuto quello slancio, a un tempo un itario e flessib ile, e quello sviluppo prodigioso che ebbe.
2. CENT’ANNI DI FEDELTÀ’ DINAMICA
La data del 3 aprile 1874 segnò dunque una tappa determ i
nante n ella storia del testo delle nostre C ostituzioni: esso in fatti era divenuto, con l ’approvazione defin itiva della Santa Sede, un punto di riferim ento costante per le generazioni fu tu re per cono
scere la fisionom ia, i lineam enti fondam entali d ella Congregazione così come sono stati voluti dal Fondatore. L a data del 3 ap rile non determ inò per n u lla la fine della sua evoluzione.
Nato dalla v ita, il testo delle Costituzioni continuò a svi
lupparsi e a adattarsi alle nuove situazioni che si andavano man mano creando, seguendo passo passo il crescere v itale della Con
gregazione: proprio come il germ e, che senza m utare n atu ra si fa esile stelo, arbusto, pianta, e sa a tempo opportuno, secondo l ’avvicendarsi delle stagioni, produrre gemme, fio ri, fru tti.
Il testo continuò a svilupparsi
L ’integrazione del progetto fondam entale, approvato dalla Santa Sede, cominciò ancora vivente Don Bosco, e continuò nei prim i anni del R ettorato di Don R ua, n ei C apitoli G enerali che si susseguirono con ritm o costante ogni tre anni dal 1874 al
11 — (2245) 1 9 04 : in questi vennero varati i R egolam enti speciali rig u ar
d anti i Superiori (d al R ettor M aggiore agli Isp etto ri e ai D iret
tori), le case di form azione, il regolam ento per la celebrazione del C apitolo G enerale.
« Salesianam ente » queste norm e, prim a d i essere presentate alla Santa Sede per la relativa approvazione, vennero v ag liate a t
traverso l ’esperienza. E solo dopo averle lungam ente sperim en
tate (2 8 a n n i!) n el X C apitolo G enerale furono rived u te e coor
dinate in un testo unico: alcune di esse, presentate alla Santa Sede, andarono a integrare il testo d elle C ostituzioni; le altre form arono il corpo dei Regolam enti.
M i sem bra im portante sottolineare lo spirito con cui lavo ra
rono i m em bri del X Capitolo G enerale. Don C eria n egli « A nna
li » afferm a che n elle lunghe e talvolta anim ate discussioni, non che far capolino q ualsiasi tendenza a innovare, fu com une, co
stante e pacifico l ’im pegno a non perdere di vista la R egola data da Don Bosco » (1 4 ).
E videntem ente in tan ti anni si era operata una crescita: il piccolo seme era diventato albero frondoso che spandeva la sua om bra al di qua e al di là d e ll’oceano; l ’uniform e cellu la iniziale si era andata m an mano strutturando, organizzando in case, in Isp etto rie; ma unica restava la linfa che dal tronco riflu iv a nei ram i, unica la radice da cui tutto l ’albero traeva nutrim ento:
Don Bosco. U n Don Bosco però non im m aginario, m a il Don Bosco reale, concreto, così come si era espresso n elle R egole date alla sua Congregazione, e così come riviveva n ella persona del suo successore. V eram ente, smentendo i tim ori v en tilati alla sua m orte, Don Bosco era riuscito a form are una Congregazione solida e com patta, aveva saputo creare nei suoi fig li « una con- saguineità sp iritu ale » , una « fam iglia » in cui è riconoscibile un m edesim o tipo, un medesimo tim bro n e ll’attiv ità educativa e n el
le altre opere » (1 5 ).
(14) E. Ce r ia, Annali, 3,557.
(15) P. S t e l l a , Don Bo sc o, 2,406.
( 2 2 4 6 ) — 12 Occorsero dolorosi adattamenti
Se notevole fu l ’apporto dei prim i C ap ito li G enerali per l ’in tegrazione del testo delle C ostituzioni per adeguarsi sem pre m e
glio al ritm o di sviluppo della Congregazione, non m inore si d i
m ostrò la capacità di adattam ento della Congregazione stessa alle disposizioni della Santa Sede in m ateria di disciplina religiosa:
anche in ciò si verificava la piena fedeltà a un atteggiam ento di fondo dello spirito del fondatore.
I l p iù vistoso di ta li atteggiam enti fu la revisione delle Co
stituzioni perché fossero conformi alle norme del Codice di D i
ritto Canonico (revisione approvata dalla Santa Sede il 19 g iu gno 1 9 23 ); ma non fu certo quello il più doloroso.
N ella m ente e n ella prassi di Don Bosco il Superiore salesia
no non era nè un burocrate, nè un funzionario, nè il sem plice tutore della disciplina religiosa: era il padre sp iritu ale della co
m unità educativa, e perciò ne era pure il confessore ordinario.
Non poteva essere altrim enti d ’una Congregazione che voleva stru tturarsi come una « fam iglia spirituale ».
La stru ttura voluta da Don Bosco per la sua Congregazione fortem ente incentrata nel cuore pastorale del Superiore con quel suo ruolo specifico di padre spirituale della com unità, non vo
lev a altro che sottolineare il prim ato dato da Don Bosco alle persone piuttosto che a ll’organizzazione, alla carità piuttosto che a una legge, al bene spirituale e fisico di ciascuno piuttosto che alle istanze d e ll’economia e d e ll’efficienza. T utto questo delicato equilib rio di rapporti fu sottoposto a una crisi con la determ ina
zione della Santa Sede (1 6 ), peraltro saggia, di proibire che il Superiore fosse il confessore ordinario dei suoi sudditi.
Noi com prendiamo la profonda angoscia di Don R ua e dei p rim i salesiani, nel timore di allontanarsi d alla strada tracciata da Don Bosco; m a al di là di ogni altra preoccupazione è prevalsa la
(16) Decreti del Santo Uffizio del 5.7.1899 e del 24.4.1901. Cfr. Annali 3, 170 e segg.
