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UOMO E AMBIENTE Rapporti intercorsi nel

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– L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments 68 (4): 171-176, 2013

© 2013 Accademia Italiana di Scienze Forestali doi: 10.4129/ifm.2013.4.02

VITTORIO GUALDI (*)

UOMO E AMBIENTE

Rapporti intercorsi nel Pleistocene fra l’Homo erectus e i sistemi ecologici interessati dalla sua presenza

(*) For.Rest.Med., spin off dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro; info@forrestmed.com

1. IntroduzIone

Questo lavoro è il primo di una serie; esso è riferito ai complessi rapporti che intercorsero nel tempo fra l’Homo erectus e gli ambienti da esso prescelti in Europa meridionale, Asia Sud-occidentale e Africa settentrionale, riu- nite a formare l’area di studio.

L’Homo erectus giunse (CavallI-Sforza,

1996) dall’Africa in quell’area alla fine del Pliocene, all’incirca 2 Ma.

Esso si inserì nei molteplici sistemi ecolo- gici interessati, molto diversi fra loro nei ca- ratteri geologici, idro-geologici e morfologici e, quindi, vegetazionali e faunistici. Di quegli ecosistemi l’Homo erectus analizzò le rocce per le scelte sulle dimore, rappresentate da caverne e ripari sotto roccia, e per quelle sulle

L’homo erectus giunse dall’Africa 2 Ma in Europa meridionale, Asia Sud-occidentale e Africa setten- trionale.

Quel nostro lontano antenato, entrato a far parte dei differenziati sistemi ecologici di elezione, acquisì le indispensabili conoscenze sulle loro componenti fisiche, fisico-biotiche e biotiche e sul funzionamento degli insiemi, che valsero ad assicurargli la sopravvivenza.

Esso rivolse, infatti, particolare attenzione alle rocce, per le scelte sulle dimore – caverne o ripari sotto roccia – e sui materiali litici da cui traeva i manufatti poi impiegati in molteplici attività.

Lo stesso uomo conobbe anche le complesse relazioni che intercorrevano fra il clima, da una parte, e la vegetazione e la fauna, dall’altra, con particolare riferimento – rispettivamente – agli aspetti fenologici ed etologici.

L’homo erectus, pervenuto nell’area specificata, vi conobbe subito il fuoco, trasmesso alla vegetazione dalla caduta dei fulmini, dalla eruzione dei vulcani e da altre manifestazioni naturali.

Si precisa al riguardo che si trattò di un impiego passivo, rappresentato dal ravvivamento e dalla diffu- sione del fuoco all’interno delle foreste in fiamme, nelle quali quell’uomo penetrava con circospezione alla ricerca dei sali contenuti nelle ceneri, dei frutti e dei semi abbrustoliti e degli animali morti. L’impiego ac- cennato ebbe termine all’incirca 0,4 Ma, dopo di che sopravvenne gradualmente quello attivo, consistente nella conservazione e produzione dello stesso fuoco, occorrente a tenere gli animali feroci lontani dalle abitazioni che venivano così riscaldate e illuminate, nonché a cuocere gli alimenti.

Quanto delineato dette luogo alla prima transizione ecologica dell’umanità che fu seguita da altre, anch’esse incentrate sull’impiego attivo del fuoco, rappresentate dalla produzione degli alimenti di origine vegetale e animale, dalla urbanizzazione e dalla industrializzazione.

Parole chiave: uomo e ambiente; Pleistocene; Homo erectus; ecosistemi.

Key words: man and environment; Pleistocene; Homo erectus; ecosystems.

Citazione - GualdI V., 2013 – Uomo e ambiente. Rapporti intercorsi nel Pleistocene fra l’homo erectus e i sistemi ecologici interessati dalla sua presenza. L’Italia Forestale e Montana, 68 (4): 171-176. http://

dx.doi.org/10.4129/ifm.2013.4.02

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unità litologiche da cui traeva i manufatti li- tici occorrenti alla lotta agli animali feroci e agli altri che gli assicuravano l’approvvigiona- mento delle carni.

Quel nostro remoto antenato conobbe in dettaglio anche i caratteri del clima e i loro ef- fetti sulla fenologia della vegetazione, relativa alla fioritura e alla fruttificazione delle piante, così come sull’etologia della fauna, riferita alla ricerca delle risorse idriche e trofiche e alla prolificazione degli animali.

