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3. SOTO DE ROJAS 3.1 CENNI BIOGRAFICO-LETTERARI

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3. SOTO DE ROJAS

3.1 CENNI BIOGRAFICO-LETTERARI212

Pedro Soto de Rojas nacque a Granada, da Ana de Soto e Martín de Rojas, e venne battezzato il 10 Gennaio 1584 nella chiesa parrocchiale di Sagrario (anch’egli portò il cognome materno anteposto, come era comune al tempo e come già avevano fatto Polo de Medina e Luis de Góngora); ebbe inoltre due sorelle: Luisa, che muore nel 1622, e Juana, che nominerà come erede e testamentaria. Non si conosce niente dei suoi primi anni, ma sicuramente seguì corsi umanistici e religiosi all’Università di Granada e ricevette il grado di bachiller en Cánones, Humanidades y Teología nel 1610. Era nipote del poeta Luis Barahona de Soto, il legame col quale gli servì da trait d’union non solo tra gli studi ecclesiastici e la sua seconda professione, quella letteraria, ma anche tra essi e l’ambiente cortigiano, essendo, possibilmente, proprio lo zio ad aprirgli il cammino nel mondo dei circoli letterari e della corte.

Alcuni incarichi lo dovettero condurre e trattenere a Madrid, dove scrisse il suo primo componimento, un sonetto dedicato a Luis Vélez de Guevara, pubblicato nel 1608 accanto a quelli di altri illustri poeti, che dimostra tutt’oggi quanto fosse già conosciuto nei cenacoli. Nel 1610, dopo essersi laureato, apparve con un sonetto in una gara letteraria a Siviglia in onore della beatificazione di San Ignacio de Loyola, nella quale spiccò fra i molti che vi parteciparono (tra i quali Góngora, Jáuregui, Pacheco, ecc.); questa fu l’unica justa poetica alla quale partecipò Soto e il suo nome non riapparve né in quelle di Madrid né in quelle granadine che vennero celebrate negli anni successivi. Tra il 1609 e il 1611 si intensificò la sua produzione letteraria giovanile, raccolta nell’opera Desengaño

212 Per le fonti biografiche si rimanda a: ARCO, Ángel del (1909), Pedro Soto de Rojas, in

«Revista de archivos, bibliotecas y museos», XX, pp. 241-246; OROZCO DÍAZ, Emilio (1954),

Introducción a un poema barroco granadino. De las «Soledades» gongorinas al «Paraíso» de Soto de Rojas, Universidad de Granada, Granada; GALLEGO MORELL, Antonio (1970), Estudios sobre poesía del primer siglo de oro, in «Ínsula», Madrid, pp. 119-149; SOTO DE

ROJAS, Pedro (1981), Paraíso cerrado para muchos, jardines abiertos para pocos – los

fragmentos de Adonis, EGIDO Aurora (ed. de), Cátedra, Madrid, pp. 10-21; FERNÁNDEZ

DOUGNAC, José (1992), El Paraíso Comentado, Ediciones A. Ubago, Granada, pp. 9-26; CANAVAGGIO, Jean (1995), Historia de la literatura española, Ariel, Barcelona, pp. 162-169; PROFETI, Maria Grazia (1998), L’età d’oro della letteratura spagnola: il Seicento, La Nuova Italia, Firenze, pp. 406-407.

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96 de amor en rimas che, pur ottenendo la licenza nel 1614, non venne pubblicato fino al 1623. Nel 1612-13 apparvero varie sue composizioni encomiastiche accanto ai nomi dei più illustri letterati del tempo213 e ciò indica quanto la corte dovette attirarlo con le sue false lusinghe e quanto cercò di entrare nelle Accademie per farsi conoscere tra i nobili e i potenti: scelse in un primo momento l’Accademia del conte di Saldaña (figlio del duca di Lerma), dove si fece conoscere magari leggendo proprio gli scritti del suo Desengaño, anche se in essa ebbe delle discussioni con l’amico Luis Vélez de Guevara e dopo poco la stessa venne chiusa per il suo carattere turbolento. Dalle sue spoglie nacque, nel 1612, l’Accademia Selvaje (in onore al suo mecenate, Francisco de Silva, fratello del duca di Pastrana) e a essa partecipò il meglio della Madrid letteraria, ricevendo Soto lo pseudonimo di Ardiente214 e avendo l’onore di inaugurarla leggendo il suo Discurso sobre la Poética215. Da questa tappa madrilena conseguì l’amicizia con Lope de Vega216, con Miguel de Cervantes217 e soprattutto con Luis de Góngora218, che si trovavano a corte in quegli anni: risulta curioso come Soto fosse, contemporaneamente, tra quei due fuochi di grande contrasto letterario che caratterizzarono l’ideale poetico-letterario del Barocco, anche se fu ufficialmente

213

Precisamente una lira in La Cruz di Albanio Ramírez de la Trapera e un sonetto nelle Varias

Rimas di Miguel Colodrero Villalobos.

