Capitolo II
Toledo città della « Convivencia »
Arriviamo adesso ad evidenziare la caratteristiche fondamentali del territorio e la città che farà da sfondo alla nostra ricerca ovvero la città spagnola di Toledo. Toledo si trova a ben poca distanza dalla capitale iberica di Madrid. Famosa per la storia che ha ospitato, nasce sulla cima di una montagna, bagnata su tre lati dal fiume Tago. Ricca di siti storico-archeologici, la città di Toledo è riconosciuta sin dall'epoca dell'Impero Romano, dallo storico Tito Livio (Padova, 59 a.C. – Padova, 17 d.C.):
« […] ad Tagum amnem ire pergit. Toletum ibi parva urbs erat, sed loco munito46.»
Essa crebbe di importanza durante l'epoca romana, diventando un punto cruciale per le politiche commerciali e amministrative, poiché centro della provincia romana della Spagna Cartaginense. Dopo la caduta dell'Impero Romano, Toledo subì la dominazione visigota, i quali
46 « […] poi proseguì verso il fiume Tago. C'era qui Toledo città piccola ma in posizione ben munita.» Libro 35; 22, 7.1. cit. in Vitali C. (a cura di)., Storia di
Roma. Libri 35.-36.; testo latino e versione di Carlo Vitali, Zanichelli, Bologna,
scelsero la città come centro politico del loro regno, iniziando la loro dinastia con il re Leovigildo (525 ca. - Toledo, 586).
2.1 Storia di Toledo dalla dominazione musulmana al 1085
La dominazione visigota della Spagna durò all'incirca un secolo e mezzo, periodo nel quale i barbari organizzarono un efficiente sistema governativo ed amministrativo e nel 589 re e popolo dei Visigoti si convertirono al Cattolicesimo. Il regno visigoto cadde violentemente a seguito dell'invasione araba del 711 vane furono le resistenze adottate dai Visigoti toledani. Tra il X e l'XI secolo, la città subì la trasformazione in Ṭāʾifa (parte, minoranza etnica, fazione), termine con il quale vengono indicati i piccoli Stati sorti in Spagna a seguito della dissoluzione e seguente abolizione del califfato della dinastia degli Omayyadi nel 1031; Toledo si emancipò dal califfato insieme ad altre città spagnole, la città divenne una delle più importanti roccaforti del mondo musulmano. Essa si mantenne indipendente fino all'inizio del XII secolo, quando la dinastia almoravide del Marocco conquistò ed inglobò i regni di taifa. Quando l'impero almoravide decadde si ebbe un secondo periodo dei regni di taifa tra il 1144 ed il 1170; periodo che termina con la venuta al potere della dinastia magrebina-andalusa degli Almohadi Toledo, definitivamente liberata ed in seguito occupata da Alfonso VI diCastiglia nel 1085, fu la prima città importante a passare definitivamente sotto la dominazione cristiana. Le complesse vicende politico militari a cui è stato sottoposto il territorio spagnolo durante la dominazione musulmana, le quali hanno portato Toledo ad acquisire un valore emblematico dal punto di vista politico ponendosi infatti come nuova città della cultura grazie alla presenza di molti musulmani istruiti riuniti in città dopo la conquista cristiana e che furono molto presto raggiunti da molti ebrei in fuga dal sud della penisola, zona ormai sotto il completo dominio almohade, il quale portò nella Spagna musulmana:
« […] violente persecuzioni religiose (…) e spinsero molti ebrei a cercare rifugio temporaneo nell'atmosfera più liberale della cristiana Toledo.» 47
In Toledo infatti possiamo evidenziare tutta la problematica della frontiera fra mondi diversi sul piano religioso e culturale in senso lato, ma anche facenti riferimento a formazioni socio-economiche differenti. Con il dominio cristiano dopo il 1085 possiamo trovare due vie di sviluppo intraprese da Toledo. La prima fase è di carattere conciliatorio e tollerante grazie ai governati i quali favoriscono e promuovono i contatti, intrattenendo rapporti di scambio e di
collaborazione con altre etnie, né studieremo i risultati in questo capitolo affrontando ambiti sociali, urbani e architettonici della Toledo dell'epoca, ma anche quando arriveremo al cuore del presente discorso e, quindi, arriveremo a parlare della « Scuola dei Traduttori ».
