• Non ci sono risultati.

Capitolo 1 Commenti e osservazioni sulla traduzione

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 1 Commenti e osservazioni sulla traduzione"

Copied!
91
0
0

Testo completo

(1)

6

Capitolo 1

Commenti e osservazioni sulla traduzione

1. Introduzione

La tecnologia ha cambiato le abitudini e le modalità di lavoro dei traduttori. Possiamo essere certi oggi di quanto ancora l’informatica contribuirà a produrre strumenti che possono facilitare la comunicazione tra gli esseri umani, anche senza eliminare la figura del traduttore umano1

. Il saggio di Michael Cronin cerca, a tal proposito, di delineare la situazione attuale della traduzione in relazione al contesto digitale in cui ci troviamo immersi, senza, tuttavia, rinunciare a fornire un quadro generale dei cambiamenti socio-economici che influenzano l’attività traduttiva.

Il viaggio di Michael Cronin attraverso la storia dell’interazione della traduzione con gli strumenti di supporto inizia, nella prima pagina dell’Introduzione, con una citazione ripresa dall’autobiografia del campione di tennis André Agassi. Paragonando il senso di confusione e di smarrimento del campione di tennis prima di una partita importante allo stato in cui si trova oggi qualsiasi persona coinvolta in qualche modo con il mondo della traduzione riesce a rendere anche lo stato d’animo di una studentessa alle prese con la traduzione per la sua tesi. Nell’era dominata dalla tecnologia informatica e dai formati elettronici, comincio il mio lavoro con l’acquisto, esclusivamente online e su un sito web specifico, del formato e-book del saggio di Cronin: il mio lavoro di traduzione può proseguire grazie all’ausilio di un programma di videoscrittura sul

1 Federico Zanettin, “Informatica e traduzione”, in C. Monacelli (a cura di), Traduzione, revisione

(2)

7

portatile e con la consultazione di numerosi vocabolari bilingui e monolingui e enciclopedie, cartacei e online.

2. Breve presentazione dell’autore e del saggio

Michael Cronin è professore di Translation Studies alla Dublin City University. Translation in the Digital Age è il suo ultimo saggio, dedicato ai continui effetti della tecnologia digitale e di internet sulla traduzione, e alle conseguenze sociali, culturali e politiche di questi ultimi.

Il primo capitolo del saggio inizia col situare il coinvolgimento della traduzione nel mondo digitale nella storia dell’interazione degli umani con gli strumenti. Si citano esempi quali la stele di Rosetta, o, ancora le peculiarità linguistiche e culturali dell’antica Roma, per finire con l’introduzione della tecnologia della stampa. Interessante è l’esposizione del cosiddetto “3T paradigm”, il “paradigma delle tre T”, iniziali delle tre parole inglesi “trade, technology and translation”, “commercio, tecnologia e traduzione”, l’interazione di questi tre fattori nel loro sviluppo reciproco e la loro importanza nella storia delle culture.

Il secondo capitolo – in traduzione, per intero – pone l’attenzione su alcune questioni di lingua, potere e traduzione sempre nel contesto digitale. Si espongono i concetti di “controlled natural language”, il “linguaggio naturale controllato” come nel caso dell’inglese globale semplificato, e di “lingua franca” globale. Vi si illustrano anche alcune conseguenze per la traduzione in seguito alla comparsa di sistemi di traduzione online.

Nel terzo capitolo – parzialmente tradotto – l’autore illustra il modo in cui viene percepita la pratica traduttiva nell’era digitale. Introduce il concetto di “limiti” e l’opposizione tra identicità e variabilità: il digitale, infatti, permette, secondo l’autore, la riproduzione infinita di elementi, tra cui anche testi tradotti, diversi e non identici.

(3)

8

Partendo dalla considerazione dell’impatto della tecnologia digitale sul lavoro traduttivo, il quarto capitolo – anche questo parzialmente tradotto – passa in rassegna i concetti di volume, tempo e costo. È in questo capitolo che l’autore riprende in modo più ampio la sua idea secondo la quale l’era attuale può essere definita era della traduzione anziché dell’informazione.

Il saggio, infine, si chiude con il quinto capitolo, in cui si considera il modo in cui si risponde alle nuove forme traduttive dell’era digitale. L’“umanesimo digitale”, ad esempio, cerca di comprendere i cambiamenti fondamentali verificatisi nella cultura e nella società contemporanee con l’avvento degli strumenti digitali. Per concludere, l’autore asserisce che sia l’economia che la politica sono fattori influenti per capire il modo in cui la traduzione ha determinato ed è stata determinata dagli strumenti di cui si serve.

Come poter definire un testo che tratta di traduzione? Per rispondere a questa domanda mi affido all’opinione di Bruno Osimo, secondo il quale un testo sulla traduzione può essere considerato allo stesso tempo scientifico, perché contiene informazioni basate su altri testi scientifici (e non a caso, Cronin cita anche matematici e architetti, oltre a storici e letterati in genere), e saggistico, in quanto presenta il punto di vista personale dell’autore, esposto con gusto e stile personali2

. Questo suggerimento mi ha permesso di sciogliere ogni dubbio sulla natura del testo tradotto. In generale, in un testo saggistico si confondono caratteristiche del testo scientifico, specie nel contenuto, e di quello narrativo, se, invece, si considera la forma. Spesso, infatti, chi scrive saggi è anche autore di opere narrative. La questione non vale per Michael Cronin: l’autore ha scritto principalmente saggi e contributi vari su riviste e miscellanee, che ruotano sempre intorno a questioni traduttologiche. Tra i saggi principali, si ricordano Translation Goes to the Movies (2008), Translation and Identity (2006) e Translation and Globalization (2003), tutti pubblicati da Routledge.

2 Bruno Osimo, La traduzione saggistica dall’inglese: guida pratica con versioni guidate e

(4)

9

Translation in the Digital Age è un saggio lungo e articolato. Le analisi e le considerazioni dell’autore vengono esposte non solo dal punto di vista linguistico ma anche da quello storico, sociale, economico, con riferimenti al campo della tecnologia informatica. Per questo motivo impiega una terminologia varia e non di facile e veloce comprensione per chi, ad esempio, non si intende di informatica. Il registro si presenta informale. La sintassi è semplice nel complesso ma in alcuni punti piuttosto articolata, con periodi ricchi di subordinate, nonostante la preferenza per i periodi semplici della scrittura saggistica in inglese. Il saggio non si prefigge di essere esaustivo: l’autore dice la sua su un argomento ma non pretende affatto di avere detto tutto né, come chiarisce fin dalle prime pagine, di voler presentare delle profezie.

3. Il processo traduttivo: le prime fasi

Durante tutto il lavoro di traduzione, l’immersione nel mondo digitale è stata totale. Oltre, ad esempio, alla consultazione di cataloghi di biblioteche online, il web mi ha fornito una grande quantità di strumenti validi, a partire da numerosi dizionari monolingui e bilingui consultabili su siti internet specializzati o di case editrici famose, in modo del tutto gratuito. È sufficiente una semplice connessione a internet. Non sono mancati, tuttavia, i supporti linguistici cartacei come vocabolari e manuali di grammatica italiana: ho usufruito il più possibile di tutti gli strumenti di cui un traduttore credo debba servirsi abitualmente.

Dopo una prima fase di lettura e una seconda fase traduttiva – spesso traduzione letterale, di getto – ne è seguita una terza dominata soprattutto dalla revisione complessiva del lavoro.

Sebbene diverse, tutte e tre le fasi sono significative. La lettura del traduttore, per esempio, è una lettura produttiva, in quanto i suoi obiettivi sono l’interpretazione del testo di partenza e la restituzione di senso ai lettori della

(5)

10 lingua di arrivo3

. La seconda fase, ovvero la prima stesura della traduzione, è spesso caratterizzata dalla presenza di numerosi calchi sia lessicali che sintattici. Per questo motivo, si parla di “traduttese”, una lingua che nella realtà extratraduttiva non esiste, ma la quale può a volte trasparire dalla stesura definitiva se al traduttore sfuggono le scelte lessicali o le costruzioni sintattiche mutuate dalla lingua di partenza e usate impropriamente nella lingua di arrivo4

. Nella fase di revisione, dunque, si deve fare attenzione in particolare alle scelte morfosintattiche e lessicali al fine di rendere la versione finale più accettabile nella cultura ricevente. Scarpa definisce la terza fase del lavoro traduttivo “riformulazione”: una fase il più delle volte lunga e laboriosa, in quanto a una prima stesura del testo di arrivo può seguirne una seconda o anche una terza5

. Confesso, infatti, che la revisione è stata la fase alla quale ho dedicato la maggior parte del tempo, in quanto spesso, nell’indecisione, ho riflettuto a lungo per smussare il testo e scegliere con attenzione tra le varie opzioni.