214 Dare pseudonimi era un’usanza diffusissima nelle Accademie, ma quello che gli amici dettero a

Soto si adattò benissimo alla grande abilità e al superiore genio che dimostrò il poeta, come confermò Lope de Vega in un elogio: «[…] en la lengua latina, Ardiente es ingenioso» (cfr. GALLEGO MORELL, Antonio 1970, op. cit., p. 129).

215 Il discorso significò molto per Soto, sia per il privilegio concessogli nel dare il via

all’Academia Selvaje, sia per l’alto valore teorico dello scritto, che testimonia le conoscenze aristoteliche e retoriche del poeta granadino (cfr. BALBÍN LUCAS, Rafael de (1944), La poética

de Soto de Rojas, in «Revista de ideas estéticas», II, pp. 91-100).

216 Probabilmente i due si conobbero già a Granada, che Lope visitò in vari viaggi tra il 1602 e il

1604; molte sono le occasioni in cui il Fénix elogiò Soto (nonostante la postura gongorina di quest’ultimo): in un elogio in prosa nel Desengaño, in uno nel Laurel de Apolo, in un altro nel

Jardín de Lope e, infine, in un famoso sonetto delle Rimas humanas y divinas.

217 «Soto de Rojas fue muy amigo de Cervantes; este lo califica de «prodigioso ingenio y vena

culta», precisamente nel suo Viaje del Parnaso (1614) (cfr. PAULA VALLADAR, Francisco de (1917), Hablemos del Albayzín…, in «La Alhambra. Revista quincenal de artes y letras», año XX (15 de mayo), n. 459, p. 194, nota 1).

218 Il cordovese gli dedicò un sonetto. Inoltre, Góngora aveva già visitato Granada nel 1585 e vi

aveva composto il romance encomiastico in onore della città e di quel quartiere di Albaicín in cui poco dopo sarebbe vissuto Soto costruendovi, realmente e letterariamente, il suo Paraíso; molto probabile è che l’amicizia tra i due si fosse istaurata attraverso Jorge de Tovar, che scrisse composizioni laudatorie per il Desengaño e che testimoniò il legame del poeta granadino con i politici influenti del tempo.

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97 il Góngora del 1613, quello delle Soledades e del Polifemo, a catturare per sempre l’anima dell’autore granadino.

Nel 1616 l’amicizia con i nobili dette i suoi frutti e Soto ottenne una vacante nella chiesa Collegiale del Salvador di Granada219, già sollecitata un anno prima, e iniziò così una nuova tappa nella vita dell’autore: fuggì dalla corte e tornò alla sua amata città natale, dove entrò nel Capitolo e si stabilì nel quartiere di Albaicín. Tuttavia continuò ad alternare soggiorni nella città e presso la corte, chiedendo continuamente nuove cappellanie più remunerative e coltivando continui attriti con i compagni di Capitolo, iniziati già nel 1618, che degenerarono in una prigionia domiciliare nel 1619 per aver messo in dubbio la purezza di sangue di un canonico. Nel 1620 morì il padre, ma Soto si trovava a Madrid, occupato da incarichi gravosi e impellenti, e tornò solo nel 1621, quando di nuovo si scontrò con il Capitolo e venne multato per aver discusso con il canonico Martín Linares. Questi furono gli anni della caduta di don Rodrigo Calderón, il valido del duca di Lerma, e di quanti godettero dei suoi favori, tra cui molti amici di Soto; non a caso il poeta granadino cercò subito di entrare nelle grazie del conteduca de Olivares, dedicandogli e pubblicando nel 1623 il Desengaño de amor en rimas, contornato dagli elogi dei maggiori poeti del periodo. Nel 1625 il poeta tornò a Madrid e un anno dopo, probabilmente proprio grazie al favore di Olivares, venne nominato avvocato del Santo Oficio de la Inquisición, ma ciò non appianò i contrasti con il Capitolo granadino; anzi, tornato a Granada, le tensioni aumentarono e scoppiarono nel 1628, anno in cui viene incarcerato nuovamente per cause sconosciute e liberato grazie al perdono dei chierici.

Nel 1629 viaggiò a Madrid e con ciò pose un termine a quella doppia vita che lo aveva sbattuto fino a quel momento tra la corte e l’Albaicín; Soto, ormai stanco degli intrighi e delle menzogne della corte, iniziò una tappa di isolamento e solitudine, senza mai più tornare a mettere piede a Madrid. Forse, dovuto ai numerosi disinganni passati, sia cortigiani che amorosi, il canonico granadino decise quindi di rinchiudersi, dopo la pubblicazione di un sonetto encomiastico a Miguel Colodrero Villalobos, in un ritiro eremitico dal quale non uscì più; perciò comprò nel 1629 cinque terreni edificabili con cui, assieme a quelli già acquistati

