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CAPITOLO 3

IL CONTRASTO ALLA VIOLENZA DI GENERE: IN ITALIA E IN EUROPA.

3.1 La situazione italiana

La Costituzione italiana sancisce il principio di uguaglianza tra uomini e donne. Essi hanno diritto al medesimo trattamento ed è riconosciuta loro pari dignità sociale: stessi diritti davanti alla legge a tutti i cittadini (art. 3), parità tra donne e uomini in ambito lavorativo (artt. 4 e 37), uguaglianza morale e giuridica dei coniugi all'interno del matrimonio (art. 29). Sebbene vi sia tale riconoscimento formale a livello nazionale, ancora molto deve essere fatto per renderlo sostanziale.

Dagli anni Settanta1, prima nell’Europa occidentale e poi negli altri paesi sviluppati, si è assistito alla crescita di un importante movimento intorno al tema della violenza, che ha portato inevitabilmente alla promozione di una sensibilizzazione e a un confronto tra norme e strumenti necessari al superamento della discriminazione di genere. La reciprocità dei ruoli maschili e femminili non esiste ancora perché permane una gerarchia tra i sessi in cui predomina l’uomo, il quale, attraverso l’“esteriorizzazione di una profonda insicurezza”2

usa violenza contro il sesso femminile.

Molti cambiamenti legislativi relativi alla violenza sono legati al movimento femminista. Riflettendo, ad esempio, sui casi di stupro, in diversi Stati il movimento di liberazione delle donne ha creato i primi centri di vittime di violenza sessuale.

Attualmente, il reato di violenza sessuale è disciplinato in Italia dall’art. 609

bis c.p. che così recita: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni”. La legge 15 febbraio 1996, n. 66 (“Norme

contro la violenza sessuale”) introduce importanti novità tra cui il passaggio dai

1 Ricordiamo che il 1975 fu proclamato Anno internazionale della donna, ma solo pochi anni dopo

la Commissione sulla Situazione della donna dell’ONU propose una convenzione che eliminasse le disuguaglianze in tutto il mondo. La convenzione, entrata in vigore nel 1981, è diventata esecutiva nel nostro paese con la legge n. 132/1985.

2 DANNA D., Ginocidio. La violenza contro le donne nell’era globale, Eleuthera, Milano, 2007, p.

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reati contro la morale e il buon costume ai reati contro la persona (Dei delitti contro

la libertà personale), sottolineando la punibilità del gesto come offesa alla persona

e non più alla morale pubblica.

Inoltre, fino al 1996 il reato di violenza sessuale era perseguibile solo attraverso una querela della parte offesa e ciò voleva dire che la donna doveva denunciare lo stupratore, altrimenti non veniva perseguito.

Il quadro legislativo nazionale ha subito delle trasformazioni con la legge n. 154/2001 (“Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”) che ha introdotto nuove misure volte a contrastare i casi di violenza all’interno delle mura domestiche ed ha altresì lo scopo di prevenire il pericolo della consumazione di altri reati in seno alla famiglia. Questa legge rappresenta un importante strumento di tutela per i soggetti vittime di violenza, perché dispone l’allontanamento dalla casa familiare dell’aggressore e il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone con lui conviventi ove rimaste prive di mezzi adeguati di sostentamento (soprattutto nel caso di famiglie monoreddito).3

3 Questa legge introduce, nel libro I del codice civile, il titolo IX-bis, sotto la rubrica" Ordini di

protezione contro gli abusi familiari" che, con gli articoli 342-bis e 342-ter c.c., disciplina i presupposti e i contenuti di tale misura. L’art. 342-bis recita quanto segue “Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente, il giudice, [qualora il fatto non costituisca reato perseguibile

d'ufficio,] su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all'articolo

342-ter”. Sulla base di questa disposizione sono individuati due presupposti: il primo implica che non è necessario un rapporto di matrimonio in quanto, tali misure di protezione, sono applicabile anche alle convivenze di fatto; l’altro sottolinea che la condotta che deve far scattare l’ordine di protezione deve essere gravemente (in termini di ripetitività dei comportamenti) pregiudizievole all’integrità fisica e morale. L’art. 342-ter tratta il contenuto specifico degli ordini di protezione. Il giudice può: ordinare al coniuge o al convivente che ha avuto la condotta pregiudizievole la cessazione della stesa condotta; disporre, al soggetto violento, l’allontanamento dalla casa familiare, obbligandolo anche, dove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla vittima (da chi ha fatto istanza), ed in particolare ai luoghi di lavoro, al domicilio, o ai luoghi di istruzione frequentati dai figli, salvo che questi non debba frequentare i medesimi per esigenze di lavoro; prevedere, dove occorra, l’intervento sei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare e il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone che rimangono privi di beni adeguati (questa misura economica è indirizzata a tutti coloro che dipendono economicamente dal partner violento, in quanto, chi non dispone di una propria indipendenza economica potrebbe non richiedere aiuto all’autorità per i maltrattamenti subiti per paura di perdere il sostegno economico di cui fino ad ora ha dipeso). Con decreto il giudice stabilisce la durata dell’ordine di protezione che non può essere superiore a un anno e può essere prorogata, solo su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario. Quindi possiamo concludere che gli ordini di protezione hanno un contenuto inibitorio ed economico e hanno un’applicazione anche per i “comportamenti riflessi” ad esempio nel caso di violenza assistita quando un coniuge e/o convivente maltratta l’altro alla presenza dei figli: in questa circostanza il minore ha un’integrità morale messa a rischio, mentre colui che subisce i maltrattamenti vede compromessa la sua integrità fisica.