2.2 « La Convivencia »
Motivo di profonde ricerche e dissertazioni la « Convivencia » è riconosciuta come quel periodo della storia della Spagna, che va dalla dominazione omayyade dell' VIII secolo fino al 1492 con l'espulsione degli ebrei, in cui musulmani cristiani ed ebrei, vivevano tra loro in relativa armonia. Tra alcuni storici spagnoli è viva l'idea che in questo periodo i regni peninsulari iberici abbiano conosciuto, a cavallo di due secoli, una situazione sociale esemplare tra le tre confessioni monoteiste48. Questa tesi è stata proclamata da Américo Castro che nella
sua opera « Espana en su historia: cristianos, moros
y judios », presentava la nazione iberica come un crogiolo di
ebrei, cristiani ed arabi, situazione che cominciò a crearsi nel X secolo. La Spagna cristiana dell'epoca non è da intendersi come un mondo fisso, nel quale furono inserite la letteratura e le istituzioni musulmane, l'intenzione dei cristiani, sempre secondo Castro era quella
48 Burckhardt T., La civilización hispano-árabe, Alianza Editorial, Madrid, 1992. Castro A., España en su historia. Cristianos, moros y judios. Crítica, Barcelona,
di:
« (…) esercitare il dominio e servirsi dei mori (…)49 »
Le loro mire iniziali quindi non erano certo quelle di assorbire la cultura ed i costumi arabi. Quasi un decennio dopo questa tesi viene confutata dalla pubblicazione da parte dello storico Claudio Sánchez-Albornoz, i quale parla dell'ideale di « homo ispanicus », col quale egli indicava gli abitanti della Spagna fino al periodo pre-romano, come il prodotto del secolare accumulo storico dai tempi più antichi50. Nessuno dei due
comunque riusci a dare una connotazione negativa alla presenza delle culture araba e giudaica per quella cristiana e la sua vita quotidiana. Anzi per entrambi il periodo della « Convivencia », specialmente per quanto riguarda l'arco storico tra X e XII secolo ha contribuito a dare uno splendore senza pari alla cultura spagnola. Non dobbiamo infatti dimenticare che la Spagna della « Convivencia » non era un periodo di lotta costante, infatti le tre culture che ne coabitavano gli spazi, includendo anche la cultura giudaica, permisero un arricchimento
49 Castro A., Op. cit. pag. 49.
50 Madrigal Terrazas J.S., Judios, moros y cristianos. La vision teologica de Juan de
Segovia (1393-1458) acerca de las tres culturas ibericas in Christlicher Norden – Muslimischer Süden. Ansprüche und Wirklichkeiten von Christien, Juden und Muslimen auf der Iberischen Halbinsel im Hoc- und Spätmittelalter. Hg. Von
Matthias M. Tischler und Alexander Fidora, Erudiri Sapientia, Ashendorff, Frankfurt, Juli 2011. pg 489-504.
del linguaggio e della letteratura non solo filosofica, grazie ad elementi sia arabi che ebraici. Il risultato del dibattito sull'importanza della « Convivencia » tra i due studiosi sopracitati, può essere riassunto e racchiuso in questa valutazione del letterato José Jiménez Lozano:
« Credo che sia irrinunciabile questa affermazione della storia esistenziale e della nostra installazione di ora stesso nella storia, la coscienza del nostro io collettivo – riferito ai suoi connazionali spagnoli e alla coscienza di entità nazionale a loro propria – sarebbe distinta se non ci fosse stato data prima una convivenza tra queste tre nazioni o caste – la islamica, l'ebraica e la cristiana o per meglio dire la gota -, sul loro incrocio e dopo ancora sulla loro conflittualità.51»
Non dobbiamo comunque dimenticare che il lungo processo di « Reconquista » da parte dei cristiani sui territori, arabi fu lungo e duro e che nonostante episodi di collaborazioni tra le tre religioni, le difficoltà erano sempre dietro l'angolo. Durante il medioevo spagnolo non troviamo comunque una netta separazione geografica e razziale tra i cristiani ed i musulmani, troviamo infatti la categoria sociale dei
mozarabi, cristiani bilingue che vivevano in terre proprie del dominio musulmano, ed alcune volte migravano in terre cristiane, tranne come abbiamo visto con le invasioni almoravide (1090) e quella almohade (1146) con le quali si assisteva a veri e propri spostamenti di massa. Il numero di mozarabi in una data città comunque variava a seconda delle circostanze, e la loro importanza venne riconosciuta ovunque fosse presente una comunità mozarabe, proprio per la loro funzione di ponte tra la cultura cristiana e musulmana. Altro gruppo creato da questo sentimento di pacifica convivenza è quello dei « mudejares », mori che vivevano come vassalli dei re cristiani, portarori di innovazioni architettoniche, eccezionali come l'Alcázar di Siviglia o la Puerta del Sol a Toledo; questo gruppo sociale era variabile nelle stesse modalità dei mozarabi. Nel tessuto sociale della convivencia era possibile inoltre trovare altre due classi sociali: i « muladíes », cristiani che si islamizzavano ed i « tornadizos », mori che si convertivano al cristianesimo; la conversione non era un fatto molto frequente, dato che i conversi, con essa perdevano i loro beni e la loro vita diventava tutt'altro che semplice. I cristiani che abitavano nelle zone conquistate dagli arabi, potevano tenersi i propri beni, pagando una tassa, all'emiro (al emir) e più tardi al califfo (al khalifa). I mori in territori cristiani erano tollerati, però la loro situazione era sempre passibile di cambiamento a secondo
dell'avanzare della « Reconquista ». Come abbiamo affermato poco sopra il movimento dei cristiani, intenti a riconquistare i territori in mano ai musulmani, non si configurava sempre come una lotta costante tra mori e cristiani, ciò favorì l'inserimento di elementi arabi nella vita e nella cultura spagnole. Troviamo infatti dei tipici esempi di convivenza tra le due dottrine religiose, la quale si doveva proprio alla reciproca tolleranza delle confessioni cristiana e musulmana, idea che ci viene confermata dagli studi di Américo Castro52 il quale afferma l'importanza che in
questo senso anno avuto le traduzioni promesse da Alfonso X el Sabio (Toledo, 23 novembre 1221 – Siviglia, 4 aprile 1284), su argomenti riguardanti la dottrina coranica e la giurisdizione araba. L'interesse per queste traduzioni, secondo Castro, si sarebbe rafforzata, proprio per la grande espansione territoriale islamica ed il problema collegato ad essa, dei popoli sottomessi dal popolo arabo e della tolleranza di questi ultimi per le molte credenze religiose che esistevano nei loro territori. In questo senso secondo lo studioso Castro è possibile ammettere che nonostante le differenze tra le credenze musulmana e cristiana53, possa
