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A ciascuno il duo di scena al Ghirelli

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Academic year: 2022

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A ciascuno il duo di scena al Ghirelli

Due giovani artisti si uniscono in un Duo paradossale, di scena oggi alle 19.00 e domenica 6 febbraio alle 18.00. Canto e piano, insieme, portano lo spettatore a spasso nella storia dell’opera usando il tramite della risata. “A ciascuno il duo”

ovvero una serissima presa in giro delle formazioni di stampo accademico, perché la musica classica non è solo un bel monumento da ammirare o da riprodurre all’infinito ma anche il pretesto per fare altra musica. Il percorso narrativo dello spettacolo mette al centro il tema della divulgazione della musica classica. Il Duo racconterà le vite dei grandi compositori come: Rossini, Pergolesi, Rota, Cimarosa, Mascagni, Puccini attraverso un dialogo semplice in cui la burla incontra l’educazione tra aneddoti biografici e cenni storico- musicali. Sarà un modo per entrare in contatto con la narrazione e garantirsi un ascolto realmente privilegiato. Il Duo vuole sdoganare l’idea della musica classica come macigno polveroso ed incomprensibile, e regalare emozioni e tanto divertimento. Non è un concerto, non è uno spettacolo di cabaret, è semplicemente musica. Luca De Lorenzo è un Cantante Lirico / Attore. E’ nato a Napoli nel 1987, si è diplomato in canto lirico presso il Conservatorio San Pietro a Majella e laureato con lode in Scenografia presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli. Ha collaborato con registi come Roberto De Simone, George Malveus, Cesare Scarton, Gigi Dall’Aglio, Mariano Bauduin e James Bonas. Ha debuttato in diversi ruoli in teatri italiani ed esteri: L’Arena di Verona, Teatrino di Corte di Napoli, L’istituto Italiano di Cultura a Londra, Bashkir State Opera and Ballet Theatre UFA (Russia), Teatro Rahvusooper Estonia e Teatro Mozart di Saragozza. Attore televisivo, appare su Rai Due, il 23 agosto 2018 con lo spettacolo “Be quiet talent show”. Performer nell’Opera

‘’Silent City’’ di N. Osborne, diretta dal Maestro Tommaso

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Ussardi con la regia di James Bonas per Matera capitale della Cultura 2019. Ideatore ed organizzatore di vari progetti artistici e rassegne musicali come Lucabanana Project presso il Teatro san Ferdinando e Rapsodia Underground presso la Casa de Contemporaneo ‘’Sala Assoli’’, Palazzo Reale Summer Fest presso il Palazzo Reale di Napoli. Fabrizio Romano è un pianista Nato a Napoli, ha studiato al Conservatorio di Musica

“S.Pietro a Majella” con il M° Sergio Fiorentino, diplomandosi a pieni voti (1989). Successivamente ha seguito per diversi anni gli insegnamenti del pianista Viktor Merzhanov e del pianista Aldo Ciccolini. Ha inoltre partecipato a una masterclass presso il Conservatorio di musica di San Pietroburgo studiando con il Maestro Igor Lebedev. Allievo di Luis Salomon (assistente di Franco Ferrara e Sergiu Celibidache), ha frequentato per due anni il Corso Internazionale di Direzione d’Orchestra tenuto presso il

“Teatro Sociale” di Como con l’Orchestra Stabile del Teatro e affianca all’attività di pianista anche quella di direttore d’orchestra. Pianista eclettico, ha spesso avuto modo di accompagnare in pubblico concerti e registrazioni Ute Lemper, Misia (la più importante cantante portoghese di Fado), il tenore Ramon Vargas, l’attore italiano Alessandro Haber, la cantante francese Catherine Ringer, la cantante spagnola Martirio. È stato pianista solista nelle colonne sonore dei seguenti film: “Barney Version”, “Vaganti”, “La Kriptonite N e l l a B o r s a ” , “ M a g n i f i c a P r e s e n z a ” , ” A m i c h e D a Morire”,“Allacciate Le Cinture”, “Napoli Velata”, “La Dea Fortuna”.

“Q.B. – Prosa, versi e musica

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(quanto basta) su cibo e affini”

Domani, alle ore 18, il Piccolo Teatro del Giullare a Salerno riprende la sua programmazione e lo fa con il reading-concerto dal titolo “Q.B. – Prosa, versi e musica (quanto basta) su cibo e affini”. A calcare le tavole del teatro di via Incagliati saranno Lucio Allocca, voce recitante, e Lello Ferraro, chitarra e canto. È racchiuso nel titolo il senso stesso dello spettacolo. Nelle note di regia infatti si legge:

“Una serata q.b., musica prosa e versi, quanto basta per allietarvi. Nella preparazione di questa ricetta, di qualsivoglia alchimia culinaria, non si può fare a meno di dare il tocco finale, con sale e pepe q.b., cioè nella misura giusta”. E così quando si accenderanno i riflettori e il sipario si aprirà sarà proposto del buon cibo per la mente, per il corpo e per l’anima, attingendo alle parole del filosofo Giambattista Della Porta che fu anche alchimista, commediografo e scienziato per arrivare fino al poeta dell’amore, Pablo Neruda.

