• Non ci sono risultati.

6. Gli allocutivi: aspetti linguistici che comunicano le relazioni

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "6. Gli allocutivi: aspetti linguistici che comunicano le relazioni"

Copied!
32
0
0

Testo completo

(1)

6. Gli allocutivi: aspetti linguistici che comunicano le

relazioni

Durante la mia esperienza di tirocinio presso l'Agenzia Comunicazione ho osservato che spesso le persone faticavano a scegliere il modo corretto per indirizzarsi agli altri.

Per dar vita all'interazione verbale servono infatti delle particelle linguistiche che la aprano e ne aiutino la gestione: riuscire a trovarle a volte crea però confusione e lunghi momenti di silenzio, nei quali si pensa a come non sbagliare. Dunque nell'osservare l'interazione verbale è importante valutare come il rapporto tra gli interlocutori venga codificato dall'emittente e decodificato dal destinatario.

In queste fasi però le persone non usano solo strumenti linguistici ma anche comunicazioni non verbali: ecco perché questa materia viene trattata tanto dalla linguistica quanto dalla sociolinguistica e dalla pragmatica.

Tra le formule linguistiche quelle più importanti per questo scopo sono gli allocutivi1, ovvero i pronomi tu/lei/voi che ogni parlante assegna ai propri

interlocutori.

Gaetano Berruto nel suo manuale sulla sociolinguistica avvalora la posizione di Fasold che vede “una parte dei fenomeni linguistici come guidata da principi che implicano relazioni di struttura non assoggettabili a influenze del contesto comunicativo, ed un’altra parte invece che ha qualcosa, o molto, a che fare col contesto comunicativo, talché non è ben comprensibile se non chiamando in causa gli aspetti socio-interazionali”2. A partire da quest'opinione sviluppa una suddivisione

della struttura grammaticale della lingua in tre parti: la (A) indipendente dal contesto extralinguistico in quanto all'interno di essa risiederebbe la grammatica “pura”; la (B) che sarebbe una parte condizionata dal contesto extralinguistico ma non da quello sociale e che rientrerebbe quindi nella sfera della pragmatica; la (C) che sarebbe condizionata dal sistema sociale.

1 «Dal latino adloqui, rivolgere la parola a qualcuno» . Definizione in Marcello Sensini, La

grammatica della lingua italiana, Mondadori, Milano, 1990, p. 194

(2)

Esse sono rappresentabili con questo schema:

Schema tratto da G. Berruto, Fondamenti di sociolinguistica, cit.

Interessante è la valutazione del linguista dei tratti del tipo C: egli ritiene che, in quanto elementi grammaticali che codificano significati sociali, sarebbero scarsi e relegati al sistema degli allocutivi: «su questa strada, almeno per le nostre lingue europee occidentali, non si va molto al di là di casi come le strutture dell’allocuzione, con l’opposizione tra le forme T e V»3.

Per molti poi gli allocutivi descrivono forme diverse di cortesia, anche se Piera Molinelli4 nota che la gentilezza viene creata da un intero sistema di elementi

linguistici5 e ritiene quindi che sia più corretto affermare che sono particelle che

aiutano, ma non completano, la disposizione dei ruoli nella comunicazione. Gli allocutivi sono comunque degli elementi indispensabili: Roger Brown e Albert Gilman, due studiosi americani che molto si sono dedicati a quest'argomento, infatti denotano che «Nell'interazione, a faccia a faccia, possiamo facilmente evitare l'uso di ogni nome o titolo, ma non l'uso del pronome»6. La scelta fra una forma e l’altra

dipende dai diversi fattori sociolinguistici, tra cui: età, sesso, potenza, ricchezza, formalità della situazione e tipo di rapporto fra interlocutori.

3 G. Berruto, op. cit, p., 24

4 P. Molinelli, Lei non sa chi sono io: potere, solidarietà, rispetto e distanza nella comunicazione in

Linguistica e Filologia n. 14, Università degli studi di Bergamo, Bergamo, 2002, p. 284

5 Nel sistema qui inteso farebbero parte le forme di entrata e uscita, gli elementi di presa di turni, gli allocutivi, la deissi personale, le forme di mitigazione, le forme verbali opposte, le espressioni modali, i segnali discorsivi, le domande retoriche

6 R. Brown, A. Gilman, I pronomi del potere e della solidarietà, 1960, riportato in P. Giglioli, G. Fele, Linguaggio e contesto sociale, Il Mulino, Bologna, 2000, p,. 272

(3)

6.1. Breve storia degli allocutivi

Prima di addentrarmi nel significazione degli allocutivi è utile presentare brevemente la loro storia.

Nella lingua latina, madre di molte lingue moderne, fino al terzo secolo dopo Cristo era in uso solo la forma allocutiva del tu e quindi ci si rivolgeva a chiunque al singolare. È dal quarto secolo D.C. che si diffuse l'usanza di rivolgersi all'imperatore con la seconda persona plurale del vos. Ci sono diverse teorie che spiegano i motivi di questo cambiamento linguistico.

Brown e Gilman osservano che in quel periodo gli imperatori di lingua latina erano due, in quanto esisteva l'Impero Romano d'Occidente e quello d'Oriente. L'ufficio imperiale però, a seguito delle riforme di Diocleziano, era unificato e quindi per rivolgersi all'imperatore bisognava trovare una formula che li contemplasse entrambi: secondo gli autori, si iniziò così ad utilizzare il vos al singolare7.

Un'altra teoria suggerisce che la scelta del vos per l'imperatore è legata al suo ruolo di rappresentante della comunità: egli infatti è plurale perché è la somma di sé stesso e del suo popolo. I re e gli imperatori spesso utilizzano il nos per parlare di sé stessi e quindi il vos non è altro che il pronome reverenziale reciproco.

Il vos però più semplicemente potrebbe essere una metafora del potere più che della pluralità di soggetti rappresentati.

Ad ogni modo, il sistema diadico latino fondato sul tu/vos si mantenne nei secoli e nel Medioevo si estese all'italiano e ad altre lingue romanze, anche se con profonde e fluttuanti differenze semantiche. Vos nel tardo latino cambiò in voi e così si preservò anche in italiano.

Paolo Belardinelli racconta la storia dei pronomi di cortesia su “La Crusca per voi”8

partendo con l'esamina del voi, che è la forma di gentilezza più antica e meno problematica dell'italiano. Nel Medioevo si credeva che l'origine della forma di cortesia latina vos fosse legata all'ascesa al potere di Giulio Cesare. Belardinelli ritiene che quest'opinione sia una leggenda del tempo in quanto il vos nacque secoli

7 R. Brown, A. Gilman, op. cit., p. 257

(4)

prima. Per questo va mistificata quest'idea che riporta la sua origine ai tempi di Cesare, nonostante persino Dante la riproponga nel suo testo con la frase «Dal ‘voi’ che prima a Roma s’offerie», il cui significato però attualmente viene messo in discussione: per alcuni il verbo “offerie” non denota la nascita, ma il rispetto di Dante verso la romanità.

Ad ogni modo, l'uso del pronome vos che si adoperava verso l’imperatore col tempo venne utilizzato anche per rivolgersi ai pontefici, a cui si dava il titolo di Vostra

Signoria9, e verso l' aristocrazia o le persone stimate. Questo uso del voi appare infatti nelle opere di Dante, Boccaccio e Petrarca.

Luca Serianni10 nota che il tu viene usato da Dante nella Divina Commedia per

scambiare battute con dei personaggi, mentre il voi rimane riservato per indirizzarsi a personaggi illustri.

Inoltre il modello tu/voi nel Medioevo non solo si consolidò nell’italiano ma entrò anche in altre lingue europee, proprio in seguito alla diffusione dello stile latino. In francese si ritrovavano infatti tu e vous, in spagnolo tu e vos (successivamente sostituito da usted), in tedesco la differenza era tra du e Ihr, che poi fu succeduta da

er e Sie. Gli inglesi hanno dapprima usato thou e ye, quest'ultimo poi trasformatosi in you11.

Il sistema diadico stabilito nei primi secoli dopo Cristo fu arricchito nel periodo fra il Duecento ed il Quattrocento con un’altra forma allocutiva: il lei12. Rispetto alle altre

due è una formula più complessa, non presente nell'italiano delle origini. All'inizio infatti si utilizzavano locuzioni reverenziali come Tua o Vostra Magnificenza, sottintendendo pronomi di seconda persona come tu e voi. Da metà del Quattrocento però si iniziò ad utilizzare un pronome anaforico come appunto il lei o anche essa,

quella, questa, codesta che richiama la Signoria di una persona e quindi la terza

persona singolare.

