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3. ANALISI TEORICA DELL’EFFLUSSO RADIALE ALL’INTERNO DEL BERNOULLI GRIPPER

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3. ANALISI TEORICA DELL’EFFLUSSO RADIALE ALL’INTERNO

DEL BERNOULLI GRIPPER

3.1

Condizioni ideali di efflusso all’interno del condotto radiale

Come descritto nei precedenti Capp, analisi preliminari sull’efflusso radiale all’interno del Bernoulli gripper sono state condotte (Par. 2.1, [19]) partendo dalle ipotesi di fluido incomprimibile in moto stazionario isotermo non dissipativo (cioè reversibile). Sotto tali ipotesi, la zona ad efflusso radiale caratterizzata dal meato, di altezza h, delimitato dalla superficie inferiore del piattello e quella di presa può essere modellata come l’ugello assialsimmetrico divergente di Fig. 3.1, di lunghezza l = (ro - ri) , avente area di passaggio iniziale Ai = 2 πrih, area di passaggio finale Ao = 2πroh e coefficiente angolare m della generatrice della superficie del condotto costante e pari a

.

Per le geometrie comunemente adottate nella pratica, i valori assunti da m risultano compresi nell’intervallo 0,06÷0,4 (3° ≤ α ≤ 20°).

Figura 3.1. Sistema aperto, costituito da un ugello assialsimmetrico che si sviluppa tra la sezione di ingresso Ai e la sezione di uscita Ao , ad altezza y(r) costante, entro cui scorre un

fluido incomprimibile in moto stazionario isotermo reversibile.

Le linee di flusso, in virtù del piccolo angolo di inclinazione, possono essere approssimate come quasi-parallele. Ciò consente di assumere che velocità e pressione siano costanti lungo la generica sezione del condotto definita da un versore normale uscente parallelo e concorde a

r.

Il bilancio energetico lungo il condotto si può ridurre a quello dell’energie meccanica e di pressione per unità di peso, che risulta essere proprio l’equazione di Bernoulli generalizzata:

(2)

62 rappresenta la pressione lungo il raggio, in [Pa];

indica la densità del fluido, costante per ipotesi lungo il raggio, in [ ];

u(r) è la velocità del flusso lungo il raggio in [ ];

g è l’accelerazione gravitazionale, rappresentata da un vettore avente direzione secondo z,

verso ad esso opposto e modulo pari a |g|= 9,81 ;

y(r) è la quota geodetica della mezzeria dell’efflusso radiale, al variare di r, espressa in [ ]. Si può ragionevolmente ipotizzare che la sua variazione lungo il piattello sia nulla.

3.2

Descrizione dei fenomeni che si sviluppano all’interno del Bernoulli

gripper

Volendo studiare più approfonditamente il problema, si deve però considerare che il comportamento reale, all’interno del meato formato tra il piattello del gripper e la superficie in presa, può discostarsi notevolmente da quello ideale sopra visto, in quanto la geometria assunta dal condotto nella zona di passaggio tra le porzioni verticale e radiale influenza l’andamento delle linee di flusso subito a valle di essa.

Tale influenza può essere illustrata più semplicemente sviluppando l’intero gripper lungo un unico asse rettilineo, come fatto precedentemente per la sola porzione radiale, ottenendo così il modello rappresentato di seguito in Figura 3.2.

Figura 3.2. Rappresentazione del Bernoulli gripper secondo un modello fisico assialsimmetrico sviluppato lungo un unico asse rettilineo. Il condotto verticale è modellato

tramite una camera di ristagno, mentre il condotto radiale è costituito da un ugello divergente.

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63 Il condotto verticale a monte del piattello, grazie al suo volume, in genere sufficientemente grande, ed alla sua conformazione geometrica, può essere considerato come una camera all’interno della quale l’aria compressa ristagna uniformando la propria pressione.

La sezione i di interfaccia tra il condotto verticale ed il piattello, non essendo raccordata e ben conformata ma variando bruscamente secondo uno spigolo vivo, viene modellata come una parete piana nella quale è ricavato un foro di passaggio.

Effluendo attraverso una geometria di questo tipo, il diametro del getto uscente dalla camera di ristagno, Dj, risulterà sempre minore del diametro di inizio del condotto divergente, Di = 2ri. Questo fenomeno, detto effetto vena contracta, è il risultato dell’incapacità, da parte del fluido, di seguire l’andamento della superficie in corrispondenza dello spigolo della sezione i ed è strettamente dipendente dalla particolare geometria assunta dalla sezione stessa: tale dipendenza è, generalmente, quantificata tramite un parametro adimensionale di origine sperimentale, il coefficiente di Contrazione, definito dal rapporto Cc = Aj/Ai, dove Aj e Ai sono, rispettivamente, le aree in corrispondenza della vena contracta e del foro.

E’ stato individuato analiticamente [40] il valore minimo del numero di Reynolds locale per ottenere il distacco della vena fluida:

Nella parte iniziale del condotto divergente, la curvatura assunta dalle linee di flusso comporta che l’andamento della pressione non sia costante sulla sezione di passaggio. In linea puramente teorica, servirebbe un gradiente di pressione infinito per consentire al flusso di seguire perfettamente lo spigolo vivo d’interfaccia. In relazione alla lunghezza delle singole linee di flusso, la pressione maggiore si riscontrerà proprio sull’asse di simmetria, dove la linea di flusso, essendo rettilinea, risulta più corta, mentre quella minore sarà in corrispondenza della linea di flusso più lunga, cioè quella a curvatura maggiore prossima al bordo del getto.