52 Castro A., Op. cit. pag. 210.
53 Per chiarire parzialmente la differenza tra le fedi cristiana e musulmana, dobbiamo rifarci ancora alle teorie di Castro, e della sua opera nella quale egli afferma che, il cristiano crede in un mondo fermo creato da Dio e che seguiva i dogmi spirituali della sua Chiesa, che diceva al credente cosa era bene e cosa era male, che ordinava tutto il mondo in modo gerarchico e ne definiva i valori. I musulmani invece portavano tutto il peso della loro vita dentro le proprie anime. Per un musulmano, il mondo e la vita erano inseparabili tra loro, un buon credente doveva solo viverlo, con quello che capitava, cosciente semplicemente di vivere. Cfr. Castro A., Ibidem. pp. 105-180.
giustificarsi in questo mondo la tolleranza reciproca, di non solo queste confessioni, ma anche della confessione religiosa giudaica nei confronti delle altre due.
Andiamo adesso ad occuparci della terza confessione religiosa, che partecipava assieme alle altre due,a questo regime di tolleranza conosciuto come « Convivencia », la fede giudaica. Nella sua opera Castro dedica un intero capitolo alla loro situazione sociale, nella Spagna medievale54. La persecuzione degli ebrei per mano dei Visigoti, pose i
primi nella situazione di chiedere aiuto ai saraceni, i quali dopo aver steso il loro dominio in al-Andalus, migliorarono la situazione politica dei giudei, tanto da compartire con loro, già dal VIII secolo, la città di Toledo. Il rapporto tra ebrei ed arabi si ritrova particolarmente a livello culturale-letterario, poiché in molti casi i sapienti ebrei aiutavano i loro colleghi musulmani, nella stesura di alcune opere in svariati ambiti, nonostante loro stessi per primi conservassero il loro sapere nella loro lingua distinguendosi in svariati campi, come la medicina55, l'esegesi
biblica e la poesia religiosa. Il credo religioso ebraico è molto vicino a quello cristiano ed un poco a quello musulmano, ecco il loro grande vantaggio, grazie al quale anche il loro credo veniva tollerato, e reso partecipe al sentimento della « Convivencia ». Venivano accettati anche
54 Castro A., Ibidem pp. 447-555.
dai re cattolici, poiché le moschee e le comunità ebraiche pagavano un contributo a testa, di cui un decimo finiva nelle casse della Chiesa. In breve tempo divennero loro stessi i finanziatori, delle campagne militari dei cristiani, arrivando anche ad incarichi molto importanti dell'amministrazione e dell'economia statale.
È comunque difficile parlare di un concetto generale come la « Convivencia » utilizzando supporti storici, lo stesso eeminete storico della Spagna medievale Eduardo Manzano Moreno scrisse che :
« […] il concetto di convivencia non possiede alcun appoggio storico […] 56»
Ma c'è un esempio di « Convivencia » che è esemplare rispetto a tutti gli altri che possiamo trovare nella storia e quell'esempio è Toledo. Per riuscire a spiegare bene cosa fosse questo incontro di culture ed in quale misura ha influenzato la storia di Spagna dobbiamo rivolgerci a tutti gli ambiti che possono affiancare una ricerca storica, di cui possiamo disporre, e quindi analizzando la politica, l'arte e l'architettura presenti a Toledo; i quali ambiti testimoniano questo grande periodo di collaborazione e fioritura intellettuale.
56 Manzano Moreno E., Qurtuba: algunas reflexiones críticas sobre el Califato de
Córdoba y el mito de la convivencia in Awraq: Estudios sobre el mundo árabe e islámico contemporáneo, n°7, 2013, pag. 226-246 cit. pag. 235
2.2.1 La « Convivencia ». Aspetti politici.
Possiamo affermare che il senso di pacifica convivenza è sempre stato presente nelle popolazioni arabe, già fin dalla rivelazione del Corano, la successiva adesione degli Arabi alla nuova religione, la conseguente espansione musulmana, sono stati tutti passaggi che hanno portato al costituirsi di una salda ed intricata società, ben funzionante. Infatti già dalla fine del X secolo il quadro era mutato. Gran parte della popolazione era diventata musulmana, non solo si erano convertiti molti cittadini ma anche molti abitanti delle campagne. Ma non poteva esistere nell'Islam, eguaglianza tra il musulmano e il non musulmano, dova quindi essere tracciato un solco più netto tra musulmani e non musulmani, i primi infatti vivevano rispetto agli altri, sotto di un rigido sistema rituale, dottrinale e giuridico, nettamente differenziato rispetto ai non musulmani. Gli islamici, per la rivelazione e per la scelta di Allah caduta su di loro, detengono la verità e sono dunque superiori agli altri gruppi. Per cui fu definito con maggiore precisione lo status delle genti subordinate, ovvero quello dei cristiani e degli ebrei, considerati « gente del libro » poiché depositari anch'essi di una verità rivelata. Essi quindi non venivano costretti a convertirsi, ma subivano alcune restrizioni.