9 B. Migliorini, Primordi del lei in Saggi linguistici, Felice le Monnier, Firenze, 1957, p. 187 citato da A. Sacchetti, Poca confidenza col lei, 2007, in <http://www.ilcassetto.it/notizia.php?tid=567> 10 L. Serianni in La Crusca per voi n. 20, Accademia della Crusca, Firenze, 2000, p. 7

11 R. Brown, A. Gilman, op. cit., p. 256

12 In seguito verrà riportato sempre con la lettera minuscola in quanto viene presentato solo ai fini dell'analisi e non utilizzato per indirizzarsi verso qualcuno

(5)

Le prime comparse del lei si trovano in una lettera di Lorenzo il Magnifico del 1465, preceduto però da una preposizione, e in forma di soggetto in una lettera di Pontano del 1476: la nuova forma in quel periodo è quindi ancora in bilico tra l'essere un richiamo alla Signoria e una nuovo allocutivo di cortesia13. Nel Cinquecento e nel

Seicento il lei si diffuse notevolmente e diventò alternativo al voi: era una formula intermedia tra Vostra Signoria e voi. Siccome ebbe il suo apice di uso nel periodo in cui l'influenza dei costumi e della cultura spagnola era notevole, per anni fu ritenuto di origine iberica quando invece si è dimostrato che esistono testimonianze che lo assestano nel Rinascimento. Gli spagnoli, i quali invece di rivolgersi direttamente alle persone stimate le trattavano in modo astratto mediante la terza persona singolare, quindi non inventarono

il lei ma contribuirono solo alla sua ascesa all'interno della società. Anche Bruno Migliorini14 infatti è

dell'opinione che nell’italiano quattrocentesco erano presenti due tipi di allocuzioni astratte: uno che trattava le persone con il voi ed il verbo alla seconda persona plurale, associato a volte da una circonduzione astratta (es: Vostra

Maestà), l’altro che si rivolgeva

alle persone sempre in modo astratto utilizzando però i pronomi al singolare femminile con i verbi alla terza persona.

Quindi nelle lettere del tempo indirizzate alle persone importanti appariva l’allocutivo voi insieme a perifrasi come Vostra Maestà,

13 P. Belardinelli, op. cit. 14 B. Migliorini, op. cit., p. 189

Arcangelo Sacchetti analizza ancora più nel profondo i problemi grammaticali del lei rimasti irrisolti: la concordanza del predicato, le attribuzioni nominali, l'uso dei pronomi personali atoni di terza persona. Essi si riscontrano quando c'è un conflitto di genere, ovvero quando il femminile grammaticale corrisponde ad un soggetto maschile. Da alcuni esempi l'autore ritiene che si propende per aggettivi maschili legati al lei (Es: Signore quando è arrivato?) in contesti nei quali il lei è utilizzato come una formula di gentilezza che però non vuol negare un certo grado di confidenza. Se con l'interlocutore c'è solo frequentazione civile la cortesia si trasforma nella concordanza di genere (Es: Signore, quando è arrivata?) come nei casi di ossequi verso importanti personalità, che vengono citate con appellativi specifici (come appunto Signoria).

Riguardo ai pronomi atoni invece le si usa in tutti i casi (Es: Guardi, le invierò il materiale che mi ha richiesto), anche di confidenza, mentre la solo per gli ossequi (Es: Vostra Signoria permetta che la conducano nella sala del ricevimento). Lo invece è più alternativo e per questo meno utilizzato (Es: Gentile Luca, lo aspettiamo nel nostro ufficio). Quando poi i pronomi accompagnano un saluto - altra formula importante per definire un rapporto di comunicazione - di entrata o uscita la (singolare) e le (plurale) vengono utilizzate per forme soprattutto di ossequio, ma anche di cortesia purché ci sia interesse verso l'interlocutore. Dicendo però, ad esempio, arrivederci quel noi offrirà reciprocità all'altro e avvicinerà notevolmente l'io al lei/loro.

(6)

Vostra Eccellenza, Vostra Signoria che sono tutte al femminile. L’accordo seguente

non si faceva con il voi ma con la qualifica. Siccome essa era un astratto al femminile, si diffuse l’accordo con la terza persona al femminile.

Con il rivolgersi alla Signoria altrui apparve in italiano un gruppo di pronomi allocutivi come quella, essa ed ella. Sopravvisse però solo il pronome ella usato per il soggetto e la sua forma oggettiva lei. Con il passare degli anni il lei diventò anche una forma soggettiva, anche se «i grammatici, sulle orme del Bembo, a più riprese si sforzarono di proscrivere come illegittimo l’uso di lui, lei come soggetti»15. Anche se

il lei prese gradualmente il posto di ella, rimase una loro notevole differenza. Mentre dopo il lei gli aggettivi ed i participi passati si accordano al solito con il genere della persona chiamata, ella richiede sempre l’accordo al femminile.

Ad ogni modo, per Belardinelli questa nuova formula di cortesia è semplicemente un nuovo utilizzo del pronome italiano lei realizzato attribuendogli altre funzioni. Per questo l'uso è spesso ambiguo, soprattutto nello scritto dove l'autore suggerisce di usarlo con l'iniziare maiuscola per evitare confusione con l'uso delle terze persone ordinarie. La maiuscola andrebbe quindi estesa anche alle forme degli aggettivi possessivi (Suo, Sua, Loro) e dimostrativi clitici (La, Li) e alle forme pronominali oblique (Le, Loro; rarissimo il plurale Glielo e simili)16.

Dunque, nonostante la sua complessità grammaticale, il lei dal Cinquecento si inserì completamente nella lingua italiana e generò il sistema triadico tu/voi/lei che Serriani vede sopravvivere fino al Novecento17. Nel Rinascimento si cominciò inoltre a dare

del Signore/a, con un verbo alla terza persona singolare, a tutti gli interlocutori, non solo alle persone degne di rispetto. Ciò avvenne prima a Napoli e in Lombardia, in quanto dominate dalla Spagna, ma poi si diffuse in tutta la penisola. Chiamare una persona con il voi o Messere risultava ormai quasi uno sprezzo o una villania.

15 B. Migliorini, op. cit., p. 191 16 P. Belardinelli, op. cit. 17 L. Serianni, op. cit.

(7)

La diffusione del lei fu frenata però da molte riserve di studiosi e letterati dell'epoca.

Claudio Tolomei e Anibal Caro provavano una forte avversione verso i pronomi di cortesia come il lei. Nella lettera affianco18, dove Tolomei

scriveva a Caro, infatti si dice che rivolgersi direttamente ad una persona col tu è comunque un atto nobile, che anzi permette di entrare in sintonia con l'interlocutore e genera meno confusione di ruoli. Tolomei ironizza anche sul lei, mostrando quanto sia vacuo e conclude acutamente dicendo che lui non è responsabile della sua Signoria ma di sé stesso.

Nella sua risposta, Caro è della stessa opinione e scrive: «Cosa stranissima e stomacosa che abbiano a parlare uno con uno, come se fosse un altro; e tuttavia in

18

C. Tolomei, De le lettere di M. Claudio Tolomei lib. sette, Gabriel Giolitto de Ferrari, Venezia, 1547 citato da P. Belardinelli, Alcuni aspetti dei pronomi allocutivi di cortesia. La deissi sociale, 2005, reperibile su <http:// www.patriziabellucci.it/download/belardinelli.pdf>

A M. Anibal Caro

«[...] Dunque la seconda persona, la quale è quasi il verbo generato si deve cosi disonorare; ch’ella non s’usi, se non a parlare a persone vili? Non intenden bene questi sciocchi adulatori il misterio di questa seconda persona, ne quanto ella sia nobile, e sacra; ne quanto piu s’honori uno a parlarli in seconda, che in terza persona. La seconda persona è il primo legamento che si faccia col parlatore, perche ognun che parla, forza è che parli a qualcuno, e ogni ragionamento che si fa, ci mostra per forza due persone, il ragionatore cioè, e l'ascoltatore. E dunque l’ascoltatore la seconda persona, senza cui non può essere il ragionamento. Colui dunque che toglie dal parlar la seconda persona, toglie il primo, e proprio natural legamento d’ogni parlare. E perche (come ho detto) questa seconda persona è molto nobile, però è convenevole ad ogni Signor quantunque nobilissimo. Non è gia così la terza persona la qual non fa necessario legamento, ne come ascoltatrice di colui, che parla, ne come materia di cui si parli onde si comprende un bello effetto; che la prima e la seconda persona parlon de la terza con le medesime parole. E a questo ve ne potete chiaramente avvedere, che la prima persona non comprende se non me, o me con altri insieme; senza me non si puo fare. La seconda comprende voi solo, o altri con voi insieme. Ne la terza persona si chiude poi come in una voragine ogni altra cosa, che non sia o voi o io. E cosi parlarò in terza persona d’un gatto, come d’un Principe, e d’un legno, come d’un Angelo; e d’ogni cosa per vile e bassa che sia si parla in terza persona, come de la piu nobile, e piu honorata che sia al mondo. Onde mi maraviglio di questi Signori del nostro secolo, che s'allegrano, e si gonfiano, quando è lor parlato in terza persona, e che senten darsi de la Signoria, e de l'Escellenza a ogni parola; che s'essi intendesseno bene il fatto loro, entrarebbano on colera, e castigarebbeno questa goffa adulazione, come delitto capitale. Io talora quando qualcuno scioccamente mi vuol lusingare, e mi dice (sia per esempio) la Signoria vostra mi faccia questa grazia: prima penso se parla a me, e poi avvedendomi di questo errore, gli dico. LA SIGNORIA MIA VI RISPONDA, poi ch'ella v'ha a far questa grazia, e non io [...]».