13 — (2247) piena d ocilità alle disposizioni della Santa Sede, lasciata in pre
ziosa eredità dal P adre ai suoi fig li con le parole, e ancor p iù con i fatti.
In qu ella congiuntura (1 9 0 1 ) Don R ua diceva a i m em bri d el IX C apitolo G enerale: « Facciam oci coraggio, e stiam o sicuri che l ’ubbidire prontam ente e perfettam ente a quanto vien e dalla suprem a A u to rità è il mezzo m igliore per ottenere le benedizioni d el Signore, e p er far procedere la Congregazione conform em ente a quanto voleva il Signore n e ll’isp irarla, e a quanto aveva in m en
te il nostro buon padre Don Bosco nel fondarla » (1 7 ).
L a pronta e docile adesione di tu tta la C ongregazione alle d irettiv e im p artite d alla Santa Sede, in m ateria così im portante da « segnare una v era svolta sulla sua s t o r ia » (1 8 ), non faceva che verificare una vo lta di più la solidità e l ’u n ità d i spirito che v i aveva saputo infondere Don Bosco.
N on meno doloroso per il cuore di Don R ua e p er i prim i S alesian i, e ancor più per l ’istitu to delle F iglie di M aria A u si
liatrice, fu la decisione della Santa Sede — n el perseguire il riordinam ento generale d elle Congregazioni R eligiose fem m ini
li (1 9 ) — di separare i due Istitu ti fondati da Don Bosco. A n che in questo caso, al di là del ram m arico d egli uni e d el tim ore delle altre prevalse lo spirito di fede — ereditato da Don Bo
sco — n ella Provvidenza che non abbandona le opere che ha su
scitato, e che si serve degli strum enti um ani per condurle a m i
g lio r com pim ento.
Il Concilio chiese: revisione radicale
L ’aggiornam ento d el testo delle Costituzioni non term inò con la revisione d el 1923. Q uasi ogni C apitolo G enerale v i portò
(17) E. Ce r ia, Annali, 3,189 (18) Ibid., 3,193.
(19) Ibid., 3,645 e segg.
(2248) — 14
qualche ritocco, qualche integrazione, perché fosse sem pre p iù ido neo a regolare lo sviluppo unitario della Congregazione; vennero pure em anate nuove norme di Regolam ento perché servissero di orientam ento, di scelta operativa, nelle nuove situazioni che la Congregazione doveva m an mano affrontare. T u ttav ia, penso, nessun Capitolo G enerale dovette assum ersi, circa il testo d elle C ostituzioni, un compito così oneroso come quello dem andato d alla Chiesa dopo il Concilio attraverso il m otu proprio « Eccle
siae Sanctae » ai C apito li G enerali Speciali degli O rdini e d elle Congregazioni Religiose.
Q uanto più ci si allontana nel tempo, tanto p iù si prende coscienza della portata enorme che tale decisione d ella C hiesa ha avuto, ha e avrà sul l ’orientam ento di fondo della nostra v ita re
ligiosa. P er rendercene conto, basterebbe pensare che è la prim a vo lta n ella storia della Chiesa che O rdini e Congregazioni re li
giose sono stati in v itati a una revisione così profonda d ella pro
p ria v ita. C erto, n e ll’intenzione della C hiesa non si tratta nè di una rivoluzione, nè di un capovolgimento dei valo ri di fondo, su cui fino allora si era andata strutturando ; però tale revisione non cessava di essere meno « radicale » , nel senso etim ologico d el term ine, toccando le radici stesse da cui ogni v ita religiosa traeva origine, e da cui continuam ente si alim entava: il V angelo, il carism a, le intenzioni evangeliche, lo spirito, la m issione dei fondatori.
D ata la novità del compito, nulla di strano che ci fosse una certa preoccupazione n e ll’affrontarlo, non ostante tu tta la buona volontà di agire con prudenza e senso di responsabilità. Anche se la C hiesa n el « Perfectae C aritatis » e n e ll’« Ecclesiae Sanctae » aveva tracciato le linee fondam entali nel cui am bito dovevano essere rinnovati e adattati i testi delle Regole e d elle C ostitu
zioni, restava ancora uno spazio enorm e entro cui fare d elle scelte oltrem odo im pegnative e rischiose. Se da un lato tutto ciò rap presentava un atto di grande fiducia della Chiesa nei confronti dei religio si, d ’altro canto restava un severo banco d i prova in cui ogni Istitu to avrebbe potuto m isurare la propria com pattezza
— 15 (2 2 4 9) e so lidità, il livello d i m aturità raggiunto e il proprio senso di responsabilità.
Le direttive rinnovatrici della Chiesa
I l com pito che ci incom beva era vastissim o. A n zitutto, a p ar
tire dal principio che il Vangelo era da considerarsi da tu tti i R e
ligio si « R egola suprem a » (2 0 ), il testo d elle C ostituzioni era da ripensarsi ponendo in chiara luce l ’ispirazione evangelica della v ita religio sa così com ’era stata espressa dal C oncilio, secondo il progetto originale e la peculiare m issione che ciascun Istitu to aveva ereditato dal Fondatore.
L e C ostituzioni, secondo le d irettive della C hiesa, dovevano soprattutto contenere « i princìpi evangelici e teologici, rig u ar
d an ti la v ita religio sa e la sua unione con la C hiesa, ed espressio
n i adatte e precise con cui si riconoscano e si conservino lo spi
rito e le fin a lità proprie dei F o n d a to ri» (2 1 ).