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Nel 2002 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un rapporto sulla “violenza e salute nel mondo”4

, in cui ha messo in evidenza, tra l’altro, il legame stretto tra la violenza subita e salute delle donne, sottolineando le conseguenze sulla loro integrità psicofisica5. Tutto questo perché la violenza da parte del partner rappresenta un vero problema di salute pubblica che presuppone il coinvolgimento di molti settori operanti a vari livelli, favorendo così forme di prevenzione volte a permettere alla vittima di confidare la violenza e di essere ascoltata6.

La legge 154/2001 introduce anche: nel codice di procedura penale dove l’art. 282 bis prevede l’ “allontanamento dalla casa familiare” del soggetto “violento” come importante misura cautelare; del codice di procedura civile, dopo il Capo V del Titolo II del libro quarto, è inserito il Capo V bis con l’art. 736 bis.

All’articolo 6 della legge n.154/2001, viene evidenziato la pena per chi elude gli Ordini di protezione: “Chiunque elude l’ordine di protezione previsto dall’articolo 342-ter del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio è punito con la pena stabilita dall’articolo 388, primo comma, del codice penale. Si applica altresì l’ultimo comma del medesimo articolo 388 del codice penale.”.

L’obiettivo della legge n. 154/2001 è di offrire una risposta immediata a chi subisce maltrattamenti, prevedendo l’immediata interruzione della relazione in cui si è consumata la violenza. Un altro aspetto innovativo di questa normativa è rappresentato dal fatto che le misure previste dalla normativa sono dirette, oltre che al coniuge e ai figli minori, anche al convivente superando ,in questo modo, la tradizionale impostazione che vede la tutela solo per la famiglia fondata sul matrimonio.

4 In questo rapporto dell’OMS viene evidenziato come, ancora oggi, in paesi quali Messico, Nigeria,

Pakistan, Papua Nuova Guinea, Zimbabwe picchiare la donna sia ampiamente considerato una conseguenza del diritto dell’uomo di ricorrere a punizioni fisiche nei confronti della moglie. Le giustificazioni culturali della violenza derivano ancora una volta da una visione tradizionale di ruoli di genere specifici, quindi è possibile che, laddove la moglie non abbia adempiuto ai suoi doveri di donna e madre, o magari abbia fatto richiesta di denaro al marito per la gestione familiare, l’uomo, in quanto considerato “padrone” della moglie, può rispondere con la violenza. Sempre secondo quest’esposizione, viene offerto un elenco di situazioni che si ritiene favoriscano, sia nei paesi tradizionali che in quelli in via di sviluppo, la violenza da parte del partner, tra queste: disobbedire al marito; rispondere a tono; non preparare il pasto al momento giusto; non occuparsi in modo adeguato dei figli o della casa; fare domande relative ai soldi; recarsi da qualche parte senza l’autorizzazione del marito; rifiutare le richieste sessuali del marito; essere sospettata di infedeltà. Le donne rispondono all’abuso in relazione alla gamma di possibilità che hanno a loro disposizione perché vi sono paura di ritorsioni, mancanza di mezzi alternativi, preoccupazioni per i figli, dipendenza affettiva ed economica, mancanza di sostegno da parte dei famigliari. In molti casi la donna lascia il partner e ritorna con lui molte volte prima di decidere di troncare definitivamente.

5 Come abbiamo avuto modo di evidenziare nel secondo capitolo, la violenza di genere ha molte

ripercussioni sulla salute psicofisica della donna. L’Organizzazione mondiale della Sanità aveva già evidenziato questo problema nel lontano 2002 quando aveva rilevato come, condividere la propria vita con un partner violento poteva avere un impatto profondo sulla salute della donna. Le conseguenze più evidenti si ripercuotevano a livello di salute riproduttiva, fisica e mentale che richiedeva necessariamente un ricorso ai servizi sanitari.

6 Tra le forme di prevenzione messe in evidenza abbiamo gli interventi coordinati a livello di

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Anche molte Regioni hanno legiferato sulla materia, dotandosi di normative idonee a garantire una maggiore tutela alle donne vittime di violenza in diversi ambiti, da quello familiare a quello lavorativo.

