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IL RISCHIO DA AGENTI BIOLOGICI NELLE AZIENDE SANITARIE, NELLE ATTIViTÀ PRODUTTIVE E NEI SERVIZI. Problemi Respiratori

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IL RISCHIO DA AGENTI BIOLOGICI NELLE AZIENDE SANITARIE, NELLE ATTIViTÀ PRODUTTIVE E NEI SERVIZI.

Problemi Respiratori

Massimiliano Bugiani*

Le malattie infettive connesse all'occupazione rappresentano un importante problema di salute pubblica in molte parti del modo, particolarmente nei paesi in via di sviluppo, mentre nei paesi industrializzati molte di esse sono considerate eradicate: in questi ultimi, tuttavia, la rarità della malattia, che comunque può essere occasionalmente importata, fa sì che spesso la diagnosi non sia presa in considerazione e non siano applicate né le opportune terapie, né le misure di controllo: molte di queste malattie, per quanto non comuni, sono spesso associate ad un’elevata morbidità e mortalità (3, 11, 15).

Una malattia infettiva è definita di origine occupazionale quando il luogo di lavoro aumenta il rischio dell'infezione (3).

In questa comunicazione ci concentreremo in particolare su quelle infezioni che, di norma trasmesse per via aerea, provocano malattie polmonari, associate o meno con disturbi e localizzazioni non polmonari.

Non ci dilungheremo sulle possibilità diagnostiche o terapeutiche, né su aspetti patogenetici, poiché queste informazioni possono essere reperite in letteratura.

Come in tutte le malattie di origine occupazionale una diagnosi accurata si basa su un’accurata anamnesi lavorativa, nel caso particolarmente sulla storia di contatti e su possibili focolai nella comunità

Le malattie infettive di origine occupazionale sono, generalmente, malattie diffusive comunitarie e possono essere classificate come (1, 7, 8, 11, 14,15).

A) malattie legate al lavoro all’aperto (agricolo = micosi polmonari, parassitosi etc…), relativamente frequenti negli USA e in altri paesi ad elevata endemia, sono piuttosto rare in Italia.

In questo gruppo discorso particolare meritano le zoonosi: malattie trasmesse dagli animali all’uomo (1, 8, 11). L’elenco delle potenziali zoonosi è assai lungo ma la collocazione geografica, nonché il lavoro di profilassi nei paesi industrializzati, ha permesso il contenimento, se non la definitiva eradicazione, di molte zoonosi.

I lavoratori dei settori veterinari, veterinari e tecnici sono, almeno in via teorica, a più elevato rischio di contrarre queste malattie rispetto agli

* Responsabile UOA Pneumologia CPA-ASL 4 - Responsabile UONA Medicina del Lavoro ASL 4 - Coordinatore Medici Competenti Asl 4 - Referente Regione Piemonte per la TB.

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allevatori, venendo, per ragioni professionali, a contatto con animali malati con maggiore frequenza.

Tra le principali zoonosi che possono dare malattie polmonari ricordiamo, tra le zoonosi micotiche, istoplasma (istoplasmosi), molto rara nel nostro paese e, tra le zoonosi parassitarie, l’Echinococcus (idatidosi cistica), che non rappresenta un problema legato al lavoro ma, piuttosto, al consumo di carne infettata.

Dal punto di vista epidemiologico di maggiore significato è la Tubercolosi da M.Bovis: essa è clinicamente indistinguibile ed ha la stessa storia naturale della TB umana (fa in fatti parte del gruppo TB complex): tuttavia frequenti sono i fallimenti terapeutici a causa della farmaco resistenza, a sua volta riferita a impropri trattamenti antitubercolari dei bovini