Le « norm e giuridiche necessarie per definire chiaram ente il carattere, i fin i e i mezzi d ellT stitu to » dovevano conservarsi, ma non dovevano essere num erose (2 2 ); da esse poi doveva essere espunto quanto era « superato... o m utevole secondo g li u si di un determ inato tem po » , oppure era « legato a u si unicam ente lo c a li» (2 3 ). L e norm e poi che erano legate solo al tem po p re
sente o a circostanze p artico lari, e che non appartenevano alla stru ttu ra fondam entale d e ll’istitu to , non dovevano aver posto nel testo costituzionale, m a dovevano « essere raccolte in codici sup
plem entari, chiam ati " d ire tto ri” , lib ri d ’usanze, o con altri no
m i » (2 4 ). N el testo costituzionale, infine, era necessaria la fu sione dei due elem enti « sp irituale e giuridico » , perché i codici
(20) Cfr. Perfectae Caritatis, n. 2a.
(21) Ecclesiae Sanctae, II, 12 a.
(22) Ibid., II, 12 b.
(23) Ibid., II, 14.
(24) Ibid.
(2250) — 16
fondam entali degli Istitu ti avessero una base stabile e fossero pervasi di vero spirito e da norme v itali (2 5 ).
E perché la norma espressa avesse un carattere di autore
volezza e di stab ilità, doveva essere espressa in modo che r i
sultasse scaturita da u n ’esigenza di vita. Perciò si raccom andava di « evitare di redigere un testo o soltanto giuridico, o unicam ente esortativo » (2 6 ). Bisognava insomma — per usare una felice espressione di P adre Beyer S .J. in una conferenza d ’introduzione al nostro CGS — redigere un testo che « potesse servire come libro di preghiera » , perché la vera forza delle Costituzioni sta, prim a ancora che in una loro pur indispensabile dim ensione g iu ridica, n ella capacità di assicurare un vero dialogo vocazionale con D io, secondo il progetto concreto in esse autenticato.
A nche riguardo alla form a di governo, si raccom andava di stru tturarla in m aniera che « i C apitoli e i C o n sigli..., ciascuno a suo modo, fossero l ’espressione della partecipazione e d elle sol
lecitud in i della com unità intera » (2 7 ). Q uesto si sarebbe realiz
zato soprattutto se i religiosi avessero partecipato « efficacem en
te alla scelta dei m em bri di tali organi » (2 8 ).
Perché poi l ’esercizio d e ll’autorità fosse reso p iù efficace, più aderente alla realtà, più sensibile alle esigenze locali, più spedito in rapporto alle esigenze dei tem pi m oderni, bisognava che « i superiori di qualsiasi grado fossero m uniti d elle oppor
tune facoltà, perché non si m oltiplicassero i ricorsi in u tili o trop
po frequenti alle autorità superiori » (2 9 ). Era un applicare i cri
te ri di partecipazione, di decentram ento e di su ssid iarietà, già in trodotti nel governo della Chiesa dal Concilio, al governo della v ita religiosa.
Si auspicava infine che g li Istitu ti, secondo la loro partico-
(25) Cfr. Ibid., II, 13.
(26) Ibid.
(27) Perfectae Caritatis, n. 14.
(28) Ecclesiae Sanctae, II, n. 18.
(29) Ibid.
(2 2 5 1)
lare m issione, partecipassero alla vita della Chiesa un iversale e locale facendo proprie, e sostenendo n ella m isura delle proprie necessità, le sue in iziative (3 0 ).
Si auspicava pure che i m em bri di tali Istitu ti, grazie a una approfondita conoscenza delle condizioni dei tem pi, d eg li uom i
ni e dei beni d ella C hiesa, sapessero « rettam ente giudicare le cir
costanze attu ali di questo mondo secondo i criteri d ella fede e ardendo di zelo, fossero in grado di giovare agli a ltri p iù effi
cacem ente » (3 1 ). P er noi consacrati alla salvezza d ei giovani, q u est’ultim o criterio di rinnovam ento im poneva l ’obbligo d i una diagnosi atten ta dei segni dei tem pi e d ’una revisione profonda d ei nostri m etodi p asto rali perché m eglio rispondessero alle mu- tevoli esigenze dei giovani, che sono le antenne p iù sen sib ili, e anche le prim e v ittim e, d ’un mondo in v ia d i rad icali tra
sform azioni.
La preparazione fu ampia e seria
Anche solo da questo quadro m olto sommario penso che siamo in grado di percepire l ’ampiezza della revisione che la C hie
sa richiedeva a ogni Istitu to religioso. P er Don Bosco, come per ogni suo figlio , la voce della Chiesa è la voce di D io: non pote
vamo d isatten d erla senza tradire lo Spirito che ci aveva suscitato nel suo seno e la stessa nostra m issione. Non si trattav a di « p ru rito di riform a » giustam ente stigm atizzato da Don Bosco: era questione di fedeltà.
Ci siamo accinti a questo im m ane compito non senza m olta trepidazione, consapevoli della nostra fra g ilità, consapevoli d ei r i
schi che si potevano correre, degli ostacoli che si potevano frap porre al felice esito , m a fiduciosi n e ll’assistenza d ivin a, n ella pro-
(30) Perfectae Caritatis, n. 2c.
(31) Ibid., n. 2d.
2
(2 2 5 2)
tezione m aterna di M aria, n ella protezione di Don Bosco e dei nostri santi che dal Cielo non avrebbero m ancato di intercedere per noi.
L ’inizio di q u est’opera di revisione, lo possiamo g ià trovare nel C apitolo G enerale XIX. In questo C apitolo il ritocco al testo d elle C ostituzioni fu modesto; l ’aspetto p iù notevole fu l ’am plia
m ento dei m em bri del Consiglio Superiore con l ’introduzione d el
la nuova figura dei R egionali che avrebbero dovuto, in una pro
spettiva di decentram ento, diventare una stru ttura di u n ità, cer
n iera di collegam ento fra il centro e la p eriferia d ella C ongrega
zione. M a il contributo più notevole offerto dal CG XIX al rin novam ento consistette soprattutto nello svolgim ento di tem i che servirono come base di riflessione per l ’intera Congregazione n el
la preparazione del CGS.
