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L’esecuzione degli obblighi di fare (fungibili) e di non fare - Judicium

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ROBERTA METAFORA

L’esecuzione degli obblighi di fare (fungibili) e di non fare

SOMMARIO: 1. L’esecuzione degli obblighi di fare (fungibili) e di non fare: caratteri generali ed ambito di applicazione. – 1.2. (Segue). L’esecuzione dell’obbligo di consegna dei minori. -1.3. (Segue).

L’obbligo di reintegra nel posto di lavoro. - 1.4. (Segue). I rapporti tra l’esecuzione degli obblighi di fare e la nuova misura coercitiva indiretta di cui all’art. 614 bis. - 2. I titoli esecutivi legittimanti l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare. – 3. Le parti del processo di esecuzione degli obblighi di fare e di non fare. – 4. La fase preliminare. Il precetto e l’inizio dell’esecuzione. – 5. Lo svolgimento del procedimento.

La determinazione delle modalità dell’esecuzione. – 6. Il regime di impugnazione del provvedimento. – 7.

I provvedimenti temporanei ex art. 613 c.p.c. – 8. Il provvedimento di liquidazione delle spese.

1. L’esecuzione degli obblighi di fare (fungibili) e di non fare: caratteri generali ed ambito di applicazione.

Le pretese esecutive che hanno ad oggetto l’esecuzione degli obblighi di fare o la distruzione di quanto realizzato in virtù dell’inadempimento di un obbligo di non fare sono disciplinate dagli artt. 612 – 614 del codice di procedura civile. Siffatte norme si correlano alle disposizioni dell'art. 2931 codice civile, secondo cui «se non è adempiuto un obbligo di fare, l'avente diritto può ottenere che esso sia eseguito a spese dell'obbligato nelle forme stabilite dal codice di procedura civile», e dell'art. 2933 codice civile, secondo cui «se non è adempiuto un obbligo di non fare, l'avente diritto può ottenere che sia distrutto, a spese dell'obbligato, ciò che è stato fatto in violazione dell'obbligo».

Diversamente da quanto previsto dall'art. 1220 del codice civile previgente, il giudice che emette una sentenza di condanna di una parte all'adempimento di un obbligo di fare o di non fare non può autorizzare il titolare del correlativo diritto a provvedere egli stesso e direttamente all'esecuzione di tale obbligo a spese della controparte in caso di inadempimento dell’obbligato, dovendo, in tal caso, l'esecuzione dei detti obblighi essere attuata secondo le regole stabilite dagli artt. 612 e seguenti del codice di rito, i quali vietano l'autotutela del creditore, demandando in via esclusiva al giudice dell'esecuzione la materiale fissazione delle modalità dell'esecuzione1.

Scopo degli artt. 612 e seguenti è di mettere lo strumento dell’esecuzione specifica a disposizione di chi, “a seguito di una intervenuta violazione, è creditore di un fare o di non fare”2; pertanto, tramite dette norme è possibile l’attuazione coattiva sia di un ineseguito credito di fare e di non fare, sia anche di un diritto assoluto (o della

1 Da tempo la giurisprudenza costantemente afferma il principio secondo cui laddove la sentenza condanni all’adempimento di un obbligo di fare o di non fare, il giudice del merito non ha il potere di autorizzare il titolare del diritto ad adempiere egli stesso a spese dell’obbligato, dovendo l’esecuzione dell’obbligo contenuto nel titolo esecutivo avvenire nelle forme previste dall’art. 612 c.p.c. (Cass. 24 maggio 1962, n. 1204; Cass. 18 giugno 1968, n. 2016; Cass. 15 aprile 1970, n. 1043; Cass. 24 luglio 1980, n. 4815; Cass. 6 dicembre 1984, n. 6402; Trib. Roma, 7 dicembre 1994; Trib. Monza 21 febbraio 2005). Pertanto, la sentenza con la quale il giudice del merito autorizzi il creditore a provvedere direttamente all’esecuzione di uno dei predetti obblighi a spese dell’obbligato, in caso di inerzia di quest’ultimo, è da ritenersi adottata al di fuori dei poteri conferiti allo stesso giudice dall’ordinamento, sicché va in parte qua cassata senza rinvio, in quanto inficiata, relativamente e limitatamente a tale parte, da nullità insanabile: così Cass. 18 gennaio 1992, n. 576.

2 MANDRIOLI, Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, in Digesto civ., VI, Torino, 1991, 551.

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personalità3), la cui violazione determina l’esigenza di fare qualcosa o di distruggere quanto compiuto in conseguenza del comportamento antigiuridico4.

L’unico vero limite all’azionabilità dell’esecuzione degli obblighi di fare o disfare, dunque, non è dato dalla natura dell’obbligo rimasto ineseguito, ma dalla caratteristiche della prestazione dovuta: tramite il procedimento esecutivo delineato dagli artt. 612 e seguenti, infatti, il creditore ottiene un risultato equivalente a quello che avrebbe ottenuto a seguito dell’adempimento spontaneo del debitore; se ne desume perciò che limite “naturale” 5 all’esecuzione in forma specifica è dato dalla fungibilità o surrogabilità della prestazione, nel senso che essa può essere eseguita da un terzo o dal debitore con identica soddisfazione per il creditore6.

Laddove oggetto dell’obbligo sia un facere infungibile è infatti impossibile eseguire coattivamente la prestazione, essendo insurrogabile il comportamento del debitore. In tali casi, allora, non potrà azionarsi la procedura di cui agli artt. 612 e seguenti, rendendosi necessaria l’esecuzione indiretta, attraverso il ricorso a misure coercitive, consistenti nella “minaccia rivolta all’obbligato di un male maggiore di quello che gli deriverebbe dall’adempimento spontaneo allo scopo di premere psicologicamente sull’obbligato perché adempia spontaneamente”7 ; altrimenti il creditore avrà diritto soltanto ad essere risarcito per equivalente, in forma generica, attraverso l’esecuzione forzata8.

3 MANDRIOLI, op. cit., 551, il quale al riguardo richiama come esempio la distruzione delle copie di un giornale o di un manifesto nel quale si sia fatto arbitrario uso del nome altrui in violazione dell’art. 7 c.c.

4 Deve pertanto ritenersi ampiamente superata quella tesi sostenuta in passato (SATTA, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1966, 12 ss.), secondo cui con l’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare (e più in generale con le esecuzioni dirette) si possono tutelare solo i diritti reali e quelli assoluti in genere, giacché gli altri diritti, soprattutto le obbligazioni, darebbero luogo solo al risarcimento dei danni. A tale ricostruzione è stato infatti obiettato che “determinante, ai fini esecutivi, non è il tipo di diritto da tutelare, sibbene il tipo di obbligo inadempiuto da surrogare. Che poi questo obbligo sia correlato ad un diritto reale, o ad un diritto personale di godimento, o ancora ad una obbligazione non è in sé rilevante” (LUISO, Esecuzione forzata, II)- Esecuzione forzata in forma specifica, in Enc. giur., XIII, Roma, 1998, 2).

5 MANDRIOLI, op. cit., 552; MAZZAMUTO, L’esecuzione forzata, in AA. VV., Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, XX, 2, Torino, 1998, 347. Conforme nella sostanza, MICHELI, Esecuzione forzata, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1977, 184, che definisce “fisico” siffatto limite. Sulla nozione di prestazione fungibile, v. anche PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2012, 742.