Si stima che dall’1 al 5% di tutte le TB sia da M.Bovis, con notevoli variazioni tra paesi e tra città e campagna (1, 3, 10). La via principale di contagio è attraverso la cute per contatto con cute non integra, o attraverso l’assunzione di alimenti latticini infetti: queste fonti di contagio sono state praticamente eradicate, oltre che dal generale controllo della TB bovina, dall’adozione di norme di protezione universale e dalla pastorizzazione del latte (9). Nelle zone dove la TB bovina è endemica è possibile contagio per via aerea ad allevatori e veterinari con prevalente malattia polmonare. I veterinari sono in particolare a maggior rischio quando lavorano su carcasse ed organi presunti indenni: tali operazioni andrebbero svolte in locali con adeguate misure di contenimento (BL 2 o 3) ed usando adeguati DPI: la sorveglianza sanitaria per la TB dei veterinari è analoga a quanto previsto per i lavoratori della sanità (I, IV, 5, 12).

B) malattie a cui sono a più alto rischio lavoratori che lavorano al chiuso: tali sono in genere le malattie “da edificio”, legate alla presenza in ambiente confinato di diversi soggetti, di cui alcuni portatori potenziali di malattie contagiose: esempio ne è l’influenza.

Molte di queste malattie da “edificio malato”, quali asma o polmoniti da ipersensibilità non sono vere infezioni e non saranno qui discusse (11, 14).

Quelle clinicamente più importanti sono la tubercolosi e la legionellosi.

Per la tubercolosi un soggetto malato che emette bacilli con la tosse o con goccioline di saliva può contagiare 10-15 persone. Il contagio è reso più facile dal contatto diretto e dalla condivisione d’aria in ambienti confinati o là dove l’aria è riciclata da impianti di ventilazione non filtranti. Si ricorda il caso di un marinaio malato negli USA che infettò 400 persone su una nave (6).

A maggior rischio di tubercolosi sono i lavori in ambiente confinato, che attraggono soggetti di per sé ad alto rischio di TB (immigrati da paesi ad alta prevalenza, soggetti tossicodipendenti a rischio di positività HIV) o con

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esposizioni ad agenti che causano malattie professionali (silicosi), che a loro volta favoriscono la TB.(3, 4, 13).

Poiché la TB in Italia è malattia a bassa prevalenza, il riscontro di focolai epidemici in ambienti di lavoro in assenza di rischi specifici (vedi lavoratori della sanità), è fenomeno sporadico. Non esistono misure preventive di contenimento di provata efficacia: occorre che gli ambienti di lavoro abbiano condizioni microclimatiche, di ventilazione e di igiene accettabili, e sia controllato il sovraffollamento. A causa dello scarso protrarsi dei contatti nel tempo raramente il pubblico o il cliente sono fonti efficaci di contagio (II, III, 4).

Nel caso in cui un lavoratore si ammali di TB contagiosa, coloro che dividono il suo stesso ambiente confinato (ufficio, officina) sono considerati contatti stretti e, come tali, devono essere controllati con test tubercolinico e, in caso di positività (5 mm di diametro), devono essere considerati infettati di recente e, esclusa la TB in atto, sottoposti a terapia per infezione latente da TB. In caso si riscontrino 2 o + casi di conversione, dovranno essere controllati anche i contatti meno stretti (lavoratori dello stesso piano, condivisione di locali comuni etc...) (II,III).

Altra patologia polmonare infettiva a trasmissione aerogena che può diffondersi in comunità che vivono in ambienti confinati è la legionellosi (11).

La legionellosi è una malattia infettiva grave a letalità elevata causata da batteri gram negativi aerobi del gruppo legionella. Può causare una polmonite. Il microrganismo è unbiquitario (ambientale). Nota in particolare per gravi epidemie nosocomiali (3-20% delle polmoniti nosocomiali, 20-30%

di tutti i casi), è una malattia comunitaria (1-5%, 70-80% dei casi) legata ad ambienti chiusi, che si diffonde non per diretta trasmissione dal malato, ma attraverso l’inalazione di aerosol contaminati (impianti idrici, torri di raffreddamento degli impianti di condizionamento, umidificazione degli impianti di condizionamento): nell’ambiente nosocomiale è maggiore sia la diffusione, a causa del maggior numero di occasioni di contagio (apparecchi aerosol o di ossigeno terapia, respirazione assistite, sonde naso-gastriche, fibroscopi etc …), sia la gravità e la mortalità (5-15% nelle comunità, 30- 50% nelle nosocomiali, fino all’80%), perché colpisce soggetti già ammalati (BPCO, immunodepressi, etc…). Per questa malattia il rischio per il personale sanitario è al contrario inferiore a quello di altri ambienti di lavoro a causa del maggior numero di misure di protezione (universale e specifica) e contenimento adottate nell’ambiente ospedaliero.