T ale preparazione fu am pia, seria: non si può certo dire che abbiam o agito con precipitazione. T re lu n gh i anni, e due Ca
p ito li Isp etto riali che hanno stim olato la v iva partecipazione di tu tti i confratelli in una consultazione che non aveva precedenti n ella storia d ella nostra Congregazione. Si trattav a d ’un problem a v itale: d elle nostre v ite che abbiamo offerte al Signore in seno alla Congregazione Salesiana e della sorte dei giovani la cui sal
vezza sarebbe in parte anche dipesa d alla nostra capacità di rin novam ento.
A ll’inizio, perplessità e timori
Non si può dire che il CGS sia iniziato senza p erplessità, senza incertezze: il compito che ci era stato affidato era talm ente inedito da giustificare la nostra inesperienza in m erito, anche se ci eravam o prem urati di far tesoro d e ll’esperienza altru i. Certo i lavo ri acquistarono un loro orientam ento più preciso, e un ritm o più serrato quando, il 9 luglio , un m ese circa dopo l ’in i
zio, il CGS decise quasi a ll’unanim ità di dare alla Congregazione un testo rinnovato delle Costituzioni, approvato, articolo p er a rti
colo, a m aggioranza qualificata dei 2/3 dei cap ito lari, perché
— 19 (2 2 5 3)
m eglio rispondesse alla « mens » del C apitolo stesso e avesse m aggiore autorevolezza agli occhi d e ll’in tera Congregazione.
A vedere retrospettivam ente le cose non possiam o negare che quello fu un gesto molto coraggioso, v ista l ’incertezza d elle prospettive che ci stavano dinanzi: ci attendevano lu n gh i m esi di lavoro feb b rile, con in ev itab ili tensioni, tan te erano le istanze da com porre in u n ità: fedeltà a Don Bosco, alla C hiesa, alla no
stra m issione giovanile, risposta alle attese e alle esigenze dei confratelli.
T u ttav ia, al di là dei nostri pun ti di v ista, è prevalso in tu tti l ’am ore a Don Bosco e l ’attaccam ento al suo spirito, che è fatto d i fed eltà a Dio che ha suscitato la Congregazione, di d ocilità alla C hiesa, di d u ttilità alle circostanze di tempo e d i luogo in cui dobbiam o operare. Il risultato di tutto ciò è n elle nostre m ani.
Un testo meno giuridico e più spirituale
Si è cercato di elaborare un testo che, secondo le d irettiv e d ella C hiesa, fosse p iù spirituale e meno giuridico. I « princìpi evangelici e teologici » in esso contenuti, tra tti dai D ocum enti conciliari concernenti la v ita religiosa, sono stati filtra ti attraverso la sen sib ilità del testo costituzionale; più che di norm e la cui esi
stenza e contenuto dipendono unicam ente dalla volontà d ’un le g islato re um ano, si tratta di valori di vita provenienti da una chiam ata e da una m issione divina.
T utto ciò è stato possibile grazie a una co struttiva volontà d i com unione, d i convergenza n e ll’un ità frutto di com prensione dei reciproci p u n ti di vista: i singoli articoli n ella loro stragrande m aggioranza sono stati approvati superando di m olto il trag u ar
do dei 2/3 dei suffragi. P ur essendo stata p revista, per casi spe
ciali, la p o ssib ilità di abbassare il « quorum » dei 2 / 3 , non ci fu alcuna necessità di ricorrere a tale soluzione di em ergenza, p er
ché n e ll’ite r previsto tu tti gli articoli raggiunsero i suffragi suf
ficien ti a ll’approvazione. Penso che um anam ente non si poteva
(2 2 5 4)
pretendere di più perché la Congregazione, attraverso il suo orga
no più autorevole, esprim esse chiaram ente la sua volontà.
Il rinnovam ento della Congregazione che si è operato attra
verso il testo delle C ostituzioni è « fedeltà dinam ica » a Don Bo
sco (3 2 ): è riscoperta dei valori fondam entali al d i là delle incro- strazioni e d e ll’usura del tempo; è anche ricupero di valori sale
siani come, per esem pio, l ’unità della Fam iglia Salesiana, e uno stile di form azione che fosse più conforme a un ideale di v ita re
ligiosa attiva (valo ri che non avevano potuto essere recepiti nel testo prim itivo ); è, infine, assim ilazione d i nuovi valo ri che si sono riscontrati in continuità e come prolungam ento dei pre
cedenti. L a Congregazione è un organism o vivo, e come tale po
teva assim ilare solo ciò che avrebbe contribuito al suo sviluppo omogeneo, alla sua reale crescita, senza com prom ettere in alcun modo la sua identità.
Certo, come tutte le cose um ane, anche le C ostituzioni nate d al Capitolo G enerale speciale sono p erfettib ili. Studi p iù appro
fonditi sulle fonti salesiane, e ancor più una m aggiore fed eltà allo spirito che ha suscitato Don Bosco e che ci ha chiam ato a condi
viderne la m issione, potranno in seguito m igliorarle, perché siano sempre più rispondenti al dono che Dio in Don Bosco ha fatto alla Chiesa e al mondo.
Il testo delle nostre Costituzioni, nato d alla v ita, e genera
tore di v ita, come ogni vita sarà dunque suscettibile di ulterio re perfezionam ento e sviluppo. T uttavia in esso è contenuto e ci viene trasm esso l ’identico ideale di v ita, l ’identica m issione per la salvezza dei giovani, l ’identico spirito che ha anim ato Don Bo
sco e tu tti i suoi fig li m igliori: tocca a noi, come hanno fatto qu elli che ci hanno preceduto in questi cento anni, tradurlo in vivente, p alpitante realtà.
(32) Cfr. Atti del CGS. Doc. n. 2: « Don Bosco nell’Oratorio, criterio per
manente di rinnovamento dell’azione salesiana ».