219 Privilegio ottenuto, forse, grazie al duca D’Alba o, ancor più probabile, dal conteduca de

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98 nel 1619 e a quelli che comprò successivamente nel 1632220, potette costruirsi il suo amato e personale carmen221, che lo ospitò fino alla sua morte e che accolse quei giardini paradisiaci di cui ci parla nella sua ultima e più celebre opera. Nel 1639 apparve a Barcellona il componimento in ottave Los rayos del Faetón, dedicato anch’esso a Olivares e scritto prima del 1628, che riprese il topos comune barocco della re-invenzione mitologica cercando di emulare la precedente Fábula de Faetón del conte di Villamediana, proponendo un’originale unione tra il Beatus ille oraziano e il famoso racconto ovidiano. Nel 1643 il Capitolo lo elesse segretario e colector e il suo nome spiccò per la buona reputazione, dietro alla quale restarono comunque malintesi e diffidenze con i compagni di collegiata; egli era tuttavia il più vecchio tra i canonici e quello con più potere e con una posizione più elevata, che se da un lato gli garantì il rispetto, dall’altro, inasprì le relazioni capitoline. Tornò a essere membro di un’Accademia, quella di Sebastián López Hierro de Castro, e fu lui stesso promotore della gioventù letteraria granadina nella sua stessa casa, dove si riunivano scrittori e intellettuali scelti, costituendo una vera e propria tertulia elitaria222; tuttavia non fu più un amante delle gare poetiche, dato che non partecipò né a quelle di Granada del 1644 in onore della regina Isabella di Borbone223, né a quelle di Cordoba (1653), né a quelle in onore della Concezione della Vergine (1650).

Negli ultimi anni Soto visse da solo e uscì appena dal suo carmen e dai sui giardini, ricevendo pochissimi amici intimi tra le sue mura, fra i quali Francisco

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Anno in cui arriva a Granada anche Francisco de Trillo y Figueroa, grande amico di Soto e con il quale condividerà l’ermetismo, la difesa a oltranza di una poesia per pochi e il gongorismo puro ed estremo senza eccezioni; «Pedro Soto de Rojas y Francisco de Trillo y Figueroa centran, en la Granada del siglo XVII, la constante andaluza de las maneras gongorinas» (cfr. GALLEGO MORELL, Antonio 1970, op. cit., p. 82).

221 Il carmen è il nome delle case con giardino dei quartieri storici di Granada e deriva da karm,

vite, termine con il quale in Al-Andalus ci si riferiva ai vigneti e alle tenute di campagna usate come ritiri estivi di piacere e riposo (cfr. CASARES PORCEL, Manuel (2010), «Origen y causas de transformación del paisaje en los barrios históricos de la ciudad de Granada», in AA.VV., VIII

Encuentro Internacional de Revitalización de Centros Históricos. El paisaje urbano en las ciudades históricas, Centro Cultural de España en México, p. 119).

222 Nella sua Guía de Granada Don Francisco de Paula Valladar afferma che, nella sua abitazione

a Granada, l’autore «[...] celebró allí famosas tertulias poéticas y literarias» (cfr. ARCO, Ángel del 1909, op. cit., p. 244).

223 Le quali, forse da tenere in conto, furono organizzate dallo stesso Capitolo, con cui aveva

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99 de Trillo y Figueroa224, che passeggiò ogni pomeriggio per quell’Eden terreno “chiuso a molti e aperto a pochi”; furono quelli gli anni in cui maggiormente si dedicò alla poesia e infine pubblicò nel 1652, a Granada, il suo Paraíso cerrado para muchos, jardines abiertos para pocos (prologato dall’amico Trillo y Figueroa), con inclusi un Discurso contra el ocio y en loor del ejercicio (pronunciato all’inaugurazione Dell’Accademia di Sebastián López Hierro de Castro225) e Los fragmentos de Adonis (scritti nel 1619 circa e inseriti alla fine dell’edizione): il tutto sancì l’affiliazione all’estetica gongorina e la passione dell’autore per la mitologia e per la natura, tutti aspetti che aveva maturato negli anni precedenti. Vecchio e con la vista stanca, il poeta trascorse gli ultimi anni della sua vita tra la chiesa collegiata del Salvador e il “Paradiso chiuso” del suo carmen granadino, rinnovando quelle discordie con il Capitolo che non lo abbandonarono mai finché il canonico Francisco de Peralta non gli succedette alla sua morte. Dopo aver fatto testamento e nominato come eredi la sorella Juana e l’amico Trillo y Figueroa, la morte lo colpì a settantaquattro anni, il 4 Febbraio 1658, e poco a poco si spensero anche i suoi giardini, che con tanto lavoro aveva creato e che con tanta maestria aveva poetizzato.

Dalla biografia e dall’opera di Pedro Soto de Rojas sorgono numerosi spunti per una visione varia e un’interpretazione molteplice tanto della sua vita quanto della sua produzione. Riguardo alla prima, oltre alla doppia facciata del canonico e dell’uomo di lettere, il poeta dovette chiaramente condurre una doppia esistenza, nella quale si può riconoscere una prima serie di dicotomie: dal dialogo nelle Accademie al soliloquio del suo carmen granadino, dalle lusinghe della corte alla tranquillità dell’Albaicín, dalle passeggiate per strada alla reclusione tra i muri del suo giardino. Tra questi poli passa e trascorre in parallelo anche la produzione poetica dell’artista, dove si può ulteriormente riscontrare una duplice indole letteraria, che ben definisce Gallego Morell nel suddividere l’autore in «el

224

Nel 1650 Soto farà una censura positiva ed encomiastica delle Notas al Panegírico del señor

Marcqués de Montalbán del caro amico.