Nel commentare la traduzione mi riferirò soprattutto a esperienze concrete e ai dubbi sorti man mano che il lavoro traduttivo procedeva. Poiché la traduzione si fonda su alcuni processi di negoziazione, in base ai quali per ottenere un risultato soddisfacente si rinuncia spesso a qualcosa6

, è stato così anche per il mio caso. I problemi principali di traduzione hanno riguardato la riformulazione in italiano: il testo da tradurre, infatti, deve essere sempre adattato affinché funzioni anche nella cultura di arrivo.

3 Federica Scarpa, La traduzione specializzata. Lingue speciali e mediazione linguistica, Milano,

Hoepli, 2001, p. 109.

4 B. Osimo, Ibid., p 12. 5 F. Scarpa, Ibid., p. 107.

6 Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, 2003,

(6)

11

4. Questioni lessicali

Una delle differenze più evidenti che distinguono l’italiano dall’inglese è la tendenza del primo a privilegiare la variazione lessicale per evitare le ripetizioni; al contrario, l’inglese preferisce optare per la reiterazione dello stesso termine o della stessa espressione, anche se si trovano a breve distanza nel testo, al fine di essere il più possibile chiari7

. Si pensi, ad esempio, all’utilizzo dei pronomi soggetto in inglese che, in quanto lingua non-pro-drop, devono essere sempre mantenuti a differenza dell’italiano, lingua pro-drop, che può scegliere, in base ai contesti, di ometterli. A pagina XVI, quando Cronin cita Judt, afferma inoltre: “Even if the ‘we’ in Judt’s claim needs to be qualified [...]”, evidenziando il soggetto che in realtà nella traduzione italiana di Fabio Galimberti non c’è. Di conseguenza, non potendo proporre la traduzione letterale, ho tradotto esplicitando le caratteristiche grammaticali del soggetto sottinteso: “Anche se la seconda persona plurale nell’affermazione di Judt deve essere limitata [...]”. Per quanto riguarda il lessico, la difficoltà maggiore è stata la traduzione di termini relativi al mondo digitale e in particolare al gergo informatico, dominato dalla lingua inglese. Sebbene quando si traduce sia meglio evitare l’utilizzo di forestierismi, in alcuni casi non è stato possibile rinunciare agli anglicismi che provengono soprattutto dai campi semantici dell’informatica e dell’economia e che fanno ormai parte del lessico italiano, sotto forma di prestiti adattati e non e calchi.

L’ondata di cambiamenti ha interessato anche il lessico della traduzione. Una delle novità più evidenti è rappresentata, di certo, dall’introduzione del termine localizzazione in luogo di traduzione. Il termine localization deriva dall’inglese locale, ripreso a sua volta dal linguaggio del marketing per definire uno specifico mercato di destinazione dei prodotti (cfr. par. 4, cap. 3). In italiano si utilizza il

(7)

12

prestito adattato, sebbene non sia attestato nei vocabolari come sinonimo di traduzione.

4.1 Lessico informatico

Le grandi innovazioni tecnologiche hanno portato a una informatizzazione di massa e alla diffusione capillare nella lingua italiana della relativa terminologia tra gli anni Settanta e Ottanta. Man mano che col passare degli anni sono stati introdotti nella nostra lingua americanismi del gergo informatico, questi termini si sono fatti sempre più intraducibili o la loro traduzione non viene cercata più con la stessa passione impiegata per i primi tecnicismi. Tali prestiti riusciranno a sopravvivere nella lingua e a mostrare la propria vitalità, generando anche derivati come inputare da input e softwarista8

.

Durante la lettura dei testi consultati per la realizzazione di questo elaborato, ho constatato come sia in italiano che in inglese i termini internet e web sono utilizzati anche con l’iniziale maiuscola. Da una rapida consultazione di un vocabolario monolingue inglese e di un vocabolario di lingua italiana, infatti, si evince che in entrambe le lingue è ammessa la duplice opzione. Nei saggi di lingua italiana ho trovato, inoltre, delle differenze nella scelta del genere di internet: alcuni autori hanno optato per il genere maschile (scelta da me condivisa sia nella traduzione, che nei capitoli di commento e approfondimento) altri, invece, per quello femminile, con un evidente riferimento alla traduzione italiana di net, ovvero la rete. Tuttavia, contrariamente alle mie convinzioni, il termine è proprio di genere femminile come attestato nei vocabolari di lingua italiana consultati9

.

8 Fabio Marri, La lingua dell’informatica, in Luca Serianni, Pietro Trifone (a cura di), Storia della

lingua italiana, Torino, Einaudi, 1994, p. 625-626.

9 Tullio, De Mauro (a cura di), Il dizionario della lingua italiana, Torino, Paravia, 2000; Grande

(8)

13

Se parole come software, computer, smartphone, social network sono ormai entrate nel lessico quotidiano di tutti, altre locuzioni come open-source o community-based platforms e peer-to-peer computing sono più difficili da decifrare e rendere in un italiano comprensibile. Tali locuzioni diventano “piattaforme open source” o “community-based”, con la traduzione del solo sostantivo: “open source” resta, infatti, invariato e senza trattino, come attestato nel Dizionario Garzanti di Italiano10

, nel quale non troviamo, però, “community-based” che resta anch’esso invariato. “Peer-to-peer” sia in Garzanti, sia nell’Enciclopedia Treccani online11

non si traduce nemmeno. Peer-to-peer computing diventa “elaborazione peer-to-peer”. Tutti questi esempi sono prestiti dall’inglese alcuni dei quali già attestati nei vocabolari di lingua italiana, altri, invece, sono da poco entrati nell’uso. Per i termini e le locuzioni non ancora attestati ho preferito utilizzare il corsivo.

Tra i vari dubbi avuti nella traduzione di concetti e termini tecnici in inglese, sicuramente il vocabolo più particolare e allo stesso tempo più difficile da rendere è stato “everyware”, una sorta di parola composta. Lo troviamo già come titolo del quarto capitolo e all’interno del capitolo stesso. Cronin riprende questa espressione da Greenfield, che crea il neologismo fondendo il termine “every” (“ogni, qualsiasi”) con “ware”, che vuol dire “articolo, oggetto” ma che è decisamente più noto nei composti “hardware” e “software”, componenti di qualsiasi tipo di computer. Per un parlante inglese è evidente il pun che si crea tra everyware e everywhere, “ovunque”: la pronuncia (“ware” /wɛː/ e “where” /wɛː/) è identica ma le parole designano cose diverse, anche se credo che l’intenzione dell’autore sia stata proprio quella di marcare la somiglianza. Greenfield ha

Coletti, Il Sabatini Coletti. Dizionario della Lingua Italiana, Milano, Rizzoli Larousse, 2007; www.treccani.it/vocabolario; Nicola Zingarelli, Lo Zingarelli 2005, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 2004.

10“Open source: (inform.) si dice di software che ha un codice sorgente liberamente accessibile a

tutti”, Grande Dizionario di Italiano Garzanti.

(9)

14

coniato il termine per riferirsi all’ubiquità dell’elaborazione informatica negli oggetti e sulle superfici della vita di ogni giorno. Una resa in italiano è impossibile: non esistono termini con i quali poter riprodurre il gioco morfologico e fonetico inglese, tanto meno se pensiamo che le stesse parole software e hardware sono dei prestiti non adattati in italiano e quindi non esiste un corrispettivo di “ware”. La coppia hardware-software, presente in Italia già a partire dal 1969, resiste, infatti, alle traduzioni avanzate ma poco convincenti del periodo come apparecchiatura, strumentario, ferraglia, corredo, programmario, programmeria12

. Di conseguenza, ho deciso di lasciare il termine invariato, perché suppongo che chiunque decida di leggere il saggio di Cronin, sia in lingua originale che nell’eventuale traduzione, studi l’inglese, o comunque lo capisca, e dunque possa riconoscere l’unicità del vocabolo.