— 21 (2 2 5 5) 3. LA REGOLA NEL PENSIERO DI DON BOSCO
C ertam ente non possiamo ridurre la v ita d i una Congrega
zione a un codice scritto, anche se, come nel caso d elle nostre Costituzioni rinnovate, esso contiene « le ricchezze sp iritu ali della tradizione salesiana e le norme fondam entali per la v ita d ella nostra Società » (3 3 ).
E videntem ente non è la v ita che è al servizio di un codice, ma proprio tutto il contrario. La v ita, però, non può fare a meno di determ inazioni concrete: l ’inosservanza d elle norm e che rego
lano i rapporti tra i m em bri d ’una società — si trattasse anche soltanto d ella piccola società dom estica — porta alla disgregazione e alla dissoluzione la v ita e l ’esistenza di qualsiasi com unità, qua
lunque ne sia il tipo.
Sono queste v erità elem entari che stanno sullo sfondo della insistenza di Don Bosco su ll’osservanza della Regola.
Perché la Congregazione possa durare
Spirito em inentem ente pratico, attento alle lezioni d ella sto
ria, eg li è profondam ente convinto che « l ’osservanza d ella R ego
la è l ’unico mezzo, perchè possa durare una Congregazione » ( 3 4 ) . In u n ’im portante conferenza ai d iretto ri sul finire d el gen
naio d el 1 8 76 , pochi m esi dopo la presentazione ai co n fratelli d el prim o testo delle Costituzioni (15 agosto 18 75 ), Don Bosco così si esprim eva circa l ’osservanza della R egola: « O ra non ci tro viam o p iù come n el tempo passato, quando non c ’erano le Regole m a la sola Congregazione era approvata, e quindi si andava avan ti con un governo tradizionale, e quasi p atriarcale. Non sono più quei tem pi. Bisogna tenerci fissi al nostro codice, studiarlo in tu tte le sue p artico larità, capirlo, spiegarlo, p raticarlo ... In ogni circo-
(33) Costit., n. 200.
(34) Memorie Biogr., 12,81.
(2 2 5 6)
stanza, invece d i appellarsi ad altre auto rità, si p o rti q u ella d elle R egole... In questo modo il governo del D irettore può m antenersi paterno, quale da noi si desidera. Facendo sem pre vedere che non è esso D irettore che vuole questa o quell ' altra cosa, che proibisce o consiglia, m a è la Regola, il subalterno non potrà aver appiglio alcuno per m orm orare o disubbidirlo. In una p aro la: l ’unico mezzo per propagare lo spirito nostro è l ’osservanza d elle nostre R egole.
« N eppure le cose buone si facciano contro d i esse o senza d i esse; perchè se si vuol lavorare anche con buono spirito, ma non dentro la cerchia delineata delle nostre R egole, che cosa ne v errà? Che ciascuno lavorerà, e poniamo anche m olto, m a il la voro resterà in d ivid uale e non collettivo. O ra il bene che deve aspettarsi d agli O rdini religiosi proviene appunto da ciò, che lavo rano collettivam ente: se così non fosse, sarebbe im possibile get
tarsi in qualunque im presa.
« Se ci allontaniam o da ciò che strettam ente richiedono le Regole e si continua a lavorare, uno com incerà a ritira rsi di qui, l ’altro di là per un fine buono, ma ind ivid uale; di qu i il principio del rilassam ento; e queste opere non saranno più benedette dal Signore come le prim e. Q uindi ne viene necessariam ente i l biso
gno di una riform a, e ciò indebolisce grandem ente un a Congrega
zione (come abbiam o visto accadere in m olti O rdini R eligio si), e sem pre con grandissim o scapito della salvezza d elle anim e. E p o i? il decadim ento e la rovina totale » (3 5 ).
I l discorso è piano, sem plice, m olto lontano d alle nostre com
plicazioni: m a quanta saggezza, quanta v erità ed esperienza di v ita si trovano in queste espressioni!
La Regola « incarnata » nel Superiore
La concezione che Don Bosco, n ella stessa occasione, rivela della sua Congregazione, è quella d ’una Congregazione fortem ente centrata n ella Regola, incarnata n el Superiore e v ista come prin-
(35) Ibid., 12,80-83.
(2 2 5 7)
cipale vincolo d i coesione e di v isib ile com unione d e ll’in tero or
ganism o. D ifatti, dopo aver afferm ato: « T ra di noi il Superiore sia tutto . T u tti diano mano al R ettor M aggiore, lo sostengano, lo aiutino in ogni modo, si faccia da tu tti un centro unico intorno a lu i » , subito soggiunge: « I l R ettor M aggiore poi ha le R e
gole; da esse non si dip arta m ai, altrim enti il centro non resta più unico m a duplice, cioè il centro delle R egole, e quello d ella sua volontà. Bisogna invece che nel R ettor M aggiore quasi si incar
nino le R egole: che le Regole e il R ettor M aggiore siano come la stessa cosa.
« Ciò che avviene per il R ettor M aggiore riguardo a tu tta la società, bisogna che avvenga per il D irettore in ciascuna casa.
Esso deve fare una sola cosa col R ettor M aggiore e tu tti i m em b ri della sua casa devono fare una cosa sola con lu i. In lu i ancora devono essere come incarnate le Regole. Non sia lu i che figu ra, ma la R egola. T u tti sanno che la R egola è la volontà di D io, e che chi si oppone alle Regole si oppone al Superiore e a Dio stesso » (3 6 ).
Notiam o in m argine a questo testo citato, che il principio re
sta valido ancor oggi, anche se per le dim ensioni assunte dalla Congregazione, e per la d iversità delle situazioni, alcune speci
fiche determ inazioni sono dem andate alla com petenza delle co
m unità isp etto riali e locali (3 7 ). D ecentram ento non vuole dire anarchia, e pluralism o non può confondersi con l ’individualism o (e l ’uno e l ’altra sono totalm ente estranei al pensiero d i Don Bosco).