225 Nel discorso elogia apertamente il costante esercizio del sapere in una condizione di solitudine

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100 blando Soto» e «el intrincado Soto»226, come rispettivamente lo definiscono Jorge de Tovar in una sua poesia e Lope nelle Rimas humanas y divinas (1634).

Il primo s’identifica con un Soto precedente al 1613, quello delle egloghe, dei sonetti e dei madrigali, quello delle illusioni amorose e cortigiane, quello insomma tenero e garcilasiano dell’opera Desengaño de amor en rimas: in essa tratta i temi della solitudine e dell’assenza, della lontananza e della sofferenza dell’innamorato, della gelosia e della dimenticanza impossibile, del Carpe diem e del Beatus ille, del paesaggio umido come rappresentante delle lacrime del poeta-innamorato, e di quello notturno come confidente e ascoltatore dei dolori di un passato angoscioso. I temi prediletti sono quelli oraziani e virgiliani, tuttavia qui l’autore opta per una ponderazione petrarchista e non appaiono i forti contrasti gongorini che caratterizzeranno le successive opere, ma prevalgono quelli soavi e teneri dei sintomi amorosi, o quelli armonici dei toni di colore e delle fragranze di fiori emblematici, che così tanto caratterizzano la sua produzione. È, insomma, una maniera petrarchesca di fare poesia, una «compostura garcilasiana»227 giovanile, un debutto dolce e contenuto nell’esprimere in rima il suo disinganno d’amore. Anche qui l’autore dialoga con la Natura, precisamente con il paesaggio di Granada, al quale spesso chiede la ragione del suo dolore ricevendo come risposta nient’altro che un silenzio, di per sé molto eloquente; si trova già l’elemento vegetale come ekphrasis e il tema del giardino come quadro228

, che tuttavia non possono competere con la superiore bellezza della donna, i quali torneranno poi nel Paraíso come vere dediche alla suprema bellezza della natura. Benché già si intraveda quel gusto minuzioso e miniaturista che spesso riversa in frutta, fiori, pesci, uccelli e altri animali, enumerati attraverso raffinate immagini di preziosa oreficeria e attraverso i diminutivi, l’autore è ancora un poeta garcilasiano, di un tono minore, dolce e tenero, che contrasta con il suo diventare, posteriormente, un poeta barocco per eccellenza: nel Desengaño, infatti, l’elemento naturale si lega ancora a quello di San Juan de la Cruz229

o al

226 GALLEGO MORELL, Antonio 1970, op. cit., p. 167 e ss. 227 Ibidem, p. 171.

228

Precisamente nella composizione Jardín de Fénix, vencido en su hermosura.

229 Soto doveva aver conosciuto l’autore e le sue opere nella chiesa collegiale del Salvador; inoltre,

dalla sua casa granadina si potevano intravedere le chiome degli alberi del convento dei Mártires, di cui San Juan fu priore dal 1582 al 1588.

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101 paesaggio acquatico della Fábula del Genil di Pedro de Espinosa. Soto lesse, oltre che le opere di Góngora, anche La Lira (1602) di Giambattista Marino ed è proprio quest’ultimo a fare da ponte tra il Desengaño de amor en rimas e le opere future, stabilendo una linea di continuità tra un dolce petrarchismo giovanile (legato a quello dei canzonieri spagnoli) e un estremo gongorismo maturo230. Da Marino riprese quei tratti che correranno a fianco di quelli gongorini degli anni più tardivi, come ad esempio il componimento come quadro, il preziosismo, l’accumulazione di elementi, l’esteriorizzazione del sentimento attraverso una natura artificiosa, classificata e sentita nel dettaglio, ma anche la ripresa della mitologia attraverso tecniche amplificatrici e l’uso della tecnica “da museo”, che emerge dall’inserzione di pitture e sculture nel contesto naturale231

.

Il “Soto intricato” è invece quello posteriore al 1613, quello audace e gongorino, quello della metafora cultista e dell’allusione e reinvenzione mitologica, quello della profusione preziosista e dell’elencazione coloristica, quello di una poesia che si concede a molti, ma che viene scritta per pochi, quella insomma del Paraíso cerrado para muchos, jardines abiertos para pocos e de Los fragmentos de Adonis232. Moltissimi autori a lui contemporanei elogeranno e presenteranno Soto proprio come modello di poeta gongorino e ricercato, esaltandone la vena colta come caratteristica peculiare: difatti, in tali opere l’autore cosparge tutto di erudizione e innegabili sono i rimandi e gli echi dal Polifemo e delle Soledades del maestro Góngora. Adesso la sua è una vera e propria alluvione di concetti, di rimandi, di allusioni ed elementi naturali, stile tipico del Barocco in quanto crea confusione e alletta i sensi, ma è anche alluvione di arte: Soto si riferirà a varie pitture e sculture, a ritratti e tele, insomma ingloba una serie di conoscenze culturali e artistiche nelle sue opere che solo il lettore scelto è in grado di decifrare. Non c’è più il Soto cortigiano, appare invece il Soto ingegnoso ed ermeticamente barocco, scompare il paesaggio bucolico e lo stile

230

«Desengaño de amor en rimas es un libro situado, a pesar de su fecha (1623), plenamente en la corriente petrarquista, que le viene por dos cauces, el petrarquismo y garcilasismo españoles y el petrarquismo y marinismo italianos» (cfr. ROZAS, Juan Manuel (1978), «Marino frente a Góngora en la lírica de Soto de Rojas», in Idem, Sobre Marino y España, Editora Nacional, Madrid, p. 100).