6 Quanto al tipo di attività surrogabile, e dunque al contenuto dell’obbligo di fare, benché il legislatore ammetta l’esecuzione specifica di obblighi aventi un contenuto positivo o negativo, la loro attuazione attraverso l'intervento dell'ufficio esecutivo ex artt. 612 ss. si manifesta sempre in un facere, vale a dire in una condotta positiva, consistente o nella stessa prestazione cui era originariamente tenuto il debitore ovvero nell'eliminazione di quanto realizzato in violazione dell'obbligo di astensione: così LUISO, Diritto Processuale Civile, III, Milano, 2011, 229. Nel medesimo senso si pone anche la giurisprudenza. Si v. ad esempio, Cass. 9 dicembre 1981, n. 6500, in Foro it., Rep. 1981, voce Esecuzione di obblighi di fare o di non fare, n. 6, la quale, partendo dal presupposto che è possibile avvalersi dell’esecuzione di cui agli artt.

612 e seguenti solo qualora la condotta del trasgressore si sia concretata in un quid novi, suscettibile di essere posta nel nulla, poiché solo in tal caso l’intervento del giudice può determinare il ripristino della situazione preesistente, compromessa ed alterata dal soggetto che era tenuto ad astenersi da qualsiasi modificazione, ha affermato che l’intimazione, emessa nel corso di un procedimento possessorio a carico di un titolare di un frantoio di non scaricare residui oleosi sul fondo vicino non fosse eseguibile in forma specifica mediante distruzione delle strutture del frantoio potenzialmente idonee a consentire scarichi siffatti.

7 Così PROTO PISANI, Appunti sulla tutela di condanna (trentacinque anni dopo), in Foro it., 2010, V, 257 ss.; cfr. anche SILVESTRI-TARUFFO, voce Esecuzione forzata. III) Esecuzione forzata e misure coercitive, in Enc. giur., XIII, Roma, 1988, 2; CHIARLONI, Misure coercitive e tutela dei diritti, Milano, 1980, 202.

8 La non attuabilità coattiva degli obblighi aventi ad oggetto prestazioni infungibili ha per molti anni creato il problema di garantire una idonea a tutela a chi si sia visto riconosciuta la titolarità di un credito

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È infungibile sia la prestazione che non può essere materialmente eseguita da un terzo, sia quella che, “postulando una specifica ed autonoma determinazione di volontà dell’obbligato, si risolva in una sua condotta strettamente personale e, quindi, del tutto insostituibile”9.

In particolare, non possono essere eseguite nelle forme degli artt. 612 e seguenti sia le prestazioni corrispondenti ad un obbligo connotato dall’intuitu personae10 della prestazione, sia quelle che possono essere adempiute dal solo obbligato, il quale si trovi in regime di monopolio, di fatto o di diritto.

Ancora, senza avere alcuna pretesa di approfondire una questione considerata tra le più “enigmatiche” della materia11 , non è suscettibile di esecuzione diretta il facere consistente in un’attività negoziale e, più in generale, nel compimento di atti giuridici, posto che gli organi esecutivi non potrebbero sostituirsi all’obbligato nel compimento di attività giuridiche volte a modificare la sfera giuridica dell’obbligato stesso a favore dell’avente diritto, stante il disposto dell’art. 2908 c.c.12. Al riguardo, è stato osservato13

avente ad oggetto un facere non surrogabile tramite l’opera di un terzo.

Se in molti sistemi processuali stranieri le misure coercitive di portata generale rappresentano da tempo una realtà ben consolidata (si pensi al contempt of court anglo americano, alle Zwangsstrafen tedesche e all’astreinte di origine francese [in argomento, v. tra gli altri VULLO, L’esecuzione indiretta tra Italia, Francia e Unione Europea, in RDP, 2004, 727]), in Italia il ricorso all’esecuzione indiretta è stato ammesso in via generalizzata solo recentemente, a seguito dell'introduzione da parte della legge 18 giugno 2009, n. 69 dell’art. 614 bis c.p.c. Tale innovazione ha il pregio di introdurre per la prima volta nel nostro ordinamento un sistema generale di tutela degli obblighi infungibili, caratterizzato dalla previsione di una sanzione di natura patrimoniale, volta a coartare la volontà del soggetto obbligato alla esecuzione spontanea dell’obbligo.

Dalla lettura della norma è agevole cogliere l’impronta chiaramente francese del sistema delle astreintes;

da esse, infatti, viene mutuato il carattere accessorio e patrimoniale della sanzione, nonché la sua natura giudiziale, potendo essa essere pronunciata soltanto da un giudice all’esito di un procedimento giurisdizionale. A differenza dell’astreinte francese, che richiede per produrre effetti concreti la sua liquidazione da parte del giudice attraverso un procedimento autonomo rispetto a quello che ha accertato l’obbligo e destinato ad accertare a sua volta l’effettivo inadempimento, l’art. 614 bis non prevede alcun procedimento in tal senso; inoltre, essa si applica alle sole obbligazioni di fare infungibile e di non fare (al contrario, le astreintes trovano applicazione anche per le obbligazioni di fare fungibile, per quelle volte alla consegna e al rilascio e a quelle a contenuto patrimoniale). Su quest’aspetto, v. amplius, § 1.4.

9 SILVESTRI, Commento all’art. 612, in CARPI –TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 2009, 1920. Una questione strettamente a quella appena esaminata nel testo concerne la natura dell’obbligo di concludere il contratto definitivo di cui all’art. 2932 c.c. Con riferimento a tale particolare obbligo di fare, parte della dottrina ha ritenuto la relativa prestazione fungibile, in quanto suscettibile di essere direttamente attuata tramite il provvedimento del giudice. In senso contrario, si è sostenuto che la prestazione del consenso negoziale consiste in un facere infungibile che, come tale, ben potrà essere assistita dalla nuova misura coercitiva di cui all’art. 614 bis c.p.c. (vedi amplius le considerazioni di CONSOLO, Una buona “novella” al c.p.c.: la riforma del 2009 (con i suoi artt. 360 bis e 614 bis) va ben al di là della sola dimensione processuale, in Corr. giur. 2009, 741 e ss.) La giurisprudenza ammette l’esecuzione in forma specifica (ex art. 2932 c.c.) dell’obbligo assunto con il contratto preliminare, configurando tuttavia la relativa azione quale costitutiva (art. 2908 c.c.); a tal fine, è però necessario che il contratto preliminare contenga la determinazione degli elementi essenziali del contratto definitivo, non potendosi il giudice sostituire alle parti stesse per supplire alle carenze del preliminare (cfr. Cass. 13 settembre 1997, n. 9129, in Foro it., Rep. 1997, voce Contratto in genere, n.

435; Cass., 4 gennaio 2002, n. 59, in Giur. it., 2002, 1134). Nello stesso senso, v. FORNACIARI, I limiti dell’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, in REF, 2000, 401.Potenza

10 LUISO, Esecuzione forzata: II)- Esecuzione forzata in forma specifica, in Enc. giur., XIII, Roma, 1998, 3.

11 MAZZAMUTO, L’esecuzione forzata, cit. 328.

12 Dunque, l’attività surrogabile dall’ufficio esecutivo può consistere unicamente nel compimento di un’opera materiale o nella sua distruzione; pertanto, non è suscettibile di esecuzione forzata ai sensi dell’art. 612, siccome non implicante un’attività materiale e fungibile di distruzione di opere, la sentenza che ordina la cessazione della destinazione di un locale, realizzata mediante la locazione del medesimo a

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come esistano “diversi livelli di fungibilità e/o infungibilità, a seconda che si privilegi l’aspetto materiale o quello giuridico: saranno materialmente infungibili prestazioni che non consentono la surroga ad opera di terzi (si pensi ai più comuni esempi del cantante o dell’attore che devono eseguire uno spettacolo musicale o teatrale, o a colui che deve eseguire una prestazione d'opera intellettuale, come la redazione di un libro), mentre saranno giuridicamente infungibili prestazioni che, pur consentendo materialmente tale surroga, in considerazione dell’autonomia di cui gode il soggetto passivo o della necessaria partecipazione di terzi, tale surroga non consentono (si consideri ad esempio l’obbligazione del costruttore venditore di appartamenti, compresi in un edificio realizzato in difformità della licenza edilizia, di ottenere il rilascio del permesso di abitabilità mediante il pagamento di una sanzione pecuniaria)14.