4.2 Altre considerazioni sul lessico

Una situazione simile a quella di everyware, con un pun riconoscibile in inglese si è presentata nel passaggio in cui l’autore analizza un’app per smartphone per la traduzione di segnali stradali e cartelli di vario genere chiamata Word Lens. Data la capacità di questa applicazione di “leggere” le immagini, Cronin nota che “Word Lens becomes World Lens”, giocando in effetti con l’assonanza tra le parole word e world, che si distinguono a livello formale solo per una consonante ma che hanno significati diversi. Non ho, di certo, tradotto letteralmente né ho scelto di inserire una nota, ma semplicemente ho preferito esplicitare il significato delle locuzioni con la seguente modulazione: “Le ‘lenti per le parole’ di Word Lens diventano ‘lenti per il mondo’ in World Lens.”

Un altro dubbio lessicale riguarda il concetto di objectile che l’autore introduce nel secondo capitolo (p. XLV): “the program or series or generation notation that

(10)

15

generates other objects”. Il termine è stato coniato dall’autore francese Gilles Deleuze nel suo saggio Le pli: Leibniz et le Baroque del 1988, nel quale troviamo il termine in corsivo. Il neologismo non compare in nessuno dei vocabolari consultati, né quelli di lingua inglese né quelli di lingua francese. Tuttavia, poiché il saggio è stato pubblicato anche in Italia, mi affido alla traduzione di Valeria Gianolio (prima edizione del 1990) e all’edizione curata da Davide Tarizzo pubblicata cinque anni più tardi13

. Entrambi i traduttori scelgono come corrispettivo di objectile “oggettile”.

Come abbiamo già visto, nel suo saggio Cronin prende in considerazione diverse modalità di traduzione nell’era digitale ovvero il modo in cui l’attività traduttiva è supportata da pratiche legate al mondo di internet e da tecnologie informatiche. Tra tutte, osserviamo in particolare il caso della wiki-translation, al quale l’autore dedica un intero paragrafo del quarto capitolo. Si tratta di una parola composta dal prefisso wiki e dal sostantivo translation. Wiki è un termine di origine hawaiana che vuol dire “veloce” ed è usato in italiano come aggettivo e sostantivo maschile14

. In italiano potremmo optare semplicemente per la resa letterale “wikitraduzione”, con o senza trattino, più o meno univerbato. Tuttavia, nei vocabolari di italiano cartacei e online consultati, “wikitraduzione” non esiste. E da una ricerca su Google scopriamo anche che non esistono nemmeno occorrenze attestate del termine. Potremmo considerare anche la variante “traduzione wiki” o, ancora, optare per il vocabolo invariato, considerandolo come prestito non adattato.

13 G. Deleuze, La piega. Leibniz e il Barocco, trad. di V. Gianolio, Torino, Einaudi, 1990 e Id., La

piega. Leibniz e il Barocco, a cura di D. Tarizzo, Torino, Einaudi, 2004.

14 http://www.treccani.it/enciclopedia/wiki_(Lessico-del-XXI-Secolo)/ (pagina consultata il

(11)

16

4.3 Parole macedonia

Nel quarto capitolo del saggio, all’interno di un sottoparagrafo, Cronin introduce il termine “prosumer”. Si tratta di una parola macedonia nata dall’unione dei sostantivi “producer” (o “professional”) e “consumer”, che designa un cambiamento del ruolo del consumatore che diventa attivo nei processi di produzione, proprio come nel caso del traduttore in crowdsourcing. Nel caso del prefisso pro-, ripreso da professional, prosumer è adattato all’ambito del mercato15

. Con sorpresa, trovo un’attestazione di prosumer tra i neologismi del vocabolario online Treccani16

e nel Garzanti di Italiano ma nessuna attestazione nei vocabolari bilingui.

Dalla voce del vocabolario Treccani si legge che il termine, coniato a sua volta da Alvin Toffler, è attestato in italiano già nel 1986 in un articolo di Repubblica e si avanza altresì una possibile traduzione in italiano: prosumatore17

. Nella traduzione del saggio, infatti, ho optato per prosumatore, mantenendo tra parentesi il termine inglese.

Diverso è, invece, il caso di “prosumption”. Il termine compare nel titolo del sopraccitato sottoparagrafo nella locuzione “Translation prosumption”, e indica l’attività propria del prosumatore. Questa seconda parola macedonia deriva, analogamente a prosumer, dall’unione di “production” e “consumption”. Non vi è

15 Definizione di prosumer nel dizionario online Oxford:

http://www.oxforddictionaries.com/definition/english/prosumer?q=prosumer (pagina consultata il 02/05/2014).

16 “Chi è allo stesso tempo produttore e consumatore di un bene”

http://www.treccani.it/vocabolario/prosumer_(Neologismi)/ (pagina consultata il 02/05/2014).

17 “[...] l’aspetto più innovativo di Internet: la partecipazione attiva dell’utente allo sviluppo

dell’informazione. Contribuendo alla creazione di nuova informazione, egli non è più un consumatore passivo, ma un produttore attivo di idee: un prosumatore (prosumer), come con geniale anticipazione lo definiva Alvin Toffler. (Giorgio Ruffolo, Repubblica, 7 agosto 2008, p. 35, Commenti)”, pagina consultata il 02/05/2014.

(12)

17

alcuna presenza del termine in nessuno dei vocabolari consultati, né monolingui né bilingui. Tuttavia, da una sommaria ricerca tramite Google e Google Libri, ho riscontrato numerose occorrenze del termine, anche nel caso in cui ho selezionato la ricerca delle pagine web e dei libri esclusivamente in italiano.

Se la scelta di prosumatore è ineccepibile, la resa di “prosumption” si presenta difficile in partenza. Il problema non riguarda di certo il prefisso pro- quanto la radice derivata da “consumption”, ossia “consumo”. Non vi è, infatti, affinità tra le radici dei due termini, come nel caso di “consumer” e “consumatore”. Di conseguenza, per il titolo del paragrafo ho preferito evitare di coniare possibili espressioni italiane, smembrando e perdendo inevitabilmente il neologismo inglese: “Translation prosumption” diventa, dunque, “Produzione e consumo di traduzioni”.

(13)

18

5. Scelte sintattiche

Altri aspetti per cui l’italiano tende a distinguersi dall’inglese sono la maggiore complessità ed elaborazione sintattica, laddove in inglese i periodi sono corti e tendenzialmente concisi. Cionostante, in alcuni punti la sintassi di Cronin si presenta piuttosto articolata, con periodi ricchi di subordinate.

Uno degli aspetti che maggiormente ho notato nella prosa dell’autore è stata la marcatezza sintattica di alcune costruzioni, ovvero la loro posizione marcata all’interno della frase. Molto ricorrente è l’utilizzo di aggettivi in prima posizione e soprattutto dell’aggettivo “implicit” seguito dal verbo essere: “However, implicit in Word Lens is the notion…” che ho tradotto con “Tuttavia, in Word Lens è implicita l’idea” senza rispettare l’ordine originale, che, invece, ho mantenuto nel secondo esempio “Implicit in Tapscott’s description of the Net Geners is...” con “Implicito nella descrizione di Tapscott dei Net Geners è...”. Altri esempi di costruzioni ripetute all’inizio di un nuovo paragrafo o di un nuovo periodo sono quelle formate dal pronome “what” seguito dal verbo essere e da aggettivo o da avverbio e aggettivo: “what is significant...” (“quel che è importante...”) e “What is especially apparent...” (“Ciò che soprattutto si nota...”), con la semplice variazione nei pronomi in italiano (quel, quello, ciò) o, nel secondo caso, con la trasposizione dall’aggettivo “apparent” al costrutto verbale “si nota”. Nell’esempio che segue ho preferito optare, invece, per la scelta di un sintagma verbale con modo indefinito in luogo del sopracitato costrutto con verbo essere al presente indicativo: “In the shift or ‘migration’ from call centre to multilingual support portal, what is stressed, somewhat surprisingly in view of the emphasis on automation, is the centrality of the labour of translation” è stato tradotto con “Nel passaggio o ‘migrazione’ dal call center al portale di supporto plurilingue, a essere marcata, in qualche modo in maniera sorprendente, considerata l’enfasi sull’automatizzazione, è la centralità del lavoro di traduzione.”

(14)

19

In sostanza, laddove è stato possibile ho cercato di mantenere le costruzioni sintattiche originali senza tralasciare l’importanza della scorrevolezza della lettura. Spesso però la necessità di riformulazione e la modulazione della sintassi della lingua di arrivo sono prevalsi, per rendere i periodi più fluidi.