Ovviamente, neppure il profilo di velocità potrà essere costante lungo la generica sezione di passaggio del flusso, escludendo la sezione in cui le linee di flusso hanno tangente parallela all’asse (linea tratteggiata in rosso in Fig. 3.2), ovvero quella di gola della vena contracta. Il fenomeno della vena contracta si estingue in corrispondenza di un particolare valore del raggio, detto reattachment radius, rR ([20], [21]), oltre il quale il flusso è considerabile come pienamente sviluppato. Essendo lo sviluppo della vena contracta ed i complessi fenomeni che avvengono al suo interno ancora non completamente noti, se non per casi particolari, anche il valore di rR non sarà valutabile teoricamente ma stimabile in base a dati sperimentali o a simulazioni numeriche ([20], [21]). A puro titolo di esempio, si ha ([20], [21]):

Oltre rR, nel tratto finale del condotto, il moto del fluido può mantenersi in un unico regime di moto fino alla sezione di uscita oppure subire una transizione: il verificarsi di un

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64 comportamento piuttosto che dell’altro dipende esclusivamente dalle condizioni relative al campo di velocità e all’altezza del meato che caratterizzano il singolo problema.

Una volta descritto complessivamente il fenomeno dell’efflusso lungo il condotto verticale-radiale di un Bernoulli gripper, è possibile tornare ad un modello del solo condotto verticale-radiale, per valutare i complessi effetti che possono verificarsi all’interno del meato che si instaura tra il piattello del gripper stesso e la superficie di presa.

Figura 3.3. Linee di flusso (a) e distribuzione della pressione (b) di un fluido che scorre all’interno di un condotto a geometria assialsimmetrica, costituito da una porzione verticale

ed una radiale collegate da uno spigolo vivo.

In a) il reattachment radius, rR è indicato con (R). In b) si osservano le cadute di pressione concentrata in (2) e distribuita(data dalla differenza tra le curve tratteggiata e continua del

tratto r2-r3).

Con riferimento alla Fig. 3.3, la vena contracta, che si genera per effetto del cambio di direzione del flusso d’aria compressa, funge praticamente da sezione di gola di un condotto convergente-divergente. In corrispondenza di tale sezione, soprattutto all’aumentare della portata massica, possono raggiungersi le condizioni critiche per l’insorgere di un regime di moto turbolento. In tal caso, lo strato limite turbolento che, nella parte iniziale dell’efflusso radiale, aumenta di spessore nella zona comprimibile (se non addirittura sonica o supersonica) fino a divenire pienamente sviluppato per un valore del raggio r > rR, si può trasformare successivamente, in corrispondenza di un raggio r2’1 compreso tra rR e r3, in un flusso

1

Si osserva che, nella realtà, la transizione da moto turbolento a laminare, qualora avvenisse, si realizza non in corrispondenza di una precisa sezione, ma gradualmente in una zona, detta appunto zona di transizione, che può essere più o meno ampia a seconda delle circostanze. Gli strumenti matematici utilizzati non consentono di

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65 pienamente sviluppato in regime di moto laminare che si mantiene tale fino alla sezione di uscita.

Nel caso in cui, invece, nella sezione di gola della vena contracta non si raggiungano le condizioni per l’instaurarsi di un moto turbolento, il flusso si mantiene in regime laminare pienamente sviluppato per r > rR e tale rimane fino all’uscita.

Per illustrare ciò si prenda a riferimento il grafico di Fig. 3.4 che riporta, in ordinate, il Numero di Mach, Ma e , in ascisse, il Numero di Reynolds, Re . Mentre il primo parametro, essendo definito dal rapporto tra velocità del fluido e velocità di propagazione del suono nello stesso mezzo, dipende solo dalla velocità e dalla temperatura del fluido stesso, il secondo, rapporto in cui il numeratore è costituito dal prodotto di una dimensione di riferimento per la velocità del flusso e il denominatore dalla viscosità cinetica, dipende, oltre che dalle caratteristiche del fluido, anche dalla geometria del problema. In tale grafico, quindi, un punto qualifica lo stato di un fluido in ogni istante del suo moto di efflusso attraverso un particolare condotto. Le zone di transizione tra fluido incomprimibile e comprimibile e tra flusso laminare e turbolento, individuate, rispettivamente, dal raggiungimento di Ma ≈ 0,3 e Re = 2000÷4000, suddividono il piano in quattro quadranti, contraddistinti da numeri romani. Tali quadranti definiscono tutti i possibili stati in cui può trovarsi un fluido in moto per cui, a livello esplicativo, è possibile collocare al loro interno le formule sviluppate in letteratura e, successivamente, l’analisi teorica proposta.

Figura 3.4. Grafico M-Re, il quale definisce le quattro zone che caratterizzano ogni possibile stato del fluido in moto in un condotto.

considerare questa zona di estinzione come estesa ma impongono di approssimarla ad un raggio preciso, rappresentato proprio da r2’.

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66 I quadrante: un fluido viscoso si trova in moto laminare a velocità sufficientemente

bassa da renderlo approssimabile come incomprimibile.

Una trattazione, realizzata da Roura et al. [28], evidenzia gli effetti sull’andamento dei pressione che hanno le perdite distribuite, distinguendole tra un termine inerziale(effetto Bernoulli) ed uno viscoso:

Per questo, tale formula spazia anche all’interno del II quadrante.

II quadrante: mantenendo sempre Ma<0,3, elevati valori del parametro dimensionale di riferimento per il condotto possono produrre un flusso in regime di moto turbolento. All’interno di tale quadrante si definiscono le condizioni entro cui valgono due diverse trattazioni. La prima è effettuata da Welanetz et al. [33] , il quale aggiunge all’andamento della pressione lungo il raggio secondo il principio di Bernoulli le perdite di carico secondo la formula seguente:

Uno secondo studio che opera in condizioni turbolente è quello effettuato da Waltham et al. [36], il quale ha cercato di riprodurre il fenomeno in condizioni sperimentali vicine alle reali.