Lo stesso uomo, senza quell’insieme di co- noscenze, non sarebbe affatto sopravvissuto nei contesti ambientali prescelti.

2. rapportIfrauomoeambIente

L’Homo erectus acquisì nel tempo numerose e dettagliate conoscenze sulle componenti dei sistemi ecologici di cui entrò a far parte e sul funzionamento degli insiemi.

Il sapere sulle rocce discese (broGlIo, 1999) dagli interessi rivolti al calcare siliceo, al calce- donio, al diaspro, ai noduli e agli straterelli di selce, all’ossidiana e alla quarzite, impiegati nel Paleolitico1 per ottenere, con tecniche sempre più evolute, asce, bulini, erti, foliati – general- mente impiegati come punte di freccia o lan- cia – e grattatoi, nonché nel Neolitico, prima dell’impiego dei metalli, per realizzare zappe con cui dissodare il terreno da coltivare e fal- cetti con cui mietere i cereali e sfalciare i prati.

Altrettanta importanza ebbero le cono- scenze, anch’esse riferite agli aspetti geologici, sulle manifestazioni sismiche e vulcaniche che alimentarono numerosi miti, spesso valsi a farle ritenere sovrannaturali.

Anche la permeabilità degli strati di ciot- toli, ghiaie e sabbie, presenti nei depositi vicini alle caverne e ai ripari sotto roccia,

1 Numerosi studiosi di Archeologia, già a metà del XIX secolo, si convinsero della necessità di suddividere in parti la lunga età della pietra, il cui inizio risale al Pleistocene inferiore, per il gran numero di differenze riscontrate nelle modalità esecutive dei manufatti litici. Si spiega così come Lubbock avesse proposto (Gordon ChIlde, 1960) nel 1865 di ripartire quella età in Paleolitico e Neolitico.

richiamò l’attenzione dell’Homo erectus che agevolmente correlò ad essa gli afflussi idrici che sconsigliavano di scegliere quei siti come dimore.

Restando a trattare dell’acqua, si evidenzia come essa avesse rappresentato, specialmente nell’area di studio, la fondamentale risorsa ali- mentare, non solo per l’uomo, ma anche per gli animali da esso cacciati. Si spiega così la lo- calizzazione delle dimore del primo nei pressi di sorgenti, corsi d’acqua perenne e laghi, le une e gli altri frequentati anche dai secondi.

Importanza ancora maggiore ebbero per l’Homo erectus i rapporti con le componenti biotiche, vegetali e animali, degli ecosistemi interessati, da esso approfonditamente cono- sciute.

Le stesse componenti subirono nel tempo profonde modificazioni, per effetto delle variazioni del clima che si verificarono spe- cialmente nel Pleistocene medio e in quello superiore durante le glaciazioni e i periodi interglaciali. Le modificazioni accennate com- portarono ripetuti adattamenti delle attività antropiche, rivolte alla raccolta, alla caccia e alla pesca, nonché alle industrie litiche.2

Le popolazioni di Homo erectus soddisfe- cero gran parte dei loro fabbisogni alimentari con la raccolta di semi, interi frutti, germogli e radici nelle varie espressioni della vegetazione interessata.

Va precisato al riguardo che la raccolta ac- cennata provocò alterazioni poco significative nella componente biotica interessata, per la episodicità e la scarsa entità della pressione antropica dell’epoca.

Differenti conseguenze ebbero nell’Olocene gli effetti delle azioni svolte dall’Homo sapiens sulla stessa componente che da una parte andò distrutta con la deforestazione e dall’altra si ar- ricchì nella composizione specifica delle comu- nità che la rappresentavano, con la diffusione o la formazione di nuove specie, prevalente-

2 L’industria litica consiste (Gordon ChIlde, l.c.) in «un insieme ricorrente di strumenti litici, (prima) mai trovati in alcun tipo riconoscibile di abitazione o di tomba, e neppure associati con ossa spezzate di selvaggina indicative di una selezione distintiva di cibo».

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mente arvensi, pabulari e ruderali,3 conseguenti alla pratica dell’agricoltura e della pastorizia, risalente (CavallI-Sforza, l.c.) a 8.500 anni B.P. nell’Anatolia occidentale e nei Balcani meridionali, a 7.500 nell’Italia meridionale e a 6.500 nella Francia meridionale e quasi nell’in- tera Spagna.