Amori proibiti, esoterismo e lotte di potere

All’inizio del 1500, Ludovico Ariosto scrisse i celebri versi

“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto” per iniziare il suo celeberrimo poema cavalleresco L’Orlando Furioso. A distanza di oltre 500 anni, un altro romanzo torna a parlare di amore, guerra, gesta eroiche e audaci imprese, ma con un gusto che sa di attualità.

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Principes è il romanzo d’esordio di Luigi Di Landro, già autore della raccolta di poesie Rumore, autore nato e cresciuto a Roma, ma originario di Maiori, città alla quale è molto legato e che ricorda anche sulla copertina del libro con l’immagine di una ceramica di piastrelle artistica esposta nella città. Una storia ambientata nel lontano Medioevo, un periodo da sempre considerato come gli anni più bui della ragione, ma nella quale è possibile ritrovare molto della società di oggi e tratti che richiamano la vita nella periferia delle grandi città, dove ogni quartiere è come un mondo a sé stante. Nei pressi di un antico santuario etrusco, in un paese chiamato Rheginna, alla presenza del Lucumone Lucillo, giunge un giovane soldato della Confederata Guardia Rheginnese, turbato e innervosito da uno strano pensiero che non lo lascia in pace: Pietro, segretamente membro della Confraternita dei Principes, aveva incontrato Giovanni la mattina precedente e un suo vecchio pensiero lo assale…

L’anima evocativa del corno di Paolo Reda sul palco dell’Ariston

di Alfredo De Falco

Paolo Reda, musicista di Camerota, paese dalla forte impronta musicale, tanto che ogni famiglia conta un elemento che si è avvicinato alla musica, è il primo corno dell’Orchestra Luigi Cherubini dal 2019, la formazione voluta da Riccardo Muti e che lui dirige, ospitando bacchette del calibro di Valery Gergiev, Gustavo Dudamel, Donato Renzetti, James Conlon, Nicola Piovani, Fabio Luisi, Piero Bellugi, John Axelrod,

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David Coleman e tanti altri. Da tempo collabora costantemente con diverse orchestre fra cui quella del teatro San Carlo di Napoli, del Verdi di Salerno e appunto la Sinfonica di Sanremo che appoggia il festival. E’ anche un vanto del corpo docente del Liceo Musicale “Alfano I” di Salerno e lo abbiamo raggiunto in un momento di pausa tra le continue prove sul palco dell’Ariston. E’ tanto giovane e viaggia di continuo per lavoro. Quanto pesano nella sua vita sociale attuale questi sacrifici? Dal punto di vista lavorativo è sicuramente appagante, perché sono sempre attivo in varie orchestre, spostandomi tra teatri di tradizione, enti lirici, e adesso il frizzante e stimolante ambiente festivaliero. Alle volte però, sento un po’ la mancanza della mia famiglia. È il suo secondo Sanremo, esattamente uno con e una senza pandemia. Che differenze ha notato? Tutto è stato più spensierato, anche se impegnativo, prima della pandemia. Sanremo richiede sempre molta concentrazione e anche un calcolo ponderato dei tempi, ma con la pandemia tutto questo è significato anche essere sottoposti a tamponi continui e ha richiesto molta disciplina da parte di tutti gli artisti coinvolti. E’ stato diretto da Muti, Gergiev, Bosso, Vessicchio, tante esperienze diverse, quindi è attivo nel campo della sinfonica, dell’opera e del pop. Come si concilia tutto? Un’esperienza arricchisce anche l’altra? A me piace rendere il corno uno strumento versatile in modo che sappia rispondere alle esigenze delle diverse bacchette che dirigono l’orchestra. Sono esperienze sempre differenti ed è interessante mettersi sempre alla prova con stili, generi ed esigenze molto diverse. Che effetto fa osservare da vicino i grandi della canzone italiana? A me piace lasciarmi coinvolgere dalle emozioni quando trovo un artista che le sa donare. Alle volte sono cantanti non particolarmente famosi e ammiro la loro professionalità, l’empatia con cui riescono a interagire con l’orchestra, e anche l’impatto emotivo che suscitano nel pubblico. Li osservo con questo interesse non tanto partendo da un’idea preconcetta, ma con la curiosità di chi vuole vedere cosa sta per succedere. E’ un giovane padre. Come vive l’esercizio

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professionale e la gestione della genitorialità? Non saprei immaginarmi in una situazione diversa dalla famiglia che io e la mia compagna Nunzia, anch’ella musicista, soprano, abbiamo creato in questi anni. Alle volte è complicato far conciliare tutto, ma abbiamo una figlia stupenda che ci dà l’energia e rinvigorisce il nostro interesse per lo studio. Questo comporta molti sacrifici, ma è necessario ricavare del tempo a n c h e p e r l ’ e s e r c i z i o d e l l a p r o f e s s i o n e p e r c h é l a genitorialità non comprime la professionalità di un artista, ma la alimenta.