indossassero certi colori; non potevano sposarsi con donne musulmane; la loro testimonianza non veniva accettata nei tribunali contro quella dei Musulmani; le loro abitazioni o i loro luoghi di culto non dovevano essere appariscenti; (…) La severità con cui si applicavano queste norme variava secondo le condizioni locali, ma anche nelle migliori circostanze la posizione di una minoranza è scomoda, e gli incentivi alla conversione non mancavano.57»
Il mondo appartiene ai musulmani, che hanno tuttavia obblighi verso le comunità che posseggono una parte della rivelazione. Ma l'idolatra, il pagano può scegliere se convertirsi o sottostare a tutte le restrizioni che la maggioranza musulmana attribuisce alla minoranza pagana. Altra citazione che può aiutarci ad esemplificare questo intricato quadro politico, ci viene dal medievista Robert Mantran:
« Solo i cristiani, gli ebrei e i discepoli di Zoroastro possono essere riconosciuti come un minoranza organizzata. Ma questa attribuzione di una ben
57 Hourani A. Storia dei popoli arabi. Da Maometto ai giorni nostri. Arnoldo Mondadori Editore S.p.a., 1992, Milano. pag.50
circoscritta situazione nel mondo musulmano non cancella le distinzioni sociali. In quanto è musulmano, il credente è fondamentalmente superiore, e l'infedele non può far niente per migliorare la propria situazione, fuorché accettare l'Islam e divenire membro del gruppo dominante. Questo atteggiamento verso le « genti del Libro » non comporta alcun obbligo, da parte dei musulmani, di convertirli o sterminarli. Ciò dà all'Islam la reputazione di religione tollerante; questa reputazione è senza dubbio giustificata dal fatto che i musulmani permisero ai cristiani ed agli ebrei di praticare la loro religione; è invece ingiustificata in quanto, per l'Occidente, la tolleranza implica una situazione uguale di fronte alla legge e la partecipazione della vita politica e civile in condizioni d'eguaglianza. ».58
Si può notare quindi che la società musulmana del Medioevo comporta delle divisioni particolari: differenziazione dei gruppi religiosi in seno all'Islam; distinzione tra le nazionalità e questi aspetti limitavano rigidamente le differenze sociali, sottoponendo gli individui a una
58 Von Grunebaum G. E., Islam médieval, pp. 195-196 cit. in Mantran R., L'espansione
gerarchi professionale più o meno definita. Una prima sezione di questa gerarchia sociale da analizzare sono le genti del Libro considerate come
dhimmī (protetti); in cambio della dhimma (protezione) accordata ai
musulmani, rinunciano ad alcuni diritti ma possono conservare la loro religione e le loro usanze. La dhimma di cui godono le « genti del Libro », è da riconoscersi come un patto di protezione per il quale essi ottengono i diritti che andremo ora ad elencare: riconoscimento della loro personalità, diritto di risiedere nel territorio d'Islam; garanzie delle pubbliche libertà; godimento dei diritti privati. Diritti pubblici e privati sono conferiti loro, soltanto se si impegnano a pagare una speciale imposta la ǧizya che è secondo gli autori arabi il prezzo pagato dagli infedeli per aver salva la vita; tant'è che viene riconosciuta anche nel Corano (IX,29). Questo è il risultato del contratto di dhimma: l'imposta è personale e colpisce soltanto i protetti; ne sono esenti le donne, i bambini, gli schiavi i malati ed i pazzi. La dhimma era inoltre illimitata, tanto da passare in eredità ai discendenti dei firmatari. Ma tali limitazioni è bene specificare non hanno impedito ai non musulmani, l'accesso a importanti posti nell'amministrazione statale59.
Questa « tolleranza » necessaria però non fermò la mentalità musulmana nel credere che i dhimmi fossero di condizione inferiore in seno alla
59 Fattal A., Le statut légal des non-musulmans, Beyrouth, Imprimeire catholique, 1958, riedizione coll. Recherches, Dar El-Machreq, Beyrouth, 1995.
società creata dagli arabi, tant'è che il disprezzo provato verso di loro, non fu estraneo alla segregazione nelle città, nelle quali ogni gruppo religioso occupava il proprio quartiere. La presa di Toledo da parte di Alfonso VI (Santiago de Compostela, 1043 – Toledo, 30 giugno 1109) portò la società toledana a modificare i rapporti fra i differenti gruppi etnici presenti nella città. La popolazione islamica (mudejares) fu lasciata libera di scegliere se restare nei domini 'cristiani', mantenendo i propri possedimenti e la possibilità di esercitare la propria fede. Veniva, però loro imposto di pagare una tassa già precedentemente dovuta dai membri delle religioni diverse da quella ufficiale dei dominatori. Accordi separati ma non dissimili, vennero presi con gli ebrei. Le loro vite, beni e libero esercizio della fede furono salvaguardati, sempre con la condizione dell'obbligo del pagamento della tassa annuale. La comunità mantenne la proprietà ed il libero uso delle sinagoghe.