In Toscana la legge di riferimento per la violenza di genere è la n. 59/2007, “Norme contro la violenza di genere”. L’art. 1 afferma che “La Regione Toscana

riconosce che ogni tipo di violenza di genere, psicologica, fisica, sessuale ed economica, ivi compresa la minaccia di tali atti, la persecuzione, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata, costituisce una violazione dei diritti umani fondamentali alla vita, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità, all’integrità fisica e psichica e costituisce un’autentica minaccia per la salute ed un ostacolo al godimento del diritto a una cittadinanza sicura, libera e giusta”. Sulla base di questa disposizione, la Regione Toscana ha

promosso la costituzione di una rete tra comuni, province e Asl al fine di sostenere e aiutare le vittime di violenze.

Inoltre, gli artt. 37 e 58 della legge regionale prevedono Intese e Protocolli per la costituzione di reti territoriali per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere. A tal proposito ricordiamo il Protocollo d’intesa del 2007 fra Provincia di Pisa, Prefettura, Questura, Comando provinciale dei Carabinieri, Azienda Usl 5 di Pisa, Società della Salute zona pisana, Società della Salute zona Valdera, Società della Salute Alta val di Cecina, Azienda ospedaliera Universitaria Pisana, avente a oggetto azioni comuni sulla violenza intrafamiliare. Sulla base del fatto che la

prevenzione molto importante è l’uso dei media che sia televisione o radio. In questo modo si cerca di far conoscere il problema e sensibilizzare l’opinione pubblica.

7 Art. 3 legge regionale n. 59/2007 recita: “di favorire procedure omogenee e di attivare l’immediato

intervento dei soggetti di cui al comma 1, su base provinciale, zonale-distrettuale. La Regione adotta linee guida e di indirizzo contro la di genere mediante gli strumenti di programmazione di cui alla l.r. 41/2005 e promuove intese e protocolli per l’attuazione di interventi omogenei tra i soggetti della rete. Le province promuovono il coordinamento territoriale dei soggetti della rete anche al fine della definizione di progetti integrati da presentare ai sensi dell’articolo 4. L’assistenza e la protezione da parte dei soggetti della rete è attivata su richiesta della vittima, rivolta anche ad un solo soggetto della rete”.

8 Art. 5 legge regionale n. 59/2007: “La rete di cui all’articolo 3 garantisce un collegamento

costante tra i soggetti che la costituiscono al fine di assicurare alla vittima della il soccorso in ogni fase, presso le strutture ospedaliere o presso le aziende USL, l’intervento dei servizi sociali, l’accoglienza, il sostegno e la protezione presso centri antiviolenza presenti sul territorio o presso case rifugio. Al fine di garantire un’assistenza adeguata, i soggetti della rete formulano progetti personalizzati che offrono alla vittima ed ai suoi familiari un percorso di uscita dalla compreso il reinserimento sociale, lavorativo, abitativo”.

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definizione della violenza dell’organizzazione Mondiale della Sanità recita che “la

natura multiforme della violenza richiede l’impegno congiunto da parte dei governi e di tutti coloro che amministrano il bene pubblico a livello locale, nazionale ed internazionale”, tutti gli organi sopra citati si sono impegnati a garantire

connessioni stabili tra i servizi per dare vita a un sistema unitario d’intervento per donne e bambini vittime di violenza. Tale protocollo d’intesa prevede finalità, obiettivi e compiti specifici che ognuno deve effettuare in ottica di rete e condivisione.

A tutto questo si aggiunge una grande attività di prevenzione volta a formare gli operatori per garantire un intervento il più possibile adeguato e divulgare nelle scuole progetti educativi contro la discriminazione di genere. Ciò è di estrema importanza, perché ad oggi, nonostante siano state approvate leggi come quella contro lo stalking9 e per l’aggravio di pena per gli aggressori, si organizzino manifestazioni e flashmobes contro la violenza di genere, quello che ancora sembra mancare è una proposta sulle modalità di prevenzione della violenza che presenta aspetti ancora sfuggenti perché gran parte dei maltrattamenti non sono denunciati.

Nel saggio “Donne in attesa. L’Italia delle disparità di genere”10

le due Autrici possono essere definite come due fotografe che illustrano uno scenario che pone l’Italia fra le ultime posizioni a livello europeo circa le disparità di genere. L’“attesa” di cui il libro tratta non è di prole, bensì di lavoro, di uguaglianza, di spazi e, forse, di riconoscimenti per il sesso femminile. Parlare di pari opportunità in Italia è parlare di Donne.

Per combattere le discriminazioni di genere, si ritiene che si debba intervenire su due aspetti fondamentali che sono la cultura e la tradizione11. Finché ci saranno uomini che pretendono di valutare il benessere di una donna unicamente dal loro punto di vista, trattando il sesso femminile come soggetto passivo, nessun

9 Trattasi della legge 23 aprile 2009, n. 38 (“Conversione in legge, con modificazioni, del

decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”).