La mia banda suona il Rock

di Michele Miceli

Michele, promettente chitarrista sedicenne di Pontecagnano, frequentante il liceo Francesco Severi di Salerno, è stato il promotore della creazione di un nuovo progetto rock: “ Ho iniziato a studiare da autodidatta – ha rivelato lo strumentista – attraverso libri e tutorial su YouTube, il mio percorso di formazione non mi ha dato una conoscenza approfondita della teoria, ma questo metodo mi ha permesso di riuscire a suonare tutte le canzoni che desidero, creando uno stile che mi appartiene. La chitarra mi ha sempre affascinato, la vedo come un mezzo per esprimere tutto quello che non potevo dire attraverso le parole.” Tutto ha inizio quando Michele con grande consapevolezza e decisione, decide di posare la chitarra e prendere in mano il suo cellulare, postando un annuncio per la ricerca di strumentisti tra i suoi follower, disposti a partecipare alla band. Il primo a rispondere all’appello, facendosi avanti con tanto entusiasmo è Francesco Citro, batterista di Bellizzi anche lui sedicenne, dell’IIS Gian Camillo Glorioso. La passione per la batteria

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per Francesco inizia frequentando la chiesa. Francesco ci racconta: “Durante la Messa mi siedevo vicino al batterista e mentre lui suonava, io al posto di seguire la funzione come facevano tutti, lo imitavo percuotendo essenzialmente l’aria.

La passione per la musica è una cosa che ho da quando ero piccino, mio zio è, infatti, un grande appassionato di rock, e proprio recentemente mi ha raccontato che quando avevo 1 o 2 anni venne a casa, si mise ad ascoltare gli Iron Maiden, la band iconica del panorama dell’heavy metal e io mi misi al suo fianco portando il tempo con la testa. La musica, comunque, sento che è una cosa che mi è appartenuta da sempre mi appartiene e spero mi apparterrà fino alla fine.” I due ragazzi insieme si mettono alla ricerca di nuovi componenti per la band, spinti dalla voglia di fare musica insieme, ma non riescono a trovare nessuno che voglia entrarci, perlomeno con la loro stessa voglia. Quando ormai tutto sembrava destinato a morire, Michele mentre si trovava in spiaggia a strimpellare sulle spiagge di Pontecagnano, è qui che gli viene incontro Chiara Izzi, giovane cantante talentuosa di Salerno che gli chiede di poter cantare sugli accordi di “See you again”. Per il giovane chitarrista, nel momento in cui Chiara intonò le prime strofe di quella canzone, gli apparve come un’occasione che doveva prendere al volo per completare il gruppo. Quindi subito le chiese se avesse voglia di unirsi a lui e Francesco, all’inizio incerta, ma dopo un po’ spinta anch’essa da questo sogno, decide di partecipare. Chiara ci dice: “la passione per il canto risale all’asilo e alle elementari, quando partecipavo alle recite e spesso mi chiedevano di cantare perché, anche se lo tenevo nascosto, mi ascoltavano ed evidentemente ero apprezzata. Alle elementari suonavo la chitarra e con altri miei compagni canticchiavo e creavo canzoni. Al quinto anno delle elementari ho cantato per la prima volta in pubblico, ed è stato in quel momento che ho capito che il canto mi avrebbe accompagnata negli anni.” I tre adolescenti hanno già iniziato a lavorare insieme, componendo e scrivendo, nel garage di Francesco, messo a posto con l’aiuto degli altri. Così, insieme sono riusciti a formare la

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band, con un unico obiettivo: divertirsi facendo ciò che più li appassiona e li accomuna, la musica. Non ci resta che augurare buona fortuna a questi ragazzi, e che riescano a realizzare il loro sogno.

Gubitosi: “Vi presento il nuovo Giffoni”

di Mario Cesaro

A cinque mesi circa dall’inizio dell’edizione 2022 del Giffoni Film Festival, abbiamo incontrato il creatore e ideatore, Claudio Gubitosi, che oltre a tracciare un bilancio sulle attività svolte, ci presenta anche il “Nuovo Giffoni”. Ormai siamo nel periodo nel quale solitamente migliaia di ragazzi partecipavano al Movie Days, il progetto di Giffoni dedicato al cinema per la scuola, possiamo dedurre che anche quest’anno, causa pandemia, non si terrà? La situazione pandemica ha, possiamo dire, congelato il nostro rapporto con le scuole. In 25 anni di onorata carriera abbiamo portato circa 600.000 studenti e 68.000 docenti. Negli ultimi due anni il Covid ci ha costretti ad uno stop, almeno delle attività in presenza. Tuttavia, al di là della pandemia, ogni idea ha un’evoluzione e il concetto di Movie Days (le nostre giornate del cinema per la scuola) possiamo ritenerlo in parte superato. Non è invece superata la nostra volontà di una nuova relazione con la scuola e con gli studenti. E dunque la nuova idea è quella di permettere agli studenti di trascorrere un’intera giornata a Giffoni impegnandosi in workshop e masterclass che mettano in connessione i giovani con fondamentali temi sociali (gli stessi che contraddistinguono spesso i nostri film) e che possano essere anche un modo per