231 Specialmente presenti nell’ Adone (1623, ma Soto conobbe già quella del 1612) e nell’idillio

mitologico Orfeo (1620).

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102 blando garcilasiano per dare spazio a un giardino simbolico-religioso, dove l’acqua si scontra con quella stessa vegetazione che egli aveva piantato per dare forma al suo angolo di paradiso terreno nel suo carmen di Granada.

Riportato alla luce dalla Generazione del ’27233, Soto de Rojas mostra, attraverso la sua biografia, un temperamento individualista e fermo, ma anche e soprattutto una personalità ribelle, indifferente verso gli ordini, quale quella di un uomo che ben si definisce «el Ardiente»: egli fu un personaggio isolato, con un’indole aristocratica e polemica234

, un seguace indiscusso di Góngora, dal quale rubò ed estremizzò metafore, parole e giochi verbali, con un grande e prodigioso ingegno creativo. Pedro Soto de Rojas ebbe una personalità definita, sicura, tutta d’un pezzo, conscia dei propri obiettivi, quale quella di un potente canonico granadino, ma fu anche un autore che credette nel lavoro poetico come esercizio continuo, limitato soprattutto all’elogio occasionale, ai desengaños, al tema mitologico e all’espressione del giardino privato.

3.2 I GIARDINI REALI E IL GIARDINO LETTERARIO: IL SINCRETISMO ARTISTICO DEL PARAÍSO DI SOTO

Durante la prima metà del Seicento, in Spagna in particolare, si creano e si ampliano importanti spazi verdi235, e il giardino diventa un topos letterario236 ma anche culturale, opponendosi sia ad altri spazi abitati, come la casa, la piazza, il palazzo, la chiesa, ecc., sia ai numerosi spazi simbolici della tradizione come la

233 Già l’autore era stato ricordato nei giardini modernisti di Ramón María del Valle Inclán e di

Juan Ramón Jiménez, ma sarà con Antonio Gallego Burín e Federico García Lorca che Soto verrà pienamente recuperato come modello della poesia gongorina pura; antologizzato da Gerardo Diego, sarà recuperato anche dalle opere di Vicente Alexandre e di Emilio Prados, dove i temi caratteristici acquisiscono una sfumatura impressionista e sinestesica.

234 Per alcune riflessioni sul carattere polemico e conflittivo dell’autore si rimanda ad

ALCANTUD GONZÁLEZ, José Antonio (2005), «Leyenda literaria y conflicto urbano: el paraíso albaicinero de Soto de Rojas», in PIÑERO RAMÍREZ Pedro M., Dejar hablar a los textos.

Homenaje a Francisco Márquez Villanueva, Universidad de Sevilla, Sevilla, Tomo II, pp.

863-873.

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Per una lista dettagliata dei giardini seicenteschi si rimanda a: MARTÍNEZ CORRECHER Y GIL, Consuelo (2001), «Jardines del barroco español. Siglo XVII», in ALCALÁ-ZAMORA José – BELENGUER Ernest, Calderón de la Barca y la España del Barroco, Centro de estudios políticos y constitucionales, Madrid, Vol. II, pp. 351-413;NIETO CALDEIRO, Sonsoles 2001, op. cit.

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«todo jardín […] representa un símbolo de la armonía y una metáfora de la buena vida, además de una imagen del mundo (imago mundi) y una obra de arte viva» (cfr. BERUETE VALENCIA, Santiago (2013), Narrativas de la utopía, poéticas del jardín: un lugar para la buena vida, in «Revista electrónica de Investigación en Filosifía y Antropología», n. 1 (junio), p. 39).