Va peraltro precisato che è possibile ricorrere all’esecuzione in forma specifica degli obblighi di fare e di non fare, solo se l’utilità che il creditore intende conseguire non possa essere ottenuta tramite l'esercizio dei propri poteri sostanziali, vale a dire compiendo egli stesso l'attività15. In altre parole, occorre che la prestazione da attuare debba essere compiuta non nella sfera giuridica del creditore, ma in quella del debitore, superando tutti gli ostacoli, di natura possessoria o meno, che questa sfera giuridica pone16, onde poter giustificare l’attribuzione al giudice dell’esecuzione del potere di determinare le modalità dell'esecuzione dell'obbligo17.

Pertanto, se non vi è necessità di incidere la sfera giuridica del debitore per ottenere la soddisfazione del proprio diritto, come accade qualora l’attività del debitore abbia come punto di riferimento un bene che è nel possesso del creditore, quest’ultimo potrà senz’altro compiere esso stesso quelle attività, eventualmente delegandole ad un terzo, e chiedere all’obbligato le eventuali maggiori spese. Solo se l’attività materiale del debitore deve aver luogo nella sua sfera giuridica, si renderà necessario l’intervento degli organi esecutivi. Ad esempio, mentre il conduttore può fare eseguire le riparazioni spettanti al locatore sul bene a lui concesso in locazione senza dover ricorrere all’esecuzione in forma specifica, al contrario il locatore che deve far riparare il bene locato, di fronte alle resistenze del conduttore, dovrà adire l’ufficio esecutivo per vincere gli ostacoli da questi opposti18.

terzi da parte di un condomino, perché contraria al regolamento di condominio (così testualmente, Cass.

22 marzo 1968, n. 917, in Foro it., 1968, I, 2841 ss., con nota di Borrè). Nello stesso senso, più di recente, Trib. Potenza, 12 aprile 2007.

13 DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, 2003, 305.

14 Cass. 26 marzo 1979, n. 1756, in Foro it., 1979, I, 926 ss., con nota di Barone. In proposito, è orientamento consolidato e mai smentito da più recente giurisprudenza che il rimedio di cui all’art. 2931 c.c. non sia utilizzabile per la surroga di attività negoziali che concorrono al perfezionamento di fattispecie costitutive e, più in genere, di atti giuridici ovvero di prestazioni di terzi estranei al rapporto controverso (v. ad esempio per la promessa del fatto del terzo, Cass. 6 aprile 1966, n. 910, in Foro it., 1967, I, 354, secondo cui nell’ipotesi in cui il terzo non si obblighi o non adempia l’obbligazione il promittente deve risarcire il danno al promissario). È stata invece ritenuta suscettibile di esecuzione in forma specifica la sentanza che condanna alla rimozione delle immissioni aventi carattere permenante, agendo sulle macchine industriali che le producono (Cass. 27 ottobre 1969, n. 3526, in Foro it., 1970, I, 862, con nota di Borré).

15 LUISO, Esecuzione forzata, cit., 2; MANDRIOLI, Esecuzione forzata, cit., 552.

16 BORRE’, Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, Napoli, 1966, 100 ss., in part. 109;

MANDRIOLI, voce cit., 552; PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, cit.,744.

17I modi di "invasione" della sfera giuridica dell'obbligato, infatti, devono essere definiti dagli organi della procedura esecutiva: così FABIANI, Esecuzione forzata in forma specifica ed eliminazione dei vizi e/o difformità dell'opera appaltata, in Foro it., 1999, I, 2636).

18 LUISO, Esecuzione forzata, cit., 3. In senso conforme si esprime anche la giurisprudenza, la quale limita l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo dell’appaltatore in caso di difformità o vizi dell’opera di cui all’art. 1668 c.c. alle ipotesi in cui l’opera non sia stata integralmente eseguita o non sia stata consegnata (Cass. 16 ottobre 1995, n. 10772, in Contratti, 1996, 126; Cass. 29 maggio 1980, n. 3542, in Foro it., Rep.

1980, voce Esecuzione degli obblighi di fare, n. 5). Altre decisioni hanno però ritenuto che la la decisione giudiziale di condanna ad un obbligo di fare o di non fare non autorizzi il creditore, in caso di

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Ulteriore limite all’ammissibilità dell’esecuzione degli obblighi di non fare (rectius: di disfare) è la circostanza che “la distruzione della cosa è di pregiudizio all’economia nazionale”; invero, questo limite tocca, più che la fase esecutiva, la possibilità per il giudice della cognizione di emanare il provvedimento di condanna alla rimozione dell’opera: toccherà dunque a quest’ultimo valutare l’attitudine o meno dell’eventuale distruzione dell’opera a pregiudicare l’economia nazionale19.

La Cassazione ha adottato una interpretazione restrittiva dell’art. 2933 c.c., precisando che la limitazione contenuta in questa norma riguarda solo le fonti di produzione e di distruzione delle ricchezze del paese20 e non trova riscontro nella demolizione parziale o totale di un edificio21. In sostanza, siffatta norma si riferisce unicamente alla distruzione di beni adibiti alla produzione e non anche alla distruzione di beni aventi ingente rilievo economico.

Nell’eventualità in cui il giudice ritenga che la distruzione della cosa realizzata in violazione dell’obbligo di fare pregiudichi l’economia nazionale, egli, non potendo attivare la procedura di cui agli artt. 612 e seguenti, non ha altra possibilità che quella di pronunciare la condanna al risarcimento del danno per equivalente22.

Infine, un discorso a parte va condotto per quanto concerne gli obblighi di pati; in questi casi, l’obbligato è tenuto a tollerare, a sopportare l’invasione nella propria sfera giuridica da parte del creditore, affinche quest’ultimo possa compiere una determinata attività (si pensi al diritto di accedere al fondo del vicino per costruire o riparare il proprio di cui all’art. 843 c.c.).

Al riguardo, la giurisprudenza aveva in passato affermato il principio secondo cui l’obbligo di pati deve essere realizzato con le forme del procedimento di cui agli artt.