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entrare nel mondo del lavoro di domani. Ci sono in cantiere altri progetti dedicati al mondo della scuola? Più che di progetti dedicati al mondo della scuola parlerei di progetti di formazione. Ho chiesto al mio team di fare delle ricerche sulla popolazione scolastica dei Picentini, sulla dispersione scolastica, sull’uso di droghe, un’analisi che ci consente poi di attuare una politica di impresa e una politica di attacco rispetto alle problematiche del territorio perché il futuro, il nostro processo di sviluppo tuttora in atto, non può avvenire che in sintonia con il territorio. Mi spiego meglio:

abbiamo tante strutture, abbiamo la Cittadella del Cinema completamente rinnovata, abbiamo la Multimedia Valley con spazi e ambienti fantastici, fra un anno e mezzo avremo anche un’altra sala al servizio del museo di circa 400 posti, avremo l’Arena per 4300 posti. Ma la notizia più importante è che inizia un altro grande progetto: il Campus di 380 posti riservato agli studenti: l’alta formazione sarà di casa a Giffoni almeno per 260 giorni l’anno. Immaginiamo insomma, tutta l’area visitata da centinaia di ragazzi, non per un giorno o una settimana, ma anche per 6/8 mesi l’anno. Giffoni diventerà luogo di partenza per nuove e varie professionalità legate a quella che è la nostra missione. Ad esempio, ci piacerebbe molto sfornare sceneggiatori, esperti di computer graphic, animatori, documentaristi: saranno queste le formazioni che andremo a sviluppare in questi anni, con l’obiettivo di portare anche a Giffoni una sezione della Scuola Nazionale di Cinema. Inoltre immaginiamo di dare spazio a Giffoni, oltre all’Università Pegaso che è già presente, anche la Business School del Sole24ore, una sede che consentirebbe a tanti ragazzi del Sud di non dover esser costretti ad andare a Milano. Allo stesso tempo l’alta formazione, i posti letto, le attività durante l’anno, serviranno ad irrorare il territorio, ad avere in Campania un luogo certo e sicuro dove le professioni, le arti e i mestieri del cinema possano essere ben identificati e ben sviluppati.

E, proprio in virtù di tali progetti, nel 2022 mi prefiggo di andare nei licei e spiegare che cosa fra due, tre anni si

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troverà a Giffoni. Insomma il festival rimane attività centrale ma di solo festival non si vive e, dunque, abbiamo dato la possibilità a questa idea di crescere, di svilupparsi, di essere in sintonia con le giovani generazioni. Per quanto riguarda invece le scuole primarie e secondarie, parteciperemo tra poco al grande bando nazionale Piano Cinema per la Scuola, al quale sono orgoglioso di dire che abbiamo dato la nostra collaborazione. Finalmente il Ministero della Cultura e il Ministero dell’Istruzione si sono parlati e qualche anno fa hanno cominciato a finanziare progetti come il nostro School Experience, dedicato alle produzioni scolastiche. Sono sicuro che realizzeremo tante attività grazie al Piano Nazionale Cinema sia nell’ambito della nostra regione che anche in Italia. Sempre grazie alle nostre relazioni con le istituzioni scolastiche abbiamo dato a 50 studenti la possibilità di essere nostri ambasciatori nei rispettivi comuni, e proprio questi ambasciatori cu hanno consentito di creare nei loro comuni gli hub dai quali sono prima partiti collegamenti di emergenza, durante il lockdown, e che oggi sono nostri partner in tutta Italia – dalla Calabria al Veneto, dall’Umbria alla Sicilia. Insomma per capire Giffoni c’è bisogno di una visione d’insieme, per afferrare la potenza e la grandiosità di quello che stiamo mettendo in cantiere. Manca poco alla 52esima edizione, qualche anticipazione? Mi pare che quest’anno ci possa essere la possibilità di non essere titubanti e di lasciarsi alle spalle questi due anni che ci hanno lasciati per certi versi più deboli, ma per altri più forti: ci siamo conosciuti meglio e abbiamo tirato fuori tutte quelle energie che non sapevamo di avere. Il 2022 non sarà un anno normale, abbiamo la determinazione di restituire Giffoni ai giffoner ma anche al paese. Siamo stati i primi a tornare in presenza e a distanza abbiamo ampliato il nostro pubblico grazie agli hub.