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103 selva, la montagna, il mare, il fiume, ecc.; rispetto a tutti questi, il giardino si caratterizza da un’inutilità funzionale (perché è adibito alla contemplazione) e da una finalità ludica e di piacere, oltre a essere uno spazio creato dall’uomo, specchio di sé stesso e dell’epoca in cui vive, riflesso complesso e sfumato di una natura domata e usata come mezzo237. Inoltre, nel Barocco è opportuno distinguere tra il giardino della nobiltà o di palazzo, creato appositamente per l’ostentazione e per la classe oziosa, e il giardino privato (come quello di Soto), quello spazio privilegiato che acquisisce toni ascetici e si allontana dal concetto di otium: il giardino privato era l’occupazione dell’umanista ritirato in solitudine, dell’uomo preso dal suo lavoro e dalla preghiera, che deve portare avanti con metodo e continuità. Quelli di palazzo erano, invece, spazi scelti per mostrare la magnificenza e la potenza di Re e Signori ed esaltare il potere politico e lo status sociale dei loro proprietari; non erano semplici orti o boschi selvaggi, ma luoghi creati da e per l’uomo, dove riflettere la potenza umana e dove riprodurre il mondo e il momento storico, dove promuovere l’arte e la grandezza della monarchia spagnola. I giardini erano, difatti, anche luoghi per salotti e Accademie letterarie, ma anche per feste e spettacoli teatrali238, dato che sono i perfetti scenari per creare illusioni e fantasticherie e per suggerire paesaggi insperati e mondi immaginati. Perciò, il giardino e la festa condivisero, per tutto il Rinascimento e il Barocco, importanti elementi comuni nelle loro fonti d’ispirazione e nell’utilizzo di espressioni simboliche239. La festa e il giardino rappresentarono l’unione tra la natura e l’artificio, tra la bellezza naturale e il valore simbolico-formale, furono cioè il prodotto creativo di due realtà artistiche. Entrambi hanno in comune il fatto di essere creazioni artificiali sorte a partire da un complesso processo di elaborazione con cui si pretendeva di dare forma a uno spazio immaginario carico di messaggi, uno scenario dal carattere simbolico, un testo di concetti, uno spazio composto da una successione di immagini che costituivano complessi cicli iconografici suscettibili a diverse interpretazioni. Come creazioni artistiche, la

237 «El jardín no es un espacio natural, no es naturaleza. Cada elemento, cada línea, cada cuerpo,

cada materia, está, como, donde y para que lo que se precisa, en un espacio elegido, mensurable, librado al tiempo, sometido al número, con el contrato, la estudiada complicidad de la luz» (cfr. MARTÍNEZ CORRECHER Y GIL, Consuelo 2001,op. cit., pp. 356-357).

238 Tantissimi autori di teatro rappresentarono le loro opere in giardini pubblici e privati, come lo

stesso Lope, ma anche il conte di Villamediana, Calderón, ecc.

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104 festa e il giardino si trasformarono in veri esercizi per i sensi e in recuperi dell’idea dello spazio naturale come luogo in cui l’uomo si integra e nel quale può godere; condivisero inoltre le stesse fonti d’ispirazione, sorsero cioè come strettamente vincolati alle attività di ozio e a quelle ludiche realizzate in patios, piazze, giardini di ville e palazzi, tenute di campagna, ecc., legandosi perfettamente a quell’esaltazione della natura e della vita di campagna che rivendicava la letteratura contemporanea. Inoltre, la loro unione testimonia l’entrata dello spazio naturale in quello urbano, aspetto proprio del Cinquecento e del Seicento, integrandosi natura e architettura, soprattutto in occasioni mondane quali l’entrata di re e regine nelle città, per le quali si allestivano giardini effimeri240. Lo spazio verde era quindi l’allegoria della ricchezza e il gusto per l’allusione ai giardini celesti o a quelli incantati della mitologia era tipico del Barocco, soprattutto come metafora della grandezza dello Stato e della monarchia241. Si iniziò perciò a unire natura e architettura con un gusto ordinato e proporzionato, distribuendo simmetricamente le varie specie di alberi e fiori, o la varietà delle fonti e delle decorazioni: tutto serviva per rendere l’idea di sorpresa, di stupore, di artificiosità e di idealismo. Non esistette praticamente alcuna celebrazione che da quel momento non esibisse tra le sue decorazioni quegli aspetti definiti «ajardinamientos»242, che altro non erano se non grappoli e mazzi di frutti e fiori con cui si ornavano archi e altari, strade ed edifici, cercando di creare un atmosfera idillica, sorprendente e, chiaramente, simbolico-allusiva. L’uso degli elementi naturali si fece così frequente nelle città che arrivò a costituire un importante aspetto ornamentale, via via sempre più specificatamente vincolato a qualità espressive legate al simbolismo delle diverse specie vegetali.

240 Nel 1500 i giardini acquisirono un vero e proprio senso ludico: nel 1527 la Alhambra ospitò le

feste per il soggiorno della corte imperiale a Granada, nel 1526 i Reales Alcázares di Sevilla ospitarono le celebrazioni per le nozze di Carlo e Isabella di Portogallo e nel 1560 venne allestito a Toledo un giardino effimero per il ricevimento di Isabella di Valois (nel quale, ispirato a quelli antichi del Paradiso e del giardino delle Esperidi di Diodoro Siculo, si enumeravano le virtù della regina). Inoltre il principe Filippo visitò numerosi giardini spagnoli ed europei nel Cinquecento: quello di Barcellona presso il Cardinale di Trento, quello della casa del duca d’alba a Cáceres, quello della Florida di Sevilla, quello di Bellaflor, quello del palazzo di Bruxelles, quelli inglesi e ungheresi, ecc.

241 Con queste intenzioni nacquero, ad esempio, quelli del Buen Retiro e «la corte barroca se fija,

pues, en el jardín, se vuelve hacia él, se manifiesta en él, allí exhibe sus galas aprovechando la oportunidad que para ello ofrecían las fiestas en tan delicioso lugar» (cfr. FERNÁNDEZ DOUGNAC, José 1992, op. cit., p. 39).