6. Riferimenti interculturali

È possibile trovare un esempio di riferimento interculturale nel terzo capitolo, specificamente nel paragrafo “Limiti nella crescita” (p. LXVIII) quando l’autore riporta una discussione ripresa dal forum linguistico di WordReference.com. Gli utenti discutono sulle possibili traduzioni dall’inglese cream cheese al francese: le proposte sono varie, così come varie sono le motivazioni fornite dagli utenti. Considerato l’utilizzo esclusivo di locuzioni inglesi e francesi, ho ritenuto opportuno porre la traduzione in italiano, all’interno di parentesi e tra apici. In questo caso, mi è stata molto di aiuto anche la consultazione della Banca dati terminologica multilingue dell’Unione Europea anche nota con l’acronimo IATE (InterActive Terminology for Europe, consultabile al sito web www.iate.europa.eu, cfr. anche par. 8.2, cap. 3). Una banca dati terminologica è, nella sua forma più elementare, un glossario bilingue equivalente ai tradizionali glossari cartacei con l’unica differenza di essere in formato elettronico18

. Nel caso di IATE, la consultazione avviene online ed è totalmente gratuita. È sufficiente selezionare in anticipo la lingua di partenza e una o più lingue d’arrivo. Quindi, di uno stesso termine posso visualizzare nello stesso momento i rispettivi equivalenti anche in più lingue. Questo tipo di strumenti sono solitamente creati da grandi organizzazioni internazionali come, appunto, l’Unione Europea ma anche da agenzie traduttive di medie e grandi dimensioni19

.

18 F. Zanettin, Ibid., p. 31. 19 Ibid., p. 32.

(15)

20

A proposito di riferimenti interculturali, non posso non citare il passaggio, sempre contenuto nel terzo capitolo, in cui Cronin introduce “the fifteenth-century Italian polymath Leon Battista Alberti” (p. LXXI). Che si conosca o meno l’illustre connazionale, qualsiasi italiano assocerebbe il nome di Leon Battista Alberti alla propria nazione. Lo stesso vale per il riferimento nel quarto capitolo a Giordano Bruno, “the Italian scholar and translator” (p. CIII). Poiché la traduzione sarebbe destinata a un pubblico di lingua italiana, di conseguenza l’aggettivo “italiano” rappresenta, in entrambi i casi, un’informazione ridondante e superflua, che conviene omettere.

Quando si traduce, non è necessario solo tenere in considerazione la cultura e la lingua di coloro ai quali la traduzione è destinata. Bisogna conoscere, o quanto meno immaginare, laddove possibile, anche le competenze e le conoscenze enciclopediche possedute dai lettori modello del testo. L’individuazione del lettore modello è uno dei passi fondamentali per elaborare una buona strategia comunicativa20

. Nel caso della traduzione del saggio di Cronin, si considera lettore modello un qualsiasi studioso o studente di lingue e culture contemporanee.

7. Citazioni

Fin dalle prime righe sono stata messa alla prova con una citazione. Cronin ne utilizza numerosissime e ogni volta ho dovuto assicurarmi che quel testo citato in lingua inglese non sia stato già tradotto e pubblicato in italiano. In questi casi, infatti, è necessario accertarsi che le citazioni riprese da autori stranieri siano state tradotte anche nella propria lingua. Se il traduttore scopre che esiste la versione in italiano dell’opera citata nel testo che sta traducendo, allora dovrà consultarla per recuperare il passaggio citato. Ricerche che una volta richiedevano giorni interi tra gli scaffali o le sale riviste delle biblioteche ora si possono fare in pochi minuti.

(16)

21

Per verificare la presenza o meno della versione italiana dell’autobiografia di Agassi, ho consultato il sito web della Biblioteca nazionale centrale di Firenze (www.bncf.firenze.sbn.it). Una volta inserito il nome dell’autore originale, ho potuto constatare che tra i risultati ottenuti c’era anche il saggio che cercavo, naturalmente tradotto. Dopo aver preso nota del titolo in italiano, del nome del traduttore, dell’edizione e dell’anno, ho fatto una ricerca personale su internet e poi sul sito internet delle biblioteche dell’Università di Pisa. In questo modo, ho trovato la biblioteca dove il testo italiano era disponibile per la consultazione. Ho potuto recuperare diverse citazioni anche in rete, attingendo al corpus di testi in versione digitale di Google Libri. I riferimenti bibliografici dei testi stranieri tradotti e pubblicati in Italia sono stati inseriti in note a piè di pagina, in aggiunta a quelle originali.

Anche se non espressamente indicato, appare evidente che le citazioni da testi di autori stranieri di cui non esiste traduzione nella nostra lingua sono state tradotte da me. Il compito si è rivelato difficile in quanto spesso questi passaggi, seppur introdotti da Cronin, erano comunque fuori contesto, specie nel caso di estratti di romanzi. Sono diverse le occasioni in cui Cronin cita anche degli autori francesi: quei passaggi sono stati tradotti dal francese all’inglese dall’autore stesso, che ha posto in nota le citazioni in lingua originale. Ho preferito tradurre questi estratti direttamente dalla loro lingua originale, evitando, dunque, una traduzione indiretta, di seconda mano, visto che il francese è la seconda lingua che ho studiato in questi anni universitari.

(17)

22

8. Note del traduttore

Le note originali del saggio sono pochissime e sono tutte note di chiusura. Oltre ad aver aggiunto delle note a piè di pagina per riportare estratti di testo in lingua francese e tedesca e alcuni riferimenti bibliografici (si veda paragrafo precedente), ho inserito anche alcune note del traduttore, differenziate dalle altre con la sigla “N.d.T.”. Di solito utilizzate (con moderazione) per evitare difficoltà al lettore e rendere comunque scorrevole la lettura nel caso in cui siano presenti realia, residui traduttivi o impliciti culturali, questo tipo di note danno l’opportunità al traduttore di inserire degli elementi al di fuori del testo principale con il solo fine di preservarne la comprensione globale.

Le poche note del traduttore inserite nella traduzione riguardano soprattutto delle delucidazioni su riferimenti a realtà culturali che in Italia non esistono ma che, ovviamente, non possono essere eliminate dal testo. Ne sono un esempio i nomi di organizzazioni straniere e i titoli di libri e riviste editi in inglese e non presenti in Italia come Literature across Frontiers, Words without Borders e Literature without Borders, diciture che non possono essere tradotte in italiano ma di cui specifico origine e significato in un’apposita nota ( “Letteratura oltre le frontiere”, “Parole senza confini”, “Letteratura senza confini”, rispettivamente un’organizzazione, una rivista online e un saggio, p. LII). Lo stesso vale per l’agenzia statunitense “Defense Advanced Research Projects Agency”, il cui nome è tradotto solo in nota (“Agenzia per i progetti di ricerca avanzata per la difesa”, p. XXVI).

Un altro elemento culturale implicito nel saggio, che potrebbe sfuggire al lettore italiano, è il riferimento al “PEN Charter”, statuto del PEN Club. Ho ritenuto necessario il ricorso alla nota non solo per spiegare cosa fosse il PEN Club ma per far notare la presenza dell’acronimo e l’associazione di quest’ultimo al sostantivo inglese “penna”, evidente pun in inglese che viene perso in italiano. La nota cita: “Associazione internazionale di poeti (‘poets’), saggisti (‘essayists’)

(18)

23

e romanzieri (‘novelists’) da cui l’acronimo PEN, che corrisponde anche al sostantivo inglese ‘penna’.”

Ancora una piccola delucidazione è stata aggiunta per indicare un cambiamento nel passaggio dall’inglese all’italiano della sigla per indicare il linguaggio naturale controllato, LNC. Per ovvie ragioni di ordine diverso dei costituenti della locuzione nelle due lingue, l’acronimo utilizzato in italiano è diverso da quello inglese CNL, “controlled natural language”.

(19)

24

Capitolo 2

Traduzione e tecnologia

1. Introduzione: che cos’è la traduzione

Con il termine traduzione si designa generalmente il passaggio di un testo scritto (o orale) da una lingua di partenza a una lingua d’arrivo1

, con la creazione di un secondo testo parallelo al primo. Si tratta di un processo di riscrittura e di adattamento, per il quale è necessaria da parte di chi traduce una conoscenza approfondita della lingua e della cultura straniera e, quindi, di tutti gli aspetti storici, artistici, socioeconomici che contraddistinguono una nazione o una comunità di parlanti.