Trattandosi di malattia a trasmissione ambientale (non interpersonale), le misure di contenimento sono rivolte all’ambiente: in particolare ad un’accurata igiene degli impianti di condizionamento e riciclo d’aria e degli impianti di acqua potabile.

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Nei casi A e B non si può che parlare di “manipolazione intenzionale di agenti biologici”, in quanto il contatto è occasionale ed imprevedibile. Non si applica pertanto il titolo VIII del Dlgs 626/94 (I): ciononostante il rischio deve essere considerato nella valutazione e, ove richiesto, devono essere adottate opportune misure di sicurezza (I).

C) Malattie che colpiscono soggetti addetti all’assistenza di persone malate:

in questo caso, seppure non si possa parlare di “manipolazione intenzionale”, il titolo VIII del Dlgs 626/94 si applica sia perché questa categoria di lavoratori è espressamente citata, sia perché il contatto con il malato contagioso è previsto e programmato, e la malattia contagiosa può essere la ragione del contatto del paziente con la struttura e l’operatore.

Numerose malattie da virus (RSV, adeno-virus) o batteri (meningococco, pertosse, tubercolosi), possono essere trasmesse dal malato contagioso al personale sanitario: poche sono quelle che colpiscono l’apparato respiratorio (4, 6, 7).

In generale le polmoniti nosocomiali non rappresentano un rischio per il lavoratore sano, sia per le vie di trasmissione (dal retrofaringe, per apparecchiature contaminate), sia per le difese dell’ospite. Trattandosi di soggetti sani la trasmissione di queste malattie non è frequente e in molti casi (influenza, rosolia, morbillo) le misure di contenimento sono tese ad evitare la trasmissione della malattia dal lavoratore al paziente. Di queste misure fanno parte, oltre alle misure strutturali ed ambientali, le precauzioni universali e le vaccinazioni (influenza, etc …) (4, 7).

Discorso a parte merita la tubercolosi, su cui si concentrerà gran parte di questa relazione: la tubercolosi (TB) costituisce infatti un problema rilevante di Sanità Pubblica, per il cui controllo è necessario un intervento organico di riduzione della diffusione della malattia nella popolazione.(2, 3, 4, 6, 13)

Tra gli agenti biologici di classe 3 (“Agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; l’agente biologico può propagarsi nella comunità ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche”) i micobatteri del gruppo TB complex (Hominis, Bovis e Africanum) sono i più epidemiologicamente rilevanti, che si trasmettono per via aerea provocando malattie polmonari.

Per quanto riguarda i lavoratori della sanità, la tubercolosi è stata in passato probabilmente la più comune malattia infettiva acquisita nell’ambiente di lavoro. I lavoratori della sanità sono storicamente ad alto rischio di contagio.

Tale rischio era molto elevato in era pre-antibiotica (3, 4). Con l’avvento (negli anni 50) di un’efficace terapia farmacologica, con il calo dell’incidenza, col miglioramento delle procedure diagnostiche e con l’adozione di misure di isolamento e controllo ambientale, esso si è ridotto nel tempo nei paesi ad alto reddito. A metà degli anni 80 un drammatico cambiamento di questo andamento è avvenuto a causa della ripresa dell’epidemia TB, dovuta nei paesi industrializzati all’immigrazione da paesi

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ad alta prevalenza, al crescere degli strati poveri ed emarginati della popolazione, al diffondersi della pandemia HIV, all’insorgere di forme poli- farmaco resistente e all’abbandono o declino dei programmi di controllo (13).