Di Roma. ali XXII d'Agosto MDXLIII. Tolomei, 1547: 61 sgg. .

(8)

astratto, quasi con l’idea di colui con chi si parla, non con la persona sua propria»19.

La diatriba sugli allocutivi di cortesia non si limitò al Cinquecento, ma ebbe una storia parallela alla loro diffusione e tra il Settecento e l'Ottocento fu rinforzata da lettere e articoli di importanti letterari. Belardinelli riporta due contributi profondi e illuminanti sul tema: innanzitutto quello di Pietro Verri che, nell’articolo intitolato “Il Tu, Voi e Lei” pubblicato nel 1765 ne Il Caffè e presentato qui affianco20, sottolinea la valenza storica del tu

nell'italiano, che mai fu inteso come una violazione delle rispetto altrui. Ora però col lei sembra che tutti si vogliano elevare ad una condizione di Signori, arrivando addirittura a non volere un dialogo diretto tramite un'entità astratta come la Signoria.

Persino a Giacomo Leopardi il lei creava problemi: lo dice chiaramente nella lettera a Pietro Giordani che riporto anch'essa qui perché è una profonda valutazione linguistica, valida tutt'oggi. Lì infatti Leopardi chiede al suo

interlocutore di poter parlare col voi piuttosto che col lei in quanto trova che la terza persona è d'impaccio nello stile, rende la comunicazione troppo mediata dalla Signoria e impedisce così un rapporto amichevole. Conclude inoltre dicendo che se un uso linguistico porta più comodità e vantaggi di un altro è da utilizzare.

19 A. Caro citato in Aira, G. Ravera, F.Piazzi, La lingua. Grammatica italiana per scuola media, Paganella, Bologna, 1984, p. 240

20 P.Verri, Il Tu, Voi e Lei, in Il Caffé, 1765, tomo II, foglio II citato da P. Belardinelli, Alcuni aspetti

dei pronomi allocutivi di cortesia. La deissi sociale, cit.

«Gli antichi Italiani, ne’ tempi ne’ quali da Roma si spedivano i decreti all’Inghilterra ed alla Siria, parlandosi l’un l’altro usavano la seconda persona singolare, [...].

Né altro modo di conversare era in que’ tempi conosciuto in Italia. Credevasi allora che i precetti dell’urbanità non fossero giammai violati dalla natura delle cose, e perciò per disegnar la persona alla quale si parlava dicevasi Tu. Noi, che grazie al Cielo abbiamo degli oggetti che ci occupano assai più vasti di quelli che non avevano gli antichi Italiani, noi, che per conseguenza siamo uomini d’una importanza altrettanto maggiore, non soffriamo che ci venga dato del Tu; e la ragione si è perché ciascuno di noi vale almeno per due, onde in tutta confidenza ci vien dato del Voi, anzi, malcontenti di valere per un paio, esigiamo con ogni ragione che nessuno ardisca d’indirizzare il discorso né supponendoci uno né supponendoci più d’uno, ma bensì che si parli alla nostra Signoria. Noi propriamente siamo tanti sultani, e chi ci parla non deve osare di parlare a noi, ma deve esporre il suoi pensieri alla nostra inseparabile Signoria, che fa l’ufficio di gran visir.»

(9)

Nel Novecento queste remore vennero addirittura istituzionalizzare, ma è bene osservare come.

A inizio secolo il tu veniva usato non solo verso i bambini o gli inferiori, ma anche all'interno della famiglia, tra parenti stretti. Nelle relazioni sociali veniva utilizzato addirittura tra amici, colleghi e compagni di scuola. Quindi se molti anni prima Manzoni avrebbe utilizzato il voi per regolare questi rapporti, ora il compito spettava al tu, anche se tra le persone adulte e al Sud era ancora presente l'usanza dei pronomi

voi e lei. Anzi, esaminando la dimensione diatopica l'Italia si mostrava divisa in due:

al Nord era diffusa la dicotomia tu/lei mentre al Sud permanevano le allocuzioni tu e

voi. Dunque il sistema triadico usato nei secoli precedenti sembrava essere ora

confluito in due sistemi diadici, che videro la risoluzione del loro conflitto in una decisione del Duce. Come spiega bene Sacchetti21, il regime fascista guidato da

Mussolini voleva riportare l'Italia alle sue origini, difendendo il patriottismo e puntando sulla tradizione romana per attuare la propria rivoluzione culturale. Molto di questa strategia fu aberrante, come l'intenzione di realizzare una battaglia per la purezza razziale allo scopo di difendere l'italianità. Dal punto di vista linguistico ciò si realizzò nell'intenzione di purificare l'italiano dai forestierismi tra cui rientrava anche l'idea di abolire il lei e sostituirlo col voi, in quanto era considerato di origine spagnola. Questa valutazione, come detto sopra, era storicamente scorretta e l'intenzione nella pratica risultò grottesca (si trasformarono persino le opere teatrali dal lei al voi) mentre nel metodo fu decisamente sbagliata. Come insegna la sociolinguistica, i cambiamenti linguistici e grammaticali in una lingua sono necessari ma allo stesso tempo non è corretto imporli: devono nascere dalla comunità, in essa confrontarsi e diffondersi. L'imposizione non porta a nessuna scelta condivisa, anzi crea solo altri disagi e dissidi.

21 A. Sacchetti, op. cit.

«In essa lettera la tratterò col Voi (perché la terza persona mi pare grand’impaccio allo stile) il che farei sempre se non temessi di non aver corrispondenza, perché in verità quando le parlo, vorrei parlarle a quattr’occhi e che non ci fosse sempre la Signoria in mezzo che mi sentisse. Se Ella mi promette di corrispondermi, le prometto che anch’io quanto a Lei farò un crocione alla Signoria. Son persuaso che in queste baie non istà l’amicizia, ma quando un uso porta più comodi e vantaggi che un’altro mi par che sia da preferire.»

(10)

Nonostante ciò, questa decisione del regime fascista non condizionò molto la società in quanto in diverse regioni e negli strati sociali più bassi il lei non era nemmeno conosciuto.

Nei termini della scelta linguistica l'iniziativa invece fu sostenuta da diverse personalità come Tommaso Landolfi, Elsa Morante, Gabriele Baldini, Salvatore Quasimodo, Walter Binni, Bruno Migliorini.

Già nel 1912 Giuseppe Baretti22 ribadiva la “disgraziata usanza del lei” e rassegnato

a vederla durare per molto si preparava a fronteggiarla personalmente rifiutando di rispondere a chi si rivolgeva alla sua Signoria, non sentendosi chiamato in causa, come del resto faceva anche Tolomei.

Interessante e ricco fu l'articolo di Bruno Cicognani, scritto il 15 gennaio 1938 su Il

Corriere della Sera e che era intitolato “Abolizione del lei”23. A differenza degli

scritti polemici del Verri nell'articolo però manca l'ironia, testimonianza di straniamento e ribrezzo, che viene sostituita da una decisa intenzione di lottare tramite le leggi per cambiare persino la grammatica. Nel testo trasale infatti un'indole forte e battagliera, tipica degli scritti di regime, che ha come obiettivo quello di cancellare il pronome lei in quanto sarebbe una delle «parole venutaci dalla Spagna di allora»24. L’uso del lei era quindi considerato come contrario alla legge logica e

grammaticale, era testimonianza di servitù e d’abiezione, oltre che

22 G. Baretti, La scelta delle lettere famigliari, Laterza, Bari, 1912, pp. 3-8 citato da P. Belardinelli,

Alcuni aspetti dei pronomi allocutivi di cortesia. La deissi sociale, cit.