10 CASARICO A., PROFETI P., Donne in attesa. L’Italia delle disparità di genere, Egea, Milano,

2010.

11

Ricordiamo a tal proposito come il dominio maschile è ritornato oggi ad affermarsi più forte di prima dopo aver subito per anni una sorta di “naturalizzazione”.

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cambiamento sostanziale ci potrà essere, ma, al massimo, solo piccoli e lenti passi avanti.

Una parentesi va aperta tra la connessione insolita tra violenza sulle donne e capi di abbigliamento, dove i veri protagonisti sono i “jeans”. Nel 199912 una sentenza della Corte di cassazione aveva fatto discutere perché aveva annullato la condanna nei confronti di un uomo accusato di stupro sostenendo che i jeans non potevano essere sfilati senza la collaborazione di chi li indossa. Con la sentenza n. 30403/2008 la medesima Corte sembra fare dietrofront sostenendo, questa volta, che trattasi comunque e sempre di violenza anche se la vittima indossa i jeans13. Appare riduttivo fermarci alla “sentenza sui jeans” perché come abbiamo avuto modo di comprendere anche ne “La ventisettesima ora” (2013) molte donne vengono uccise e molestate solo perché indossano la minigonna14.

Un ulteriore sentenza15 stabilisce inoltre che sussiste reato di violenza sessuale anche nel caso in cui, in un rapporto coniugale, la donna non esprima esplicitamente al compagno il suo rifiuto al rapporto sessuale. Con questa decisione la Corte ha confermato la condanna a un marito che continuava ad avere rapporti con la moglie nonostante fosse a conoscenza che lei non volesse.

Da questo panorama normativo (ma anche gurisprudenziale) emerge che è aumentata costantemente la volontà del legislatore a livello locale, nazionale ed internazionale di tutelare la donna e di combattere ogni forma di violenza. Molto ancora, tuttavia, si può fare a livello sia normativo sia culturale per individuare le cause psico-sociologiche del fenomeno della violenza sulle donne e per prevenirlo e reprimerlo nel modo più efficace in tutte le culture.

12 La sentenza n. 1636 del 6 novembre 1998 (dep. il 10 febbraio 1999) dalla sezione terza penale

(meglio nota come “la sentenza sui jeans”).

13

Con questa sentenza è stato condannato un uomo che, seconda l’accusa, più volte con violenza aveva compiuto atti di libidine entrando con le mani sotto i pantaloni della donna. Ricorrendo in cassazione l’uomo aveva sostenuto che la ragazza indossava dei jeans ed essendo seduta, sarebbe stato per lui impossibile infilare una mano sotto i pantaloni. La Corte ha respinto il ricorso.

14 “È una questione di cultura, come si dice: tu sei bella e porti la minigonna quindi un po’ te la sei

cercata perché magari lui è stato indotto dalla minigonna a essere il bastardo che è stato” in LA VENTISETTESIMA ORA (a cura di ) PEZZUOLI G. e PRONZATO L., Questo non è amore. Venti

storie raccontano la violenza domestica sulle donne., Marsilio Editore, Venezia, 2013, p. 69.

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“Gli uomini non cesseranno di commettere violenza su di noi, è lo strumento attraverso cui esercitano potere da cinquemila anni. Ma se non cambia la relazione tra i generi, non cambia nulla”16

.

3.1.1 Il Decreto legge n. 93, del 14 agosto 2013 “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”.

Al fine di arginare “il susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne e il conseguente allarme sociale che ne è derivato”, è stato adottato un articolato intervento normativo teso “ad inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali fatti, introducendo, in determinati casi, misure di prevenzione finalizzate alla anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica”.17

Questo documento definisce come violenza domestica: “tutti gli atti, non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o persone legate da relazione affettiva in corso o pregressa, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”18

.

Gli obiettivi principali sono: prevenire e contrastare la violenza, punirla e proteggere le vittime19.

Tra le varie misure approvate abbiamo l’aumento della pena per il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi se “in presenza di un minore degli anni diciotto”20

, in questo modo il legislatore ha inteso attribuire ulteriore valenza

16 LA VENTISETTESIMA ORA (a cura di) PEZZUOLI G. e PRONZATO L., Questo non è amore.

Venti storie raccontano la violenza domestica sulle donne., Marsilio Editore, Venezia, 2013, p. 140.

17

D.l. 14 agosto 2013, n. 93, in G.U. n. 191 del 16 agosto 2013.

18 Art. 3 , comma 1), Decreto- legge n. 93 del 14 agosto 2013. 19 Ivi, Art. 5, comma 2).

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Ivi, Art. 1, comma 1). Le parole all’art. 572, secondo comma, del codice penale “ di persona

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giuridica alla “violenza assistita”, intesa come una serie di ricadute di tipo comportamentale, psicologico sui bambini nel breve e lungo periodo.