La traduzione non è mai una resa automatica e letterale di parole ed espressioni da un sistema linguistico a un altro, per cui basterebbe conoscere il significato di ogni elemento per saper tradurre. Il lessico, infatti, non è il solo ambito linguistico ad entrare in ballo nel processo traduttivo, altrimenti basterebbe un semplice vocabolario o glossario bilingue affinché chiunque potesse tradurre da una lingua straniera a un’altra. Non vi è mai una totale corrispondenza di significati tra le varie lingue – basti pensare alle espressioni idiomatiche o alle metafore, che non vanno di certo tradotte letteralmente ma trovando un equivalente funzionale, o dinamico – in quanto è diverso il modo in cui ogni lingua etichetta la realtà che la circonda.

Tuttavia, la mancanza di equivalenza di fondo delle lingue non significa che la traduzione sia un processo impossibile. Anzi, le traduzioni “sono possibili proprio

1 “Volgere, rendere in una lingua diversa da quella originale un testo scritto od orale [...]”, De

(20)

25

perché si fondano sull’universalità e unicità qualitativa del linguaggio, cioè sulla comune umanità che lega l’uno all’altro i parlanti di lingue e culture diverse”2

. Il traduttore deve essere sempre consapevole del fatto che la traduzione non è un mero esercizio interlinguistico ma un vero e proprio passaggio interculturale. Se per le lacune e i dubbi lessicali un traduttore può certamente servirsi di vocabolari di ogni genere, essenziale, invece, è la buona conoscenza della grammatica della lingua straniera. Il traduttore deve saper riconoscere e padroneggiare la grammatica con particolare attenzione alle strutture morfosintattiche della lingua di partenza e ancor di più della lingua d’arrivo, solitamente la sua lingua madre. Tuttavia, l’approccio prettamente linguistico, seppur centrale, non basta e, anzi, può risultare imperfetto perché imperfetta è la conoscenza che si ha e della lingua straniera e della propria lingua madre. Quando si traduce, è necessario valutare di volta in volta anche aspetti extralinguistici come il contesto testuale e culturale complessivo, e fare riferimento, dunque, a elementi che stanno al di fuori del testo, ovvero le conoscenze enciclopediche sul mondo che ci circonda3

. La traduzione resta un processo complesso che include una serie di trasposizioni che non sono solo relative alla struttura linguistica come, ad esempio, la conversione di unità di misura e monetarie oppure i diversi modi di indicare l’ora, le date, gli indirizzi.

La traduzione comporta delle scelte da parte del traduttore, di cui si assume la totale responsabilità. Questa sorta di potere decisionale non rende, però, la figura mediatrice del traduttore necessariamente un traditore, nonostante il celebre accostamento. È vero che il traduttore non è l’autore del testo in lingua di partenza ma può essere, comunque, l’autore del testo tradotto con una precisa responsabilità morale nei confronti del lettore4

e rimanendo sempre fedele

2 Giulio C. Lepschy, “Traduzione” in Id., Sulla linguistica moderna, Bologna, Il Mulino, 1989, p.

132.

3 U. Eco, Ibid., p. 31.

4 Susan Bassnett-McGuire, La traduzione: teorie e pratica, a cura di D. Portolano, trad. di G.

(21)

26

all’autore e alle sue intenzioni. Il traduttore si fa altresì interprete di un testo singolo e di una cultura, anche e soprattutto quando si trova alle prese con espressioni ostiche e di difficile resa nella lingua d’arrivo. Le discordanze di due sistemi grammaticali diversi possono, certamente, rendere problematico il processo traduttivo ma non impossibile5

.

Ogni volta che si vuole illustrare in modo chiaro e completo cosa sia la traduzione, si fa riferimento, inevitabilmente, alla celeberrima tripartizione di Roman Jakobson6

, che suddivide la traduzione in intralinguistica, interlinguistica e intersemiotica. La traduzione intralinguistica è l’interpretazione di segni linguistici per mezzo di altri segni della stessa lingua; la traduzione interlinguistica è l’interpretazione di segni linguistici per mezzo di un’altra lingua; la traduzione intersemiotica, infine, è l’interpretazione di segni linguistici per mezzo di segni appartenenti a sistemi comunicativi non linguistici.

Per quanto riguarda la traduzione interlinguistica, ovvero la traduzione propriamente detta, si può distinguere, a sua volta, tra traduzione letteraria e traduzione non letteraria. Come afferma Antoine Berman, la traduzione letteraria comporta una manipolazione dei significanti, che crea una situazione in cui le due lingue si scontrano in diversi modi e si uniscono; la traduzione non letteraria, invece, comporta un trasferimento di significati e riguarda solo quei testi, come testi tecnici, scientifici, argomentativi, che hanno un rapporto esteriore o strumentale con la lingua7

. Ogni testo, in effetti, è diverso da un altro: si può avere a che fare con una poesia, un romanzo epistolare del Settecento o ancora un saggio di economia. In questi casi, il traduttore deve saper riconoscere, in primo luogo, il tipo di testo che si trova davanti e saper valutare, in secondo luogo, i vari livelli del sistema linguistico della lingua straniera chiamati in causa nel testo

5 G. C. Lepschy, Ibid., p. 147.

6 Roman Jakobson, Saggi di linguistica generale, trad. di L. Heilmann e L. Grassi, Milano,

Feltrinelli, 1966, p. 57.

7 Antoine Berman, “Translation and the Trials of the Foreign”, in Lawrence Venuti (a cura di), The

(22)

27

specifico. Ad esempio, se il traduttore deve tradurre un testo poetico è inevitabile che, oltre al livello prettamente lessicale e morfosintattico, dovrà considerare anche quello fonologico, la metrica e lo stile. L’attenzione all’aspetto formale, oltre che al senso veicolato dal testo, è una caratteristica tipica della traduzione di testi letterari. Il traduttore letterario si impegna, dunque, a rispettare e riprodurre nel migliore dei modi le scelte stilistiche, quali la metrica, il ritmo, il tono, il registro e la funzione del testo originale anche nella traduzione. Devono essere tenuti sempre ben presenti, comunque, i concetti di fedeltà al testo e di rispetto dell’intenzionalità dell’autore. In merito alla riproduzione dell’effetto nella traduzione, molti autori parlano di equivalenza funzionale o di skopos theory, cioè “una traduzione (specie nel caso di testi a finalità estetica) deve produrre lo stesso effetto a cui mirava l’originale”8. Una dose di libertà non può, tuttavia, mancare. Quella tra fedeltà e libertà è una dicotomia insanabile all’interno dei dibattiti sulla traduzione. Secondo Walter Benjamin, “la fedeltà nel tradurre la parola singola non può quasi mai riprodurre pienamente il senso che essa ha nell’originale” in quanto il senso non si esaurisce nel signum, e la fedeltà letterale nei confronti della sintassi sconvolgerebbe la riproduzione del senso9

.

Nell’ambito della traduzione non letteraria, è inclusa quella saggistica e, comunque, qualsiasi traduzione di testi che fanno parte di un contesto specialistico come il dominio scientifico-tecnologico o economico, ad esempio. Nonostante esistano numerose etichette per designare la traduzione di testi specialistici, possiamo riferirci in questo caso all’espressione di “traduzione specializzata” usata da Scarpa nel suo saggio omonimo del 200110

. L’autrice osserva come la traduzione di testi scritti nelle cosiddette lingue speciali sia diventata prassi

8 Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, 2003 p.

80; corsivi dell’autore.

9 Walter Benjamin, “Il compito del traduttore”, trad. di Gianfranco Bonola, in Siri Nergaard (a

cura di), La teoria della traduzione nella storia, Milano, Bompiani, 2002, p. 231.

10 Federica Scarpa, La traduzione specializzata. Lingue speciali e mediazione linguistica, Milano,

(23)

28

indispensabile nella società moderna che mira alla diffusione delle conoscenze tecnico-scientifiche. Afferma, inoltre, che anche se è impossibile distinguere in modo netto i due campi della traduzione letteraria e di quella specializzata, in quanto le procedure traduttive sono sempre le stesse, variano gli approcci adottati qualora si traduca, per esempio, un saggio di etnolinguistica o un romanzo di Charles Dickens11

.