Adesso dobbiamo tornare totalmente in presenza. Sarà l’anno della RI-Evoluzione, la rivoluzione nell’evoluzione, e questo concetto accompagnerà le attività di Giffoni fino al 2027. Il festival sarà un grande evento, saremo in grado di far tornare le star internazionali e di avere 5000/6000 giurati,

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ovviamente adottando tutte le precauzioni possibili.

Nell’ultimo periodo ho invitato tutti i ragazzi a vaccinarsi dato che se stanno bene i ragazzi stiamo bene anche noi.

Vogliamo che i ragazzi possano stare vicini nel cinema, che possano stare vicini nel prato e che possano girare per il paese. Ma il grande segnale lo daremo con il nostro ingresso in un altro mondo, quello ambientale, quello ecologico, quello del rispetto della natura. Niente di nuovo per noi, come ho sempre detto i ragazzi nascono già con questo concetto di rispetto nei confronti della natura e di salvaguardia del paese, ma ora gli abbiamo dato un vero e proprio festival:

Verde Giffoni. Un festival per il quale il concetto di verde ha un valore prima di tutto filosofico. Noi, insieme ad altre organizzazioni nazionali ed internazionali affronteremo naturalmente il tema dell’inquinamento, della salvaguardia del pianeta, portando a Giffoni i personaggi più sensibili, che hanno maggiore attenzione per questi temi. Ma quello che a me sta a cuore è il tema dell’ecologia del pensiero perché credo che si rispetti la natura se si parte da un proprio desiderio, da una necessità, da una depurazione di tutto quello che in questi anni abbiamo costruito: barriere, cose che non servono, discorsi inutili, tutta spazzatura che sta nel nostro corpo e quando cominciamo a liberarci di tutto questo, forse viviamo meglio e in sintonia con un mondo esteriore che impariamo a rispettare davvero. Sarà il festival dedicato più che altro alla pulizia del pensiero: questo è utile, questo non è utile, questo lo possiamo fare, questo è meglio non farlo, facendo scattare un meccanismo anche nelle relazioni personali, quante più persone vivranno questa esperienza di vita più persone potranno contribuire al processo di naturale e obbligatoria salvaguardia del pianeta. In questo periodo di emergenza, quanto è stato importante il lavoro di squadra per una realtà come quella di Giffoni? La parola chiave è meccanismo ben oliato. Facendo anche un esempio sportivo: 11 persone stanno in campo perché ognuna deve svolgere un ruolo, se si vince si vince tutti insieme. Questo è il caso di Giffoni: c’è una linea editoriale, una linea politica unica ma poi c’è chi la

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visione d’insieme, chi ha le intuizioni, chi sa scrivere, chi sa organizzare, costruire spazi e chi sa fare altro. Insomma, un insieme di intelligenze e di saperi che fanno la squadra.

Una squadra che va costruita nel tempo, sul campo perché non sempre ad attività complesse come Giffoni si arriva già formati. Per questo motivo ho una squadra di una certa generazione che ha una sua formazione e che naturalmente ci ha permesso di andare avanti negli anni. Poi c’è un’altra generazione intermedia che ci ha permesso di passare dal solo festival a diverse attività durante l’anno. E infine c’è un’ultima generazione, costituita da tantissimi giovani del territorio che ho conosciuto negli ultimi anni e che ora hanno anche grandi responsabilità nella nostra struttura. Ma siamo ancora pochi e siamo alla ricerca di nuove risorse umane, soprattutto nei settori della produzione, dell’innovazione, della comunicazione, del marketing e del fund raising. Queste diverse generazioni collaborano con spirito di squadra, nel rispetto delle diversità di pensiero. A loro cerco di trasferire la mia esperienza ma soprattutto quello che è più difficile da imparare: la capacità di dialogare con tutti e una certa visione di diplomazia. Perché comprendo che se avessi avuto un carattere diverso, se avessi litigato con tutti coloro che non capivano o non volevano Giffoni, oggi non ci sarebbe stato un Giffoni. Come immagina il festival fra 5 o anche 10 anni? In grande salute. Soprattutto con un percorso costruito negli anni sopra una straordinaria idea come quella del festival. Un’altra cosa importante da sottolineare è che un piccolo paese di 12000 abitanti ha tutto quello che ho detto prima: sale straordinarie, un’arena, il campus e chissà quali altre strutture nel corso dei prossimi anni. Questo è un esempio unico al mondo, non posso che essere felice e contento del fatto che il festival abbai non solo un valore culturale ma anche economico-sociale. Qui si parla di lavoro ai giovani e questo è il mio obiettivo: fare in modo che tutta l’area possa rinvigorirsi sempre di più e aumentare la capacità di attrarre l’attenzione nazionale ed internazionale. Vedo il festival straordinariamente bene anche grazie all’apertura

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verso nuove forme di creatività. Non so se ce la faremo quest’anno, ma l’anno prossimo tutto quello che non si conosce, tutto quello che va fuori da qualsiasi tipo di regola artistica potrà essere presentato da noi grazie al progetto Giffoni Shock. È un modello nuovo di evento per intercettare la nuova creatività. Voglio trovare tutte quelle persone che non hanno spazio altrove o che non vengono viste in modo giusto: registi che girano in modo particolare, forme di comunicazione innovative, insomma, vorrei anticipare almeno di dieci anni con Shock Giffoni quello che sarà normale domani:

la scoperta di nuovi talenti a Giffoni resta fondamentale.