«Questa condizione di protezione perdurò oltre la prima fase della dominazione 'cristiana'. Ciò favorì la crescita numerica della comunità giudaica in seguito alla immigrazione dei territori andalusi, che si trovavano sotto il regime intollerante degli Almohadi.».60
60 Rovida M.A. Città e architettura tra islam e cristianesimo nell'europa
mediterranea. Palermo, Toledo, Cordova e Siviglia nel Medioevo. Edizioni ETS,
2.2.2 La « Convivencia ». Aspetti urbanistici.
In realtà il quadro politico-sociale che si viene a creare con la « Reconquista » di Toledo non si risolse con un semplice scambio di ruoli fra vincitori e vinti. Alfonso VI si attribuì il titolo di « Rey de las dos
religiones », mostrando di voler intraprendere una politica di
conciliazione fra le due principali etnie61. Ulteriore fattore che arricchiva
il quadro politico e sociale che si veniva delineando, era costituito dalla particolare articolazione della componente cristiana: suddivisa da un lato nella maggioranza indigena, dei mozarabi, e, da altro lato, nella minoranza di coloni conquistatori, di origine castigliana e francese. I due gruppi si differenziavano sia sul piano culturale, sia su quello confessionale. I mozarabi, infatti, si attenevano all'antico rito ispanico-visigoto; i nuovi arrivati alla liturgia latina, in stretta aderenza con i dettami della chiesa di Roma. Questo portò ad un ridimensionamento sul piano religioso della politica di conciliazione della compagine musulmana, infatti dopo solo qualche mese dalla presa di Toledo la Moschea Maggiore divenne la cattedrale dedicata alla Vergine Maria. Questo episodio segno un fallimento nella politica attuata da Alfonso VI. Nella fattispecie una gran parte della popolazione musulmana abbandonò la città, per cui si verificò una calo della popolazione urbana.
61 La comunità giudaica, evidentemente, veniva percepita come una entità a sé stante, la convivenza con la quale non costituiva esperienza nuova.
« I documenti permettono di individuare la presenza di musulmani nella Toledo cristiana in percentuale non esattamente quantificabile, ma bassissima, per la maggior parte ' liberti'(...) frammisti al resto della popolazione.».62
Utile per lo sviluppo di questo paragrafo è una breve parentesi sulla descrizione della Toledo del XII secolo, per poi trarne delle conclusioni preliminari, (a quelle dell'intero elaborato) di stampo sociologico., per dare espressione, almeno sulla carta di come fosse organizzata la vita delle genti che all'epoca abitavano Toledo. Innanzitutto c'è da dire che la corona di Castiglia al tempo della conquista di Toledo era una monarchia forte, dotata di molti mezzi operativi, tra cui ottimi organi amministrativi, giudiziari e militari adatti ad instaurare e mantenere un buon controllo politico. La politica militare di Alfonso IV si esprimeva attraverso la presa di possesso e l'organizzazione dei territori conquistati stabilendo una rete difensiva e amministrativa, i cui centri fondamentali erano le città.
« Nelle città fortificate – non più solo centri di ospitalità, ma città-fortezze, città di pastori e di cacciatori di bottino
,o, più a sud, città di buoni commerci e di industrie -, il re vegliava sulla spartizione delle spoglie; stava attento a ricompensare i suoi capitani, i diversi corpi dell'esercito, gli ordini militari e le altre comunità religiose, e anche i contadini, attirati dalla repoblacion. Il che, naturalmente provocò una suddivisione dello spazio urbano in quartieri, anche qui ben separati gli uni dagli altri: non più città doppie ma città pluricellulari.63».
Toledo risponde appieno a questa descrizione, configurandosi oltre che come città militare anche come città vescovile « fortalezas y templos64»,
città di questo tipo divennero vere e proprie cittadelle, opportunatamente studiate mano a mano che la « Reconquista » prendeva sempre più piede, infatti spesso Alfonso IV (Napoli, 2 novembre 1299 – Barcellona, 24 gennaio 1336) e i suoi successori, arricchirono le città conquistate di nuove cinta murarie, così come accadde a Toledo, sebbene essa partisse avvantaggiata, come ci dice la storica dell'architettura Maria Antonietta Rovida, per :
« (...) la sua posizione naturale, arroccata su di un ansa
63 Heers J., La città nel medioevo in Occidente, Editoriale Jaca Book S.p.a., 1995, Milano, pg.85
del fiume Tago che la circonda da tre lati, aveva fatto si che la cerchia muraria fosse particolarmente sviluppata nel lato settentrionale; (…). Le mura del periodo islamico, (…) furono oggetto di rifacimenti per iniziativa di Alfonso VI nel 1100 (…).»65
Come possiamo vedere nella mappa (fig.1) che rappresenta la Toledo del XII secolo la cattedrale, possiede un ruolo centrale nell'urbanistica della città, infatti verrà presa adesso come il punto di riferimento da cui irradieremo la nostra descrizione della Toledo medievale, aiutandoci con la documentazione dello studioso Angél González Palencia.66
Al lato destro della cattedrale troviamo il barrio de los Herbolarios e subito adiacente ad esso iniziava el Arrebal de los Francos, i franchi erano anch'essi una delle componenti predominanti nel tessuto sociale toledano dell' epoca, come vedremo più avanti. In questo quartiere visse il nucleo musulmano, fino alla riconquista cristiana della città, e per merito di Alfonso VI donato ai Franchi che vennero in suo aiuto. Questo era il centro economico della città, vi si incontravano molti tipi di botteghe, vasai, droghieri, macellai, esattori, quasi tutti nel fondo di loro
65 Rovida M. A., Op. cit. pag.
66 Gonzáles Palencia Á., Toledo en los siglos XII y XIII. Conferencia pronunciada en
la Sociedad Geográfica Nacional el día 19 de Deciembre de 1932, por el Vocal de la Junta Directiva de la misma, Publicaciones de la Sociedad Geográfica Nacional,
Serie B n°25, mprenta del P. df. H. de Intendencia e Intervención Militares Caracas, número 7, 1993, Madrid.