La regola espressione del disegno di Dio
P er Don Bosco (ce lo rivela l ’ultim a sua afferm azione nel passo citato) la R egola non è nè un principio astratto, nè l ’espres-
(36) Ibid., 12,81.
(37) Cfr. Lettera circolare « Unità e Decentramento », in Atti del Consiglio Superiore n. 272.
(2258) 24 —
sione im personale d ’una volontà collettiva, m a è la m anifestazione d ella volontà di D io: è la linea visib ile di convergenza d elle chia
m ate dei singoli fratelli nel compimento in C risto d ella volontà d el P adre; una volontà che tu tti trascende e tu tti unisce in u n ’unica fraterna comunione.
E ’ in questa prospettiva forse che dobbiamo considerare l ’in credibile num ero di Regolam enti stilato da Don Bosco anche per le u m ili occupazioni. Non si trattava di m an ia istituzionalizza- trice, m a di valorizzazione di ciascuno, che vedeva definito il proprio compito in seno alla com unità non d a ll’arb itrio m a da una norm a superiore. Una norma che faceva di ogni com unità salesiana un organism o la cui v ita e il cui ritm o d ’azione era scan
dito da Dio stesso (3 8 ). In quanto erano espressione d ella vo
lontà di D io, ta li R egole, secondo Don Bosco, im pegnavano a ll’os
servanza. In una conversazione del 30 m aggio 1865 Don Bo
sco si dom andava: « E ’ dunque peccato trasgredire le Regole del
la C asa? P ensai già seriam ente a questa questione, e v i rispondo assolutam ente di sì. Non v i dico se sia grave o leggero: biso
gna regolarsi dalle circostanze. M a peccato lo è » (3 9 ). N otiam o che qu i non si tratta delle C ostituzioni approvate d alla Santa Sede, m a sem plicem ente del regolam ento interno dei suoi istitu ti.
Si potrebbero fare delle distinzioni al riguardo, m a la re
cisa afferm azione di Don Bosco resta per noi una testim onianza significativa del suo pensiero in m ateria, anche come pedagogia d i santità giovanile.
Secondo Don Bosco, le Regole im pegnavano alla fedeltà in quanto erano espressione del disegno di Dio e della sua amorosa volontà. E gli si m etteva così n ella lin ea ora chiaram ente in d i
cata dal CGS. Parlando di segni che aiutano a scoprire la vo
lontà di D io, il CGS, dopo aver indicato prim a d i tu tti il Vangelo come regola suprem a e prim o strum ento specifico p er la ricerca,
(38) Cfr. Memorie Biogr., 9,571-576.
(39) Memorie Biogr., 8,132.
(2 2 5 9)
aggiunge: « Le Costituzioni sono un altro strum ento specifico per noi: costituiscono il nostro punto di vista evangelico (le sottoli
n eature sono del CG S) per approfondire la realtà ; la loro appro
vazione da p arte d ella G erarchia ci garantisce che esse tracciano per noi una via p ratica e sicura, e nello stesso tem po ci uniscono in spirito di obbedienza alla Chiesa » (4 0 ).
In questa prospettiva di obbedienza al V angelo e alla Chiesa è facile capire le recise afferm azioni d i Don Bosco, che considera l ’inosservanza cosciente della Regola come vera in fed eltà al S i
gnore, non d isgiunta da peccato.
E noi religio si, oggi dovremmo saper rileggere il pensiero di Don Bosco n ella linea conciliare così bene espressa nel no
stro CG S: « Non ci sono due piani di tale vocazione: quello d ella v ita religio sa un p o ’ più alto, e quello della v ita cristian a un p o ’ p iù basso. P er chi è religioso, testim oniare lo spirito d elle b ea ti
tudin i con la professione dei voti è la sua m aniera di v ivere il battesim o, e di essere discepolo del S ig n o r e » (4 1 ).
La Regola non dispensa dall’iniziativa
L a volontà di Dio poi, che si esprim eva attraverso la R egola, secondo Don Bosco non dispensava nè d a ll’in iziativa, nè d alla re
sponsabilità personale. Non era tanto un elenco di cose da fare form alisticam ente, m a un ideale da realizzare, un com pito da svol
gere, una m issione da com piere sulla linea orientatrice d ella R e
gola, ponendo in opera tu tte le risorse personali e il proprio senso di responsabilità.
A ncor m eglio di tante espressioni ciò che in terp reta il pen
siero di Don Bosco è quel che egli ha fatto, « affidando a ra gazzi, si può d ire, opere che avrebbero fatto paura a uom ini m atu ri... L ’obbedienza che Don Bosco richiedeva era davvero tale
(40) Atti del CGS, n. 630.
(41) Ibid., n. 106.
(2 2 6 0) — 26
da m ettere alla prova, nelle situazioni più azzardate, lo spirito d ’in iziativa e la solidità interiore » (4 2 ).
Cento anni di sviluppo prodigioso della Congregazione sono la m igliore controprova che l ’osservanza della R egola n el pas
sato non ha in ib ito , in tanti confratelli, nè l ’o rigin alità nè l ’in iziativa.
L’osservanza guidata dalla carità
In fin e, appunto perché la R egola non è espressione d ’una volontà collettiva, di u n ’esigenza im personale o d ’un astratto bene com une, m a è m anifestazione della volontà del D io-carità, que
sta sua caratteristica ispira il modo in cui Don Bosco vuole che essa sia in terp retata e sia praticata.
Don R in ald i ci ha detto che « Don Bosco, più che una società, intendeva form are una fam iglia, fondata quasi un ica
m ente sulla paternità soave, am abile, v igilan te del Superiore, e su ll’affetto filiale, fraterno dei sudditi » (4 3 ). M a un a fam iglia ben ordinata, specie se num erosa, se da un lato non può fare a meno di norm e, d ’altro lato sia n ella loro osservanza che n ella loro interpretazione è guidata dalla carità.