23 Citato da P. Belardinelli, Alcuni aspetti dei pronomi allocutivi di cortesia. La deissi sociale, cit. 24 Ibidem

«La disgrazia vuole che ogni paese s’abbia le sue usanze; e chi v’è nato, bisogna, voglia o non voglia, se le abbia per ottime, sieno cattive quanto ponn’essere; bisogna vi si acconci zitto zitto, onde non riesca straniero nella su’ propria patria; e chi è veramente straniero bisogna s’abbia flemma anch’esso e soffra che ciascuno in casa sua se la rimescoli come gli pare. La maniera signorile, s’io potessi, la vorre’ di sicuro cacciare immediate del nostro scrivere, come anco del nostro parlare; e chi sa ch’io non la scomunicassi eziandio, s’io fossi papa [...]. Contuttociò, sin attanto che il nostro brutto costume durerà, e che ho pur paura voglia durare quanto la nostra lingua, io medesimo pretenderò in molti casi che alcuni, sì nello scrivermi e sì nel parlarmi, si scordino di quella cosaccia chiamata “io” al nominativo e “me” all’accusativo, e vorrò costantemente che certuni, più sdanaiati se non altro che son io, parlino e scrivano alla “Signoria”, che non ho, anzi che a me stesso [...]».

(11)

«ostacolo e inciampo alla espressione naturale e sincera»25. Nell'articolo Cicognani

propone anche una breve storiografia degli allocutivi e delle relative polemiche sottolineando come l'antica Roma, a cui il regime fascista si rifaceva, aveva sempre utilizzato solo il tu e il voi.

Quindi al lei bisogna preferire sicuramente il voi che per l'autore «nacque romano e libero, non importato né imposto; e quando dal tronco latino germogliarono le nuove lingue, in queste passò come espressione di spontanea e affettuosa riverenza, quale ancora è nelle famiglie dei contadini toscani»26. Il suo articolo si conclude con

un'invettiva tutta concentrata sulla purezza e sull'universale romano del tu e del voi che sebbene sia condivisibile nelle valutazioni relative alla miglior resa e semplicità di questi pronomi, lo è meno nel tono propagandistico.

L’epoca dell’obbligatorio voi allocutivo finì con il fascismo, dopodiché fu rifiutato per motivi politici e il lei tornò in uso nella lingua italiana. L’allocutivo voi è rimasto nell’uso letterario per rendere più reali alcune opere ambientate agli inizi del Novecento e in alcune regioni

del Sud, dove il voi faceva parte dei dialetti già prima che il fascismo lo imponesse. Prima di addentrarmi nell'uso degli allocutivi nell'attualità è ora corretto capirne la loro significazione, che in questa rivisitazione storica e critica è stata solo accennata.

25 B. Cicognani in P. Belardinelli, Alcuni aspetti dei pronomi allocutivi di cortesia. La deissi sociale, cit.

26 Ibidem

«(…) Ora, ripeto, o non più (abolire il lei). La Rivoluzione fascista si è proposta di riportare lo spirito della razza alle sue antiche origini, liberandolo da ogni inquinamento. Ebbene: si compia anche questa purificazione; si torni, anche in questo, all’uso di Roma, al “tu” espressione dell’universale romano e cristiano. Sia il “voi” segno di rispetto e di riconoscimento di gerarchia. Ma in ogni altro caso la forma del comunicare, scrivendo o parlando, sia il “tu”: la forma grammaticalmente, logicamente, spiritualmente vera, immediata, semplice, schietta, italiana; che attesta e afferma la comunione della natura, dei sentimenti, delle idee, la partecipazione, ciascuno secondo se stesso ma con l’intero e vero se stesso, alla umanità e alla civiltà». Bruno Cicognani

(12)

6.2. Il ruolo degli allocutivi nell'interazione

Il saggio di Brown e Gilman citato precedentemente fu uno dei primi nei quali si trattava con particolare attenzione l'uso dei pronomi allocutivi in diverse lingue europee. Per gli autori a dominare l'assegnazione del pronome per il proprio interlocutore è il rapporto di potere o solidarietà e, per questo, è possibile una semantica dei pronomi personali intesa come una variazione del pronome in base alla relazione esistente tra parlante e ascoltatore.

Essi ritengono che il potere è la forza che una persona ha su un'altra, tale da controllarne il comportamento. Perciò si concretizza in un'interazione almeno a due e non può essere reciproco. A conferire potere ad una persona può essere la forza fisica, la ricchezza, l'età, il sesso, un ruolo nella società o nella famiglia.

Quindi la semantica del potere non è reciproca: il superiore parla col T all'altro che deve rispondere col V27. Il V reverenziale viene appreso dall'individuo nella relazione

coi genitori e crescendo l'individuo inizia ad utilizzato anche fuori dal microcosmo familiare, con persone che si trovano in una condizione di potere. Gli autori sottolineavano che «Così possiamo vedere come sia possibile, come credeva Freud, che le più tarde relazioni sociali rammentino all'individuo il prototipo famigliare e risuscitino emozione e risposte dell'infanzia»28.

Anni fa però quando gli individui si trovavano nella stessa classe sociale, all'interno della gerarchia del potere, o in una condizione simile (come marito e moglie) erano soliti rivolgersi il V se appartenevano all'elitè mentre il T se facevano parte di una classe bassa. Questo fenomeno sta a significare che, nelle lingue europee di molti secoli fa, il V è sempre stato usato per rappresentare le fasce alte della società ma nonostante ciò era possibile l'uso reciproco di T o V.

Ciò quindi generò in persone di ugual rango una differenziazione «tra il T dell'intimità e il V della formalità. Chiamiamo questa seconda dimensione

27 «Per convenienza proponiamo di usare i simboli T e V (dal latino tu e vos) per designare genericamente la forma pronominale e quella educata in ogni lingua», R. Brown, A. Gilman, op.

cit., p. 257

(13)

solidarietà»29. Gli autori infatti ammettono che non tutte le differenze sociali

implicano una differenza di potere: ci possono essere ad esempio persone nate in città diverse; altre che frequentano scuole diverse ma allo stesso modo prestigiose. Per loro, generalizzando la semantica del potere è possibile spiegare l'uso del T o del V tra eguali: «Le differenze di potere fanno emergere V solo in una direzione; le differenze non relative al potere fanno emergere V in ambedue le direzioni»30. Quindi

tra persone che hanno affinità intellettuale o comportamentale - come l'appartenenza politica, la famiglia, la religione, l'istruzione, la professione, il sesso, il luogo di nascita – si genereranno rapporti solidali. Nella semantica ora il V reciproco compare quando c'è poca o nessuna solidarietà e il T reciproco quando ce n'è molta.

Quando però si espande la solidarietà anche a contesti dove non c'è equivalenza di potere sorgono dei problemi nell'assegnazione degli allocutivi. La dimensione della solidarietà infatti è applicabile a chiunque ci si rivolga: quindi chi ha potere può essere solidale o no con gli altri, come chi è ai livelli bassi della scala sociale. Si arriva così a questa tabella proposta dagli autori:

V Superiori e solidali T V Superiori e non solidali V

Equali e solidali (T) Equali e non solidali (V)

T Inferiori e solidali T V Inferiori e non solidali T Chiaramente le regole della semantica degli allocutivi entrano in conflitto nel quadrante in alto a sinistra e in quello in basso a destra. Gli autori propongono delle diadi sociali nelle quali si notano queste difficoltà, ovvero situazioni di coppia dove se un interlocutore sa certamente come relazionarsi con l'altro, quest'ultimo invece si ritrova in confusione ed imbarazzo di fronte a inferiori non solidali o superiori solidali.

29 R. Brown, A. Gilman, op. cit., p. 259 30 Ivi, p. 260

(14)

Queste relazioni difficili sono così rappresentabili:

Rapporti Conflitto semantico Soluzione reciproca

Cameriere - cliente V ↓↑ T/V ↕ V

Impiegato - padrone V ↓↑ T/V ↕ V

Soldato - ufficiale V ↓↑ T/V ↕ V

Figlio - genitore T/V ↓↑ T ↕ T

Fratello minore – Fratello

maggiore T/V ↓↑ T ↕ T

Servo - Padrone T/V ↓↑ T ↕ T

Questi conflitti negli anni si sono risolti con il T reciproco tra solidali e il V reciproco tra non solidali. Per gli autori la «prassi attuale consiste nel reinterpretare gli attributi relativi al potere in modo da trasformarli in attribuiti di solidarietà simmetrica»31. Se

quindi uno che è più anziano dell'altro è però anche della stessa famiglia (c'è cioè differenza di potere ma anche intimità) è più probabile che gli venga rivolto del T piuttosto che del V, anche se la scelta spetta a chi nella diade è nella migliore posizione di poter usare T (più vecchio, più ricco, ecc). Nel Medioevo tra genitore e figlio la semantica del potere generava la situazione in cui il genitore rivolgeva il tu e il figlio il voi, mentre oggi sulla relazione di potere prevale l’essere solidali e quindi si afferma il tu reciproco.

Quindi in epoca moderna ad un sistema antico in cui potere e solidarietà sarebbero stati in equilibrio sarebbe succeduto un sistema in tensione che avrebbe incentivato la componente solidaristica dell'interazione asimmetrica.