612 e seguenti23. Detto orientamento è stato, tuttavia, aspramente criticato dalla dottrina, la quale ha evidenziato la differenza strutturale tra gli obblighi di pati e quelli di fare e di disfare, i quali, a differenza dei primi, si risolvono sempre in un “operare”. Inoltre, è stato notato che negli obblighi di pati differente è l’interesse che realizza l’attività del creditore: talvolta questo interesse può essere soddisfatto dal risultato dell’attività richiesta dal creditore (ad esempio, la costruzione di un acquedotto in relazione ad una servitù o l’esecuzione delle opere di rifacimento dei solai e del lastrico solare sovrastanti la proprietà altrui); in altri casi, invece, il predetto interesse sarà soddisfatto dallo svolgimento della attività stessa (es. il diritto di cacciare sul fondo altrui). Se l’interesse dell’attività è correlato al risultato, la tutela esecutiva specifica può operare, ma essa ha luogo nelle forme dell’esecuzione per consegna o rilascio e non in quella degli obblighi di fare: in tali casi, infatti, il giudice dell’esecuzione non potrebbe far altro che nominare l’ufficiale giudiziario perché provveda a consentire all’esecutante l’accesso nei cespiti di proprietà dell’esecutato24; qualora, invece, l’interesse del

inadempimento del debitore, ad attuare direttamente (ma a spese di quest'ultimo) il comportamento dovuto (Cass. 18 gennaio 1992, n. 576; Trib. Monza, 21 gennaio 2005), richiedendo che la prestazione sia ottenuta attraverso l'esecuzione in forma specifica nelle modalità concrete determinate in tale sede (contra Cass. 2 settembre 1982, n. 4798, che non ritiene necessario provvedere ex art. 612, se la sentenza di condanna nomini un consulente tecnico, incaricandolo della fissazione delle modalità dell'esecuzione della prestazione).

19 Diversamente NIGRO, Condanna ed esecuzioni restitutorie nei confronti delle pubbliche amministrazioni, in RDP, 1968, 677, in part. 702, nel senso che spetterebbe al giudice dell’esecuzione controllare che non sia intervenuto l’impedimento derivante dal pregiudizio all’economia nazionale.

20 Cass. 15 febbraio 1999, n. 1272; Cass. 5 gennaio 2000, n. 37.

21 Cass. 17 febbraio 2004, n. 3004; Cass. 24 maggio 1996, n. 4770; Cass. 16 aprile 1982, n. 2324, in Giur.it., 1983, I, 1, 190; Cass. 4 dicembre 1982, n. 6611.

22 Cass. 30 luglio 2004, n. 14599; Cass. 16 gennaio 2007, n. 866; TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 27 ottobre 2003, n. 2160, in Foro Amm., 2004, 997.

23 Cass. 21 marzo 1969, n. 914; Cass. 15 marzo 1980, n. 1749; Cass. 8 aprile 1980, n. 2035.

24 Queste considerazioni sono oggi condivise anche dalla giurisprudenza di merito, per la quale la tutela esecutiva di cui all’art. 612 non può essere invocata nel caso in cui la sentenza di condanna obblighi il debitore a permettere l'accesso altrui sul proprio fondo per un periodo di tempo determinato, potendo in

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creditore sia correlato alla attività stessa, l’esecuzione in forma specifica non è idonea a soddisfare l’avente diritto, rendendosi necessaria, pertanto, l’esecuzione indiretta25, che oggi potrebbe realizzarsi nelle forme dell’art. 614 bis.

1.2. (Segue). L’esecuzione dell’obbligo di consegna dei minori.

Se le soluzioni sin qui offerte circa l’ambito di applicazione dell’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare presentano un elevato grado di certezza, è altrettanto vero che in materia esistono molte altre questioni dal carattere assai complesso, in cui, al contrario, il tasso di opinabilità è assai elevato. Tra queste particolare rilevanza assume il tema dell’attuazione dell’obbligo di consegna dei minori: al riguardo, essendo in questa sede impossibile esporre esaustivamente tutte le complesse problematiche che la necessità della consegna forzata di un fanciullo all’avente diritto può generare ed anche in considerazione del fatto che ampi e ragguardevoli contributi sono stati già offerti sul tema26, l’attenzione si concentrerà solo sull’utilizzabilità dello strumento di cui agli artt.

612 e seguenti per attuare gli obblighi di consegna dei minori27.

La giurisprudenza costituzionale28 e di legittimità29, seguite da parte della

tali casi avvalersi della diversa esecuzione in forma specifica per rilascio di cui agli artt. 608 ss. c.p.c. Sul punto, si v. Trib. Napoli, 13 aprile 2011, in www.ilcaso.it.

25 LUISO, Esecuzione forzata, cit., 3-4; in senso conforme FORNACIARI, I limiti dell’esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare, cit., 418.

26 Sul punto, si v. FORNACIARI, L’attuazione dell’obbligo di consegna di minori. Contributo alla teoria dell’esecuzione forzata in forma specifica, Milano, 1991.

27 Invero, numerosissime sono le ricostruzioni offerte dalla dottrina e dalla giurisprudenza, soprattutto di merito; ad esempio, ancor prima dell’introduzione in via generalizzata delle misure coercitive nel nostro ordinamento, non è mancato chi ha sostenuto che, ove l’obbligato non ottemperi all’ordine di consegna della prole, sia possibile influire sulla sua volontà tramite l’irrogazione di una sanzione sul modello francese delle astreintes (così CHIARLONI, Misure coercitive e tutela dei diritti, cit., 86); altri hanno affermato l’utilizzabilità della forza pubblica quale forma di esecuzione di tipo amministrativo (BAVIERA, Diritto minorile, II, Milano, 1976, 232); altri ancora hanno optato per l’intervento del Giudice Tutelare (così Pret. Milano, 8 agosto 1986, in Giur.it., 1989, I, 2, 184; Pret. Roma, 16 dicembre 1987, in Foro it., 1990, I, 1392; Pret. Casoria, 13 gennaio 1988, in Foro it., 1989, I, 2665; Pret. Padova, 20 novembre 1995, in Fam. e dir., 1996, III, 269; Trib. Min. Perugia, 13 giugno 1997, in Rass. Giur.

Umbra, 1998, 17; Trib. Catania Paternò, 27 maggio 2004); infine, vi è stato anche anche chi ha proposto di avvalersi dell’esecuzione prescritta per la consegna dei beni mobili, di cui agli artt. 605 ss. (tale tesi è stata proposta da CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, Processo di esecuzione, Padova, 1932, I, 36 ss., ed è stata successivamente riproposta da FORNACIARI, L’attuazione dell’obbligo di consegna di minori, cit., 203).

28 Corte Cost. 25 febbraio 1987, n. 68.

29 Cass. 15 gennaio 1979, n. 292; Cass. 7 ottobre 1980, n. 5374, in Foro it., 1980, I, 2707. In questa pronuncia, la Suprema Corte ha individuato tre categorie di situazioni possibili, stabilendo, per ognuna di esse, la soluzione ritenuta più adeguata: 1)- il provvedimento minorile contenuto in una sentenza passata in giudicato, deve essere eseguito nelle forme di cui agli artt. 612 ss. c.p.c.; 2)- i provvedimenti di giurisdizione volontaria, che, pur inidonei al giudicato, sono destinati a regolare la situazione in modo "tendenzialmente stabile", vanno eseguiti facendo ricorso al procedimento ex artt. 612 ss. c.p.c.; 3)- i provvedimenti interinali o cautelari, quali, primi fra tutti, i provvedimenti presidenziali prodromici tanto al giudizio di separazione che a quello di divorzio, stante la loro assoluta provvisorietà ed instabilità, vanno eseguiti "in via breve", mediante "forme processuali esecutive garantite dallo stesso giudice che ha disposto (provvisoriamente) al riguardo", cioè ricorrendo, se necessario, agli organi amministrativi di polizia. Nello stesso senso sono anche Cass. 19 febbraio 1981, n. 1014, in Foro it., Rep.