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105 La natura fu quindi inserita nella città, incorporata e incastrata nel complesso urbano, nell’artificiosità: se l’uomo del Rinascimento cercava una natura come simbolo di una passata età d’oro, bucolica e pastorale, l’uomo del Barocco la porta a sé, nell’intimità domestica, rendendo il giardino la migliore espressione dell’anima barocca.

Questa natura viene presto sfruttata anche come insegnamento dottrinale di immagini promosse dalla Controriforma243, volendo vedere in essa un riflesso dell’onnipotenza divina, tema sul quale s’insistette alla fine del 1500 e soprattutto nel 1600: un grande numero di opere religioso-morali recuperarono la tradizione simbolica medievale della natura, nella quale piante, fiori e animali si allegorizzavano in vizi o virtù. L’uso degli elementi vegetali a scopo religioso e dottrinale fu di grandissima importanza nella rappresentazione della Santa Chiesa universale e vennero sfruttati dalla Compagnia di Gesù, ad esempio, per dimostrare il trionfo della verità contro l’eresia. Si utilizzò con frequenza il modello del giardino recintato e chiuso da mura, quel jardín cerrado che tentava di riprodurre il Paradiso o la tipica figurazione della Gerusalemme celeste, quel giardino, insomma, pieno di fiori, fonti, alberi e uccelli nel quale la mitologia si cristianizza per poter rappresentare il mondo della Chiesa, le virtù dei Santi, la grandezza di Dio: era «el «huerto de la Iglesia Santa», en el que el agua, como si fuese la Sangre de Cristo, regaba las flores, que eran los cristianos, permitiéndole su crecimiento espiritual»244.

La tradizione biblica e classica del giardino già era penetrata in vari testi medievali245, nei quali gli orti-giardini non erano rappresentazioni di luoghi fisici e concreti, ma ricordi letterari visti attraverso la Bibbia, i Santi Padri o i classici, che comunque non escludevano un sentimento di godimento di una natura dominata e abbellita dall’intervento umano. Tuttavia, se nel Medioevo la natura era ancora quella selvaggia dei boschi o dei paesaggi spogli delle sierras, provocando più paura che ammirazione e servendo come rappresentazione del

243 Infatti l’artista, con le proprie opere, doveva istruire il popolo alla fede e all’adorazione di Dio e

«[…] no se puede explicar el Barroco sin la Contrareforma» (cfr. OROZCO DÍAZ, Emilio 1956, op. cit., p. 39).

244 GÓMEZ LÓPEZ, Consuelo 1999, op. cit., p. 218.

245 Un giardino alla pari di quello paradisiaco lo troviamo già nel primo componimento amoroso

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106 peccato246, con il Rinascimento la lirica recuperò il bucolismo grecolatino e inaugurò una nuova sensibilità nei confronti della natura, sotto l’ottica del petrarchismo e del neoplatonismo. La poesia restò un po’ in disparte rispetto all’artificio dei giardini e gli occhi dei poeti si fissarono sui paesaggi della natura che rispondevano alle convenzioni classiche, come le rive del Tajo di Garcilaso. Il giardino, quindi, non fu oggetto vero e proprio dei poeti rinascimentali, che preferirono un mondo naturale convenzionale, ma iniziò ad affacciarsi come elemento indipendente con il Manierismo, durante il quale si arricchì di luce e di colore; fu il periodo in cui la descrizione letteraria della natura si approssimò alla pittura, meta ideale della lirica pre-barocca, ma si dovette aspettare il Seicento per veder uniti natura e artificio come base dell’estetica dei giardini letterari.

Numerose tradizioni si inseriscono nella caratterizzazione simbolica dello spazio verde nel Barocco spagnolo: il neoplatonismo247, lo stoicismo248, l’ermetismo, le tradizioni religiose cristiane e musulmane, la tradizione classica dell’ars topiaria, i giardini cortigiani, la villa italiana e naturalmente tutta l’enorme tradizione culturale e letteraria249

. L’opera Paraíso cerrado para muchos, jardines abiertos para pocos ingloba egregiamente ogni tradizione precedentemente indicata e risponde ulteriormente, in un certo senso, alla duplice ricerca che caratterizzò gli anni maturi del poeta: quella del giardino concreto e reale, quello spazio verde perfetto fuori dal libro, e quella della poesia, del linguaggio ricercato e preziosista, comprensibile da pochi e inintelligibile da

246 INSAUSTI MACHINANDIARENA, Pilar de – VIGIL DE INSAUSTI, Adolfo (2009), Mito y

Naturaleza. Del Paraíso al jardín Medieval, in «Arché: publicación del Instituto Universitario de

Restauración del Patrimonio de la UPV»,Universidad Politécnica de Valencia, Valencia, n. 4, pp. 227-228.