Allo stato la TB non è eradicata in nessun paese del mondo. Si stima che nel 2000 vi siano nel mondo 8.000.000 di nuovi casi di TB e 3.000.000 di morti.

L’Italia è un paese a bassa prevalenza (< 10 casi per 100.000): la TB è frequente nelle fasce di età più elevate e, particolarmente, nei così detti gruppi (immigrati recenti da paesi ad alta prevalenza, tossicodipendenti per via endovenosa, poveri ed emarginati) e soggetti (contatti di casi contagiosi, portatori di malattie favorenti, soggetti immunodepressi e HIV+) ad alto rischio, su cui convergono le strategie di controllo (II,III, 13).

A causa del ritardo diagnostico, di errori terapeutici e di inadeguate procedure di contenimento, numerosi lavoratori della sanità contraggono l’infezione: il 10% degli infettati si ammala e alcuni dei malati muoiono a causa di trattamenti inadeguati, o perché coinfettati con HIV. L’OSHA stima che annualmente nei paesi industrializzati si ammalino di TB 3.000 operatori sanitari e di questi almeno 200 muoiano di TB (2, 6).

I dati italiani sembrano confermare che la Tb negli operatori sanitari è un rischio presente: anche se l’impatto sull’epidemiologia della malattia è minimo, l’eccesso di infezioni e di casi rappresenta un elevato rischio relativo di malattia grave, mortale e del tutto evitabile (4).

Accanto al risorgere della TB si manifestano con preoccupante frequenza focolai epidemici di TB multi-farmaco-resistente (MDR-TB), virtualmente incurabile, a prevalente trasmissione nosocomiale. Sono stati segnalati casi di contagio anche in operatori sanitari (13).

La TB è una malattia che si trasmette per via aerea: la probabilità del contagio è funzione del numero di bacilli emessi dal paziente, della durata del contatto e della quantità d’aria condivisa nell’unità di tempo.

Statisticamente entro il 10% dei contatti infettai si ammala nel corso della vita e il 5% dei malati muore a causa della malattia. La letalità può raggiungere il 50% in caso di TB MDR (13).

Recentemente sono state emanate Linee Guida internazionali (2, 5, 6), nazionali (II) e, in Piemonte, regionali (III), per il controllo della TB, in particolare tra gli operatori sanitari (IV, 4).

Le linee guida prescrivono un’attenta valutazione del rischio di ogni struttura e area operativa basata sul numero di casi che potenzialmente vengono a contatto con la struttura stessa e sui risultati della sorveglianza sanitaria epidemiologica. Di massima devono essere identificate:

• strutture con cui pazienti affetti da TB contagiosa non vengono abitualmente a contatto;

• aree e strutture in cui i pazienti contagiosi possono accedere ma non vengono ricoverati;

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• aree e strutture in cui i pazienti con TB contagiosa sono solo occasionalmente ricoverati;

• aree e strutture in cui i pazienti con TB contagiosa sono abitualmente ricoverati.

Il controllo della tubercolosi nelle strutture sanitarie ha almeno due obbiettivi:

a) Ridurre e azzerare il numero di infezioni, malattie e morti dovute a Tb contratta sul luogo di lavoro tra gli operatori sanitari;

b) Ridurre e azzerare il numero di infezioni, malattie e morti dovute a Tb contratta nelle strutture sanitarie di pazienti ricoverati.

Le principali misure di contenimento, che permettono di raggiungere entrambe gli obbiettivi di formazione del personale a riconoscere ed a trattare adeguatamente la malattia sono:

controllo della fonte di contagio

- tempestiva diagnosi con adozione di protocolli scritti di accettazione particolarmente mirati a soggetti e gruppi ad alto rischio,

trattamento tempestivo ed adeguato;

- isolamento del paziente contagioso nell’ospedale in stanze idonee e con protocolli di isolamento scritti o, quando possibile, a domicilio del paziente;

- misure ambientali: aerazione dei locali, etc…

protezione dal contatto

- Dispositivi di protezione Individuali o DPI, sorveglianza sanitaria degli esposti;

- misure organizzative che minimizzino il numero di persone e i tempi del contatto.