Anche per questo motivo, caso più unico che raro nel panorama dei festival, abbiamo un dipartimento innovazione che è pronto a dare casa a tutti quelli che hanno grandi idee. Nei prossimi anni le risorse pubbliche saranno fondamentali come sempre, ma sarà ancora più importante attrarre e gestire risorse private.

Gli sponsor possono trovare in noi opportunità che è difficile trovare altrove. Inoltre siamo sempre pronti ad intercettare e partecipare a bandi pubblici e privati: la storia di Giffoni e la qualità del suo team ci consentiranno di far vivere a tutti i nostri partner un’esperienza unica.Insomma quello che stiamo ancora costruendo credo mi possa tranquillizzare sul buon uso che ho fatto dei miei primi 70 anni di vita.

La visione dell’esperto Dario Cantelmo

di Alfredo De Falco

Nella kermesse sanremese abbiamo raggiunto Dario Cantelmo, saprese verace, batterista affermato, formatosi sotto la guida di Tullio De Piscopo. Ha partecipato a diverse registrazioni e

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concerti live per artisti del calibro di Max Pezzali, Gianluca Grignani e tanti altri. Oggi è il batterista ufficiale di Jimmy Sax, direttore artistico della SAAR Records, socio fondatore IDM, responsabile della produzione esecutiva del Primo Maggio e coproduttore dei programmi televisivi iBand e Sai cosa mangi. E’ un veterano del Festival di Sanremo. A quanti hai assistito? C’è un filo conduttore che lega tutti quelli che ha visto? Questo è il mio nono Sanremo. Il filo conduttore è la curiosità del pubblico, che viene soddisfatta proponendo artisti già apprezzati e ricercando uno spirito di rinnovamento. Bisogna far fronte a tutte le esigenze: la musica, lo spettacolo e la televisione. Anche noi del Primo Maggio prestiamo queste attenzioni, perché il successo dello share determina anche l’aiuto degli sponsor. Come ha inciso il Covid negli ultimi festival? L’assenza del pubblico ha causato un impatto diverso degli artisti che hanno più paura di esporsi, anche se adesso è ritornata la capienza totale. Ma Sanremo non è solo il festival, sono state limitate tutte le attività collaterali come il dopofestival, le feste organizzate da altri partner, e tutti gli altri eventi. Fra tutti i festival a cui ha assistito c’è qualche episodio eclatante da raccontare non finito sotto i media? Non ne ho notati, ma vorrei dirti qualcosa di tecnico che un po’ mi è dispiaciuta. Sono rimasto perplesso dalla sostituzione di alcuni musicisti storici dell’Ariston. Mi riferisco a quelli della sezione ritmica e ai coristi, che conosco bene.

Purtroppo, questa dinamica fa parte del continuo rinnovamento a cui ho fatto riferimento prima. In questo festival c’è qualche artista portato dalla casa discografica che rappresenta? Portato da noi come etichetta no. È successo più gli altri anni, come per Fabrizio Moro ed Ermal Meta. Però ho collaborato come producer e musicista con quasi tutti per importanti progetti musicali: da Achille Lauro a Noemi, Ranieri, Sarcina. Con tantissimi di loro ho un rapporto diretto. Come sta evolvendo la canzone italiana? Le nuove generazioni stanno subendo un’influenza americana come la trap, l’hip hop. Dalle osservazioni delle playlist credo che

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il futuro sarà meno tradizionalista con meno strumenti acustici, molti strumenti elettronici e canzoni più brevi.

Instagram e Tik Tok sono stati precursori perché danno la possibilità di creare storie di una quindicina di secondi. Lei è un saprese doc. Cosa consiglierebbe ai suoi compaesani che vogliono sfondare nell’ambito della canzone italiana? Il consiglio è diretto a tutti. Bisogna scindere la voglia di fare musica per passione o per professione. Nel primo caso ci sono meno vincoli come suonare nei locali, lavorare coi social per garantire un minimo di visibilità. Nel secondo caso, prima di buttarsi nel mercato bisogna vedere cosa chiede il mercato.