proprietà. Sempre in questa zona troviamo il barrio de San Juan, conosciuto come il quartiere degli orafi, infatti la via che lo attraversa è oggi stata rinominata come calle de la Plata67, scendendo poi verso
sinistra troviamo il quartiere Alcanà68, che si affaccia di fronte alla
cattedrale, conosciuto per la citazione fattane da Miguel de Cervantes (Alcalá de Henares, 29 settembre 1547 – Madrid, 22 aprile 1616) nel suo
Don Chisciotte69. Altro quartiere di Toledo che stava cominciando a
prendere importanza nel XII secolo è il quartiere del Zocodover, l'antico mercato dei buoi trasformato dopo la conquista cristiana come mercato del grano. L'Alcázar era invece il quartiere che i re cristiani presero come punto strategico, in quanto punto più alto della città, per costruire la loro fortezza personale. Questi ultimi due luoghi sono divisi come è possibile vedere dalla mappa dal barrio del Rey altro quartiere molto importante70.
I quartieri nominati fino adesso sono i poli della città legati alla gestione del potere, ed erano inoltre quella con la percentuale di cosmopolitismo più alta, perché in essa vivevano: cristiani, mozarabi, franchi e mori. In primo luogo comunque la predominanza era di mozarabi. Con il termine mozarabe si intende il cristiano che vive in territori conquistati dai musulmani, e che si accosta alla cultura araba, tanto da assimilarne la
67 In spagnolo plata significa argento. 68 In arabo Alcanà significa bazar, mercato.
69 Mentre io un giorno stavo nell'Alcanà di Toledo, venne un ragazzo a vendere scartafacci e carte vecchie a un mercante di seta (…) in Cervantes d.M.S., Don
Chisciotte della Mancia. Vol I, Garzanti Editore s.p.a Milano, aprile 2012. pag.63
maggior parte delle caratteristiche. Come abbiamo già detto in più di un occasione la dominazione politica esercitata dai musulmani, era tollerate nei confronti dei popoli a loro diversi, in particolare in materia di credo religioso, ma trovando dei compromessi essi riuscirono a vivere in pace:, tollerandosi a vicenda. Altro nucleo di importanza rilevante nella politica medievale toledana erano i franchi, essi erano coloro che risposero alla richiesta d'aiuto di Alfonso VI, per l'inizio della « Reconquista ». Ma con il termine franco non si deve intendere un uomo che veniva dalla Francia, in questo gruppo sociale:
« Vi si trovavano dei lombardi d'Italia e dei tedeschi, e anche pellegrini e coloni delle isole britanniche che facevano il viaggio per mare (…) 71 »
Terza tipologia di popolazione che abitava i quartieri sopra nominati era il gruppo dei mori, i quali dopo la « Reconquista » erano la razza che meno influenzava il tessuto sociale, i mori a Toledo non erano di grande rilievo. Essi vivevano mescolati ai cristiani e la maggior parti di loro erano liberti, per conversione al cristianesimo o per riscatto, molti di loro erano operai in varie attività lavorative72.
71 Heers J., Op. cit. pag 83
Il quarto gruppo predominante a Toledo nel XII secolo erano gli ebrei. Da un punto di vista urbanistico è interessante notare la posizione che in città avevano gli ebrei. Mentre le altre componenti sociali condividevano gli stessi spazi, in cui vivere, le piazze, le vie, i luoghi di culti vicini tra di loro; gli ebrei no, essi avevano un loro quartiere detto Judería, nel quale abitavano loro e loro soltanto, andrò adesso a spiegarmi meglio analizzando il suddetto quartiere. La judería occupava un decimo della parte della città all'interno delle mura, e prendeva lo spazio del quartiere di San Martino, tra la porta del Cambròn e del fiume Tago. Il luogo fu assegnato dagli arabi dopo la loro conquista di Toledo; e nel 920 furono innalzate la mura, di questa parte della città per proteggere gli ebrei. Le limitazioni della judería per la parte interna, crescevano mano a meno, seguendo l' aumento demografico degli abitanti, in modo da stabilire i limiti e le separazioni tra il quartiere ebreo e quello cristiano. Gli ebrei non erano comunque obbligati a vivere dentro la judería; di fatto, i documenti constatano molte attività economiche ebraiche al di fuori del perimetro a loro destinato, motivo per il quale si pensa che esistesse un altro piccolo quartiere ebraico vicino alla cattedrale. Corrispondenti alla crescita demografica sono la creazione di quartieri nel quartiere stesso, che differenziavano gli ebrei per diversità sociale tra di loro così come la loro idiosincrasia organizzativa. La judería può essere descritta come un
agglomerato urbano di muri e piccole viuzze, chiuse da portoni, con vie e passaggi radiali attraverso i quali i differenti quartieri della judería e quelli al di fuori comunicavano tra loro. Il più importante quartiere era detto la judería primitiva o madinat al-yahud (Città degli Ebrei) assegnata a loro dagli arabi. E il centro dal quale si è progressivamente sviluppato tutto il barrío73. Il barrio judío di Toledo si strutturava tramite
due spazi ben individualizzabili, e conosciuti col nome di arrabal
superior, o exterior, o alto, un quartiere separato dal resto della judería e
l'altro come Arrabal mas grande de los judíos74. In un testo dello storico
Pedro López de Ayala75, dove l'autore narra le lotte per il potere tra il re
Pietro I e il fratello Enrico, egli ci riferisce che a Toledo una judería
apartada venne distrutta nel 1355, dalle truppe di Enrico, ma che la Judería Mayor « che era chiusa e con molta gente dentro » resistette. A
causa di una lettura sbagliata del testo di Ayala, si ebbe inizialmente un po' di confusione, tra Alacaua e Alcanà, come nomi col quale la zona del quartiere superiore veniva chiamata; difficoltà ad oggi superata grazie alla testimonianza di Pilar León Tello76, il quale affermò che la judería
73 Gonzáles Palencia Á., Los mozarabes de Toledo en los siglos XII y XIII. Volumen
preleminar. Estudio e Indices., Instituto de Valencia de D.Juan, Madrid, 1930. pp.