Fra lo stesso nostro antenato e i grandi fe- lini, quali il Leone, il Leopardo, la Pantera e la Tigre dai denti a sciabola, quest’ultima capace di inaudita ferocia, si instaurò nel Pleistocene inferiore una elevata conflittualità, per la supre- mazia nei territori di caccia comune e l’appro- priazione delle caverne e dei ripari sotto roccia.

Si ricordano poi le cacce ai pachidermi, rap- presentati dall’Elefante delle foreste e delle steppe e dal Rinoceronte delle foreste, praticate durante il Pleistocene medio non solo in Europa centrale, ma anche in quella meridionale e nelle altre parti dell’area di studio. L’esercizio delle stesse attività richiese (Müller-Karpe, 1976) molto coraggio ed elevata destrezza da parte dei cacciatori, perché in più sub-aree effettuato con l’impiego di attrezzi di legno, realizzati con grossi rami o interi fusti di alberi di Taxus bac- cata L., opportunamente appuntiti a una delle estremità. Questa poteva penetrare facilmente nel torace o nell’addome degli animali da uc- cidere nel breve intervallo di tempo della rica- duta sul terreno della parte superiore del loro corpo, prima sollevata per assalire o spaventare gli stessi cacciatori.

Le cacce accennate, praticate nella modalità dell’“assalto”, furono seguite (Müller-Karpe, l.c.) da quelle del “trabocchetto”. Nei pressi di sorgenti, corsi d’acqua perenne e laghi delle aree indicate, le une e gli altri frequentati da

3 Le specie arvensi, pabulari e ruderali sono rispettiva- mente tipiche delle zone destinate all’agricoltura, di quelle sottoposte al pascolo degli animali allevati e delle altre ric- che di pietrosità e rocciosità. La loro diffusione in determi- nati ambienti occupati da vegetazione delinea l’entità della degenerazione delle comunità di piante interessate. Si tratta di un processo del dinamismo vegetazionale, conseguente al degrado del terreno e all’alterazione della composizione specifica e della struttura spaziale delle stesse comunità. Il processo inverso della rigenerazione consiste, invece, nella ridiffusione in esse di specie sempre più esigenti in fatto di risorse idriche e trofiche, a discapito di quelle arvensi, pabulari e ruderali specificate.

quei pachidermi, venivano aperte ampie e pro- fonde buche, poi ricoperte da frasche e zolle erbose, in cui precipitavano la totalità o parti considerevoli delle mandrie alla ricerca dell’ac- qua per l’abbeverata e il gioco. La prevalenza accertata di individui giovani, che oltretutto fornivano le carni più appetite, si spiega con- siderando l’abitudine dei piccoli, ancor’oggi diffusa fra i pachidermi, di precedere i grandi nella corsa verso la risorsa idrica.

Le stesse cacce all’“assalto” e col “traboc- chetto” riguardarono successivamente, pur sempre nel Pleistocene medio, il Mammut e il Rinoceronte lanoso, sostitutivi dei pachidermi precedentemente considerati.

Allo stesso Pleistocene medio risalgono le cacce al Cervo, effettuate in Spagna, e quelle all’Orso delle caverne, praticate dalla primavera avanzata al primo autunno sugli alti rilievi mon- tani dell’Italia settentrionale.

Nel Pleistocene superiore proseguirono le cacce specificate, rivolte con le modalità più volte richiamate al Bisonte, al Bue selvatico, al Cavallo, al Cinghiale e alla Renna.

Quella al Cavallo avvenne in Francia da parte di gruppi relativamente numerosi di cacciatori che operavano con accurata coordinazione e non comune destrezza. In luoghi pianeggianti, qua e là interrotti da rilievi collinari dotati di un solo versante acclive o, meglio, rupestre, le mandrie di cavalli al pascolo venivano indotte con alte grida a risalire le chine più agevoli. I quadrupedi, raggiunta la sommità delle alture, si lanciavano (Müller-Karpe, l.c.) nel vuoto a decine di migliaia, perché impossibilitati nella calca a cambiare senso, atterriti dal fuoco ap- piccato alla vegetazione circostante e storditi dal fumo da esso sprigionato.

Infine va accennata la raccolta del mollusco terrestre (Cepaea nemoralis L.) che soddisfece in modo considerevole, in più d’una delle sub-aree accennate, i fabbisogni alimentari dell’Homo erectus. Il ritrovamento nell’Alge- ria pre-sahariana di grandi cumuli di gusci di quel mollusco ha indotto a ritenere (renault- mISKovSKy, 1987) che il clima della sub-area interessata e di altre vicine fosse stato così fre- sco e umido, da consentire la vegetazione di ri- gogliose espressioni della foresta mediterranea.