Molinelli ritiene però che l'estensione della solidarietà ai rapporti di potere è una scelta ardita e che rende l'argomentazione fin troppo circolare. Inoltre nel suo saggio propone una serie di casi che vanno oltre l'asse potere-solidarietà: analizzando l'interazione verbale in comunità africane, giapponesi e anche in quella attuale italiana (che verrà ripresa successivamente) si nota infatti come compaiano anche

(15)

altri fattori nella scelta degli allocutivi. Per l'autrice i parlanti si rapportano tra loro in base alla propria identità personale o sociale e a quella locale, che è costruita secondo il contesto32. Considerato ciò, i parametri che portano una persona a scegliere

l'insieme corretto di saluti, vocativi e di allocutivi per l'autrice sono33:

il potere: nonostante sembri che le formule di non potere si stiano diffondendo soprattutto nelle lingue neolatine ciò non vuol dire che quest'elemento non esista più. Anzi, esistono ancora situazioni comunicative asimmetriche dove un parlante ha più strumenti di un altro: ciò è utile osservarlo per mostrare come le relazioni non siano stabilite solo dagli allocutivi. Chi ha potere infatti può dimostrarlo aprendo le conversazioni, parlando più a lungo, ponendo domande dirette e cambiando argomento in base alla forza delle sue identità34;

la solidarietà: la dimensione della parità comunicativa, attraverso cui gli interagenti hanno gli stessi strumenti e livelli di comunicazione;

la distanza: la lontananza che si vuol creare o ridurre col proprio interlocutore attraverso formule linguistiche. Non si lega mai con la solidarietà, in quanto anche quando viene ridotta non c'è un'intimità così stretta come quella dei rapporti solidali;

il rispetto: si genera in situazioni di conoscenza reciproca, a differenza della distanza, e quindi può esistere anche tra pari di potere.

32 P. Molinelli, op. cit., pp. 286-290 33 Ivi, pp. 294-299

(16)

Figura sul sistema dell'allocuzione a tratti presente inPiera Molinelli,

Lei non sa chi sono io: potere, solidarietà, rispetto e distanza nella comunicazione, cit.

Secondo Molinelli, questi quattro parametri intervengono sia nella codifica del parlante sia nella decodifica dell'interlocutore anche se è la codifica, che avviene tramite formule di saluto e vocativi a cui si rifanno agli allocutivi, a comporre il sistema linguistico di indirizzamento.

Nella figura sopra, ciascun parametro è considerato all'interno di un continuum che va da 0 a +, ovvero dall'assenza alla presenza completa. L'interazione che lavora solo su un parametro si porrà su quella linea: ad esempio tra amici c'è solo [+ solidarietà]. Ciascun parametro è però anche graduabile, ovvero può avere vari livelli: la distanza in italiano infatti è al massimo quando si usa il lei, è in uno stadio intermedio quando si usa il noi inclusivo e a zero quando ci si dà del tu.

La vicinanza poi nella figura di alcuni parametri denota che essi possono interagire tra loro. I campi 2 e 3 rappresentano infatti l'interazione tra potere, distanza e rispetto che è tipica di relazioni asimmetriche dove gli strumenti comunicativi non sono reciproci. Nel campo 2 invece rientra l'affermazione “diamoci del tu” da parte di un superiore in quanto esso contempla il potere, che non verrebbe comunque meno anche col tu, e la distanza che è la variabile mutabile. Nel campo 3 invece si rimane ai dialoghi tipici dei Promessi Sposi di Manzoni, dove il lei viene dato dagli inferiori a personaggi importanti mentre il voi va a persone rispettabili socialmente. I campi 1

(17)

e 4 invece sono relativi ad interazioni simmetriche: nel 4 la solidarietà si combina al rispetto come avviene nella famiglia italiana, che negli anni è passata dal voi-voi al

tu-tu. Il campo 1 invece è caratteristico degli scambi comunicativi tra sconosciuti,

improntati sul reciproco lei35.

6.3. Le ricerche sull'uso degli allocutivi in Italia

Molinelli, a sostegno della sua tesi sulle quattro variabili che governano la scelta del sistema allocutivo, cita anche il caso italiano. Dai primi del Novecento in Italia è presente il sistema triadico tu/lei/voi, con il lei che in alcuni territori è riuscito a rendere obsoleto il voi.

Per capirne meglio gli usi è interessante osservare alcune ricerche sul campo come quella condotta negli anni '70 da Benigni e Bateson nella città di Roma36. Tenendo

conto delle variabili di sesso, istruzione, reddito, quartiere di residenza essi raggrupparono il loro campione in due gruppi sociali (A e B), suddivisi ulteriormente in base all'età (G: dai 15 ai 35 anni; V: dai 45 ai 65 anni), e scoprirono che:

la classe bassa di ogni età e i vecchi di classe alta utilizzavano e ricevevano allocutivi più formali;

in ambito familiare i giovani della classe bassa utilizzavano un formale e reciproco voi con i genitori, mentre quelli della classe alta tendevano ad un tu reciproco;

con le persone di sesso diverso, i maschi giovani tendevano a dare del tu mentre le femminile davano del lei aspettandosi il tu;

nei rapporti con persone di status inferiore o superiore tutto il campione tendeva a dare del lei reciproco;

tra persone dello stesso status si erano consolidate formule reciproche, anche se differenti: GA assegnava il tu, mentre GB il lei.

Quindi il tu era patrimonio della classe alta, il lei veniva usato verso l'autorità o quando c'era una distanza sociale, il voi era presente nella classe bassa soprattutto per

35 Valutazioni riportate in P. Molinelli, op. cit., p. 299 36 Citata ivi, p. 291

(18)

i rapporti in famiglia.

Sulla differenza tra il lei e il voi Lorenzo Renzi37 osserva che negli anni '90 prevaleva

il lei e che le differenze erano soprattutto di tipo diatopico: il voi infatti era usato solo in alcune zone del centro e del sud Italia e in quelle zone dove conviveva col lei , in cui rappresentava una formula di interazione meno distaccata. Invece in alcune zone dell'Italia centro-meridionale, dove il dialetto non contemplava né il lei né il voi, l'uso del tu era prioritario.

Renzi poi nel suo testo38 osserva, in generale, la variabile della distanza nelle deissi

sociali e scopre che rivolgendosi a qualcuno con un sostantivo e il verbo alla terza persona singola si amplifica il distacco, mentre quest'ultimo diminuisce quando una persona superiore usa il noi con l'inferiore perché ciò denota maggiore intimità. Per Renzi quindi la diade tu/lei è governata dai parametri superiorità/inferiorità e confidenza/distanza. La superiorità è possibile quando ci sono notevoli differenze sociali, generazionali, situazionali. La distanza invece è legata al non conoscere l'altro o al rispettarlo per il suo ruolo sociale. In famiglia ormai sarebbe il tu a dominare, anche se non sono venuti meno gli appellativi formali e il lei (o il voi nel Sud) si dà tra suoceri e genero/nuora, in quanto questi ultimi sono elementi nuovi della famiglia.

L'autore poi dà risalto, come del resto fa Molinelli, non solo agli allocutivi ma anche all'intero sistema dell'indirizzamento linguistico, che comprende anche formule di entrata ed uscita collegate agli allocutivi: il ciao al tu si abbina al tu, mentre l'arrivederci (o arrivederla) al lei. In particolare Molinelli sottolinea che la relazione tra salve e tu oggigiorno è svanita, in quanto al salve viene conferita una connotazione neutra se non più alta di prima poiché nei dialoghi attuali ad esso seguono frasi dominate dal lei39.

Ad ogni modo Renzi registra un aumento dell'uso di termini reciproci che portano a situazioni di confidenza (tu) o distanza (lei) comunque condivise.

Quindi se il primo studio confermava la diffusione del tu, il secondo di Renzi

37 G. Salvi, A. Cardinaletti, L. Renzi, Tipi di frasi, deissi, formazione delle parole, Il Mulino, Bologna, 1995, pp. 350-375

38 Ibidem

(19)

rilevava una maggiore reciprocità e una notevole diffusione del tu in tutti gli ambiti, come già succedeva in alcune regioni del centro Italia sotto le influenze di formule dialettali semplificate.

Una ricerca recente del 2004 di Elina Suomela-Härmä dell'Università di Helsinki40,

ha cercato di superare i risultati della ricerca di Benigni e Bateson del 1974 ampliando innanzitutto lo spettro d'azione: dai 120 intervistati di allora si è passati a 253, residenti in cinque città italiane diverse. Gli individui sono stati divisi in tre gruppi in base all'anno di nascita (quelli nati negli anni settanta, ottanta, novanta) mentre le variabili prese in considerazione sono state soprattutto grado di parentela, età, provenienza geografica e formalità del contesto. La ricerca si basa su questionari suddivisi in tre sezioni: nella prima si chiede all'intervistato quale allocutivo preferisce dare agli altri, nella seconda vengono poste delle domande aperte sul sistema allocutivo in generale e infine nella terza si chiede alla persona quali pronomi si sente abitualmente rivolgere.