La formula ottenuta considera il fluido sia incomprimibile che comprimibile, per cui tale trattazione indaga non solo il II ma anche il IV quadrante:

III quadrante: il fluido si trova nello stesso regime di moto del quadrante I ma non può essere più approssimato come incomprimibile in quanto si è superata la soglia

Ma≈0,3.

IV quadrante: flusso in regime turbolento di un fluido comprimibile.

In particolare, se all’interno di questi ultimi due quadranti la velocità del fluido in moto eguaglia o supera quella del suono, il fluido sarà in condizioni soniche o supersoniche.

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67 Per la descrizione delle relazioni (3.2), (3.3) e (3.4) e per il significato dei simboli che vi compaiono si rimanda al Cap. 2, Par. 2.1, dove vengono presentate. Si osserva che, delle formule riportate in tale paragrafo, è stato scelto di collocare all’interno del diagramma

Ma-Re di Fig. 3.4 e di confrontare reciprocamente solo quelle che realizzano una trattazione di

tipo generale del fenomeno considerato. In particolare, le formule (2.4) e (2.5) del Cap. 2, Par. 2.1, tratte dagli studi di Moller ([20], [21]), sebbene risultassero abbastanza rispondenti al comportamento reale del flusso, sono state escluse perché, essendo di natura sperimentale, dipendono fortemente da coefficienti empirici da valutare per la particolare casistica in analisi.

Le transizioni sopra descritte tra flusso in condizioni comprimibili-incomprimibili e moto turbolento-laminare comportano inevitabilmente un incremento di complessità nel modello matematico che vuole descrivere il fenomeno fisico.

In particolar modo, nella zona comprimibile non possono essere più valide le ipotesi di conservazione della portata volumica e di efflusso isotermo.

Un’ulteriore complicazione del modello deriva poi dal fatto che l’efflusso reale sarà ovviamente affetto da perdite, sia distribuite lungo il condotto radiale che concentrate. Quest’ultime sono essenzialmente dovute ad effetti d’inerzia del fluido in corrispondenza della sezione (1) di Fig. 3.3: ciò è verificato in virtù delle relativamente grandi accelerazioni e decelerazioni che il fluido subisce quando attraversa curve strette a sezione variabile. Solo una piccola porzione di tale caduta di pressione è, invece, dovuta alle azioni di taglio alla parete.

Le perdite distribuite sono invece dovute prevalentemente alla dissipazione viscosa. Inizialmente il fluido, non potendo cambiare direzione secondo un angolo retto, si distacca dalla parete raggiungendo così, in corrispondenza della minore sezione effettiva di passaggio in (2), la velocità massima. In tale sezione si ottiene quindi la depressione maggiore. Successivamente, il fluido rallenta fino alla velocità u3 ma, per effetto delle dissipazioni viscose, parte dell’Energia cinetica posseduta in (2) è persa e, di conseguenza, la pressione non torna al valore ideale. A parità dello stato di finitura superficiale delle pareti di delimitazione del condotto, tali perdite sono perciò influenzate pesantemente dal regime di moto del fluido.

3.3. Formulazione teorica della distribuzione di pressione lungo il meato

3.3.1 Ipotesi preliminari

Volendo ottenere un quadro completo del comportamento del sistema in esame in funzione della comprimibilità o meno del fluido e del suo tipo di efflusso, da cui partire successivamente per un confronto volto a selezionare le formulazioni che descrivano meglio l’evolversi del fenomeno nelle condizioni pratiche applicative, l’analisi teorica di seguito presentata si pone l’obiettivo di determinare una formula che rappresenti, con buona

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68 accuratezza, l’andamento della pressione all’interno del meato ipotizzando il fluido come comprimibile ma senza porre alcuna ipotesi preliminare riguardo al regime di moto da esso assunto. Per quanto detto, tale trattazione si muoverà quindi tra il III ed il IV quadrante del grafico di Fig. 3.4. Vengono dunque fatte le seguenti ipotesi:

1) Il flusso sia stazionario, per cui indipendente dal particolare istante considerato: .

2) Il fluido aria compressa sia assimilabile a gas caloricamente perfetto, per il quale il legame tra la pressione assoluta p, la densità ρ e la temperatura assoluta T è

rappresentato dalla ben nota equazione di stato

ed i valori dei calori specifici sono rigorosamente costanti. In particolare, saranno costanti i calori specifici a pressione e volume costante: Cp, Cv = cost.

Tale ipotesi è accettabile in quanto le variazioni termiche che, in generale, influenzano i valori dei calori specifici sono, nella specifica trasformazione, ragionevolmente considerabili di piccola entità (dell’ordine di grandezza del grado centigrado).

Nella formula dei gas perfetti , dove è la costante universale dei gas e è il peso molecolare dell’aria;

3) L’aria compressa effluente lungo il condotto segua una trasformazione politropica. In particolare, nel caso di gas perfetto, acquista un’espressione particolarmente semplice che, in funzione, rispettivamente, delle variabili p-ρ e delle variabili p-T,

risulta

dove n è il coefficiente della generica politropica che, per la specifica curva di trasformazione, si ipotizza costante e verrà in seguito determinato.

4) Il flusso sia dissipativo, per cui la trasformazione risulta di tipo irreversibile. Ciò significa ammettere che vi sia, lungo il condotto, una variazione di entropia dS > 0.

5) Efflusso adiabatico (dQ=0, con Q calore scambiato): supponiamo che il fluido attraversi il sistema tanto velocemente da non poter scambiare con esso quantità di calore significative e quindi sia soggetto ad una certa variazione di temperatura ΔT, dovuta alla comprimibilità ed all’effetto di perdite sia concentrate che distribuite;

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69 7) Le proprietà del fluido siano costanti lungo le sezioni trasversali del condotto radiale:

, , ;

8) Il flusso in uscita si trovi nelle condizioni ambiente: p3 = 1 [atm (101325 Pa)], ρ3 = 1.29 [Kg/m3].