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3. ImpIeGhIdelfuoCo

Gli incendi delle foreste che si verificarono nell’area di studio durante il Pleistocene infe- riore e nella prima parte di quello medio eb- bero origine spontanea.

Essi furono più frequenti e distruttivi nelle sub-aree in cui le unità fisionomiche,4 rappresentative delle varie espressioni della vegetazione, erano maggiormente ricche di ne- cro massa.

In detti contesti spaziali e temporali l’Homo erectus ebbe modo di impiegare il fuoco in modo passivo, sulla base di quanto di seguito specificato.

Quell’uomo vide ricorrentemente (Goud-

Sblom, 1996) molteplici esemplari di specie animali, propriamente silvicole, ritornare con circospezione nelle foreste percorse dal fuoco – dalle quali erano fuggiti atterriti – alla ricerca dei sali contenuti nelle ceneri sparse sul ter- reno, non ancora dilavato dalle acque di piog- gia e da quelle di scorrimento superficiale, dei frutti e delle radici abbrustolite, se erbivori, e degli animali morti, se carnivori, nonché del tepore emanato dai resti di brace ardente, an- cora presenti sotto le coltri della stessa cenere.

Il favore con il quale quell’uomo primitivo ac- colse la consumazione di interi frutti o parti di essi e di radici, gli uni e le altre abbrustoliti, non- ché di carni cotte, discese dalla constatazione della più agevole masticazione e digestione di quanto ingerito, oltre che – per le carni – della loro più facile separazione dalle ossa.

L’ingestione di semi abbrustoliti di Fagus syl- vatica L. evitò, in particolare, malanni gastrici, per la scomparsa delle sostanze nocive conte- nute nei loro tessuti, dovuta alle elevate tem- perature. L’esperienza occorsa fu accolta con soddisfazione nelle sub-aree montane della

4 La classificazione della vegetazione per unità fisio- nomiche, risalente all’epoca greco-romana, è incentrata sull’individuazione dei più importanti aspetti, riferiti alla composizione specifica, alla struttura spaziale, alla copertura del suolo, all’altezza e all’origine – gamica o agamica – dei popolamenti presenti in una determinata comunità. Si tratta della foresta, macchia-foresta, macchia, gariga, landa e prate- ria, distinte per dominanza decrescente – fino all’assenza – dei popolamenti arborei e arbustivi.

parte centrale e orientale dell’area di studio, come evidenzia la diffusa attestazione in esse del tema fag, dal quale discese la forma verbale del greco antico φαγειν – mangiare – nonché il nome in latino dell’albero e numerosi termini e forme verbali dell’italiano, riferite all’organo interessato e alla funzione da esso svolta.

L’impiego passivo del fuoco si sviluppò, quindi, per le constatazioni e le osservazioni fatte, concretizzandosi nel suo ravvivamento e diffusione nelle foreste in fiamme.

All’impiego passivo del fuoco fece seguito (GoudSblom, l.c.) quello attivo durante il Pleistocene medio, a far tempo da 0,4 Ma. Si trattò in sintesi della conservazione e, addirit- tura, della produzione dello stesso fuoco, es- senzialmente rivolta a tenere gli animali feroci lontani dalle caverne e dai ripari sotto roccia, così come dalle capanne, a riscaldare e illumi- nare le stesse dimore, a cuocere gli alimenti, nonché a indurire le estremità degli attrezzi lignei impiegati nelle cacce all’“assalto”.

Le più antiche testimonianze delle attività specificate, risalenti all’Acheuleano5, sono state ritrovate (broGlIo e KozlovSKy, 1986) ad Ambrona, in Spagna centrale, a Terra Amata, in Francia meridionale, e a Torre in Pietra, in Italia centrale.

4. ConCluSIonI

Il passaggio dall’impiego passivo a quello at- tivo del fuoco, operato dall’Homo erectus, fu graduale nel lungo periodo di tempo occorso allo stesso uomo per conseguire (pèrleS, 1983) peculiari atteggiamenti mentali, relativi in particolare al taglio di rami e di interi alberi nelle foreste, all’allestimento della legna da ar- dere all’interno o nelle vicinanze di esse e al trasporto e accatastamento di quanto ottenuto nei pressi delle dimore, al riparo dalla pioggia.