1981, voce Esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare, n. 9; Cass. 11 novembre 1982, n. 5946, in Dir.

fam. 1983; Cass. 15 dicembre 1982 n. 6912, in Giust. civ., 1983, I, 792; Cass. 12 novembre 1984, n. 5696, id., Rep. 1984, voce cit., n. 45, in cui è stato affermato che “I provvedimenti temporanei ed urgenti, adottati dal presidente del tribunale o dal giudice istruttore nel procedimento di separazione personale a norma dell’art. 708 c.p.c., sono soggetti, in difetto di spontaneo adempimento, ad esecuzione coattiva in via breve, a mezzo dell’ufficiale giudiziario, salvo che il beneficiario del provvedimento preferisca avvalersi, come gli è

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giurisprudenza di merito30 e della dottrina31, si sono da tempo espresse a favore di tale ricostruzione interpretativa: l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, infatti, sarebbe in grado di attuare le garanzie del processo giurisdizionale con un’estrema duttilità, potendo le regole del processo di esecuzione specifica essere “adattate alle peculiarità che presenta il coattivo spostamento del minore da una sfera ad altra di potestà”32.

Più precisamente, la previsione di un giudice diverso da quello competente per il merito permetterebbe di minimizzare gli effetti traumatici che l’attuazione coattiva dell’obbligo di consegna può determinare sulla psiche del minore, potendo il giudice dell’esecuzione dettare le prescrizioni più idonee a salvaguardare la sua posizione. A ciò si aggiunga che il giudice dell’esecuzione può avvalersi dell’opera di “ausiliari”, quali psicologi, assistenti sociali, esperti di terapia familiare, così “adattando” le prescrizioni contenute nei provvedimenti di affidamento alle esigenze peculiari di ogni singola fattispecie.

È però indubitabile che l’adattamento delle regole di cui agli artt. 612 e seguenti ai procedimenti di attuazione di consegna dei minori dà luogo a non pochi inconvenienti:

in primo luogo, protagonisti di questa esecuzione sono due organi, quali il giudice dell’esecuzione e l’ufficiale giudiziario, poco avvezzi a trattare le vicende, delicate, che concernono i minori33; in secondo luogo, “applicare le regole relative agli artt. 612 ss.

significherebbe immettere la prole in un ingranaggio sordo, lento ed aleatorio”34. Infine, è stato osservato che “l’obbligo di consegnare un minore comporta un’attività in sé semplicissima e, in relazione alle modalità della quale, non si vede su cosa dovrebbe dunque esplicarsi la discrezionalità del giudice”35.

In questo quadro di grande incertezza è intervenuto il legislatore nel 2006, introducendo un procedimento tipico per il caso di “gravi inadempienze” o di “atti che arrechino pregiudizio al minore o ostacolino il corretto svolgimento delle modalita’

dell’affidamento”. Si intende far riferimento all’art. 709 ter c.p.c., il quale prevede un procedimento di carattere sussidiario e con funzione esecutiva36, caratterizzato dalla previsione di un sistema progressivo di misure coercitive indirette, volte ad assicurare il rispetto di tutti i provvedimenti in senso lato di affidamento, istruzione ed educazione dei minori37.

alternativamente consentito, della normale procedura di esecuzione forzata, notifi cando alla controparte il titolo e l’intimazione ad adempiere; Cass. 1 aprile 1998, n. 3374, in Foro it. Rep. 1998, voce Separazione di coniugi, n.

89; Cass. 10 maggio 2001, n. 6472.

30 Trib. Milano, 30 giugno 1958; Trib. Palermo 16 aprile 1987; Trib. Roma 8 aprile 1988, in Foro it., 1990, I, 1392 ss. Va, tuttavia, segnalato che, per l’attuazione dei provvedimenti temporanei e urgenti adottati dal presidente del tribunale a norma dell’art. 708 c.p.c., la giurisprudenza di merito ha riconosciuto competente per l’esecuzione dei provvedimenti relativi all’affidamento dei minori il giudice tutelare ai sensi dell’art. 337 c.c. e non, invece, il giudice dell’esecuzione ex art. 612 c.p.c. (cfr. Trib. Cassino 25 giugno 2004, in Nuovo dir., 2004, I, 1004,con nota di n. LOTITO; analogamente. Trib. Palermo, 26 luglio 2001, in Dir. famiglia, 2002, 413; Pret.

Padova 20 novembre 1995, in Famiglia e dir., 1996, 269, con nota di VULLO; P. Roma, 16 dicembre 1987, in Foro it., 1990, I, 1392, con nota di CANEVELLI).

31 MANDRIOLI, op. cit., 704; FINOCCHIARO, Esecuzione forzata dei provvedimenti di affidamento dei minori, in Giust. civ., 1981, 324.

32 Cass. 7 ottobre 1980, n. 5374.

33 VACCARELLA, Problemi vecchi e nuovi dell’esecuzione forzata dell’obbligo di consegna dei minori, in Giur. it., 1982, I, 2, 309; CONSALES, L’attuazione dell’obbligo di consegna dei minori: orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, in REF, 2002, 493.

34 SACCHETTI, Problemi e prospettive fra giurisdizione e amministrazione negli interventi giudiziari a protezione dei minori, in RTPC, 1985, 781.

35 FORNACIARI, L’attuazione dell’obbligo di consegna, cit., 214.

36 Così FINOCCHIARO-POLI, Esecuzione di provvedimenti di affidamento dei minori, in Digesto, Disc.

Priv. Sez. Civ., Agg. III, Torino, 2007, 534.

37 Cfr. GRAZIOSI, L’esecuzione forzata dei provvedimenti del giudice in materia di famiglia, in Dir.

Fam., 2008, 880. Si tratta dunque di una tecnica che si affida allo strumento delle astreintes; con l’introduzione dell’art. 614 bis c.p.c. si è allora posto il problema della concorrenza di tale misura di

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Con tale innovazione, probabilmente, l’annoso problema dell’individuazione di strumenti idonei per garantire l’effettiva tutela degli interessi del minore troverà finalmente una soluzione: le nuove regole dettate dall’art. 709 ter, affidandosi agli strumenti compulsori della c.d. esecuzione indiretta, consentono infatti “al giudice del procedimento in corso” di pronunciare provvedimenti che valgano non soltanto ad individuare, se necessarie, nuove modalità dell’affidamento, ma anche ad influire sulla volontà dell’obbligato per indurlo ad ottemperare volontariamente al contenuto precettivo del relativo provvedimento.

Il legislatore, accogliendo gli auspici di parte della dottrina38, ha introdotto una nuova forma di esecuzione indiretta, la quale presenta il pregio di adattare una serie di istituti originati in diversi campi del diritto alle esigenze caratterizzanti i rapporti genitoriali39. Proprio riconoscendo il limite degli strumenti di enforcement a risolvere un’intera situazione di conflitto, essa consente il cumulo di provvedimenti coercitivi con le sollecitazioni volte a far intraprendere percorsi di mediazione alle parti (i genitori), di modo da far prendere loro coscienza del fatto che, al di là della rottura del rapporto coniugale, sopravvivono le responsabilità verso la prole, il cui interesse deve essere perseguito in via prioritaria su tutte le altre questioni scaturenti dalla crisi del rapporto sentimentale.

1.3. (Segue). L’obbligo di reintegra nel posto di lavoro.

Altra questione particolarmente controversa e di difficile risoluzione è quella relativa alle forme di esecuzione dell’ordine di reintegra nel posto di lavoro.

Al riguardo, esulando dalla presente indagine il tema dell’esecuzione in forma indiretta dell’obbligo di reintegra tramite gli strumenti previsti ad hoc dall’art. 18 (di recente modificato dall’art. 1, comma 42 della legge 28 giugno 2012, n. 9240) e dall’art.

ordine generale e quella di cui all’art. 709 ter: sul punto, si v. le considerazioni di VULLO, L’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole, in Commentario del codice civile fondato da Schlesinger diretto da Busnelli, Milano, 2010, 872 e ivi a nota 11, nonché per una diversa ricostruzione del problema, CHIZZINI, in AA.VV., La riforma della giustizia civile, Torino, 2009, 172.