3.3.2. Distribuzione della pressione secondo una trasformazione politropica reversibile Dalla teoria sappiamo che la trasformazione politropica (3.6) comprende, al variare di n, le altre trasformazioni termodinamiche. Può risultare utile, quindi, sfruttarla per descrivere in maniera più generale la trasformazione di espansione subita dall’aria compressa all’interno del meato del Bernoulli gripper.

Nell’ipotesi di flusso stazionario possiamo scrivere:

Dove si suppongano note le condizioni nella sezione 0 a monte dell’efflusso radiale. Nell’espressione sopra, facendo riferimento alla Fig. 3.3:

i pedici 0, 1, 2 e 3 rappresentano sezioni effettuate, rispettivamente, a monte dell’efflusso radiale, nel condotto verticale, all’inizio del condotto radiale, in corrispondenza del distacco della linea di flusso ed al contorno;

è la portata massica di fluido in [ ];

sono le densità del fluido, in [ ], nelle sezioni 0, 1, 2 e 3;

A0, A1, A2, A3 sono le aree delle relative sezioni espresse in [ ];

u0, u1, u2 ,u3 sono le velocità del flusso nelle sezioni corrispondenti in [ ].

Dalla legge di conservazione dell’energia, essendo costante l’energia per unità di massa, muovendosi lungo il condotto dovrà essere soddisfatta l’ equazione di Bernoulli:

dove

rappresenta la pressione per unità di massa;

è la quota , in [ ], in corrispondenza del raggio r;

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70 Trascurando il termine dovuto alla variazione di quota geodetica, l’equazione di Bernoulli tra la sezione d’ingresso 1 e di uscita 3 risulta essere:

dove

rappresenta la caduta di pressione fra r1 e r3;

definisce i valori assunti dalla densità dell’aria compressa per raggi compresi tra r1 e r3. In particolare, l’equilibrio per il condotto ad efflusso radiale, tra la sezione in corrispondenza del generico raggio r e la sezione di uscita 3, sarà dato da:

3.3.3. Distribuzione della pressione in funzione della portata massica di fluido

A partire dalla (3.11) può essere ricavata un’espressione della pressione per unità di massa.

Date le (3.6) e (3.8), i valori della velocità nelle diverse sezioni di passaggio possono essere scritti in funzione della portata massica come di seguito:

dove A(r) rappresenta l’area di passaggio dell’efflusso lungo il condotto radiale in funzione del raggio ed è data, indipendentemente dalla specifica geometria adottata per il gripper, da

A(r)= 2πrh, dove con h che definisce l’altezza del meato instauratosi tra le pareti del gripper.

In particolare, quindi, in corrispondenza della sezione d’interfaccia con l’ambiente si avrà A3 = A(r3)= 2πr3h.

Sostituendo queste espressioni nella (3.11) si ottiene:

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71 Esprimendo adesso la densità in funzione di quella nota in corrispondenza della sezione 3 si trova:

Per cui, sostituendo nella (3.15):

3.3.4. Distribuzione della pressione in funzione del numero di Mach

Dalla (3.11) può essere ricavata anche un’espressione della pressione per unità di massa in funzione del Numero di Mach, .

Dalla Legge (3.5) dei gas Perfetti si ha la relazione:

Si noti che, data la comprimibilità del fluido, . In conseguenza di ciò, si presenterà un gradiente termico lungo il condotto.

Sostituendola nella (3.11), si ottiene:

mediante la quale si può esprimere l’andamento della temperatura all’interno del condotto rispetto a T3:

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72 Ricordando che e si può scrivere

Sostituendo alle espressioni di u(r) e di ρ(r) , rispettivamente, (3.13) e (3.16), si ottiene

Dalla espressione (3.6’’) della politropica in funzione delle variabili p – T risulta

Che, sostituita nella (3.22), dà

3.3.5. Valutazione di n della politropica

Si procede adesso alla determinazione dell’esponente n caratteristico della politropica per la specifica trasformazione in questione.

In generale, esso può essere definito come

dove Cp e Cv definiscono i calori specifici calcolati, rispettivamente, a pressione e volume costanti. C, invece, indica il calore specifico dell’aria compressa, che sappiamo per definizione essere dato dal rapporto tra la quantità di calore dQ e la corrispondente variazione di temperatura dT ottenute nel processo considerato:

Siccome, nella (3.26), la quantità di calore dQ dipende dal tipo di processo effettuato, il calore specifico C può variare nell’intervallo ]-∞ ; +∞[ secondo l’andamento riportato in Fig. 3.5 e dev’essere definito a seconda dello specifico processo considerato.

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Figura 3.5. Andamento del calore specifico C in funzione del processo durante il quale avviene lo scambio termico dQ. La variabilità di tale processo è definita dal valore di n della

politropica (fonte [18]).

Nel caso di trasformazione irreversibile n della politropica è generalmente determinato per via sperimentale. In letteratura si suggerisce di assumere n = 1,25 ÷ 1,36 per le espansioni, per le quali deve essere comunque sempre n<k, k=Cp/Cv.

3.3.6. Distribuzione della pressione secondo una trasformazione adiabatica reversibile Si osserva, come precedentemente detto, che la valutazione dell’esponente n della politropica richiede che vi siano almeno due diversi stati del sistema completamente definiti. Tale necessità è verosimilmente soddisfatta nella pratica applicativa dove, oltre alle condizioni ambiente, generalmente sono conosciute o facilmente ricavabili anche le condizioni del fluido all’uscita dalla rete di distribuzione. Ove, per qualsiasi ragione, la conoscenza di questi due stati non fosse possibile, per ottenere la distribuzione della pressione a partire dalle sole condizioni del fluido in uscita, allo stato attuale non resta altra soluzione che introdurre un’ulteriore ipotesi di isoentropicità (dS=0).