L’efficacia dei programmi di controllo può essere misurata monitorando le conversioni dei test tubercolinici eseguiti periodicamente, osservando eventuali clusters (2 o +) conversioni, investigando su possibili trasmissioni tra persone (trasmissione nosocomiale) o eventuali casi di TB tra gli operatori sanitari.

Nelle strutture sanitarie a rischio si definisce come positivo un test tubercolinico eseguito con PPD 5 UI e letto a 48-72 con un diametro di induramento>= 10 mm. Per conversione si intende la positivizzazione del test e per viraggio l’incremento di 10 mm del diametro in 2 anni.

In caso si verifichino cluster di conversione a livello collettivo devono essere ricercate le fonti di contagio ed altre possibili conversioni e devono essere riviste le procedure; occorre, ovviamente, tenere conto che il contagio può essere avvenuto anche in comunità e, quindi, devono essere esclusi contatti con casi contagiosi in comunità dei soggetti infettati (parenti o amici malati).

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A livello individuale il soggetto con positivizzazione del test deve essere indagato per escludere TB in atto: questo evento si verifica raramente;

se esclusa TB il soggetto infettato deve essere trattato con terapia preventiva. (IPT): isoniazide 5 mg*Kg di peso al giorno per sei mesi se l’età è inferiore ai 35 anni: per età più anziane l’IPT si pratica solo in caso di accertato contatto non protetto con malato contagioso (tipicamente non diagnosticato) e previo controllo degli enzimi epatici.

L’infezione (o la malattia guarita) non sono cause di non idoneità.

Per la TB esiste un vaccino (BCG) largamente utilizzato nel mondo da molti anni ed in Italia obbligatorio per legge nei lavoratori ospedalieri.

L’efficacia del vaccino praticato in popolazioni adulte è largamente controversa dal punto di vista della protezione individuale (0-50%);

l’utilità nel controllo della TB è considerata pressoché nulla, almeno in paesi a prevalenza medio-bassa (II, 4, 7).

Le linee guida nazionali (II) raccomandano la limitazione degli obblighi di legge ai soli esposti ad alto rischio di contagio da TB MDR o con controindicazioni all’IPT. Nelle more il vaccino può essere messo a disposizione dei lavoratori non considerando l’avvenuta vaccinazione come situazione di maggior protezione.

d) in ultimo devono essere considerati i rischi di infezione in presenza di manipolazione intenzionale di agenti biologici: la situazione più diffusa è quella dei laboratori che praticano esami colturali, in particolare di agenti di classe III, come i microbatteri del gruppo TB complex (3, 4, 5, 12).

Il rischio nei laboratori dipende da quanto frequentemente vengono riscontrati esami positivi per agenti biologici, la tipologia dell’agente (classe III), la concentrazione nei campioni, il numero di campioni maneggiato da ciascun operatore e le pratiche di sicurezza del laboratorio (IV).

Per gli agenti del gruppo TB Complex lo sviluppo di aerosol generati durante procedure routinarie è la maggior fonte di rischio per gli operatori; col diffondersi di tecniche di coltura rapida vengo riportati casi di infezioni associate con punture da ago. Infine le batteriemie associate con l’emergenza di TB in AIDS portano a considerare il sangue come possibile fonte di contagio

Come norma di protezione universale pertanto ogni campione sospetto positivo per agenti biologici del gruppo 2 o 3 deve essere considerato potenzialmente infettante.