C arità che non è sinonimo di debolezzza, m a è volontà del vero bene di ciascuno; perciò non è nè rinuncia alla norm a, nè un lasciarla im punem ente trasgredire, nè un chiudere g li occhi su eventuali im perfezioni o mancanze. E ssa è invece attenzione a p artico lari situazioni che la norma non poteva assolutam ente prevedere; è rispetto del ritm o di m aturazione di ciascuno n ella carità; è un far sì che la norma che è fatta p er tu tti si ad atti alla m isura di ciascuno, al suo passo, alle sue forze, al suo ritm o di crescita sp irituale per cui ciascuno, n ella casa salesiana, si possa sentirò a suo agio, « in fam iglia ».
(4 2 ) P . S t e l l a , Don Bosco, 2 ,4 0 7 . (4 3 ) Don Rin a l d i, o.e., p. 17 9 .
— 27 — (2 2 6 1) Don Bosco, al tram onto della sua v ita, n ella lettera da Rom a del 1884 provocata dal famoso sogno, dopo aver descritto la si
tuazione che si era andata m an mano creando a ll’O ratorio, ha quasi un sussulto come di chi vede travisata l ’opera sua: « P er
ché — dice — si vuole sostituire alla carità la freddezza d ’un rego lam en to ?... Perché al sistem a di prevenire con la vigilanza e am orosam ente i disordini, si va sostituendo a poco a poco il sistem a meno pesante e più spiccio per chi com anda, di bandire leg gi che si sostengono coi castighi, accendono odii e fruttano d i
sp iace ri?... Si rim etta in vigore l ’antico sistem a: il Superiore sia tutto a tu tti, pronto ad ascoltare sempre ogni dubbio o lam en
tela, tutto occhio p er sorvegliare paternam ente, tutto cuore per cercare il bene sp iritu ale e tem porale di coloro che la P ro vvi
denza g li ha affid ati » (4 4 ).
D irettam ente in questo celebre sogno si tratta d ei rap p o rti tra Salesiani e giovani, m a non è difficile discernere sullo sfondo il clim a che si andava introducendo n ella stessa com unità re li
giosa, che a sua vo lta si riverberava n ella com unità educativa.
Don Bosco voleva che si osservasse la R egola, m a voleva che fosse osservata spontaneam ente, vo len tieri, « perché — sole
va d ire — a Dio non piacciono le cose fatte per forza. E g li, essendo Dio d ’am ore, vuole che tutto si faccia per am ore » (4 5 ).
V oleva che la R egola fosse osservata così, proprio perché si po
tesse m antenere il clim a di fam iglia, perché « il governo d el d i
rettore possa m antenersi paterno quale da noi si desidera » (4 6 ).
Tocca poi al Superiore far sì che non si sostituisca « alla carità la freddezza d ’un regolam ento » : espressione in cui, nel pensiero d i Don Bosco, l ’accento è posto evidentem ente non su
« regolam ento » m a su « freddezza » , su ll’applicazione g elid a e im personale d ’una norm a, senza tener alcun conto che questa va posta a servizio d elle persone.
(44) Memorie Biogr., 17,112-13.
(45) Ibid., 6,15.
(46) Ibid., 12,81.
(2262)
4. LA PRATICA DELLA REGOLA OGGI
C arissim i C onfratelli, nelPesporvi queste considerazioni sul valore della Regola non m i nascondo tu tte le contestazioni va
riam ente m otivate che oggi sorgono qua e là n ella C hiesa, in seno alle fam iglie religiose, e — perché n o? — anche in n ostri am bienti: contro la legge in genere, contro quella ecclesiastica in specie, e quindi contro C ostituzioni, R egolam enti, eccetera.
Una reazione emotiva
Secondo ta li obiezioni, la presenza di una legge segnerebbe il dom inio della struttura sulla persona, la fine della spontaneità, d ella creatività, della com unione; segnerebbe il tram onto della lib ertà, il soffocamento della persona, l ’instaurazione di q u e ll’or
dine costruito che porta con sé il corteo di giuridism o, di im m o
bilism o, d i form alism o, di autoritarism o che soffoca la v ita lità sp iritu ale proveniente solo d alla carità e dalla grazia dello Spirito.
Non si possono certo sottovalutare questi tim ori: purtroppo dietro il paravento della legge m olte volte ha trovato rifugio l ’egoismo, l ’accidia, l ’orgoglio; talora ci si è serviti della legge come di strum ento di potere e si sono sacrificate le persone sul suo « letto di Procuste » ; si è trovato in essa un comodo alib i per giustificare la mancanza di fantasia, la m ancanza di d isponibilità e di generosità nel necessario rinnovam ento. P erò, dom andiam oci sinceram ente se, con la reazione em otiva contro tutto un certo
« giuridism o » (d i cui la Chiesa ha spesso troppo sofferto), noi non rischiam o di coinvolgere la legge e il d iritto col giuridism o in u n ’unica indiscrim inata condanna e ripulsa. Facendo così, noi rischierem m o di pregiudicare la causa per cui si com batte contro il giuridism o, cioè la difesa della persona.
Non lo si ripeterà m ai abbastanza: « Una com unità senza leggi, lu n gi d a ll’essere o dal poter m ai essere in questo mondo la com unità della carità, non è m ai stata e non sarà m ai n u ll’altro
(2 2 6 3)
che la com unità d e ll’arbitrio » (4 7 ). Non solo, ma anche d e ll’in dividualism o (contrabbandato m agari come p luralism o ): in tale situazione non c ’è nè rispetto della persona altru i, nè carità; non c ’è neppure quell'elem en tare prem essa della carità che è la g iu stizia. E la com unità va in decomposizione.