Sotto tale ipotesi, la trasformazione subita dall’aria compressa all’interno del meato, oltre che adiabatica, diviene reversibile, per cui le espressioni (3.17) e (3.24) ottenute in funzione della portata massica e del numero di Mach vengono modificate, rispettivamente, nelle

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74 Essendo la trasformazione adiabatica reversibile una particolare politropica avente calore specifico C=0, dalla (3.25) risulta ovvio che, nelle equazioni (3.27) e (3.28), l’esponente n assuma il valore di k=1,4. Una seconda differenza da notare è la scomparsa del termine legato alla caduta di pressione lungo il meato. Ciò è la stretta conseguenza dell’ipotesi appena introdotta di efflusso reversibile.

Le perdite realmente presenti lungo il condotto non potranno quindi essere valutate direttamente all’interno dell’equazione ma dovranno venire espresse, successivamente, in termini di un coefficiente correttivo adimensionale di origine sperimentale, funzione generalmente del raggio, che moltiplica le (3.27) e (3.28) generando un’espressione di p(r) corretta come di seguito:

3.4. Stima della caduta di pressione lungo il condotto

Il calcolo delle perdite di carico durante l’efflusso lungo il condotto radiale risulta piuttosto complesso e non descrivibile, allo stato attuale, mediante un’analisi teorica rigorosa. Nel meato, infatti, il fluido non è soggetto ad un unico regime di moto ma, come descritto qualitativamente al Par. 3.2 , nel condotto verticale ha un profilo di velocità laminare; successivamente, effluendo attraverso il condotto radiale, passa da un moto turbolento all’inizio ad uno laminare in corrispondenza dell’uscita.

Tali transizioni non consentono di effettuare una trattazione unica dei fenomeni dissipativi che si presentano lungo l’efflusso, per cui una stima di essi può essere effettuata analizzando separatamente gli effetti prodotti dalla porzione di condotto in regime turbolento ed in regime laminare. Il carattere di stima di questi effetti, seppure tutt’altro che grossolana, è da

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75 attribuirsi, essenzialmente, all’elevata complessità del fenomeno turbolento, il quale continua a presentare tutt’oggi molti aspetti sconosciuti.

3.4.1. Valutazione delle perdite lungo il condotto in regime turbolento pienamente sviluppato

Si avvia l’analisi dalla parte di condotto radiale compresa tra la fine della zona di distacco della vena e l’inizio del flusso laminare. Supponiamo che la sua lunghezza sia tale da consentire di assumere che il fluido si trovi in regime di efflusso turbolento pienamente sviluppato.

In tale ipotesi, la caduta di pressione può essere espressa come una funzione:

Dove

u è la velocità media;

definisce il diametro idraulico, pari a quattro volte il rapporto tra area e perimetro della sezione di passaggio;

l rappresenta la lunghezza del condotto; ε valuta la rugosità superficiale del condotto;

μ e ρ sono, rispettivamente, la viscosità e la densità del fluido.

In particolare, la dipendenza della caduta di pressione dalle proprietà del fluido (μ e ρ) è

dovuta al fatto che da esse dipende la tensione di taglio, τ. All’interno di un flusso turbolento pienamente sviluppato, in corrispondenza delle pareti, si genera un sottostrato viscoso, denominato sottostrato laminare (in inglese viscous sublayer), generalmente molto sottile: δs/Dh << 1, con δs che rappresenta lo spessore del sottostrato. Se i picchi di rugosità tipica delle pareti penetrano sufficientemente a fondo in tale sottostrato, le sue struttura e proprietà (tra cui, quindi anche τ e Δp) risulteranno diverse rispetto al caso in cui le pareti si presentino perfettamente lisce, come visibile dagli andamenti qualitativi di Fig. 3.5.

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76

Figura 3.5. Andamento qualitativo del flusso nel sottostrato viscoso formato in prossimità di una parete scabra ed una liscia (fonte [23]).

Per questo, la caduta di pressione è, per un flusso turbolento, funzione anche della rugosità delle pareti. Nel caso in analisi, in particolare, il diametro idraulico Dh è costante lungo l’efflusso e i valori delle rugosità superficiali ε sono assunti ragionevolmente piccoli, compatibilmente con quelli tipicamente ottenuti dalle lavorazioni alle macchine utensili. Si ipotizza dunque, una rugosità relativa ε /Dh compresa nell’intervallo 0 ≤ ε /Dh ≤ 0,05.

Le sette variabili dell’espressione funzionale precedente possono essere espresse in termini delle tre dimensioni di riferimento, massa, lunghezza e tempo, ottenendo così quattro parametri adimensionali:

dove:

il parametro adimensionale di pressione è stato ottenuto dividendo Δp per il termine di

pressione dinamica ρu2/2;

è il Numero di Reynolds equivalente, Reh, calcolato utilizzando come dimensione di riferimento il diametro idraulico equivalente, Dh;

è la rugosità relativa, data dal rapporto tra la rugosità superficiale della singola parete per il relativo diametro idraulico.

Per semplificare il modello si può ipotizzare, senza inficiare sulla generalità della trattazione, che la caduta di pressione sia proporzionale alla lunghezza del condotto.

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77

Figura 3.6. Stima delle perdite lungo un tratto infinitesimo dr del condotto radiale

Si può scrivere così l’espressione delle perdite lungo il tratto infinitesimo dr del condotto radiale di Fig. 3.6 come:

dove

dr è la lunghezza infinitesima del tratto di condotto lungo il quale avviene la perdita dp(r) e f

è il coefficiente di attrito (in inglese friction factor), . L’andamento di f in funzione del Numero di Reynolds, , e della rugosità relativa, , è ricavabile dal

Diagramma di Moody.