Occorre sapersi adattare, altrimenti le aziende non investono sull’artista. Cosa cambia fra suonare un live o suonare a Sanremo? Nel live ti esprimi di più, senza gareggiare. Sanremo è un contesto nel quale vieni giudicato perché è una competizione che va in mondovisione. E’ amico di parecchi artisti. Tifa già per qualcuno? Sono di parte. Sono molto amico di Fabrizio Moro e tifo per lui. Ad ogni modo non mi dispiacciono giovani come Mahmood e Blanco, che secondo me saranno sul podio. Qual è il suo ruolo in riferimento a Casa Sanremo e Sanremo giovani? A Casa Sanremo si fanno le selezioni per Sanremo giovani. Per Casa Sanremo ho svolto tantissime attività, sono stato spesso giurato e abbiamo anche un Contest che si chiama “In viaggio verso Sanremo” che arriva proprio dalle terre cilentane. Mi interesso anche del recupero di partner e sponsor che alimentano questo evento, quest’anno abbiamo Caffè Borbone.

Intrighi e misteri nella

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Salerno Belle Epoque

di Olga Chieffi

Il salone di Canottieri Irno apre stasera alle ore 19, le sue porte al Carmine Mari scrittore, dopo averlo formato atleta ed allenatore di canoa, il quale insieme al collega Rocco Papa, presenterà, alla vigilia del nuovo romanzo il pluripremiato romanzo “Hotel d’Angleterre” edito dalla Marlin editore, vincitore del concorso “Giallo al Centro” di Rieti, alla vigilia del lancio del suo nuovo libro “Il Fiore di Minerva”.

Alberto Brenzoni, matematico, Peter Aselmeryr, svizzero e rappresentante di tessuti, Marie Christine Bonsignorì,

“mademoiselle” in Grand Tour, Teofilo Scorza, tipografo romano sull’orlo del fallimento e David Stephenson, colonnello dell’esercito britannico in congedo, gli ospiti dell’ Hotel salernitano, con Edoardo Scannapieco, aspirante giornalista, ma maître presso l’Angleterre per vivere sono i personaggi base del secondo romanzo di Carmine Mari cui si aggiungono la suffragetta Amelia Minervini e Pavone agente dell’Ufficio Informativo che dovrà condurre a segno l’Operazione Angleterre. L’autore guida il lettore complice attraverso gli enigmi di un intrigo internazionale dal raffinatissimo gusto storico, i ricettacoli, i luoghi e le situazioni in cui è possibile riconoscerlo e goderne. Un’altra protagonista del romanzo è la Salerno Belle Epoque, la “piccola città a misura d’uomo” che agli albori del XX secolo aveva raggiunto la cifra di circa 47000 abitanti, in cui il corso Garibaldi costeggiava il mare da cui era flagellato nei giorni di tempesta, vi si espletava il rito della passeggiata, che aveva i lampioni a gas, dove davanti ai circoli e ai caffè si ammiravano le toilettes delle giovani donne e si scambiavano pettegolezzi e malignità, mentre dall’Hotel d’Angleterre, uscivano sfilando per il corso, le carrozze a due mantici che portavano i turisti inglesi ai “Cappuccini” di Amalfi”. Raffaele Cantarella, nei suoi scritti, ci regala una Salerno “ignara e

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serena”, Carmine Mari, invece, il quadro di una città quasi ribollente, con episodi di cronaca nera, differenze sociali, che la condurranno al preludio della Prima Guerra Mondiale, con conseguente affermazione del Nazismo e del Fascismo, attraverso notizie precise, sulla Salerno di quel periodo, da vero topo di emeroteca, in cui Edoardo ha quale amico il giornalista Donato Vestuti, un inquadratura ad alta definizione, che sostiene, col cesello dell’incisore, l’evolversi della trama, accattivante, che è assolutamente vincente nel libro. L’autore descrive tutto, anche l’espressione sprezzante o la cosiddetta spalluccia, quasi come su di un set. In un assembramento di “commissari”, intravvediamo in questo testo una riduzione filmica, che ci porterebbe a scoprire il vero volto di una Salerno, idealizzata, ferma, tra i suoi teatri, i salotti, le bande, gli chalet e le quindicine delle case chiuse, ma pienamente i m m e r s a i n u n p e r i o d o s t o r i c o , d i n o n s e m p l i c e interpretazione, ove il pavimento su cui si inanellavano ancora i valzer e le mazurke era fradicio e stava per crollare, con tanti spunti, a partire dalla guerra Italo- Turca, al fermento socioculturale di rivendicazione dei diritti da parte della classe operaia, il movimento delle suffragette, che lottarono per il diritto di voto universale, il diritto allo sciopero e adeguamento salariale della classe operaia, considerata al Sud Italia men che meno. L’invito di Carmine Mari è quello di guardare e leggere con occhi diversi la propria storia, il proprio territorio, per andare così a ricostruire le radici dell’attuale società e sperare di poterla migliorare, insieme ad Edoardo Scannapieco, che per ora torna a rassettare le stanze, insieme alla ammiccante Agnisetta.