74-77.
74 Passini J., La Alcava, barrio alto de la judería de Toledo in Madrider Mitteilungen, 50, 2009.
75 López de Ayala P., Crónica del rey Don Pedro y del Rey Don Enrique, su Hermano,
hijos del Rey Don Alfonso Onceno, (Buenos Aires MCMXCIV). Il testo utilizzato lo
cita Molénat J.P, Quartieres et communautés à Tolède (XIIe-XVe siècles), in España
Medieval, 2, Madrid, 1989. pp 169-178.
separada veniva collocata sulla collina del Alcava77.
Toledanas, Anales Toledanos XIV, 1983, pp. 37-57.
77 « Lo spazio denominato Alacava è una zona morfologica collocata su di una collina che si sviluppa in direzione sud-nord. I suoi fianchi sud, nord, ed ovest, scendono dalla cima con rapida pendenza, il primo vero il fiume Tago, gli altri due verso la Vega; ad est, la collina scende dolcemente verso Valdecaleros. […]. » in Passini J.,
Illustrazione I: Gonzáles Palencia Á.,., Los mozarabes de Toledo en los siglos XII y XIII. Volumen preleminar. Estudio e Indices., Instituto de Valencia de D.Juan, Madrid, 1930. pp. 56-57.
2.2.3 La « Convivencia ». Aspetti filosofici
Fino adesso abbiamo calato in un contesto storico politico quella che Toledo era tra i secoli X e XII. Mi è parso utile affrontare questi argomenti, per avere più chiaro, anche con l'aiuto di un punto di vista più sociologico che filosofico, da cosa è derivato il primato di Toledo come centro di traduzioni e cosa ha spinto, tante figure che andremmo a studiare ed esplicare nel prossimo capitolo, a far parte di quel movimento che è la « Scuola dei traduttori ». Come abbiamo visto Toledo era organizzata a tal punto che i credenti delle tre religioni si intersecavano perfettamente tra di loro per mandare avanti e far sviluppare anche economicamente una città che aveva in potenza, molte chance, per diventare un grande centro urbano su tutti i fronti. Importanti a questo livello sono sempre stati gli ebrei che sono la costante di questo grande movimento della falsafa occidentale. Già loro in al-Andalus cominciarono a portare la filosofia ad alti livelli, grazie all'arrivò dell'Islam che miglioro la loro condizione politica, seppure con delle piccole restrizioni a livello sociale. Anche se questo non impedì loro di occupare posti di rilievo nell'amministrazione statale. E così è stato anche a Toledo, dove la manodopera e l'intellettualità giudaica, furono utili mezzi per lo sviluppo del movimento delle traduzioni. Secondo Burnett tre sono le ragioni che ci spingono a vedere Toledo come prominente
centro per le traduzioni dall'arabo al latino e come centro di cultura in generale. Primo fra tutti il misto di lingue presenti nell'area della città; infatti quando Alfonso VI, conquistò Toledo nel 1085, la città capitolò senza spargimenti di sangue e i suoi abitanti permisero ai vincitori di rimanere lasciando loro i loro possedimenti e i loro privilegi. Quando Alfonso si dichiarò « re delle due religioni » l'élite islamica emigrò, mentre i cittadini delle classi più povere rimasero e si convertirono al Cristianesimo, in un numero molto cospicuo. Per quanto riguarda gli ebrei essi rimasero in città, vivendo la loro vita come al solito nel loro quartiere. Ma l'elemento più significante di questa società erano i mozarabi, i quali preservavano la liturgia della chiesa visigota ed il quale numero aumento dopo le conversioni, con la conquista cristiana della città. La maggior parte della popolazione perciò parlava più di un lingua: l' arabo, che era la lingua della religione e della cultura, ed il dialetto romanzo proprio della zona di Toledo. Il secondo fattore fondamentale allo sviluppo di Toledo fu la preminenza come centro di studi scientifico già dapprima della conquista di Alfonso. Infatti nella Spagna islamica dopo la rottura col califfato di Cordova nel 1031, il regno di Toledo comandato da Banu Nun, era conosciuto come centro di cultura solo da Saragozza. Il cadi di Toledo, Şāid 'al-Andalusi, scrisse una storia della scienza, ed altre ricerche scientifiche, che spaziavano da
tavole astronomiche e altri lavori pratici riguardo le scienze delle cielo e delle stelle. La partenza dell'élite islamica probabilmente stroncò questi interessi sul nascere, ma fortunatamente abbiamo delle testimonianze di tali studi, grazie ai futuri studiosi della scuola di Toledo, primo fra tutti Gerardo da Cremona, il quale come vedremo all'inizio della sua carriera, fu spinto a Toledo con la certezza di trovarvi l'Almagesto.78 Dal
punto di vista cronologico a Toledo possiamo trovare due generazioni di studiosi, sui quali basare i metodi utilizzati ed i campi di attività che troviamo a Toledo nel XII secolo. A fare dai capi ai due momenti principali della scuola di Toledo sono: per la prima generazione Domenico Gundisalvi e per la seconda Gerardo Da Cremona. Prima di passare in rassegna però questi due periodi dobbiamo fare chiarezza su quelli che erano innanzitutto i metodi utilizzati dai traduttori toledani dell'alto medioevo. Oggigiorno grazie alla formazione tecnica che possiedono gli eruditi per la traduzione di un testo: troviamo una sola persona che decifra il testo che lo traduce e poi lo trascrive. Nell'Alto medioevo il meccanismo per la traduzione era un po' più complicato, in quanto si basava su tre operazioni: lettura del testo, traduzione e trascrizione. Le opere da tradurre privano venivano lette da un