La porzione del diagramma che descrive l’andamento di f in regime turbolento è descritta dalla Formula di Colebrook:

Tale espressione risulta anch’essa implicita in funzione di f per cui, per assegnate condizioni ( , ), è impossibile risolverla senza l’utilizzo di un metodo iterativo.

Sostituendo, nella (3.31), le espressioni (3.13) e (3.16) rispettivamente al posto di u(r) e di

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78 Una breve considerazione è da farsi riguardo ai valori numerici che si ottengono con l’equazione appena trovata. Essa infatti, includendo varie approssimazioni, come le incertezze sui valori della rugosità superficiale del condotto o quelle intrinseche dei dati sperimentali utilizzati per ottenere il diagramma di Moody, non può fornire risultati aventi un’accuratezza massima superiore al 10% [23].

Figura 3.7. Diagramma di Moody, rappresentante il Coefficiente d’attrito, f (in inglese Friction Factor) come una funzione del Numero di Reynolds e della rugosità relativa, data come rapporto tra rugosità superficiale del condotto e diametro idraulico dello stesso (fonte [23]).

3.4.2. Valutazione delle perdite concentrate in corrispondenza della vena contracta L’attenzione viene rivolta adesso alla valutazione delle perdite concentrate nel tratto d’imbocco dell’efflusso radiale, dove si presenta un brusco cambio di direzione nelle pareti del condotto. In generale, l’andamento complesso delle linee di flusso in corrispondenza dei punti nei quali si verificano cadute di pressione localizzate non consente un calcolo teorico preciso delle perdite. Esse possono invece essere stimate utilizzando parametri adimensionali, di origine sperimentale, definiti per la quasi totalità dei casi riscontrabili nella pratica. Il metodo più comune è quello che utilizza il coefficiente di perdita, , funzione della geometria del condotto e del Numero di Reynolds.

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79

Figura 3.8. Caratteristiche del flusso attraverso una giunzione d’angolo a 90° senza vani di incanalazione (a) e con vani (b) Mentre nel caso (a) KL=1,1, nel caso (b), la sola presenza dei vani guida che incanalano il flusso riducendo i vortici ed eliminando il distacco riduce KL a 0,2. Ciò a conferma della forte dipendenza di tale parametro dalla geometria del condotto

(fonte [23]).

Il nostro specifico caso può essere ricondotto cautelativamente al condotto con giunzione d’angolo a 90° di Fig. 3.8 (a), per cui risulta:

A questo punto, le perdite concentrate possono essere espresse insieme a quelle distribuite, in modo da ottenere direttamente le perdite totali. Per fare ciò è necessario però inglobare, all’interno dell’espressione delle perdite distribuite complessivamente sul condotto radiale, una lunghezza equivalente, lh: essa rappresenta la lunghezza di un condotto rettilineo, di diametro equivalente Dh, che produce le medesime perdite del componente in questione. Tale lunghezza può essere determinata attraverso la formula

dove f è il friction factor già definito in precedenza.

Un metodo alternativo per la valutazione di lh fa uso di nomogrammi tipo quello riportato in Fig. 3.9 dove, entrando da una parte con il tipo di accidentalità presente nel condotto e dall’altra con il diametro interno in corrispondenza dell’accidentalità stessa, si ricava graficamente il valore della lunghezza equivalente.

(20)

80

Figura 3.9. Nomogramma per la determinazione della lunghezza equivalente di un condotto in corrispondenza di un’accidentalità. Il valore di lh è dato dall’intersezione del segmento unente i punti individuati sulle rette della “Accidentalità” e del “Diametro interno

con la retta” delle “Lunghezze equivalenti”.

Si osserva adesso il fatto che l’espressione differenziale delle perdite (3.32), in realtà, non sarebbe applicabile nel tratto di condotto compreso tra r1 e rR, dove il flusso non può essere ipotizzato come pienamente sviluppato poiché interessato dal fenomeno della vena contracta. Così, le perdite concentrate nella sezione (1) di Fig. 3.6 non possono dire nulla riguardo all’andamento della caduta di pressione in tale porzione ma forniscono solamente una stima delle perdite complessive causate dal distacco del flusso in corrispondenza della discontinuità geometrica nel condotto.

(21)

81 3.4.3. Valutazione delle perdite lungo il condotto in regime laminare pienamente sviluppato

Infine, valutiamo della caduta di pressione nella zona del meato dove si ha efflusso laminare. La parte interessata risulta essere quella terminale del condotto radiale, a partire dalla fine della zona in regime di moto turbolento ed escludendo la zona di transizione. Anche in questo caso supponiamo, quindi, che la sua lunghezza sia tale da far assumere il fluido come in regime di efflusso pienamente sviluppato.

Figura 3.10. Tipici profili di velocità laminare pienamente sviluppato (a sinistra) e sua approssimazione con un profilo costante avente velocità media pari a u(r) = u(r) max /2 (a

destra) (fonte [23]).

Tale ipotesi, oltre ad essere verosimile per il campo di interesse, si rende anche necessaria poiché permette di considerare il profilo di velocità parabolico tipico del moto laminare (rappresentato in Fig. 3.10) in ogni sezione del meato: la trattazione teorica, nel caso di flusso laminare non pienamente sviluppato, risulterebbe infatti piuttosto complessa.

Partendo quindi da questa assunzione, la caduta di pressione in funzione del raggio r può essere espressa come una funzione della velocità media u(r) del fluido nella sezione del condotto, della lunghezza l e del diametro idraulico Dh del tratto di condotto in esame, nonché della viscosità μ del fluido:

Si noti come, in questo caso, a differenza di quanto accadeva in campo turbolento, la densità non sia un parametro importante.