5 L’Acheuleano è il complesso di industrie litiche del Pale- olitico inferiore, con le quali furono realizzati (broGlIo, l.c.) in Europa i primi bifacciali. Esso prese il nome dalla località di St. Acheul della Francia settentrionale – bacino del Fiume Somme – nella quale furono ritrovati i primi manufatti litici del complesso.

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Le operazioni richiamate richiesero anche la consapevolezza della necessità di accorgi- menti rivolti ad agevolare l’allestimento della legna da ardere, che veniva ridotta in parti di più facile trasporto seguendo l’andamento delle fibre legnose, evitare che la pioggia ren- desse quell’assortimento poco impiegabile per qualche tempo e impedire che il fuoco ecces- sivamente ravvivato si propagasse alle coper- ture a tetto e alle parti interne ed esterne delle capanne, costruite come è noto con l’impiego di materiali infiammabili.

Il passaggio dall’impiego passivo a quello at- tivo del fuoco rappresentò (GoudSblom, l.c.) la prima transizione ecologica dell’umanità, seguita da altre, anch’esse dovute all’impiego attivo del fuoco, costituite dalla produzione degli alimenti vegetali e animali, dalla urba- nizzazione e dalla industrializzazione.

Quel passaggio consentì il lungo e pro- ficuo processo di civilizzazione dell’uomo, richiamato anche da Esiodo ed Eschilo che nelle loro opere si riferirono all’antico mito, secondo il quale Prometeo – figlio del titano Giapeto e della ninfa Climene – sottrasse il fuoco agli dei con l’aiuto di Atena, nell’intento di donarlo agli uomini, perché conseguissero stadi sempre più avanzati di civiltà.

Lo stesso Prometeo nascose un po’ di brace ardente εν κοιλοι ναρθηκι, nel cavo di una parte di fusto di Arundo donax L.6 o di Ferula communis L.7, come si usava (vernant, 2001)

6 L’Arundo donax, Famiglia delle Graminacee, fu ampia- mente impiegata nell’area di studio fin dal lontano passato, per realizzare coperture a tetto e pareti esterne e interne di capanne, per allestire attrezzi da pesca o da uccellagione, stecche da ortopedia e da scrittura, pettini rustici, strumenti musicali a fiato e utensili da tessitura. Il nome del genere e quello della specie fanno entrambi riferimento (GeorGeS e CalonGhI, 1921; CaStIGlIonI e marIottI, 1990; roCCI, 1993) al canneto, Sylva arundinacea, e ai caratteri di lun- ghezza e flessibilità dei fusti dei singoli elementi che lo costituiscono.

7 La Ferula communis, Famiglia delle Obrellifereae, trovò anch’essa frequente impiego nell’area di studio fin da tempi remoti, per allestire vari oggetti, come i tirsi delle baccanti e i bastoni pastorali dei vescovi, nonché le arnie, cioè manu- fatti che richiedevano elevata resistenza alle sollecitazioni, oltre che leggerezza. Il nome del genere derivò dalla forma verbale latina ferre, portare, da riferire al trasporto degli stessi manufatti e, probabilmente, a quello della brace.

nell’antico mondo mediterraneo, per traspor- tare il fuoco da un luogo all’altro, purché non distanti fra loro.

Summary Man and environment

The Pleistocene interaction between homo erectus and the ecological systems in which he lived Homo erectus came from Africa 2 My to Southern Europe, Southwestern Asia and North Africa.

Our remote ancestors, once they became part of the many differentiated ecological systems they encountered, acquired knowledge about the latter’s physical and/or biotic components and overall functioning needed to survive.

They paid special attention to the rocks, both in terms of their abodes – caves and rock shelters – and lithic materials they used to produce tools.

They also learned the complex interplay between climate, vegetation and fauna, both in phenological and ethological terms.

Homo erectus knew or discovered fire, likely as a result of lightning strikes, volcanic eruption and other natural events.

At first, he probably exercised only passive control, reviving and diffusing the flames encountered while scouting the forest in the aftermath of a fire, looking for ash salts and naturally roasted fruit, seed and animals. Such passive use ended about 0,4 My, then it began to slowly be replaced by a more active approach, characterized by fire generation and conservation, as needed in order to keep carnivores at bay, to heat and light up Homo erectus’

dwellings and cook his food.

This is probably the first ecological transition shown by humankind, followed by others, still centered on the active use of fire, such as food production derived from agriculture and husbandry, urbanization and industrialization.

bIblIoGrafIa

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