Dalla prima sezione l'autrice ha scoperto che:

gli ottantini del Nord danno più del lei ai suoceri dei settantini, forse perché li conoscono da meno e quindi hanno meno confidenza;

fuori famiglia si preferisce il lei se l'altro ha un incarico o un'età diversa: tutte le categorie di intervistati danno sempre del lei all'insegnante;

sul lavoro il tu si dà a coetanei o giovani con la stessa posizione. Il lei viene assegnato a chi ha posizione più alte (incide più che l'età), ma succede meno al Sud;

in amicizia al Sud si dà più del lei e in quest'ambito l'età incide nella scelta nel 10-30% dei casi;

in Italia però, all'interno di un rapporto con colleghi, il passaggio da formule V a T è più veloce (si tratta di ore o giorni) che in Francia.

Dalle domande aperte invece si rileva che i settantini hanno più difficoltà degli altri a scegliere il pronome (è un problema per il 68% di loro), i giovani hanno problemi se la persona è di un altro genere (41% dei casi). Ci si trova spesso a disagio quando si

40 Reperibile su <http://magenta.ruc.dk/cuid/publikationer/publikationer/XVI-SRK-Pub/KFL/KFL13-Suomela-Haermae/>

(20)

deve parlare con i genitori dei compagni, coi coinquilini, con i clienti di un negozio in quanto qui incide notevolmente il livello di confidenza che si ha con l'altra persona. Spesso si utilizza, come nel caso del rapporto medio-paziente, il salve e l'arrivederci all'interno del sistema allocutivo per stare sul vago e non dover scegliere quando ci si trova in una situazione di incertezza.

A proposito invece del tipo di allocutivo che gli utenti ricevono, la ricercatrice ha scoperto dai questionari che:

a volte gli insegnanti del Nord danno del lei ai giovani. A Milano ci sarebbe più formalità in quanto anche gli adulti si rivolgono al giovane sconosciuto col lei (a Milano succede nel 38% dei casi, a Roma nel 28%). Se invece i due si conoscono permane il lei nel 19% delle situazioni milanesi;

i settantini e ottantini ricevono il tu dalla famiglia, mentre ci sono casi in cui il suocero assegna loro il lei. Tra amici e colleghi si usa il tu reciproco, anche se a Roma i settantini ricevono a volte il lei;

se il collega è più anziano è facile che l'età incida e riceva del lei, mentre tra coetanei domina appunto il tu;

un uguale o più giovane età porta ad usare il tu pure tra amici o sconosciuti, anche se gli anziani sono più abituati ad assegnare il lei a tutti. A volte capita che a Roma gli ottantini siano formali, usando il lei, con persone coetanee. Quindi da questa ricerca si evince che, nel complesso, in famiglia il lei asimmetrico compare sopratutto tra suoceri e nuore/generi. Il lei prevale anche in contesti istituzionali come la scuola e si realizza in maniera non reciproca: i professori, soprattutto del Sud, danno del tu ai ragazzi. Dal punto di vista generazionale i settantini sono meno formali degli ottantini in certi contesti (con i suoceri o con i colleghi subalterni più anziani). Per quanto riguarda le differenze diatopiche sembra che il ruolo sociale sia più importante al Nord, mentre al Sud sia rilevante l'età della persona con cui si parla. A Milano inoltre ci si rivolge col lei ad un giovane con più facilità di quanto non si faccia a Roma, come se al Nord uno fosse considerato adulto prima.

(21)

Osservando invece le risposte alle domande aperte la ricercatrice nota che la questione della scelta degli allocutivi non è limitata ad un solo pronome: anzi, gli intervistati mostrano interesse per la scelta tra il tu e il lei, che per ipotesi di ricerca è stata proposta agli intervistati come l'unica dicotomia possibile41.

6.4. La situazione degli allocutivi nell'italiano contemporaneo

Per contemporaneità intendiamo gli ultimi cinquant'anni, nei quali all'interno della triade tu/lei/voi il lei ha iniziato ad avere sempre più importanza sul voi che, proprio perché imposto dal regime fascista, ha iniziato ad esser immaginato come un allocutivo con connotazioni politiche. Quest'ultimo comunque non è svanito, ma si è ridotto notevolmente. Attualmente viene utilizzato in alcuni dialetti del Sud, in cui però è frequente trovare il titolo Vostra Signoria con il verbo al singolare, come avviene in calabrese. È possibile poi rintracciare l'allocutivo voi nelle lettere commerciali: in esse ci si rivolge al destinatario al plurale poiché rappresenta tutti i soggetti di un'azienda, verso i quali il voi plurale sarebbe corretto. Il voi rimane così anche in questo tipo di comunicazione ma con un ruolo ambiguo, in quanto l'interlocutore è comunque solo uno.

Quindi nonostante in alcuni contesti esista ancora il voi, l'italiano contemporaneo sembra orientarsi sulle forme allocutive del lei e del tu, come del resto hanno evidenziato anche le ricerche descritte sopra. Ora più che un sistema allocutivo triadico, sembra esserci soltanto una diade all'interno della quale però molti fanno ancora fatica a scegliere la soluzione più corretta.

Dalle ricerche e dalle analisi proposte precedentemente, sembra che oggi quando si usa il lei non ci si pensi alla Signoria, criticata da più scrittori, ma piuttosto a rapportarsi con riverenza con persone che hanno più autorità, in modo tale da generare distanza o da mostrare rispetto. Il tu invece sembra far caratterizzare i rapporti tra persone della stesse età o tra coloro che condividono un'idea o una condizione.

41 La ricercatrice afferma nell'introduzione del suo lavoro: «Partiamo dal presupposto - speriamo non sbagliato - che gli intervistati nati dopo il 1970 parlino un italiano standard che ignora il Voi singolare»

(22)

Oggi inoltre i rapporti asimmetrici, che hanno dominato nei primi del Novecento, sono sempre più rari e si tende ad utilizzare sempre più il tu reciproco. Ciò non significa un livellamento dei rapporti di potere o di rispetto in quanto gli allocutivi, pur essendo delle formule importanti nell'interazione verbale, non sono gli unici elementi che strutturano la comunicazione con l'altro: Molinelli infatti ricordava l'importanza degli appellativi, dell'uso dei verbi direttivi, ecc. Ad esempio, rivolgersi in maniera brusca ad una persona utilizzando il lei non vuol dire provare comunque riverenza, anzi.

Quali sarebbero però le cause che stanno spostando il sistema allocutivo italiano verso la sua componente informale? Le risposte a questo interrogativo sono molteplici, ma le principali si possono così riassumere:

la diffusione dell'inglese: parole inglesi comparvero nell'italiano agli inizi del Novecento ma fu l'avvento delle nuove tecnologie a dare maggior impulso a queste influenze. Il mondo informatico infatti ha diversi centri di diffusione in territori anglofoni e quindi spesso capita di trovare siti web o istruzioni per software/hardware esclusivamente in inglese: leggendoli l'italiano scoprirebbe che l'inglese usa solo la forma allocutiva you sia per il discorso formale che per quello informale42, senza differenze nemmeno nella

formulazione degli imperativi. Dunque l'abitudine alla lingua inglese potrebbe aver diffuso nell'italiano anche l'uso allocutivo del tu;

la diffusione di Internet: come canale comunicativo non solo garantisce maggiore quantità informativa, ma permette anche di trasmettere informazioni in maniera più veloce. Per questo a molti sembra l'ambiente adatto per abbattere formalismi, i quali verrebbero meno anche perché chi comunica tramite questo nuovo mezzo spesso condivide esperienze e conoscenze. Secondo questa logica, spesso molte aziende scelgono di dare del tu ai proprio utenti virtuali43 col rischio però a volte di risultare troppo

brutali: in quel caso però si cambia registro passando al voi, non al lei;

42 You in inglese comparse nel linguaggio colloquiale del quattordicesimo secolo e andò a sostituire la forma nominativa ye, di cui era forma accusativa. Esso poi si diffuse così tanto nella lingua inglese da inglobare la forma della seconda persona singola thou.

(23)

la diffusione della televisione: quella commerciale avrebbe condizionato le modalità di rivolgersi agli altri, di condurre un discorso. I suoi programmi urlati o eccessivamente scandalistici avrebbero abbassato il livello culturale della società e spinto ad un uso smisurato del tu, che così rappresenterebbe rapporti fin troppo schietti e senza più rispetto dei ruoli. È questa l'opinione del filosofo Bodei e dello storico della lingua Sabatini, intervistati da Paolo Di Stefano44.