1.2 La traduzione: passato e presente

La traduzione è un’attività che si tramanda da millenni, condivisa da tutte le culture del globo. L’obiettivo di questo paragrafo non è certo quello di illustrare la storia e l’evoluzione della traduzione e delle teorie traduttive nel tempo e nelle varie culture, ma semplicemente di accennare ad alcuni degli eventi più salienti che hanno portato dei forti cambiamenti in ambito traduttivo e trarne delle considerazioni.

“Tradurre è la condizione di ogni pensare e di ogni apprendere”12

: dai contatti tra la cultura greca e la cultura romana, passando per le prime traduzioni della Bibbia, fino ad arrivare all’invenzione della stampa e alla nascita e alla diffusione di internet negli anni 1990, la traduzione, ieri quanto oggi, avvicina mondi culturali e realtà linguistiche distanti col solo fine di trasmettere e condividere la conoscenza.

Sia nella cultura greca che in quella latina erano prevalenti le situazioni di monolinguismo. Tuttavia, con l’espansione geografica e politica dell’impero romano inevitabilmente si verificano tra la popolazione fenomeni di bilinguismo e trilinguismo. I latini, inoltre, affascinati dal vicino mondo greco, danno avvio a un periodo fervente di traduzioni dal greco al latino dei principali testi di retorica e poetica greci, nonché alle prime traduzioni della Bibbia, in quanto il greco fu la

11 Ibid., pp. 67-69.

(24)

29

prima lingua ufficiale del nascente cristianesimo. Dalla Vetus Latina si arriverà successivamente alla Vulgata di San Girolamo (IV sec. d.C.).

Dopo la conferma del primato della Vulgata in seguito al Concilio di Trento (1545-1563), la Chiesa di Roma non ha mai appoggiato le traduzioni della Bibbia nelle lingue volgari. Però, non si può non menzionare il caso emblematico della traduzione in lingua tedesca di Martin Lutero. Sebbene la decisione di Lutero abbia portato alle scissioni interne alla Chiesa cristiana con la celebre Riforma protestante, la sua traduzione ebbe un valore altissimo nella diffusione del tedesco su tutto il territorio nazionale. A questo si aggiunge l’invenzione della stampa, che ha avuto anch’essa un ruolo decisivo per la proliferazione dei primi dizionari bilingui nel contesto europeo.

La sensazionale scoperta nel 1799 della celebre stele di Rosetta permise per la prima volta agli studiosi di decifrare l’affascinante e fino ad allora incomprensibile scrittura geroglifica: le tre versioni di uno stesso decreto di re Tolomeo V del II secolo a. C. incise una accanto all’altra, in geroglifico, demotico e greco, non possono essere considerate una protoversione dei moderni glossari multilingui?

Insomma, questi pochi esempi mostrano perfettamente che la traduzione non è solo una pratica interlinguistica ma anche un esercizio interculturale, e che gli strumenti informatici di cui i traduttori si servono oggi non sono altro che l’evoluzione di invenzioni precedenti.

2. Cosa tradurre: il testo

In un mondo in cui i cambiamenti tecnologici sono repentini e in cui è difficile stare al passo con le novità, diventa altrettanto difficile individuare quale sia l’oggetto della traduzione. La semplice attività di lettura, per esempio, è passata dalla pagina cartacea del libro, del quotidiano o della rivista alla pagina digitale dei più moderni e-book sugli schermi di computer, smartphone e tablet. Se poi il

(25)

30

dispositivo elettronico, sul quale il libro stampato viene trasferito, può collegarsi a internet, allora quel “libro elettronico” diventa qualcosa di molto simile a un sito web. È possibile consultare i contenuti direttamente in rete: la lettura da attenta e lineare si fa veloce, distratta e discontinua, passando in poco tempo da una pagina a un’altra, proprio come quando si naviga sul web13

. Anche il lettore a sua volta cambia il suo status, in quanto si comincia a definirlo “utente” o “destinatario”. In seguito alla grande distribuzione del libro stampato nel XIX secolo, Maria Corti aveva osservato che lo scrittore non era più in grado di conoscere il suo pubblico che, arrivando a comprendere le classi e i gruppi sociali più svariati, era divenuto più vasto e, in un certo senso, più dispersivo. Per un traduttore questa situazione era ancora più esasperata14

. Potremmo considerare se questo allontanamento tra traduttore e pubblico esiste davvero nel contesto digitale attuale, osservando i “testi” nelle loro nuove vesti e il rapporto del traduttore (o del localizzatore) con le pagine e i contenuti che traduce.

Nella definizione di traduzione avanzata nel primo paragrafo, abbiamo spiegato che la traduzione consiste nel passaggio di un testo scritto (o orale) da una lingua di partenza a una lingua d’arrivo. Un testo, nelle sue varianti diamesiche, è un insieme di frasi tra loro coese, ovvero legate da rapporti grammaticali e dalla connessione sintattica tra le varie parti, e coerenti, cioè aventi, nell’insieme, una tenuta logica15

. Ma un testo, in quanto insieme di segni, può essere composto anche da segni non linguistici, il cui scopo resta comunque quello di comunicare un messaggio. Con l’introduzione dei formati elettronici appare evidente come i cambiamenti nella struttura e nella disposizione dei contenuti dei testi, influiscano anche sul cambiamento del concetto stesso di testo, che non è più visto solo come una sequenza di frasi ma come un insieme in cui la lingua è integrata da

13 Nicholas Carr, Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello, Milano,

Raffaello Cortina Editore, 2011, p. 130.

14 Maria Corti, Principi della comunicazione letteraria, Milano, Bompiani, 1976, p. 57.

15 Per i concetti di coesione e coerenza: Luca Serianni, Prima lezione di grammatica, Roma-Bari,

(26)

31

immagini, suoni e grafica, che non sono dei semplici ornamenti. Innanzitutto, è necessario riconoscere le caratteristiche multimodali di questi testi. Un testo multimodale comunica un messaggio attraverso la combinazione di modalità semiotiche diverse, cioè strumenti capaci di creare e trasmettere un significato. Oltre che per mezzo della forma scritta e di quella orale, un significato può essere trasmesso anche da immagini, simboli, rumori, colori, musica, etc.16

. La traduzione o “semiosi traduttiva”, prendendo in prestito il concetto di Arduini e Stecconi17

, consiste sempre in una trasposizione di parole e segni. Il traduttore deve essere in grado di riconoscere e tradurre un testo multimodale. Non a caso, nella tripartizione di Jakobson, troviamo anche la definizione di traduzione intersemiotica, relativa, appunto, all’interpretazione di segni linguistici per mezzo di segni appartenenti a sistemi comunicativi non linguistici. Basti pensare alla traduzione per lo schermo o, appunto, delle moderne pagine web. Se poi ci riferiamo alla traduzione di software e alla relativa attività di localizzazione, come si vedrà nel capitolo successivo, vediamo come la natura di testo si discosta nuovamente dalla forma tradizionale, dato che le stringhe da tradurre sono immerse nel cosiddetto linguaggio HTML e nei tag. Il testo elettronico, infatti, è composto da un doppio strato di contenuti: in superficie, vengono mostrati gli elementi che compaiono sullo schermo e in profondità, si nascondono i codici che compongono il testo virtuale. La traduzione comporta una lettura profonda dei testi, in quanto il traduttore deve essere capace di conoscere e capire il funzionamento dell’oggetto digitale immerso in un contesto esclusivamente tecnologico18

.

16 Elisa Perego, Christopher Taylor, Tradurre l’audiovisivo, Roma, Carocci, 2012, pp. 15-16. 17 Stefano Arduini, Ubaldo Stecconi, Manuale di traduzione: teorie e figure professionali, Roma,

Carocci, 2007, p. 65.

18 Federico Zanettin, “Testi elettronici e traduzione: orizzonti e risorse per la traduzione in rete”, in

R. M. Bollettieri Bosinelli, C. Heiss, M. Soffritti, S. Bernardini, (a cura di), La traduzione multimediale. Quale traduzione per quale testo? Multimedia translation: which translation for

(27)

32

È necessario considerare, dunque, una nuova definizione del concetto di testo che tenga conto delle caratteristiche multimodali e multimediali, delle diverse tipologie testuali e delle caratteristiche intrinseche del testo elettronico.