38 Sul punto v. CONSALES, L’attuazione dell’obbligo di consegna dei minori, cit., 480 ss.

39 L’art. 709 ter, infatti, prevede che il giudice, “in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può anche congiuntamente:

1)- ammonire il genitore inadempiente;

2)- disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;

3)- disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;

4)- condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende”.

40 Le nuove norme introdotte dalla legge 28 giugno 2012, n. 92 superano l'automatismo tra licenziamento ritenuto illegittimo e reintegrazione del lavoratore, prevedendo solo in caso di licenziamento discriminatorio (cioè quello determinato: da ragioni di credo politico o fede religiosa; dall'appartenenza ad un sindacato a dalla partecipazione a scioperi ed altre attività sindacali; dal sesso, dall'età, dall'appartenenza etnica o dall'orientamento sessuale) la declaratoria di nullità del licenziamento (al pari di come avveniva con la precedente normativa) e la conseguente reintegrazione (o "reintegro") nel posto di lavoro con risarcimento integrale (pari a tutte le mensilità perdute ed ai contributi non versati).

Le stesse regole si applicano in caso di licenziamento orale (cioè comunicato solo verbalmente) o quando il licenziamento è avvenuto in concomitanza col matrimonio, con la maternità o la paternità. Viene invece previsto che in caso di licenziamento disciplinare (cioè quello motivato dal comportamento del lavoratore), il giudice può ritenere che non ci siano gli estremi per il licenziamento per due motivi: perché il fatto non sussiste; oppure perché il fatto può essere punito con una sanzione di altro tipo. Il giudice, in tal caso, può decidere se applicare, come sanzione, la reintegrazione con risarcimento limitato nel massimo di 12 mensilità, oppure il pagamento di un'indennità risarcitoria, tra le 12 e le 24 mensilità, senza versamento contributivo.

Il licenziamento può essere anche motivato da "giustificato motivo oggettivo", cioè da ragioni inerenti

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28 dello Statuto dei Lavoratori, nonché mediante quello generale di cui all’art. 614 bis (di cui, peraltro, è fortemente discussa l’applicabilità alle controversie di lavoro, stante l’esplicito dettato della norma)41, ci si può limitare a segnalare come l’orientamento assolutamente prevalente si sia da tempo espresso per l’incoercibilità dell’obbligo di reintegra tramite l’esecuzione diretta, attesa l’infungibilità della prestazione42. Si osserva in particolare che l’obbligo del datore di lavoro condannato alla reintegra si sostanzia non soltanto in un comportamento riconducibile ad un pati, quale è la riammissione del lavoratore nell’azienda, ma anche in un insostituibile comportamento attivo, consistente nel ricostruire la posizione lavorativa del dipendente reintegrato, attribuendogli le mansioni a cui era adibito, e nell’impartirgli le direttive necessarie per lo svolgimento dell’attività lavorativa, tutte attività che confluiscono nell’esercizio dei tipici poteri datoriali. In particolare, tale ultimo comportamento non può essere posto in essere da terzi, né dal giudice per il principio costituzionale sancito dall’art. 41 Cost.

della libertà di impresa43.

"l'attività produttiva, l'organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa" (c.d. licenziamento economico). Ad esempio, quando una nuova modalità produttiva o una contrazione del mercato impongono all'azienda di ridurre il numero di addetti ad una certa mansione. In tal caso, se il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo, può condannare l'azienda al pagamento di un'indennità risarcitoria in misura ridotta, da 12 a 24 mensilità, tenendo conto dell'anzianità del lavoratore e delle dimensioni dell'azienda stessa, oltre che del comportamento delle parti. Se però ritiene che l'atto è "manifestamente infondato", applica la stessa disciplina della reintegrazione dovuta per il licenziamento disciplinare. Nonostante le modifiche apportate all’art. 18 cit., resta ancora configurabile la eseguibilità forzata dell’ordine di reintegrazione tramite l’irrogazione di una misura coercitiva, seppure in forma “attenuata”: difatti, nelle ipotesi di licenziamento c.d. disciplinare e più in generale in tutti i casi di licenziamento previsti dai primi due commi della norma è prevista la possibilità per il giudice di condannare il datore di lavoro al versamento delle mensilità e ai contributi non versati fino al giorno della effettiva reintegrazione (art. 18, 2° comma).

41L’art. 614 bis afferma esplicitamente che la misura coercitiva non si applica alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409 c.p.c. La norma si ispira alla tesi sostenuta in passato da Chiarloni (Misure coercitive, cit., 230 ss.), per la quale occorreva rispettare in ogni caso talune sfere di libertà del soggetto obbligato (con il conseguente sacrificio della possibilità per il creditore di ottenere l’esecuzione in forma specifica del proprio diritto).

Siffatta limitazione, tuttavia, si riferiva soprattutto agli obblighi di fare e di non fare infungibili implicanti prestazioni di natura lavorativa e personale o comunque di natura intellettuale (per le quali la sanzione del non adempimento appariva comunque più adeguatamente data dal classico rimedio del risarcimento del danno per equivalente). Il legislatore del 2009 invece generalizza l’esclusione, stabilendo che le misure coercitive non operano per tutte le obbligazioni derivanti dai rapporti di lavoro dipendente od autonomo, risultando escluse anche le obbligazioni di fare e di non fare gravanti sul soggetto datore di lavoro, che in sé non hanno – nella maggior parte dei casi – alcun elemento di coinvolgimento personale o intellettuale, come ad esempio è per l’obbligo di di assegnare il lavoratore le mansioni dovute. Proprio in materia di lavoro, l’introduzione dell’art. 614 bis c.p.c. costituisce allora un’occasione mancata, anche se forse il legislatore ha in tal modo voluto mantenere una linea cauta, per timore di un aggravamento eccessivo degli oneri del sistema produttivo: così SANDULLI-SOCCI, Il processo del lavoro, Milano, 2010, 480;

sul punto, si v. anche le considerazioni di DALFINO, Le novità per il processo civile del 2009 e il rito del lavoro, in www.judicium.it, 26 ss., nonché la nota precedente.

42 Invero, in passato, una parte (seppur minoritaria) della giurisprudenza di merito ha ritenuto applicabile il combinato disposto degli artt. 2931 c.c. e 612 e ss. c.p.c. a dette situazioni, al fine di assicurarela piena aderenza dell’essere al dover essere. A questo riguardo, si deve rammentare una decisione del Pretore di Milano, nella quale si imponeva all’ufficiale giudiziario di procedere all’ esecuzione coattiva della sentenza di reintegra, provvedendo a compiere tutte quelle attività necessarie alla ripresa effettiva del servizio da parte del lavoratore: così Pret. Milano, 26 novembre 1992, in Lavoro e Diritto, 1993, 449 ss.

A favore della coercibilità del provvedimento di reintegra, si v. altresì Pretore di Roma 15 marzo 1992, in Il diritto del Lavoro, 1992, II, 269 e ss.; Pretore di Milano, 13 ottobre 1983, in Foro it., 1984, I, 3042;

Pretore di Padova, 17 marzo 1980, in Foro it., 1980, I, 1779 e ss.; Pretore di Roma, in Foro it., 1979, I, 2132 e ss.