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La città di Salerno nel libro

“Le torri di Guaiferio”

Le torri di Guaiferio. Salernum: strutture dello spazio antropico (pp. 176, euro 20,00) di Mario Dell’Acqua è una novità Marlin editore, la casa editrice fondata da Tommaso e Sante Avagliano, nelle librerie e store online dal 3 febbraio 2022. Scritto da un architetto, studioso e già docente di Progettazione Architettonica (Università Federico II di Napoli), “Le torri di Guaiferio” è un testo innovativo, corredato di significativi disegni e immagini, che indaga in modo approfondito sul fascino antico di Salerno. Un affascinante viaggio nel tempo e nello spazio frutto di una lunga ricerca. «Una città che, nonostante le ferite del tempo, mostra, nell’aspetto contraddittorio e suggestivo, spazialità derivate da preesistenze antiche: dalla contenuta maestà delle architetture medioevali ai registri colorati delle ristrutturazioni settecentesche. Si spiega così anche l’ambiguità della copertina di questo libro che propone la sovrapposizione di due momenti fondanti della forma urbana, distinti e distanti nel tempo e nello spazio», sottolinea Mario Dell’Acqua. L’attraversamento di questa complessità si compie con una lettura del centro storico di Salerno in tre momenti: “La forma della città”; “La città e il sacro”; “La metamorfosi della città”. La ricerca ha trovato il suo compimento nel superamento delle antiche immagini simboliche della città e delle piante a proiezione urbanistica di matrice catastale, proponendo il disegno dei piani terra di tutti gli edifici all’interno del perimetro del Centro Storico. Dedicato alla memoria di Tommaso Avagliano, “editore colto”, e con una citazione in esergo di Italo Calvino da Le città invisibili, il libro è introdotto dal commento del sindaco di Salerno, Vincenzo Napoli: «Presento con particolare orgoglio questa pubblicazione di Mario Dell’Acqua, al quale esprimo la gratitudine mia personale e della Civica Amministrazione. Le

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pagine de Le Torri di Guaiferio descrivono una città che, già ricca di evidenze monumentali diffuse e di un passato leggendario, va rafforzando la sua identità con attenzione alla storia e con eventi culturali incentrati nel nucleo antico. (…) Dell’Acqua ha dedicato a questa sua opera preziose energie, che saranno apprezzate dal lettore per la scrittura elegante e coinvolgente e, ne sono certo, riuscirà a cogliere l’attenzione tanto degli studiosi più attenti quanto dei lettori semplicemente appassionati di Salerno e della sua storia. È una lettura che raccomando ai miei concittadini e in particolare alle nuove generazioni. La conoscenza approfondita del passato rappresenta un tassello fondamentale per la costruzione dell’identità civica.» Un lavoro complesso e raffinato che si è alimentato di importanti collaborazioni.

Tra i tanti scambi, l’autore menziona «la qualità della collaborazione dell’architetto Roberto Rossomando che, con la sua straordinaria perizia nell’elaborazione digitale dei disegni, ha reso possibile la costruzione della mappa del centro storico e delle illustrazioni a corredo del libro. Un merito va ad Anna Bonavita, attenta archivista di tutti i miei appunti e disegni che si sono accumulati negli anni. Ma affinché gli appunti e i disegni prendessero forma hanno avuto bisogno della fiducia e della dedizione dell’architetta Carla Portolano, che con affettuoso incoraggiamento ha sostenuto la mia fatica rileggendo e correggendo le bozze. Senza la loro disinteressata e puntuale collaborazione, non sarei stato in grado di condurre a termine la mia difficile navigazione tra le parole e le immagini», evidenzia Mario Dell’Acqua.

Addio alla grande Monica

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Vitti

Maria Luisa Ceciarelli in arte Monica Vitti, ci ha lasciati.

L’attrice nota per la sua voce roca è morto oggi all’età di 90 anni. Ha ottenuto numerosi premi, tra cui cinque David di Donatello come migliore attrice protagonista (più altri quattro riconoscimenti speciali), tre Nastri d’argento, dodici Globi d’oro (di cui due alla carriera), un Ciak d’oro alla carriera, un Leone d’oro alla carriera a Venezia, un Orso d’argento alla Berlinale, una Concha de Plata a San Sebastiàn e una candidatura al premio Bafta. “Cara Monica, con te se ne va una grande attrice italiana. Sei stata un’icona e una musa eterea per Antonioni e un’attrice dotata di vis comica unica per Monicelli e tanti altri registi di commedia, dove eri una vera Regina”. Lo scrive Aurelio De Laurentiis su Twitter per dare il suo addio a Monica Vitti. “Da te – aggiunge il produttore cinematografico – spero possano prendere esempio tante giovani attrici per dare al cinema italiano ancora tanti spunti di creatività interpretativa.

Ciao cara Monica”.

“Ci lascia una delle attrici più amate e conosciute. Il teatro, il grande e il piccolo schermo, e tutto il “mondo dello spettacolo perdono un’immensa artista. Se ne va una donna dalla personalità, dalla bravura, dall’eleganza e dalla sensualità intramontabili. Tutta la mia vicinanza ai suoi cari, in questo giorno triste”. Così il sottosegretario alla Cultura Lucia Borgonzoni.

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