Sempre l’art. 1 del decreto ha poi introdotto nell’art. 609 ter c.p. (rispettivamente alle lett. 5 ter e 5 quater) due nuove aggravanti del delitto di violenza sessuale. La prima per il caso che la vittima del reato sia una donna in stato di gravidanza, la seconda per quello in cui il colpevole “sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato è legato è da relazione affettiva, anche senza convivenza.”

All’art. 612- bis del codice penale sono apportate due modifiche fondamentali21. Una riguarda il fatto che nel modificare il citato secondo comma dell’art. 612 bis è stato eliminato il riferimento al carattere “legale” della separazione, ma ha al contempo continuato a circoscrivere l’ambito di operatività dell’aggravante alle sole relazioni affettive non più in corso di svolgimento. Infatti, nel decreto si afferma quanto segue: “«legalmente separato o divorziato» sono sostituite dalle seguenti: «anche separato o divorziato»”.

La stessa disposizione ha peraltro aggiunto un’ulteriore fattispecie aggravante nel secondo comma dell’art. 612 bis per il caso che gli atti persecutori degli stalkers siano commessi attraverso strumenti informatici o telematici.

La più rilevante novità in materia di atti persecutori contenuta nel d.l. n. 93/2013 riguarda però la procedibilità del reato. Il legislatore del 2009 aveva, infatti, disposto al quarto comma dell’art. 612 bis che lo stesso fosse procedibile a querela, estendendo però il termine per la sua presentazione fino a sei mesi, così come previsto per i reati sessuali dall’art. 609 septies c.p. Dopo un dibattito sul punto, lo stesso legislatore aveva invece deciso di non riproporre anche la clausola d’irrevocabilità della querela prevista dal terzo comma della disposizione da ultima citata. Il Governo ha raccolto, aggiungendo ora nel quarto comma dell’art. 612 bis, la menzionata clausola d’irrevocabilità.

L’ultimo comma dell’art. 1 del decreto interviene invece sulla procedura di ammonimento dello stalker prevista dall’art. 8 del d.l. n. 11/200922, rendendo

21 Art. 1 comma 3) del decreto legge n. 93 del 14 agosto 2013

22 Decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, "Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di

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opportunamente cogente l’adozione da parte del Questore dei provvedimenti, in precedenza rimessi a una valutazione discrezionale.

Dunque, alla luce di quanto appena detto, si può concludere che, vengono inasprite le pene quando il delitto di maltrattamenti in famiglia è perpetrato alla presenza di minore degli anni diciotto; quando il delitto di violenza sessuale è consumato ai danni di donne in stato di gravidanza; quando il fatto è consumato ai danni del coniuge, anche divorziato o separato, o dal partner.

Per quanto riguarda il reato di stalking è ampliato il raggio di azione delle situazioni aggravanti cioè sono estese a fatti perpetrati da chiunque con strumenti informatici e viene prevista, analogamente a quanto già accade per i delitti di violenza sessuale, l’irrevocabilità della querela per il delitto di atti persecutori, che viene, inoltre, incluso tra quelli ad arresto obbligatorio.

Alla luce di quanto abbiamo appena detto possiamo concludere che, l’Italia ha iniziato in maniera attiva e consapevole la sua battaglia verso la violenza di genere ma, ancora molto deve essere fatto per tutelare anche tutte quelle donne che rimangono avvolte nel silenzio assordante di una relazione pericolosa e malsana.

3.1.2 La Convenzione di Istanbul

L’Italia nel Giugno del 2013 ha ratificato23

la “Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica” (Convenzione di Istanbul) del Consiglio d’Europa. L’Italia è così il quinto paese a ratificare, preceduto da Albania, Montenegro, Portogallo e Turchia.

Questo trattato di ampia portata si propone di conseguire l’obiettivo “tolleranza zero” verso questo tipo di violazione dei diritti umani perché parte dalla considerazione che la violenza contro le donne è diretta conseguenza delle ineguaglianze di genere. Tale forma di maltrattamento è caratterizzata da una grande cultura del silenzio e si stende, dentro e fuori le mura domestiche, perché

23 L’Italia aveva già firmato la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta

contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica in data 27 settembre 2009. http://www.conventions.coe.int/Treaty/Commun/ChercheSig.asp?NT=210&CM=&DF=&CL=ITA

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risultato di legami disfunzionali che si sono creati nel tempo: rapporti in cui la donna ricopre sempre una posizione di svantaggio rispetto all’uomo.

Un punto di forza non indifferente di questo trattato è che, in un contesto di diritto internazionale, viene data una definizione di genere. Con il termine di genere s’intende “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini”24

. Questa definizione è molto importante perché ci conduce inevitabilmente a una seconda definizione, quella di violenza contro le donne: “si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata”25

.