43 Cass. 11 gennaio 1988 n. 112, in Mass. giur. lav., 1988, 93, con nota di MANNACIO, con riferimento

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Pertanto, se l’esecuzione forzata nei confronti del datore di lavoro per le sentenze di condanna aventi ad oggetto il pagamento di una somma di denaro non pone particolari problemi, trovando applicazione le norme generali del processo esecutivo, è stata, invece, esclusa l’applicabilità delle norme di cui agli artt. 612 ss. c.p.c. per eseguire coattivamente l’obbligo di reimmettere il lavoratore nel posto di lavoro.

Per ragioni analoghe, è stata esclusa la possibilità di attuare in via coattiva la sentenza che contenga l’ordine di riassegnare il lavoratore alle precedenti mansioni o ad altre di equivalente contenuto professionale, qualora sia stato violato il divieto di demansionamento di cui all’art. 2103 c.c., nonché i provvedimenti aventi come contenuto l’ordine di reintegrazione del lavoratore nella sede originaria a seguito di declaratoria di illegittimità del provvedimento di trasferimento44.

1.4. (Segue). I rapporti tra l’esecuzione degli obblighi di fare e la nuova misura

all'ordine di reintegrazione ex art. 18 della legge n. 300 del 1970 ha affermato che «che il detto ordine di reintegrazione - salva la indiretta coazione conseguente all'obbligo di continuare a corrispondere la retribuzione - non è suscettibile di esecuzione specifica, la quale è possibile soltanto per le obbligazioni di fare di natura fungibile, in cui non può ricomprendersi l'obbligo di reintegrazione. Invero, la reintegrazione nel posto di lavoro comporta non soltanto la riammissione del lavoratore nell'azienda (cioè un comportamento riconducibile ad una semplice "pati"), ma anche un indispensabile ed insostituibile comportamento attivo del datore di lavoro di carattere organizzativo - funzionale consistente, fra l'altro, nell'impartire al dipendente le opportune direttive, nell'ambito di una relazione di reciproca ed infungibile collaborazione. Codesti principi devono essere mantenuti fermi, non ravvisandosi ragione alcuna per discostarsene (cfr., oltre alla già citata Cass. n. 112 del 1988: Cass. 20 gennaio 1978 n. 262; 15 aprile 1976 n. 1355)”. Nel medesimo senso anche, Cass. 11 gennaio 1990, n. 47 e n. 48, entrambe in Dir. e pratica del lavoro, 1990, 1231. In dottrina, v. per tutti GARBAGNATI, Profili processuali del licenziamento per motivi antisindacali, in RDP, 1973, 599; MANDRIOLI, L’esecuzione in forma specifica dell’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, in RDP, 1975, 9 ss.

44 Al riguardo, la Cassazione è solita affermare che la provvisoria esecutività riconosciuta dal comma 1 dell'art. 431 c.p.c. riguarda solo le sentenze contenenti una condanna al pagamento e non anche le sentenze che accertano il diritto del lavoratore ad una qualifica superiore e condannano il datore di lavoro all'attribuzione di detta qualifica, le quali, ancorchè in parte di accertamento e in parte di condanna, non sono comunque suscettibili di esecuzione forzata, non potendo l'attribuzione della qualifica e il conferimento delle relative mansioni avvenire senza la necessaria cooperazione del debitore: così, v. tra le più recenti, Cass., sez. lav., 17 giugno 2004, n. 11364, in Notiziario giurisprudenza lav., 2004, 746; Cass., sez. lav., 14 luglio 1997, n. 6381, in Giust. civ., Mass. 1997, 1191; Cass. 4 settembre 1990, n. 9125, in Notiziario giurisprudenza lav., 1990, 689; Cass. 20 settembre 1990, n. 9584, ivi, 1990, 894.

Inoltre, «il principio per cui l'ordine di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro non è suscettibile di esecuzione in forma specifica può applicarsi anche nel caso di sospensione in via giudiziaria del provvedimento di trasferimento del lavoratore ad altra sede di lavoro, sussistendo pure in tale ipotesi la necessità di un comportamento attivo del datore di lavoro nell'ambito delle proprie competenze organizzative e funzionali, postoché egli può ottemperare all'ordine di reintegrazione assegnando il dipendente a mansioni diverse da quelle precedenti, purché ad esse equivalenti. Ne deriva che, ottenuta in via d'urgenza dal pretore la sospensione del trasferimento, il lavoratore non è passibile di sanzioni disciplinari qualora senza chiedere allo stesso pretore la determinazione delle modalità di esenzione del provvedimento di sospensione, ai sensi dell'art. 612 c.p.c., offra al datore di lavoro le proprie prestazioni nella sede originaria, rifiutandosi di assumere servizio in quella nuova”: Cass. 19 novembre 1996, n.

10109, in Giust. civ. Mass. 1996, 1541. Infine, per quanto concerne la reintegrazione dei dipendenti pubblici, sebbene la situazione sia in apparenza analoga, si è esclusa la possibilità per il pubblico dipendente di ricorrere al procedimento ex art. 612 c.p.c., potendo egli promuovere il giudizio di ottemperanza davanti al giudice amministrativo (così tra le altre, Trib. Parma, 12 luglio 2005, in Lav.

nella giur., 2005, 1160, con nota di BRUSATI, secondo cui “deve essere dichiarato inammissibile il ricorso proposto ai sensi dell'art. 612 c.p.c. da un pubblico dipendente per la esecuzione forzata della sentenza del giudice del lavoro, provvisoriamente esecutiva, di condanna della p.a. datrice di lavoro ad un fare infungibile”; T.A.R. Marche 19 settembre 2003, n. 997, in Guida al dir., 2003, fasc. 45, 97, secondo cui “qualora una sentenza del Giudice del lavoro preveda a carico della p.a. obblighi di fare infungibili, il pubblico dipendente non può avvalersi del ricorso all'art. 612 c.p.c., ma può promuovere il giudizio di ottemperanza avanti il Tar”.

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coercitiva indiretta di cui all’art. 614 bis.

Il discorso sin qui svolto circa l’ambito di applicazione ed i limiti del procedimento di esecuzione degli obblighi di fare (fungibili) non può ancora ritenersi concluso: la recente introduzione della misura coercitiva di carattere generale di cui agli artt. 614 bis nel nostro sistema processuale, infatti, ha dato vita ad un’ulteriore questione di carattere sistematico, ponendosi il problema di stabilire se l’astreinte italiana sia una semplice tecnica di esecuzione indiretta o un rimedio avente carattere generale45, applicabile in ogni caso e, dunque, anche per l’attuazione di prestazioni fungibili, laddove l’esecuzione degli obblighi di fare, seppure astrattamente possibile, sia di difficile realizzazione.

Sul punto, va riportata la posizione della dottrina e della giurisprudenza prevalente, la quale ritiene che la misura coercitiva di cui all’art. 614 bis sia limitata alle obbligazioni infungibili di fare o non fare46. Ciò per tre ragioni.

Innanzitutto, perché la collocazione della disposizione così suggerisce, visto che essa va a chiudere un Titolo del codice di rito dedicato all’esecuzione in forma specifica. Essa, in sostanza, chiude il quadro di un sistema nel quale si afferma che, se per le obbligazioni fungibili soccorrono gli articoli 612 ss. c.p.c., “per quelle infungibili, e solo per queste, l’interessato ha l’àncora di salvezza dell’art. 614 bis c.p.c.”47. In secondo luogo, la rubrica della norma discorre di esecuzione degli obblighi di fare infungibili, così sembrando escludere l’attuabilità di qualunque altro obbligo; infine, poiché la norma introduce nel nostro ordinamento una pena privata, non è suscettibile di interpretazioni estensive48.