Sono conseguenze tanto logiche, evidenti, e purtroppo con
statate, che penso non abbiano bisogno di lunghe dim ostrazioni.
Sono conseguenze che però ci fanno riflettere a q u ali estrem i si può giungere (e talvo lta di fatto si giunge) qualora non sapes
simo lucidam ente superare la reazione em otiva che, oggi p iù di ie ri, fa sentire come un attentato alla lib ertà ogni proposta a ll’os
servanza di una legge, di una Regola.
Dare un’anima alle leggi
C ertam ente la tentazione di giuridism o, di form alism o, con tu tte le dolorose sequele che abbiam o sopra elencato, è in sita n e ll’animo um ano, come lo sono l ’orgoglio, l ’egoism o, l ’accidia, da cui queste « m ale p iante » prendono origine; sono pericoli quanto m ai reali, da cui deve continuam ente g uardarsi — attra
verso u n ’ascesi in in terro tta — sia chi esercita l ’au to rità, e sia chi p ratica l ’obbedienza. M a per il fatto che si possa abusare della legge, non possiamo non dico abolirla (si andrebbe contro la na
tura sociale d e ll’uom o), ma neppure sm inuirne il valore col d i
sprezzo, o attenuarne il vigore con una sistem atica noncuranza, o anche solo con arb itrarie violazioni. Ciò sarebbe certo un r i
m edio peggiore del m ale che si intende curare, e non tarderebbe m olto a far sentire le sue funeste conseguenze in seno alle com unità.
I l rinnovam ento della Congregazione non potrà avvenire se non attraverso una sincera e pratica accettazione delle nostre Co
stituzioni: sarà tale fedele osservanza, che esclude sia il form ali-
(47) L. Bo u y e r, L’Eglise de Dieu (Editions du Cerf).
( 2 2 6 4 ) 30 —
smo e il giuridism o, che l ’arb itrarietà e l ’individualism o, qu ella che garan tirà a ciascuno di noi lo sviluppo n ella carità, alle co
m unità la crescita n ella comunione, al nostro apostolato una m ag
giore efficacia.
M i piace illum inare queste riflessioni con una citazione del P adre R ahner, che in un lungo e originale dialogo con il Signore si esprim e così: « Io so, e voglio stab ilire sem pre p iù il mio cuore in questa viva sapienza, che alla tua lib ertà non si arriva m ai protestando contro chi riceve da te il suo potere. C hi trova grave e vuole scuotere il suo peso non è il tuo spirito di li
b ertà, m a il mio uomo deteriore, la m ia pigrizia, l ’ostinazione, l ’egoism o; il fatto è che non ho riguardato allo scandalo del mio fratello , per cui pure sparse il suo sangue il F iglio tuo; che m i voglio credere lecita ogni cosa monda (4 8 ); che ho la scienza che gonfia e non la carità che edifica (4 9 ).
« M i è già successo che ho giudicato ostacoli alla tua lib ertà, p recetti e im posizioni che erano solo salvaguardia p er la lib ertà del tuo amore e protezione contro la legge che è n elle m ie m em bra. Sì, io sperim ento sempre di nuovo che le leg gi um ane della tua Chiesa sono scuola di disciplina per la volontà, di pazienza, di dom inio su me stesso, di forte tran q u illità dello spirito, di r i
spetto e di amore per il prossim o; vedo sem pre m eglio che non quello che piace, ma il dovere, mi m atura. E in v erità non ogni dovere è una costrizione, e la fedeltà n e ll’operare non è sempre segno di alta m oralità nè di vera lib ertà...
« Io so anche che ordini e prescrizioni, cerim onie e consue
tud in i, m etodi e industrie che m i sono im poste e raccom andate, possono divenire form a sensibile del mio am ore, se ho l ’am ore;
e che m i diventano un peso morto se io sono fiacco, troppo poco vivo per dare loro u n ’anima » (5 0 ).
Proprio n e ll’intento di esortare me e voi a u n ’osservanza
(48) Cfr. Rom., 14,13 e segg.
(49) Cfr. ICor., 8,1 e segg.
(50) K. Ra h n er, Tu sei il silenzio. Queriniana, Brescia, pagg. 40-42 passim.
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così intensa e vissuta, in cui oggi non meno di ie ri sta l ’avvenire della Congregazione, desidero aggiungere qu i qualche consi
derazione.
La Regola difende la persona e la comunità
A ben considerare la Regola, n ella prospettiva che abbiam o ora espresso, scopriamo che essa è veram ente al servizio della persona, della sua lib ertà nel senso più vero del term ine. « La legge, la vera legge, la legge giusta, il d iritto , in questo mondo è come la corteccia al cui riparo la persona può nascere e svi
lupparsi, e non si saprebbe rom pere questa corteccia senza in tac
care la v ita personale » (5 1 ).
L a R egola è la difesa della persona d a ll’arb itrio . D a ll’arb i
trio dello stesso superiore, e — più ancora — della com unità, che non può decidere, com andare od orientarsi in modo diverso da ciò che è stab ilito n ella R egola e liberam ente accettato d al
l ’individuo n el giorno della professione.
L a R egola è pure una difesa della com unità d a ll’arb itrio da parte d e ll’individuo che gravem ente o sistem aticam ente venisse meno agli im pegni liberam ente assunti, condizionando così — ne
gativam ente — la v ita dei confratelli.
E infine è difesa d e ll’individuo stesso dalla propria fra g ilità e dal proprio capriccio, perché è sempre lì a ricordargli g li im pe
gni che ha contratto con Dio e con i fra telli, e rappresenta in que
sto modo la lib e rtà della sua risposta alla chiam ata di Dio.
La Regola tutela molti valori
E videntem ente la R egola non svolge in seno alla com unità religiosa unicam ente questa funzione negativa, di difesa: svolge soprattutto funzione positiva di promozione dei v alo ri che essa
(51) L. Bo u y e r, o .e ., p . 596.