Per la protezione nei laboratori devono essere applicati due livelli di protezione:

a) Barriere primarie: Tutte le misure atte a prevenire la contaminazione dell’operatore professionalmente esposto. Tali misure comprendono, oltre alla vaccinoprofilassi quando disponibile:

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• norme comportamentali tecniche (uso di tecniche e di attrezzature da laboratorio in grado di ridurre la produzione di aerosol; uso corretto delle cappe "bio-hazard"; utilizzo sistematico dei dispositivi di protezione individuale, quali tute o camici chiusi davanti e dotati di polsini elastici, guanti, occhiali o visiera, maschere, ecc.);

• norme comportamentali igieniche (assunzione, durante l’attività lavorativa, di comportamenti "sicuri", quali non bere, non mangiare, non fumare, non applicare cosmetici, lavare le mani correttamente, non indossare il camice al di fuori del laboratorio, non contaminare superfici e oggetti utilizzati da altri, controllo dei tic nervosi, ecc.).

• drastica riduzione di aerosol diffusi nell’ambiente, con l’uso di apparecchiature moderne e conformi alle normative vigenti (centrifughe, cappe biohazard, pipettatori automatici, autoclavi, ecc.) progettate in funzione della sicurezza.

b) barriere secondarie. Le barriere primarie da sole non sono ancora sufficienti a prevenire, in caso di incidenti, la diffusione nell’ambiente di agenti patogeni, con conseguente rischio per la collettività. In caso di manipolazione di agenti patogeni del III e IV gruppo si deve operare all’interno di barriere secondarie, ossia all’interno di ambienti concepiti per garantire il contenimento biologico (pressione negativa, ventilazione adeguata, procedure, cappe Bio-hazard, etc ...). L’adozione di barriere secondarie implica l’adeguamento strutturale dei laboratori alle norme di sicurezza.

Per il rischio biologico i laboratori sono classificati in 4 livelli di sicurezza (biosafety level = BL). Tale suddivisione è recepita dal Dlgs 626/94, dove all’allegato 12 sono descritti i livelli minimi di contenimento (cfr.

Allegato).

• Nei laboratori che non eseguono esami batteriologici agenti di ogni classe potrebbero essere occasionalmente presenti nei campioni esaminati, ma la loro presenza non è probabile: sono raccomandate pertanto “precauzioni universali” (BL 1).

Nei laboratori che praticano esami batteriologici dove è presunta o probabile la presenza dell’agente cercato, si applicano le corrispondenti misure, là dove la ricerca sia mirata ad un particolare agente e sia intenzionale la crescita e lo sviluppo (manipolazione) dell’agente stesso: di norma per le semplici colorazioni ed esami diretti su vetrino di agenti inattivati e a bassa concentrazione possono essere considerati sufficienti livelli di protezione BL2.

Nei laboratori, per esempio, che praticano esami microscopici diretti (o con sonde e PCR) su campioni umani i batteri sono, di norma, devitalizzati nel processo lavorativo, non vengono “intenzionalmente”

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manipolati ma solo cercati; la concentrazione aerea è, di norma, assente o trascurabile.

• Equiparabile alla “manipolazione intenzionale” è la crescita colturale, dove la vitalità dell’agente è condizione di base e la crescita è attesa o voluta. In queste operazioni si raggiungono sui campioni elevate concentrazioni (intenzionalmente) e il pericolo potenziale di contaminazione aerea è elevato: in questo caso si applicano le misure corrispondenti all’agente cercato. Nel caso dei Micobatteri del gruppo TB complex si applicano le misure di contenimento a livello 3 (BL 3).

Per le specifiche misure di contenimento si rinvia alle linee guida Istituto Superiore di Sanità/OMS, e al Dlgs 626/94.

Riferimenti normativi

I. Dlgs 626/94, integrato e modificato dal Dlgs. 242/1996

II. Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano –Provvedimento 17 dicembre 1998 – Linee-guida per il controllo della malattia tubercolare, su proposta del Ministro della Sanità, ai sensi dell’art. 115, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.

III. Regione Piemonte DGR 31/27361 , Protocollo per la Prevenzione e il Controllo della Tubercolosi umana in Piemonte 1999

IV. Regione Piemonte Protocollo per la Prevenzione della Tubercolosi tra i lavoratori della sanità – Draft 6/2000.

Riferimenti bibliografici

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