A ben guardare, però, sussistono margini per una diversa e più ampia interpretazione. In primo luogo, la rubrica dell’art. 614 bis non è vincolante (giacché nel nostro ordinamento vige la regola secondo la quale la rubrica non est lex, per cui non impone alcun obbligo all’interprete); secondariamente, il tenore letterale della legge (che parla solo di violazione ed inosservanza dell’obbligo senza precisare la tipologia

45 Come accade nel sistema d’oltralpe. Sui caratteri e la natura dell’astreinte nell’ordinamento francese, v.

tra gli altri, ASPRELLA, Il nuovo istituto dell’astreinte, in ASPRELLA-GIORDANO, La riforma del processo civile dal 2005 al 2009, in Giust. civ., Suppl., 2009, 116; PUCCIARIELLO-FANELLI, L’esperienza straniera dell’esecuzione forzata indiretta, in AA.VV., L’esecuzione processuale indiretta, a cura di Capponi, Milano, 2011, 48 ss.

46 AMADEI, Una misura coercitiva generale per l’esecuzione degli obblighi infungibili, in www.judicium.it, § 2; BOVE, La misura coercitiva di cui all’art. 614-bis c.p.c., in www.judicium.it., § 2;

CHIZZINI, in AA.VV., La riforma della giustizia civile, cit., 164; MANDRIOLI-CARRATTA, Come cambia il processo civile, Torino, 2009, ASPRELLA, L’attuazione degli obblighi di fare infungibile e di non fare, in Giur. merito, 2011, 117 ss.; ID., L’esecuzione processuale indiretta nel processo civile, in REF, 2012, 37 ss.; BUCCI-SOLDI, Le nuove riforme del processo civile. Commento alla legge 18 giugno 2009, n. 69, Padova, 2009, 220 ss.; MERLIN, Prime note sul sistema delle misure coercitive pecuniarie per l’attuazione degli obblighi infungibili nella L. 69/2009, in RDP, 1548. In giurisprudenza, si v. Trib.

Milano, 9 giugno 2011; Trib. Modena, 7 marzo 2011, n. 415 secondo cui “la condanna di cui all’art. 614 bis … non può riguardare la condanna ad un fare fungibile, quindi suscettivo di esecuzione forzata”; Trib.

Varese, 16 febbraio 2011, in NGCC, 2011, 876, con nota di Notarpasquale; Trib. Trento, 8 febbraio 2011.

47 BOVE, La misura coercitiva, cit., § 2.

48 A tali considerazioni si aggiunge anche l’ulteriore osservazione secondo cui “se si ammettesse l’uso del meccanismo coercitivo-sanzionatorio anche nei casi in cui operi l’esecuzione diretta, si rischierebbe di duplicare le voci di danno in favore del creditore che si vedrebbe riconoscere non solo l’utilità originaria, ma anche il danno e la somma dovuta a titolo di astreinte”, così introducendosi surrettiziamente una disposizione analoga all’art. 1382 c.c. (relativa alla clausola penale), ma di determinazione giudiziale (ASPRELLA, L’esecuzione processuale indiretta, cit., 37).

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dello stesso) permette un’applicazione estensiva della disposizione49.

Soprattutto, la tesi estensiva presenta innegabili vantaggi sotto il profilo sistematico; come accennato, frequentemente ci si può imbattere in ipotesi in cui l’obbligo, sebbene fungibile, è di complessa attuazione: si pensi, tra i molti esempi, alla prestazione di consegna di cosa generica o a quello di manutenzione del locatore per quanto attiene ai servizi comuni. Ancora, si pensi agli obblighi nascenti in capo ai genitori nell’ipotesi di crisi dei rapporti familiari, tanto che il legislatore ha avvertito la necessità di prevedere (con l’art. 709 ter c.p.c.) forme di attuazione sotto il diretto controllo del giudice del merito, con la possibilità di sanzioni indirette, risarcimento del danno e modifiche peggiorative per il coniuge o il genitore inadempiente.

In tutte le ipotesi menzionate, sebbene le prestazioni siano astrattamente fungibili, sembra che l’estensione dell’ambito applicativo dell’art. 614 bis comporti un innegabile vantaggio in termini di effettività della tutela, essendo il risultato conseguibile con l’esecuzione diretta realizzabile in tempi “irragionevoli”. Peraltro, la soluzione di estendere il raggio applicativo dell’art. 614 bis, oltre ad aumentare il grado di efficacia della tutela ottenuta dal creditore, evita altresì “di costringere il giudice a valutare in via pregiudiziale la infungibilità della prestazione come presupposto legittimante50, con le conseguenti complicazioni circa il coordinamento con l’eventuale successiva opposizione all’esecuzione fondata sul (l’erroneità di) detto presupposto”51.

Dunque, nonostante le indubbie difficoltà connesse all’accoglimento della tesi estensiva, sembra preferibile affermare che l’art. 614 bis si possa applicare anche per assicurare l’esecuzione dei provvedimenti giudiziari aventi ad oggetto obblighi di fare fungibili di complessa attuazione. Spetterà dunque al giudice della cognizione (anziché quello dell’esecuzione)52 disporre la comminatoria di cui all’art. 614 bis, onde garantire la realizzazione materiale dell’obbligo.

2. I titoli esecutivi legittimanti l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare

L’art. 612 prevede quale unico titolo legittimante l’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare la sentenza di condanna.

Da sempre si afferma che tale limitazione si spiega con le caratteristiche dell’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare: poiché detti obblighi sono coercibili solo in quanto fungibili e il risarcimento del danno in forma specifica può essere concesso solo se esso sia possibile e non eccessivamente oneroso (art. 2058 c.c.),

«appare di tutta evidenza che il legislatore abbia inteso subordinare l’esecuzione

49 In questo senso, si v. Trib. Terni, 4 agosto 2009, in Foro it., 2011, I, 287; ZUCCONI GALLI FONSECA, Le novità della riforma in materia di esecuzione forzata, in www.judicium.it., § 4.

50 Spesso è difficile stabilire il confine tra obblighi fungibili ed infungibili. Si consideri ad esempio l’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, pacificamente ritenuto infungibile, in cui tuttavia rientrano delle attività che sono definite “sottoprestazioni fungibili” (al riguardo, si pensi alle prestazioni che non integrano poteri discrezionali, come il rilascio del cartellino o l’accesso alla mensa o, ancora, il pagamento delle retribuzioni, che possono essere coattivamente attuate).

51 ZUCCONI GALLI FONSECA, Le novità, cit., § 4.

52 L’attribuzione al giudice della cognizione del potere di procedere all’attuazione dell’obbligo di fare di complessa attuazione si giustifica per due diversi motivi: in primo luogo, vi è la lettera dell’art. 614 bis che espressamente configura come giudice competente per la irrogazione della sanzione quello della cognizione; secondariamente, trattandosi di un’infungibilità operante non sul piano sostanziale, ma su quello squisitamente processuale (sul punto, si v. le considerazioni di MAZZAMUTO, L’esordio della comminatoria di cui all’art. 614 bis c.p.c. nella giurisprudenza di merito, in Giur. it., 2010, 637 ss., in part. 642), è compito del giudice della cognizione verificare in concreto, tenendo conto dei pregiudizi ulteriori che possono derivare dalle alterazioni già consumate e dai tempi dell’esecuzione forzata, se l’irrogazione della misura coercitiva sia ammissibile o se, al contrario la richiesta del creditore sia manifestamente iniqua.

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