Fondamentale è sottolineare anche il passo in avanti costituito dall’art. 59 comma 1) del trattato, nel quale è previsto che gli Stati, aderenti alla Convenzione, adottino “le misure legislative e di altro tipo per garantire che le vittime, il cui

status di residente dipende da quello del coniuge o del partner, conformemente al

loro diritto interno, possano ottenere, su richiesta, in caso di scioglimento del matrimonio o della relazione, in situazioni particolarmente difficili, un titolo autonomo di soggiorno, indipendentemente dalla durata del matrimonio o della relazione.” Quindi considerato quanto appena detto, le donne migranti che hanno subito violenza possono ottenere un “titolo autonomo di soggiorno” indipendente da quello del partner violento.

A vigilare l’attuazione della presenza Convenzione è il GREVIO cioè “Il Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (di seguito "GREVIO")”26 incaricato di “vigilare sull'attuazione della presente Convenzione da parte delle Parti contraenti.”27

24 Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti

delle donne e la violenza domestica, Istanbul, 11 maggio 2011, art. 3, lettera c).

25 Ivi, art. 3, lettera a). 26 Ivi, art. 66, comma 1). 27 Ibidem.

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La seguente convenzione “aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa, degli Stati non membri che hanno partecipato alla sua elaborazione e dell'Unione europea”28

entrerà ufficialmente in vigore “il primo giorno del mese successivo alla scadenza di un periodo di tre mesi dopo la data in cui 10 firmatari, di cui almeno otto Stati membri del Consiglio d'Europa, avranno espresso il loro consenso a essere vincolati dalla Convenzione”29

.

3.2 Iniziative dell’Unione Europea

L’attenzione da parte delle Nazioni Unite sul tema della violenza di genere, viene ben presto accolta anche a livello di Unione Europea che, tra il 2002 e il 2007, elabora 3 interventi normativi e adotta una Campagna europea.

La Raccomandazione Rec (2002)5 del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulla protezione delle donne dalla violenza30, rappresenta uno dei primi strumenti per prevenire il fenomeno e proteggere le vittime. Questo documento contiene un’attenta definizione del concetto di violenza e offre una serie di raccomandazioni per gli Stati membri.

Il punto fondamentale da cui parte quest’atto è che la “violenza nei confronti delle donne deriva dai rapporti di forza impari tra uomini e donne e che porta a una grave discriminazione nei confronti del sesso femminile sia all’interno della società che nella famiglia”31

. In conformità a questa premessa, la violenza di genere è definita come “una qualsiasi forma di violenza fondata sull’appartenenza sessuale che comporta o che potrebbe comportare per le donne che sono bersaglio danni o sofferenze di natura fisica, sessuale o psicologica, ivi compresa la minaccia di mettere in atto simili azioni, la costrizione, la privazione arbitraria della libertà , sia nella vita pubblica che in quella privata […] ”32

.

Le raccomandazioni che gli Stati si dovranno impegnare a garantire sono elencate agli artt. 2, 3, 4 di suddetto documento. Sulla base di una lettura attenta

28

Ivi, art. 75, comma 1).

29 Ivi, art. 75, comma 3).

30 Questa raccomandazione è stata adottata dal Comitato dei Ministri il 30 aprile 2002 nell’ambito

della 794° riunione dei Delegati dei Ministri.

31

Raccomandazione Rec (2002)5.

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vediamo che quattro parole chiavi rappresentano il punto intorno a cui ruota l’intero intervento degli Stati Membri nella lotta alla violenza sulle donne: informare, sensibilizzare, educare e formare. Gli Stati vengono anche esortati a intervenire sulla comunicazione trasmessa dai media, in modo tale che non promuovano “una figura stereotipata della donna e dell’uomo”33

e che evitino “le produzioni che associano la violenza al sesso”34

. Ovviamente a tutto questo si aggiunge a un rafforzamento della capacità d’azione in termini di adeguare il diritto civile e penare35.

Il 21 giugno 2006 il Consiglio d’Europa ha adottato e, in seguito lanciato, la Campagna per combattere la violenza contro le donne, compresa la violenza domestica. L’obiettivo di questa campagna era di rendere operativi, tra gli Stati Membri, le proposte offerte nel documento delle Raccomandazioni (2002)5 e sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema.

Per quanto riguarda invece le Risoluzioni del Parlamento europeo ne segnaliamo tre: quella del 2 febbraio 2006 sulla situazione attuale nella lotta alla violenza contro le donne ed eventuali azioni future, dove si invitano gli Stati Membri a riconoscere il fenomeno e ad adottare azione di sostegno alle vittime; la Risoluzione del 26 novembre 2009 sull'eliminazione della violenza contro le donne dove gli Stati vengono esortati a prendere utili provvedimenti per prevenire e contrastare il fenomeno36; infine la Risoluzione più recente, quella del 5 aprile 2011 sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro UE in materia di lotta alla violenza contro le donne.

Quest’ultima raccomandazione rappresenta un punto centrare perché, “riconosce che la violenza contro le donne è una delle forme più gravi di violazione

33 Ivi, art. 17. 34

Ibidem.

35

Raccomandazione Rec (2002)5, art. 34 ss.