Queste valutazioni sono state definite come le principali in quanto sono di grande impatto, soprattutto sui mass media, ma a mio avviso osservano male la questione linguistica.

Innanzitutto non mi sembra che l'italiano abbia assorbito anche le formule linguistiche dall'inglese: si ricordi che quest'ultima, sebbene sia una lingua indoeuropea, è ben diversa da quelle di stampo latino e quindi il parlante italiano la considera come una lingua lontana, che si impegna ad imparare ma non ad introiettare a tal punto da cambiare i propri pronomi allocutivi. La televisione invece ha sicuramente un forte impatto sulla vita delle persone, ma trovo scorretto pensare che sia l'unico agente culturale importante della nostra società: ce ne sono molti altri , i quali spesso lavorano contro l'abbassamento culturale della televisione, e quindi la scelta del tu reciproco non mi sembra limitata a questa forza.

La diffusione della rete invece ha sicuramente agevolato rapporti più veloci e semplici, portando ad una comunicazione più diretta, ma a tal proposito si rilegga la valutazione che ho proposto sopra: in Internet mancano i formalismi perché gli utenti si considerano compagni di usi, di abitudini, di interessi. Sarebbe quindi pur sempre la vicinanza, più che il nuovo mezzo di comunicazione, a permette comunicazioni globali a spingere verso il tu allocutivo.

Per comprendere davvero questa sua diffusione è necessario ritornare alle valutazioni che i letterati del Cinquecento facevano del tu: confrontandolo col lei della Signoria, lo ritenevano l'allocutivo che permetteva il dialogo vero, limpido e comunque rispettoso. Per Tolomei infatti il tu era una forma “nobile e sacra”, che legava il

44 In un articolo de Il Corriere della Sera del 12 settembre 2009, reperibile su

<http://archiviostorico.corriere.it/2009/settembre/12/tramonto_del_lei_capi_prof_co_9_09091201 7.shtml>

(24)

mittente col destinatario e permetteva un vero ragionamento; per Pietro Verri il tu è usanza italiana fin dall'antica Roma, solo che i contemporanei vogliono assurdamente vivere da «sultani» e non avere un rapporto diretto; la Signoria è un impaccio all'amicizia e alla fratellanza per Leopardi. È però Cicognani a dedicare al tu parole che riassumono molte riflessioni: «Il tu è vero, immediato, semplice, schietto, italiano» e testimonia la partecipazione comunicativa, dove comunque «ciascuno è sé stesso»45.

Ad avvalorare la tesi di Cicognani non c'è solo l'affermazione del tu nell'epoca romana, ma anche la sua esistenza come unica forma allocutiva all'interno di dialetti contemporanei del Centro Italia, come ricordavano Renzi e Sabatini.

Quindi non si pensi al tu né come un'invenzione dei nuovi media né come un modo per negare i ruoli, quanto piuttosto come un'evoluzione in seno già da tempo nella lingua italiana. Credo anzi che ad incidere notevolmente su questo cambio siano stati più i cambiamenti delle classi sociali che, sebbene non siano del tutto scomparse, hanno ridotto notevolmente le distanze.

6.5. Il tu e il lei nell'Agenzia Comunicazione

Come ho detto all'inizio di questa sezione, l'interesse verso queste riflessioni sociolinguistiche mi è nato proprio durante il tirocinio, dove ho avuto modo di osservare come la comunicazione e l'inserimento di una nuova persona all'interno del gruppo di lavoro fossero condizionati dagli allocutivi.

Su questo punto posso testimoniare che fin da quando entrai nell'ufficio tutti mi diedero del tu: credo per la giovane età e perché entravo in quell'ambiente con la qualifica più bassa, quella di stagista. La scelta dei colleghi di utilizzare questo allocutivo nei miei confronti non mi disturbò, anzi mi aiutò a instaurare rapporti più collaborativi.

Addirittura già durante il colloquio conoscitivo col Dirigente dell'Agenzia Comunicazione mi vennero rivolte delle frasi con il tu: in quel caso l'intento era quello di mostrare buona volontà nei miei confronti, mettermi a mio agio e condurre

45 B. Cicognani in P. Belardinelli, Alcuni aspetti dei pronomi allocutivi di cortesia. La deissi sociale, cit.

(25)

la comunicazione verso ragionamenti semplici e schietti. Ammetto che in teoria può colpire sentirsi rivolgere il tu quando l'altra persona non ti conosce e soprattutto c'è una differenza gerarchica notevole. Eppure nella pratica non ho vissuto come stucchevole o negativa la scelta del Dirigente di darmi del tu perché, nonostante non lo conoscessi, trovavo che ciò dava slancio alla conversazione, senza comunque renderla frivola.

Ampliando l'analisi, durante il periodo del mio tirocinio ho notato che tra tutti gli interlocutori presenti all'interno dell'Agenzia Comunicazione gli allocutivi venivano scambiati come da tabella:

Dava a Me Marinella Simona Floriana Giuseppe Simona

stagista Silvia Guido Roberto Tatiana Giorgio

Io / T T T T T T T T/V T T/V Marinella T / T T T T T T T T T/V Simona T T / T T T T T T T T Floriana T T T T / T T T T T / Giuseppe T T T / / T T / / / T Simona stagista T T T T / / T T T T / Silvia T T T T T T / T T T T/V Guido T T T T / T T / T T / Clelia T T T T V T T / / / T/V Roberto T T T T / T T T / T / Tatiana T T T T / T T T T / / Giorgio T T/V T T T / T/V / / / /

All'interno della tabella T denota l'allocutivo il tu, mentre V non rappresenta il voi bensì l'allocutivo contemporaneo di riverenza ovvero il lei. In alcuni casi è riportata una barra in quanto il soggetto non aveva occasione di parlare con l'altra persona oppure nel caso in cui il riferimento incrociato è alla stessa persona.

Da una prima sommaria valutazione si può osservare che l'allocutivo più utilizzato all'interno dell'ufficio è il tu, che è presente nel 94,5% delle relazioni. Nonostante l'elevato risultato non voglio esimermi dall'osservare l'altro 5,5%, ovvero i casi evidenziati in grassetto all'interno della tabella. In realtà dietro a questo valore percentuale non c'è spesso un'alternativa netta al tu bensì una coppia di possibilità che denota l'incertezza dell'interlocutore. Molte relazioni che non sono T contengono

(26)

infatti la coppia T/V: ciò sta a significare che nel periodo in cui ho svolto le mie osservazioni tra quelle due persone sono capitati episodi, limitati nel tempo anche se in taluni casi rilevanti qualitativamente, in cui all'altro veniva dato del lei e altri in cui si assegnava il tu.

Ora vado meglio ad esaminare questi casi, valutando le righe della tabella dove sono riportati:

Silvia: esamino innanzitutto la sua difficoltà nella scelta di alcuni allocutivi perché è un chiaro esempio di come l'incertezza in quest'attività denota un disagio nelle relazioni e nell'assegnazione dei ruoli. Generalmente Silvia dava del tu a tutti, ma questo suo comportamento e la sua simpatica espansività si bloccarono di fronte a Giorgio. È bene ricordare che Giorgio è l'attuale Addetto Stampa e Portavoce del Sindaco, che entrò all'interno dell'Agenzia Comunicazione dopo il cambio di amministrazione. In un primo momento Silvia si rivolgeva a lui col tu, presumo puntando soprattutto sulla sua giovane età. Questa fase durò poco, in quanto Silvia si accorse che i loro discorsi erano sempre più formali e anche perché a lui fu assegnata (se pur non in maniera formalizzata) la gestione della comunicazione dell'Ente. Quindi Silvia decise, per un periodo di almeno quindici giorni, di rapportarsi con Giorgio attraverso il lei: questo mi stupì alquanto perché, come mostrato nelle analisi generiche sugli allocutivi, generalmente si passa da una formula formale ad una informale e non viceversa. Eppure ciò accadde e, a mio parere, aveva l'intento di rendere più freddo e formale un rapporto che iniziava ad essere confuso. Il lei quindi veniva usato per delimitare i ruoli, per generare distanza e rispetto, inquadrabile quindi nei quadranti 2 e 3 della figura proposta da Molinelli. In quest'ultima è presente anche la voce del potere che, senza dubbio, era ora una forte discriminante: il lei denotava anche che Silvia riconosceva all'altro, Giorgio, un ruolo che meritava più riverenza. Questa fase generò però una rigidità nei rapporti tale da renderli paradossali, in quanto erano comunque quotidiani: solo dopo una riunione chiarificatrice sulle funzioni dell'ufficio Silvia tornò al tu con Giorgio;

(27)