78 Burnett C., The coherence of th Arabic-Latin translation program in Toledo in the
twelfth century in Arabic into Latin in the Middle Ages: the translators and their intellectual and social context Ashgate Publishing Limited, TJ International Ltd,
addetto, che passava le informazioni estrapolate dal testo, leggendolo ad alta voce e simultaneamente traducendo dall'arabo al volgare79, ad un
traduttore di origini latine che resettava dal punto di vista sintattico, la traduzione in forma scritta, per renderla fluida agli occhi del lettore. Questo procedimento ha portato alcune opere a presentare piccoli errori di traduzione. La tesi che sostiene l'utilizzo del volgare, è un espediente che sorregge la diffusa credenza di quegli studiosi che argomentano come i due dotti coinvolti nel processo di traduzione, ignorassero l'uno la lingua dell'altro. Questa tesi è però ad oggi respinta, come riportatoci da Simon Van Riet:
« (...) in un ambiente come quello di Toledo, stando a ciò che i documenti della seconda metà del XII secolo rivelano sulla coesistenza di diversi gruppi etnici e sui conseguenti contatti
79 Ancora oggi gli studiosi non sono arrivato ad una conclusione riguardo a quale fosse il vernacolo volgare utilizzato in questa operazione di traduzione. Ovvero non siamo ancora arrivati a comprendere se essa fosse un latino semplice che apparteneva al popolo o se fosse un'altra lingua romanza. Di questi studi ne parla lo studioso Lorenzo Minio-Paluello nella sua opera Aristotele dal mondo arabo; egli descrive quanto segue: Il caso estremo di traduzioni condotte sistematicamente, passo a passo, attraverso una lingua intermedia volgare è, c'è da sospettare, l'eccezione non la regola. Non c'è ragione di spezzare in due la personalità di ogni traduttore, o di creare collegi di due nazionalità e tre lingue, organizzati o meno da arcivescovi. In mancanza di testimonianze esterne sicure, o di risultati precisi d'analisi linguistiche delle singole traduzioni, bisognerà accontentarsi di attribuire ad ogni singolo lavoro a una singola persona, e di attribuire a lui l'iniziativa del suo lavoro in L. Minio-Paluello, Aristotele nel mondo arabo a quello latino, in L'Occidente e l'Islam
nell'Alto Medioevo, I-II, Centro Italiano di Studi sull'Alto medioevo, Spoleto 1965,
linguistici, affermazioni così nette – in altri termini che i due dotti traduttori ignorassero i rispettivi idiomi culturali – vanno certamente incontro a serie riserve80.»
È stato poi Charles Burnett, ad asserire la teoria secondo la quale, si pensa che il lavoro di traduzione non fosse poi difficoltoso a livello linguistico nella forma orale, ma bensì che gli autori latini, trovavano difficoltà nell'interpretare la forma scritta della lingua araba, poiché i testi erano spesso privi di segni diacritici81. In compresenza alla traduzione a
due mani, anche la traduzione individuale era esercitata a Toledo, infatti è sbagliatissimo ritenere, che esse si sono susseguite a livello cronologico, anzi sono state sempre presenti e si alternavano l'una all'altra negli ambienti di ricerca, uno degli esempi di maggiore familiarità con la traduzione individuale è da riscontrare nella figura di Ugo di Santalla82, le quali traduzioni non sono letterali secondo la norma
80 Van Riet S., Avicenna Latinus. Liber de Anima seu Sextus de Naturalibus, ed.critica di S. Van Riet, introduzione di G. Verbke, Peeters – Brill, Louvain – Leiden 1972 pag. 98
81 Burnett C., Some Comments on the Translatin of Works from Arabic into Latin in the
Mid-Twelfth Century, in A. Zimmermann e I. Craemer-Ruegenberg (a cura di), Orientalische Kultur und europäisches Mittelalter, de Gruyter, Berlin- NewYork
1985 pag. 166.
82 Ugo di Santalla fu un astronomo e astrologo della prima metà del XII secolo, era di origine spagnola, si presume venisse dal nord della penisola. Abbiamo ben poche notizie sulla sua biografia, ma siamo a conoscenza che come la maggior parte dei traduttori del periodo fosse un chierico.
medievale, ma mostrano una certa libertà che si concretizza in rifacimenti aggiunte ed omissioni di suo pugno; egli però ci parla della difficoltà riscontrata nel tradurre dall'arabo, rendendo quindi esplicita una sua conoscenza più o meno profonda nella forma scritta di quella lingua.83 A Toledo era normale che le opere venissero tradotte in regime
di collaborazione tra più persone, infatti come vedremo adesso le due principali figure di questo movimento, mai hanno lavorato da sole ma si sono sempre appoggiati ad altri, pur mantenendo ognuno la propria originalità.