I testi elettronici non rappresentano più un’entità racchiusa entro limiti oggettivi ma una rete di collegamenti e rimandi che si estende senza confini precisi nello spazio e nel tempo. Non solo dunque si presenta ardua l’impresa di definire questi testi ibridi e poliedrici ma anche quella di delimitarli19

. Grazie ai link, o riferimenti automatici, i testi non hanno più un inizio e una fine precisi: per questo motivo, possono essere anche denominati ipertesti. Altrettanto ipertestuale sarà il tipo di lettura, poiché i link all’interno dei testi elettronici ci consentono di accedere a nuovi contenuti. I testi pubblicati in rete, inoltre, contribuiscono all’aumento della massa testuale globale e sono inseriti in un contesto multilingue, che incrementa il bisogno di mediazione linguistica e le richieste di traduzione, visto che l’unico limite è rappresentato proprio dalla barriera linguistica20

.

La maggior parte dei testi o ipertesti che si trovano nello spazio virtuale della rete sono testi espositivi e argomentativi, testi giornalistici o scientifici, oppure materiali pubblicitari e informativi. Non mancano comunque testi e opere letterarie, presenti però in quantità minore. Ma è possibile individuare altresì dei tipi testuali interattivi, prodotti cioè da più autori come le chat lines, i forum, le mailing list (si veda par. 5.4) o le bacheche elettroniche, come le bacheche di Facebook. Si tratta comunque di “testi” transitori, narrazioni e discussioni iniziate e portate avanti da più utenti che interagiscono tra loro sul web.21

which text?, Atti del convegno internazionale, Forlì, 2-4 aprile 1998, Bologna, Clueb, 2000, pp. 342-343

19 S. Arduini, U. Stecconi, Ibid., pp. 181-182. 20 F. Zanettin, Ibid., 2000, p. 341.

(28)

33

Se consideriamo l’etimologia della parola “testo”, vediamo che il termine è sinonimo di “tessuto”, “intreccio”22

, in pratica una “rete” costituita di rimandi reciproci, di significati intrecciati tra loro. A intrecciarsi tra loro non sono, però, solo i segni verbali ma anche quelli non verbali, che insieme sono in grado di trasmettere un significato e di comunicare un messaggio. Con l’avvento dell’era digitale, dominata dal cyberspazio, non a caso abbiamo a che fare con un altro insieme di intrecci, cioè la “rete” di internet, un grande, unico ipertesto mondiale nel quale si può navigare attraverso rimandi successivi.

Un’ulteriore questione che sorge dalla presentazione dei testi in formato digitale e trasmessi dalla rete, riguarda proprio la pratica di traduzione. Se viene messo in dubbio il concetto standard di testo come entità stabile, è lecito chiedersi se possiamo ancora concepire la differenza tra testo di partenza e testo di arrivo. A prescindere dalla lingua in cui vengono redatti, la natura dei testi pubblicati sul web è senz’altro più fluida di quella dei testi stampati, in quanto possono cambiare velocemente perché aggiornati quasi in tempo reale23

e con il minimo sforzo. Nadiani sostiene che nel processo traduttivo più che di testo di arrivo si dovrebbe parlare di testo “in transito” o “di scalo”, che designa una nuova condizione di apparente stabilità momentanea24

.

Il rimando o collegamento elettronico, cioè il link della pagina digitale, è una delle peculiarità che definiscono l’ipertesto, che a sua volta incorpora il concetto

22 “Fr. texte: lat. TEXTUM da TEXTERE tessere: propr. tessuto, quindi intreccio, e translat. discorso

continuato”, Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani (versione web: http://www.etimo.it/?term=testo&find=Cerca, consultato il 02/04/14).

23 Patrick Cattrysse, “Multimedia & Translation: Methodological Considerations”, in Yves

Gambier, Henrik Gottlieb (a cura di), (Multi)media translation: concepts, practices, Amsterdam-Philadelphia, Benjamins, 2001, p. 4.

24 Giovanni Nadiani, “Dal testo ‘d’arrivo’ al testo ‘di scalo’. Le nuove tecnologie imporranno una

nuova tecnologia?”, in R. M. Bollettieri Bosinelli, C. Heiss, M. Soffritti, S. Bernardini, (a cura di), Ibid., pp. 328-329.

(29)

34 di intertestualità di Julia Kristeva25

. La nozione dell’autrice muove dall’idea per cui ogni testo non può mai essere indipendente rispetto ad altri testi, sia precedenti che contemporanei. Questa idea non ci permette solo di fare un parallelismo tra i collegamenti intertestuali di ogni testo e i collegamenti elettronici dei testi virtuali. Possiamo anche valutare l’importanza dell’intertestualità per ogni tipo di pratica traduttiva: il traduttore, che assume i panni di un lettore speciale, traduce e decodifica i testi e, allo stesso tempo, contribuisce, come qualsiasi altro lettore, all’espansione del processo di semiosi di un’opera. Come suggerisce Octavio Paz26

, tutti i testi sono traduzione di traduzione di traduzione e non si possono tracciare linee di divisione fra il lettore e il traduttore, specie nel caso delle nuove tecnologie e di internet, che permettono l’invadenza creativa del lettore/utente (e, talvolta, traduttore) nel testo. La rivalutazione e il coinvolgimento del lettore rendono quest’ultimo non tanto un consumatore quanto un produttore di testo27

.

25 Julia Kristeva, Le texte du roman : approche sémiologique d’une structure discursive

transformationnelle, The Hague, Paris, New York, Mouton Publishers, 1970

26 Citato in S. Bassnett-McGuire, Ibid., p. 111. 27 Roland Barthes, S/Z, Torino, Einaudi, 1981, p. 47.

(30)

35

3. La traduzione automatica

28

È sempre stato uno dei sogni dell’umanità quello di riuscire un giorno a realizzare una macchina in grado di comprendere in modo instantaneo qualsiasi tipo di linguaggio, orale o scritto, e di trasporlo in modo altrettanto spontaneo nella lingua o nelle lingue desiderate. Si tratta di un’utopia comunicativa affascinante che solo in parte potrebbe dirsi realizzata in seguito all’introduzione della traduzione automatica tramite appositi software informatici. La traduzione automatica ha, certamente, contribuito a sviluppare una serie di strumenti tecnologici che sono ormai indispensabili per l’industria linguistica odierna: si tratta di strumenti nati per sopperire alle diverse esigenze del traduttore29

. Inoltre, la tecnologia traduttiva, soprattutto le memorie traduttive (par. 5.1), oggi ha un ruolo rilevante nella pratica di traduzione professionale e nella formazione del traduttore30

.

28 Le informazioni contenute in questo paragrafo e nei sottoparagrafi 2.1 e 2.2 sono state riprese

specificamente da: Ke Ping, “Machine Translation”, in M. Baker, G. Saldanha (a cura di), Routledge Encyclopedia of Translation Studies, London, Routledge, 20092, pp. 162-169, Federico Zanettin, “Informatica e traduzione”, in C. Monacelli (a cura di), Traduzione, revisione e localizzazione nel terzo millennio: da e verso l’inglese, Milano, Franco Angeli, 2001, p. 19-45 e Charles Barone, “Traduzione automatica”, in C. Barone, S. Bruti, M. Foschi Albert, V. Tocco (a cura di), Dallo stilo allo schermo. Sintesi di teoria della traduzione, Pisa, Plus, 2011, pp. 113-126.

29 Mary Snell-Hornby, The Turns of Translation Studies, Amsterdam-Philadelphia, Benjamins,

2006, p. 158.

30 Maeve Olohan, “Translators and translation technology: The dance of agency”, Translation

(31)

36

3.1 Cenni storici

I primi brevetti per una “macchina traduttiva” risalgono agli anni 1930, ma bisogna aspettare il secondo dopoguerra per lo sviluppo effettivo delle ricerche in questo ambito. Negli anni 1950 il forte boom della traduzione automatica negli Stati Uniti combacia con le esigenze dovute al coinvolgimento della nazione nella guerra fredda contro l’Unione Sovietica: gli americani, infatti, hanno bisogno in questo periodo di tradurre più velocemente possibile documenti scritti in russo. Dopo più di un decennio di entusiami e di consistenti finanziamenti governativi per lo sviluppo di programmi applicativi, nel 1966 ALPAC (Automatic Language Processing Advisory Committee) pubblica il proprio rapporto relativo alla valutazione della traduzione automatica, asserendo che non esistono prospettive future di utilità per quest’ultima. La ricerca prosegue negli anni 1970 prevalentemente nel settore privato e, successivamente, si assiste a una nuova ripresa e a nuovi sviluppi decisivi solo negli anni 1980. I computer, infatti, sono sempre più potenti e diffusi come normali strumenti di lavoro in più settori. Non dobbiamo dimenticare inoltre che, dagli anni 1990 fino ad arrivare ai giorni nostri, gli sviluppi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e, soprattutto, l’avvento di internet, hanno permesso l’introduzione di nuove modalità comunicative e quindi nuove domande di traduzione. Le soluzioni proposte dalla tecnologia per le esigenze traduttive dipendono soprattutto dai tempi di consegna sempre più brevi e dai limiti economici, dovuti al fenomeno della globalizzazione (si veda cap. 3), e dalla digitalizzazione dei formati un tempo solo cartacei.