Clelia: la segretaria del Difensore Civico, che stette alcuni giorni con me e Silvia all'URP per colmare la mancanza di Guido che era in ferie. È anche lei una persona espansiva, ma non per questo dà del tu a tutti. Ricordo che agli inizi si rivolgeva a Giuseppe (il sostituto di Floriana) con un lei configurabile nel quadrante 3: voleva cioè trasmettergli rispetto e riconoscere il suo ruolo che riteneva più elevato del proprio, anche se nella realtà era soltanto differente. Se però con Giuseppe passò da sola al tu, con Giorgio mantenne sempre il lei, in quanto lui rappresentava il coordinatore dell'ufficio e per questo aveva effettivamente più potere. Siamo anche in questo caso nella quadrante 3 del grafico sulle forze allocutive, anche se qui non c'è incertezza ma un'opinione netta sul tipo di rapporto da costruire con Giorgio;

Marinella: l'amministrativa del gruppo presenta difficoltà solo nelle relazioni con Giorgio: all'inizio gli rivolgeva il lei formale, in quanto non comprendeva bene il suo ruolo e preferiva quindi rimanere in una condizione di rispetto. Successivamente, vedendolo più presente in ufficio, è passata al tu riprendendo il comportamento di colleghe come Simona, che a Giorgio ha sempre dato del tu;

Giorgio: la persona che nella scelta degli allocutivi ha mostrato più disagio di tutte. Bisogna considerare infatti che era un nuovo arrivato all'interno dell'ufficio e, sebbene lavorativamente facesse già parte del mondo della comunicazione, non sapeva come orientarsi nel nuovo ambiente. Ecco perché verso Marinella e Silvia all'inizio dirigeva il lei: questo a volte veniva compreso come un atteggiamento di distanza quando invece voleva denotare rispetto. Forse solo in una fase, quella citata all'interno del caso di Silvia, si era generata anche distanza. Ad ogni modo, dopo una periodo di incertezza fu facile anche per lui passare al tu reciproco con tutti;

(28)

Io: nella mia esperienza ho provato difficoltà nel dare subito del tu all'ex-Dirigente Roberto: non osavo chiamarlo con questo allocutivo perché privilegiavo il suo ruolo e ritenevo quindi più corretto dargli del lei. A seguito però di vari “dammi pure del tu” passai al tu, ma sempre dopo che lui me lo propose, come successe anche nell'intervista: l'ho iniziata infatti col lei reverenziale e di rispetto e l'ho finita col tu colloquiale. Altri disagi li ho provati verso le persone nuove, ma non verso coloro che di età ed esperienza erano più grandi di me: con i nuovi non riuscivo a comprendere bene la qualifica con la quale si inserivano nel gruppo, ma la loro giovane età mi aiutò sempre a optare per il tu. Solo nel caso di Giorgio, a cui fin dall'inizio rivolsi il tu, passai al lei nel periodo in cui lo fece anche Silvia. Allora infatti io e lei lavoravamo insieme al front-office dell'URP e trovavo fuori luogo che io, stagista e col ruolo gerarchico più basso, avessi un atteggiamento più informale con Giorgio: lei aveva un ruolo più elevato del mio e quindi ritenevo corretto adeguarmi, in quanto sarebbe risultato familiare più che informale rivolgergli del tu quando il contesto comunicativo era diventato formale e rigido;

Roberto: nel suo caso non c'è nessuna difficoltà nell'uso degli allocutivi, ma ho voluto segnalarlo comunque in quanto è interessante notare che dava del

tu a tutti nonostante fosse in una posizione dirigenziale di alto livello.

Nell'intervista che ho svolto con lui, mi ha ribadito questo suo comportamento e l'ha giustificato dicendo che gli sembrava troppo formale dare del lei in un ambiente in cui era necessario essere dinamici e dove il gruppo ristretto permetteva rapporti diretti.

Credo che questi casi siano utili per comprendere come la comunicazione regoli i rapporti sociali: dimostrano infatti che il sistema degli allocutivi è un valido indicatore della stabilità o dei disagi che intercorsero nel gruppo di lavoro che ho vissuto.

Valutando ora nel complesso la casistica proposta, ritengo che molti dei disagi fossero legati a questioni di adattamento o di conoscenza: è sopratutto verso i nuovi che si generano le maggiori confusioni. Ciò avviene perché non si capisce che ruolo

(29)

hanno all'interno del gruppo e quindi come rapportarsi con loro: nell'incertezza viene dato sempre del lei piuttosto che del tu, per non peccare in rispetto e cortesia.

Andando più nel profondo, si può osservare questa casistica alla luce della riflessione di Luca Mori su comunicazione e conflitto46: questi esempi dimostrano come le

citazioni riportate nel suo testo siano corrette. In esse il conflitto viene visto come una forma di comunicazione che può essere «premessa per nuove interazioni comunicative, o che ispiri una riformulazione del consenso dato per scontato, oppure (…) può segnalare la trasformazione, generativa o degenerativa, di relazioni comunicative più o meno consolidate e abituali»47. Quindi il caso di Silvia che

ristabilisce il lei con Giorgio sarebbe quindi un «disaccordo sulla punteggiatura che riguarda la natura della relazione»48, la rappresentazioni di una schismogenesi

simmetrica nei termini di Bateson49 oppure un territorio vuoto di conflitto,

utilizzando la metafora di Simmel50.

Ad ogni modo è doveroso rilevare che le situazioni d'incertezza durarono al massimo un mese, dopo il quale si passò sempre ad un rapporto allocutivo certo e simmetrico. Difatti solo nel caso di Silvia e Giorgio anche nel periodo di crisi il lei venne assegnato in forma reciproca: negli altri casi c'erano espressioni asimmetriche che denotavano quindi una deferenza temporanea.

Nell'indagine della ricercatrice di Helsinki si notava che erano soprattutto coloro nati negli anni '70 ad avere più incertezze nella scelta dei pronomi da assegnare ai propri interlocutori: i miei esempi confermano quest'opinione poiché sono le persone più anziane del gruppo ad avere maggiori disagi e a puntare sul lei. Addirittura Clelia lo utilizzava sempre con Giorgio e ciò è dovuto non tanto alla sua condizione di sostituta all'interno dell'ufficio quanto piuttosto alla sua forte e marcata riverenza per

46 S. Cacciari, L. Mori, Mesh di comunicazione, ETS, Pisa, 2008, pp. 52-58 47 Ivi, p. 52

48 Ivi, p. 53

49 Citato ivi., p. 54. Batenson, studiando popolazioni della Nuova Guinea, rilevò un processo di differenziazione nelle norme del comportamento individuale basata sull'interazione cumulativa, che definì schismogenesi. Può essere di due forme: complementare quando i comportamenti e le forme di comunicazioni sono opposte, simmetrica quando sono uguali. Ad ogni modo questo processo può diventare un circolo vizioso autodistruttivo che va interrotto da situazioni che permettano l'autocorrezione condivisa.

50 Citato ivi, p. 54. L'autore analizza lo spazio vuoto che i romani lasciavano al di là e al di qua del confine come un segnale pragmatico di reciproca distanza, come potrebbe risultare un lei reciproco.

Figura

Figura sul sistema dell'allocuzione a tratti presente inPiera Molinelli,  Lei non sa chi sono io: potere, solidarietà, rispetto e distanza nella comunicazione, cit.

Riferimenti

Documenti correlati

Basaglia lo sapeva perfettamente e lo spirito del suo tempo lo aiutava a capire che buttando il suo poderoso macigno nelle acque stagnanti della malattia mentale e

Se non si possiedono i requisiti per ottenere la SPID, i cittadini appartenenti ad un altro Paese dell’Unione Europea, alla Svizzera, all’Islanda, alla Norvegia e al

- sbloccare e stimolare l’energia e la scioltezza del movimento e della voce - usare il ritmo come apertura al mondo dell’energia pura?. - attingere nel profondo alle proprie

è uno spazio di ascolto e consulenza nell’ambito del consultorio familiare, dedicato ai giovani di età tra i 14 e 21 anni, al quale si accede gratuitamente e liberamente,

L’ALCOOL SPRUZZATO SUL FUOCO DI FALÒ, BARBECUE E CAMINI, PUÒ CAUSARE UN RITORNO DI FIAMMA CAPACE DI FAR ESPLODERE LE BOTTIGLIE DI PLASTICA.. CHE

• Scopo della survey: valutare le conoscenze delle persone relativamente ad alcuni fattori di rischio accertati di tumore ed ad alcune cause “mitiche”, prive di una reale

L’atmosfera è suddivisa in strati: il primo strato, quello più vicino al suolo, si chiama troposfera; al di sopra c’è

- tramite consegna a mano, limitatamente alla impossibilità di utilizzare le due modalità sopra indicate, presso il Comune di Spoleto – Direzione Servizi alla Persona – Via San