36 Ricordiamo in particolare l’art.13 dove si “invita la Commissione e gli Stati membri a

intraprendere un'azione concertata, comprendente campagne di sensibilizzazione e informazione dell'opinione pubblica sulla violenza domestica e strategie che consentano di modificare, tramite l'istruzione e i media, gli stereotipi sociali sulle donne, e a promuovere lo scambio di buone prassi” e l’art. 19 secondo dove si “sottolinea l'importanza di una formazione appropriata per coloro che operano a contatto con le donne vittime della violenza maschile, compresi i rappresentanti delle autorità giudiziarie e di quelle preposte all'applicazione della legge, in particolare la polizia, i tribunali, i servizi sociali, medici e legali, le agenzie di collocamento, i datori di lavoro e i sindacati

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dei diritti umani basata sul genere”37

e propone, alla luce di un fenomeno sempre più in crescita, “un nuovo approccio politico globale contro la violenza di genere”38 che comprende una serie di azioni tra le quali la più rilevante sono la realizzazione di “misure per trattare le sei «P» del quadro sulla violenza contro le donne (politica, prevenzione, protezione, procedimento giudiziario, provvedimenti e partenariato)”39

.

Per ultimo, ma non per questo di minor importanza, citiamo la decisione n. 779 del 20 giugno 2007 presa dal Consiglio d’Europa con cui viene istituito il Programma Daphne III che sviluppa, e rafforza, una serie di programmi e interventi avviati nel 1997 con Daphne I e proseguita con Daphne II nel 2004.

3.3 Il progetto Daphne

Con la decisione n. 293/2000/ CE40 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa a un programma d'azione comunitaria sulle misure preventive intese a combattere la violenza contro i bambini, i giovani e le donne, nasce il programma

Daphne per il triennio 2000- 200341. Il programma Daphne è volto a garantire un elevato livello di tutela della salute fisica e psichica di donne e bambini mediante la prevenzione e l’assistenza alle vittime.

All’art. 2, comma 2, della decisione 293/2000/CE viene chiaramente espresso l’obiettivo cardine di presto primo progetto e cioè: “contribuire a garantire un elevato livello di tutela della salute fisica e psichica proteggendo i bambini, i giovani e le donne dalla violenza (anche sotto forma di sfruttamento e abusi sessuali), attraverso la prevenzione della violenza e il sostegno a coloro che ne sono vittime, in particolare al fine di prevenire in futuro la loro esposizione alla violenza. Esso mira anche ad aiutare e ad incoraggiare le organizzazioni non governative (ONG) e le altre organizzazioni attive in questo settore. Il programma contribuisce così al benessere sociale”.

37 Risoluzione del Parlamento europeo del 5 aprile 2011 sulle priorità e sulla definizione di un nuovo

quadro UE in materia di lotta alla violenza contro le donne, art. 4.

38

Ivi, art. 2.

39 Ibidem.

40 http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2004:143:0056:007:it:PDF

41 La decisione n. 293/2000/CE del parlamento europeo e del consiglio del 24 gennaio 2000 recita

all’art. 1, comma 1: “È adottato un programma d'azione comunitaria contro la violenza sui bambini, sui giovani e sulle donne per il periodo dal 1o gennaio 2000 al 31 dicembre 2003”

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Alla luce di quanto sopra vediamo che, riprendendo la definizione del termine di “salute” dell’Organizzazione mondiale della sanità42, l’iniziativa ha una notevole mole di finalità che investono gli aspetti della violenza su donne e minori e tra le quali ricordiamo ad esempio:

 Stimolare, attraverso la creazione di reti, uno scambio d’informazioni volto a garantire un consolidamento della cooperazione degli stati membri;

 Incoraggiare iniziative che pubblicizzino il problema in modo da sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema;

 Realizzare validi modelli in modo da prevenire la violenza, sostenere le vittime e prevedere una loro reintegrazione nel contesto sociale. Ovviamente tutto ciò deve tenere presente la legislazione e le procedure giudiziarie prevedendo anche un’assistenza psicologica alle vittime. Si esorta anche a realizzare campagne informative, quali seminari, conferenze, opuscoli o messaggi attraverso i media, sul tema in questione, in modo da favorire la presa di coscienza e la sensibilizzazione al problema43.

Questo programma rappresenta l’avvio di una cooperazione europea a livello di Organizzazioni non governative (ONG) e delle organizzazioni di volontariato che svolgono un ruolo fondamentale nella lotta contro la violenza contro donne e bambini.44

Il programma Daphne è scaduto alla fine del 2003 ed è stato sostituito dal programma Daphne II.

Questo progetto, che altro non è che la seconda fase del programma

Daphne, è istituito dalla Decisione n. 803/2004/CE del Parlamento europeo e del

Consiglio del 21 aprile 2004 che istituisce un programma di azione comunitaria

42

Secondo l’Oms “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia e di infermità”.