Riscrivendo tale funzione in termini di gruppi adimensionali, possiamo ottenere una rappresentazione del tipo

dove è una funzione, in genere sconosciuta, del rapporto tra la lunghezza ed il diametro idraulico del condotto. Per il caso particolare in esame, invece, è ragionevole imporre che la caduta di pressione sia direttamente proporzionale alla lunghezza del condotto: ciò significa che la funzione è del tipo , con C = costante.

(22)

82 Analogamente a quanto fatto nel caso delle perdite in regime turbolento, riferendosi al tratto infinitesimo di condotto dr di Fig. 3.6, l’espressione precedente può essere scritta quindi come:

Il tratto dr di condotto in questione è scelto in corrispondenza del raggio r tale che r2’< r ≤ r3 , con r2’ raggio oltre il quale il flusso può essere considerato laminare pienamente sviluppato. Il valore della costante C, che per un condotto a sezione circolare vale 32. Nel caso in esame, invece, il condotto può essere assimilato a quello rettangolare di Fig. 3.11 con rapporto a/b = 0, poiché la larghezza b = 2πr, pur essendo variabile in funzione del raggio, è generalmente

almeno un ordine di grandezza superiore rispetto all’altezza a, costante e pari all’altezza h del meato. In conseguenza di ciò risulta quindi C = 96,0.

Figura 3.11. Valori della costante di dipendenza lineare C della caduta di pressione dalla lunghezza del condotto per sezioni di passaggio rettangolari (fonte [23]).

Dalla (3.36) può essere ricavata la caduta di pressione dp:

Esprimendo sempre u(r) secondo la (3.13) otteniamo infine

Riassumendo, le perdite differenziali all’interno del meato del Bernoulli gripper sono date dalle

(23)

83 In particolare, possono presentarsi i seguenti casi:

1) Il flusso, oltre la vena contracta (r > rR), possiede fino all’uscita Re>4000, per cui si trova in regime di moto turbolento pienamente sviluppato fino all’uscita dal condotto, per cui non si presenta transizione da turbolento a laminare: ciò, equivale, dal punto di vista matematico, ad imporre la condizione

2) Il flusso, oltre la vena contracta (r > rR), possiede Re<2000, per cui si trova in regime di moto laminare pienamente sviluppato fino all’uscita dal condotto. Non si presenta in questo caso flusso turbolento: ciò, equivale, dal punto di vista matematico, ad imporre la condizione

3.5. Calcolo numerico delle distribuzioni di pressione

La trattazione precedentemente realizzata, così come quelle viste in letteratura, non portano, eccetto per pochi casi (formule (3.2) e (3.3)), ad equazioni risolvibili con un metodo diretto, cioè effettuando una serie finita di operazioni che conducano ad una espressione esplicita di ciascuna radice.

La generica funzione trovata, infatti, continua almeno su un certo intervallo I ed esprimibile nella forma omogenea, f(x)=0, risulta essere un’equazione non lineare nell’incognita x. Una radice α di tale equazione non può essere calcolata numericamente, se non ricorrendo ad un metodo iterativo.

Il metodo utilizzato nello specifico caso per la determinazione della distribuzione di pressione con le formule precedentemente individuate è quello di Newton poiché, proprio per le caratteristiche di continuità e derivabilità locali possedute da tali funzioni, garantisce sempre, almeno a livello locale, la convergenza. Inoltre, la sua relativa semplicità lo rende rapidamente implementabile all’interno del software di calcolo Matlab®.

3.5.1 Cenni sul metodo di Newton

Il metodo di Newton è un metodo iterativo ad un punto per l’approssimazione degli zeri di una funzione. Esso costruisce una successione di valori x(n), approssimando localmente la funzione f(x), derivabile con continuità nell’intervallo considerato, con la sua retta tangente

f’(x). Per questo motivo è conosciuto anche come metodo delle tangenti.

Lo schema iterativo, illustrato qualitativamente in Fig. 3.12, è il seguente: inizializzando il processo iterativo da un valore x(0) scelto, contenuto in un intorno della radice α della

(24)

84 funzione, viene creata la retta tangente in quel punto e calcolato il valore di x(1) per cui tale retta interseca l'asse y = 0. Questo punto servirà come partenza per la seconda iterazione, nella quale si determina la retta tangente in x(1) e quindi il punto x(2) da cui prosegue la terza iterazione e così via.

Figura 3.12. alcune iterazioni successive del metodo di Newton.

Per la (n+1)-esima iterazione, la retta tangente nel punto x(n) a f (x) è data dalla seguente espressione:

Per determinare il valore di x per cui la retta tangente interseca l'asse delle ascisse, si ponga y = 0 ottenendo in questo modo la successiva approssimazione della soluzione, x(n+1):

La (3.38) è proprio l'espressione del metodo di Newton. La successione di valori x(n) creata in questo modo risulta convergente, almeno localmente (cioè all’interno dell’intorno definito) allo zero α di f(x). Si evidenzia che tale convergenza è assicurata, a livello teorico, dalla scelta di x(0) in un opportuno intorno di α. In pratica, invece, l’introduzione, al passo n-esimo, di un errore δ(n)

dovuto agli arrotondamenti nel calcolo ed agli errori nei passi precedenti, non garantisce più la perfetta convergenza del metodo al valore di α. Si richiede quindi di stabilire un criterio d'arresto che definisca quando la soluzione è stata approssimata con la precisione desiderata. I criteri sono essenzialmente due:

basato sul residuo:

Il metodo si arresta quando il modulo del residuo f(x(n)) è inferiore ad una tolleranza fissata:

(25)

85 Il metodo si arresta quando la distanza fra due iterazioni successive x(n+1) ed x(n) è inferiore ad una tolleranza fissata:

Nel caso in esame, è stato utilizzato il secondo criterio d’arresto con un valore di tolleranza pari a

3.5.2. Applicazione del metodo di Newton nel calcolo delle distribuzioni di pressione Al fine di valutare l’andamento della pressione tramite il metodo di Newton sopra descritto, si è reso necessario esprimere le formule (3.17) e (3.27)in forma omogenea.