Tuttavia, possiamo affermare con sicurezza che i sistemi di traduzione automatica non rimpiazzeranno i mediatori umani. I risultati di tali sistemi, che suscitano tante reazioni ilari, non sempre sono soddisfacenti e di conseguenza l’intervento del traduttore risulta essenziale per una revisione professionale dei

(32)

37 testi o dei frammenti di testo31

. Biau Gil e Pym ribadiscono che un traduttore non può essere sostituito da una macchina per volere del cliente, soprattutto se al traduttore viene chiesto solamente di correggere gli errori della macchina. Servirà meno tempo per tradurre un testo da zero piuttosto che revisionare il risultato di una traduzione automatica: la qualità sarà, di certo, migliore32

.

3.2 Approcci e funzionalità

Sostanzialmente il lavoro di una Machine Translation (MT; in italiano si abbrevia, invece, con TA, per traduzione automatica) consiste nell’immissione nel programma applicativo di un testo di partenza (input), nell’elaborazione di quest’ultimo e nell’emissione di un testo d’arrivo (output). Gli approcci utilizzati per l’elaborazione delle traduzioni nel corso delle ricerche degli ultimi decenni sono stati diversi. Quello “diretto”, ovvero di corrispondenza lessicale tra il testo di partenza e il testo d’arrivo, è detto di “prima generazione” ed è stato sviluppato negli anni 1950 e 1960. Dopo gli anni 1980, si è passati allo studio di approcci denominati di “seconda generazione”, che utilizzano un tipo di approccio “indiretto”, più sofisticato, che risolve i problemi di ambiguità e di struttura della frase e delle parole identificando il sistema semantico e morfosintattico della lingua di partenza. Di questa “seconda generazione” fanno parte gli approcci basati su sistemi di transfer sintattico, per produrre strutture sintattiche equivalenti, e quelli sistemici, in cui la traduzione automatica opera sulla cosidetta interlingua, ovvero una ricostruzione semplificata di regole morfologiche, sintattiche e semantiche valida allo stesso tempo per i testi di partenza e per quelli d’arrivo. L’approccio di “terza generazione” è, invece, quello ontologico basato,

31 José Ramon Biau Gil, Anthony Pym, “Technology and translation (a pedagogical overview)” in

A. Pym, A. Perestrenko, B. Starink (a cura di), Translation Technology and its Teaching, Tarragona, Intercultural Studies Group, Universitat Rovira i Virgili, 2006, p. 17.

(33)

38

cioè, sulle conoscenze enciclopediche: per fare un esempio, si utilizza questo approccio per la traduzione delle espressoni idiomatiche. Altri approcci sono: l’approccio statistico, utilizzato dal 2007 da Google Traduttore, basato sull’uso di corpora monolingui e paralleli (par. 5.3), il cui studio è stato avviato negli anni 1990; l’approccio ibrido, che può ricorrere a più approcci in base al problema presentato dalla traduzione somministrata al sistema di TA. Nelle ricerche in questo ambito gli approcci che attualmente si rivelano più promettenti sono l’approccio ontologico e l’approccio statistico.

I programmi di TA attualmente disponibili sono numerosi e per lo più in modo del tutto gratuito. Alcune versioni sono facilmente reperibili online, permettendo una traduzione in tempo reale. Con i repentiti sviluppi della rete internet, infatti, sono aumentate anche le collaborazioni tra le aziende che producono e vendono programmi di TA e i fornitori di servizi e contenuti sul web. Oggi, i portali più famosi, Yahoo e Google, consentono la traduzione anche di pagine web e di testi di e-mail a richiesta e, ovviamente, in modo istantaneo e gratuito. Quando si fa uso di un programma in linea specifico, come Google Traduttore, l’utente ha la possibilità di digitare la parola o la stringa o ancora fare “copia e incolla” di interi passaggi da sottoporre alla traduzione del sistema. Tali sistemi, una volta elaborata la propria traduzione, permettono di valutare il risultato ottenuto: l’utente potrà, dunque, lasciare il proprio feedback (positivo o negativo) contribuendo a migliorare la qualità delle traduzioni raccolte dal sistema. In pratica, gli utenti usufruiscono di un servizio online gratuito (basta solo una buona connessione internet) e il sistema in cambio beneficia dei miglioramenti apportati dai singoli utenti. Si crea una sorta di circolo vizioso a costo zero. Ci sono dei casi specifici in cui è consigliato utilizzare programmi di traduzione automatica: quando si hanno, per esempio, grandi volumi di traduzioni, brevi termini di consegna e una qualità finale richiesta non troppo elevata. È sempre opportuno, però, farne un uso attento e intelligente. A tal proposito,

(34)

39 Champollion33

osserva che si potrebbe assimilare il lavoro traduttivo della TA a una sorta di pre-traduzione con l’operatore-traduttore umano che si riserva il compito finale di “proof-sensing”, ovvero intervenire laddove necessario per dare un senso complessivo al testo tradotto. Scarpa, invece, afferma che la traduzione automatica, che di per sé riduce i costi e i tempi della traduzione umana del 35%, risulta particolarmente utile per le traduzioni approssimative di tipo informativo34

, che possono essere revisionate in seguito. In questo modo, cambierebbero le modalità traduttive tipiche della traduzione automatica: infatti, l’intervento umano assimilerebbe quest’ultima alla pratica della traduzione assistita. Dunque, se la traduzione automatica tout court rimane un sogno lontano, non si può dire lo stesso della traduzione automatica assistita dall’uomo.

4. La traduzione assistita o CAT

La traduzione assistita, nota anche con l’acronimo MAT, dall’inglese Machine-Aided o Machine-Assisted Translation, è una modalità di traduzione che dipende, in sostanza, dallo sviluppo degli studi sulla traduzione automatica35

. È proprio nel periodo in cui si verifica un calo considerevole delle ricerche in merito alla traduzione automatica, tra gli anni 1970 e gli inizi del 1980, che si pone maggiore attenzione a un nuovo tipo di prospettiva, quella cioè dell’interazione uomo-macchina. Tra le due estremità della traduzione del tutto automatica, da un lato, e la traduzione umana36

, dall’altro, esiste quindi una modalità intermedia: il lavoro

33 Yves Champollion, “Machine translation (MT), and the future of the translation industry”, The

Translation Journal, 5, 1, 2001.

34 F. Scarpa, Ibid., p. 225.

35 Valentina Dolfi, “La traduzione assistita”, in C. Barone, S. Bruti, M. Foschi Albert, Tocco (a

cura di), Dallo stilo allo schermo. Sintesi di teoria della traduzione, Pisa, Plus, 2011, p. 127.

36 F. Zanettin (ibid., p. 24) ritiene che la traduzione totalmente “umana” sia, dato il contesto

attuale, un’astrazione, in quanto è improbabile che una traduzione oggi non venga realizzata senza l’assistenza della tecnologia informatica.

Riferimenti

Documenti correlati

Individuality and age of animals have been found to have significant effects on fundamen- tal frequency (F0), peak frequency (PF) and sound length (SL) of roaring, but

• analizzare oralmente e per iscritto il contenuto di un testo dal punto di vista stilistico e interpretativo. • prendere parte a discussioni argomentando la

Con la ricostruzione storica delle relazioni tra Cina e Vietnam nell’ambito della disputa, mi è stato possibile osservare come i momenti di crisi, quindi di

On immigration as the central variable in the success of right-wing populist parties, see Pia Knigge, “The Ecological Correlates or Right-Wing Extremism in Western Europe,

La valutazione d’azienda è il processo con cui viene quantificato il capitale economico aziendale (azienda o ramo d’azienda) o di una quota di capitale (pacchetti azionari o

Lingua

The results confirm that, depending on location, the natural circulation solar thermal disinfection system can afford a daily production of clean water ranging from 41 to 101 kg per 1

_______________________________________________________________________ 3 Introduzione Obiettivo del lavoro è quello di costruire un modello di classificazione per le malattie