43 Informazioni più dettagliate si possono trovare sul sito della Comunità Europea progetto

Daphne europa.eu.int/comm/sg/daphne/it/index.htm

44 “La Commissione, previa consultazione degli Stati membri, coopera con le istituzioni e le

organizzazioni operanti nel settore della prevenzione e della protezione contro la violenza sui bambini, sui giovani e sulle donne e nel sostegno alle vittime. Essa incoraggia, in particolare, la cooperazione transnazionale fra le ONG e le autorità nazionali, regionali e locali”. Decisione n. 293/2000/ CE, art. 2, secondo comma.

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(2004-2008) per prevenire e combattere la violenza contro i bambini, i giovani e le donne e per proteggere le vittime e i gruppi a rischio45.

Tra gli obiettivi generali della seconda fase del progetto abbiamo quello “fornire ai cittadini un elevato livello di protezione dalla violenza, che comprenda la tutela della salute fisica e psichica.”46, mentre, una finalità più specifica del programma Daphne II prevede “prevenire e combattere tutte le forme di violenza che si verificano nella sfera pubblica o privata contro i bambini, i giovani e le donne mediante misure preventive e sostegno alle vittime e ai gruppi a rischio, e in particolare la prevenzione dell'esposizione futura alla violenza. Il programma è inteso inoltre ad assistere ed incoraggiare le organizzazioni non governative e le altre organizzazioni attive nel settore.”47

L’allegato48

alla decisione 803/200/CE descrive gli obiettivi e le azioni specifici distinguendo tra: azioni transnazionali e azioni complementari.

Tra le azioni transnazionali abbiamo vari tipi di azioni raggruppati in sette punti, ognuno dei quali presenta proposte specifiche:

 Individuazione e scambio di migliori pratiche ed esperienze operative

 Indagini analitiche per categoria, studi e ricerche  Attività settoriali con la partecipazione dei beneficiari  Costituzione di reti multidisciplinari durature

 Formazione d’ideazione di strumenti didattici

 Elaborazione e attuazione di programmi di trattamento e sostegno alle vittime

 Azioni di sensibilizzazione rivolte a un pubblico specifico.

Parallelamente sono previste anche azioni complementari, su iniziativa della Commissione, allo scopo di “di garantire che tutti i settori del programma siano

45 http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2004:143:0056:007:it:PDF 46

Decisione n. 803/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 che istituisce un programma di azione comunitaria (2004-2008) per prevenire e combattere la violenza contro i bambini, i giovani e le donne e per proteggere le vittime e i gruppi a rischio, art. 2 comma 1.

47 Ibidem 48

Allegato, Obiettivi e azioni specifiche, Decisione n. 803/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004.

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pienamente coperti, anche in assenza di proposte - o di proposte adeguate - per un determinato settore”49

.

Al fine di colmare ulteriori lacune, la Commissione svolge altre attività tra le quali compare anche “l’elaborazione di indicatori sulla violenza che permettano di valutare quantitativamente l'impatto delle politiche e dei progetti. Tale azione deve poggiare sull'esperienza acquisita riguardo a tutte le forme di violenza contro i bambini, i giovani e le donne.”50

Con la Decisione n. 779/2007/CE51 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2007 s’istituisce, per il periodo 2007-2013, un programma specifico per prevenire e combattere la violenza contro i bambini, i giovani e le donne e per proteggere le vittime e i gruppi a rischio (programma Daphne III) nell’ambito del programma generale «Diritti fondamentali e giustizia»52.

I beneficiari del programma sono i bambini, i giovani (18-25 anni) e le donne vittime di violenza o che rischiano di diventarlo.

Il programma è indirizzato a gruppi come le famiglie, gli insegnanti, gli operatori sociali, la polizia, il personale medico e giudiziario, alle ONG e alle autorità pubbliche.

Ovviamente essendo il continuum di un percorso iniziato anni prima, Il progetto Daphne III include e integra gli obiettivi definiti nei due programmi

Daphne precedenti.

Si chiarisce però che, per la realizzazione gli scopi contenuti nel programma, sono favoriti tre tipi di azioni:

- le azioni della Commissione europea: ricerche, sondaggi e inchieste, raccolta e diffusione di dati, seminari, conferenze e riunioni di esperti, sviluppo e aggiornamento dei siti Web ;

- i progetti nazionali d’interesse comunitario che coinvolgono almeno due Stati membri;

- il sostegno alle ONG e ad altre organizzazioni che perseguono un obiettivo d’interesse europeo generale.

49 Ibidem. 50 Ibidem.

51 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2007:173:0019:0026:it:PDF 52

Con ciò vogliamo affermare che il programma Daphne III costituisce uno dei cinque programmi specifici che formano il programma quadro "Diritti fondamentali e giustizia".

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I tre programmi Daphne rappresentano per l’Europa un buon punto di partenza per continuare a contrastare un fenomeno in crescita che, a oggi, sembra non risparmiare nessun paese o non essere ascrivibile a una classe sociale in particolare.

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