In considerazione poi della necessità di ottenere anche una valutazione separata del contributo dato dalle perdite di carico valutate al Par. 3.4, sono risultate così le seguenti espressioni:

politropica irreversibile, senza la stima delle perdite di carico:

Che può essere riscritta in maniera più efficace come di seguito:

adiabatica reversibile:

L’espressione risultante si ottiene semplicemente attribuendo, all’interno delle (3.40’), (3.40’’) e (3.40’’’), il valore 1,4 all’esponente n.

Tali equazioni sono state implementate nel software di calcolo numerico Matlab®, definendole come funzioni f = f(x, r, h), dove con x si è indicata p(r).

In Fig. 3.13 è riportato lo schema di calcolo seguito dal programma di calcolo mentre un esempio di ciclo iterativo con la specifica sintassi è riportato in Fig. 3.14.

(26)

86

Figura 3.13. Schema a blocchi del metodo di calcolo numerico iterativo di Newton lungo il raggio r ed al variare dell’altezza del gap h.

(27)

87 % TRASFORMAZIONE POLITROPICA IN

REGIME DI MOTO LAMINARE %

clear; clc;

% Parametri metodo Newton %

% punto iniziale x0 = 100999[Pa](inserito nel ciclo'for')

% tolleranza tol= 1e-5; % [Pa] % numero iterazioni massimo maxit= 1000;

% ciclo for sul gap

for i = 1:20 h=(1/2)*i;

% ciclo for sul raggio

for j = 1:59 rr = j + 1; x0 = patm; f = politropica(x0,rr); df = dpolitropica(x0,rr); if (df==0),

error('Metodo di Newton non applicabile'), end x1 = x0 - f/df; it = 1; xv = x1; while ((abs(x1-x0)>tol)&&(it<=maxit)) x0 = x1; f = politropica(x0,rr); df = dpolitropica(x0,rr); if (df==0),

error('Metodo di Newton non applicabile'), end x1 = x0 - f/df; it = it + 1; xv(it) = x1; end z(j,:)=[rr]; y(j,:)=[x1]; results=[y]; if (abs(x1-x0)>tol),

error('Il metodo di Newton non converge'),

end end end results plot(z,y,'g') grid xlabel('raggio [mm]') ylabel('pressione [Pa]') hold on

Figura 3.14. Esempio di ciclo di calcolo iterativo tramite il metodo di Newton per la valutazione della distribuzione della pressione in un efflusso laminare Il metodo iterativo di Newton si trova annidato all’interno di due cicli for realizzati, nell’ordine, per il gap e per il raggio. Il grafico finale richiesto restituisce l’andamento della pressione assoluta in funzione

del raggio del meato.

3.6. Conclusioni

L’analisi teorica effettuata e le formule reperite dalla letteratura consentono di investigare il comportamento del fluido qualsiasi sia il suo stato ed il regime di moto in cui si trova. Il comportamento del fluido all’interno di ciascuno dei quattro quadranti in cui è suddiviso il grafico (Ma – Re) presentato al Par. 3.2 risulta quindi rappresentato da almeno una espressione analitica.

Da ciò si comprende come la relazione da adottare nei singoli casi specifici per confrontare l’andamento stimabile teoricamente con quello riscontrabile da prove sperimentali è da scegliersi in funzione dei valori assunti dai parametri Ma e Re per il fluido in quella specifica

(28)

88 trasformazione, quindi considerando la particolare geometria del gripper e le condizioni del fluido all’ingresso ed all’uscita.

A tale riguardo, la formulazione dell’andamento della pressione proposto, pur essendo piuttosto complicata, presenta il vantaggio di essere auto-adattiva, nel senso che la trasformazione politropica ipotizzata riesce a descrivere, al variare di n nel suo dominio, tutte le possibili condizioni in cui il fluido può trovarsi durante il suo efflusso attraverso il meato radiale del gripper Bernoulli.

Ciò è ben visibile dai diagrammi (p - V) e (T - S) di Fig.3.15.

Figura 3.15. Trasformazioni descritte dalla politropica al variare dell’esponente n. Per n=1 (C=∞) si ha la trasformazione isoterma, per n=k (C=0) la adiabatica, l’isovolumica per

n=±∞ (C=Cv) e, infine, isobara per n=0 (C=Cp) (fonte [18]).

In particolare, per n = ±∞, la politropica descrive una trasformazione isocora (ρ(r) = cost). Sotto questa condizione la (3.17), valendo adesso la conservazione anche della portata volumica

e tenendo presente che

(29)

89 la quale è definita all’interno del dominio della pressione assoluta, cioè ogni terna di valori (Q, h e r) deve soddisfare la relazione p(r) > 0. La (3.42) descrive proprio il principio di

Bernoulli per flusso incomprimibile con perdite. La stima di queste ultime secondo le (3.32) e

(3.36), analogamente a quanto fatto per p(r), si riduce al calcolo dell’integrale

dove

Per cui, risolvendo l’integrale, risulta:

In particolare, poi, si potranno ottenere i seguenti casi:

1) flusso in regime di moto turbolento pienamente sviluppato fino all’uscita dal condotto

2) flusso in regime di moto laminare pienamente sviluppato fino all’uscita dal condotto.

Si osserva che le formule ottenute sono esplicite e, quindi, risolvibili con metodi diretti di calcolo. Inoltre esse risultano adesso dipendenti dalle sole condizioni in (3), per cui si richiede solo uno stato del sistema per definirne completamente tutti gli altri.

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