247 Quella corrente seicentesca che «prolonga la tradición del jardín como centro del cosmos, como

microcosmos o mundo en pequeño» (cfr. SORIA OLMEDO, Andrés (1995), «Paraíso cerrado para muchos, jardines abiertos para pocos», in AÑÓN FELIÚ Carmen, Jardines y paisajes en el arte y

en la historia, Editorial Complutense, Madrid, p. 246).

248 «La vinculación entre la filosofía estoica y el jardín barroco privado resulta bastante clara,

especialmente en lo que concierne el carácter autorreflexivo que se otorga a la contemplación de flores y plantas, a la concepción del jardín o, en general, de la naturaleza, como un espejo [...] como representación del proprio hombre, capaz de «leer» en el orden de las cosas la «enseñanza» que éstas contienen» (cfr. PARDO LESTA, Rubén (2000), «Del mundo simbólico al mundo poético. El paraíso cerrado de Pedro Soto de Rojas como ejemplo de poema emblemático», in MÍNGUEZ Víctor (a cura di), Del libro de emblemas a la ciudad simbólica. Actas del III Simposio

Internacional de Emblemática Hispánica, Vol. II, pp. 1012-13).

249 Così, il giardino «se convierte en un símbolo más del Barroco, trasladándose, sin dificultad, a

otras artes, literatura y pintura esencialmemte» (cfr. FERNÁNDEZ DOUGNAC, José 1992, op. cit., p. 38).

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107 molti. Quest’opera rispecchiò, infatti, una duplice intenzionalità, una doppia volontà di Soto: edificare contemporaneamente un giardino reale nella sua villa e un giardino poetico nella sua opera, «el obrar y el contemplar»250, quella doppia inclinazione insomma che l’autore sviluppò ritirandosi nel suo carmen.

Egli alternò la preghiera al lavoro manuale e architettonico del giardiniere e a quello della scrittura: fu un artefice e un artigiano che costruì, concretamente e poeticamente, i suoi giardini, che coltivò le sue piante e insieme a esse i suoi versi, che potò, tagliò, innestò, annaffiò la sua natura privata e ne fece poi una traslazione letteraria tutta personale; Soto fu un vero giardiniere-paesaggista «[…] capaz de traspasar ese paisaje pintado, imaginado, al mundo real, físico del jardín»251 e viceversa. Quindi si possono segnalare due direzioni nell’approccio all’analisi dell’opera matura di Soto de Rojas: la ricerca del giardino e la ricerca della poesia.

3.2.1 LA RICERCA DEL GIARDINO

Riferendomi quanto più esclusivamente possibile, in prima istanza, all’esperienza biografica di costruzione ed edificazione architettonico-vivaistica portata avanti da Soto de Rojas, appare necessario precisare che il Paraíso, la sua opera più famosa e più complessa, è la descrizione di quei giardini che l’autore aveva costruito sui terreni acquistati in seguito alla fuga dai disinganni della corte e che gli crearono un ritiro tranquillo nel quartiere di Albaicín a Granada; iniziati nel 1619, quando Soto compra delle case di mori, vengono ampliati successivamente con l’acquisto di altre proprietà nel 1629 e nel 1632, dando poco a poco vita a quella villa-giardino personalissima che poi traslerà in linguaggio poetico. A Granada, quindi, l’autore visse a partire dall’anno 1632, in quel carmen che si costruì vicino alla chiesa collegiale del Salvador, dove era canonico, e che fu la sua residenza fino alla morte. Che il carmen dovette essere qualcosa di eccezionale ce lo conferma anche l’elogio di Francisco Henríquez de Jorquera

250 OROZCO DÍAZ, Emilio 1954, op. cit., p. 58.

251 AÑÓN FELIÚ, Carmen (2001), El jardín como arte y sentimiento de la naturaleza, in «Anales

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108 negli Anales de Granada, dove nel descrivere gli edifici e le case della città, indica:

y tenga el primero lugar el afamado jardín y casa de recreación, el del canónigo Soto en el Albayzín, frontero de la justa y Colegial de San Salvador, cuyo hermoso y vistoso cuadro es a donde se pasma el entendimiento con tantos artificios de fuentes, adornados de tantas y tan vistosas ninfas de alabastrinas piedras, que sólo pudo el primor de su dueño disponer maravilla tan grande a donde el granadino cusioso convida al ingenio forastero para que, llevado del curioso deseo, se disponga a verle. Y por no detenerme digo que es una de las quintas de mayor ingenio, sutileza y artificio deste parayso español252.

Questo suo prodotto topiario granadino contò senza dubbio sulle numerose opere di orticultura e architettura (arti che godevano al tempo di una ricca tradizione culturale e letteraria), di una «literatura botánica»253 che circolava e che sta dietro alla struttura dalle sette mansiones del suo giardino.

Inoltre, la storia naturale, emersa alla fine del quindicesimo secolo e protrattasi con ardore fino agli inizi del diciassettesimo, aveva fatto confluire l’umanesimo con il recupero dei testi medici greci, dando vita a un’esplosione di opere che descrivevano e identificavano varie specie di piante, da quelle citate dagli antichi a quelle nuove che via via venivano scoperte. Questa scienza descrittiva, che si renderà indipendente nel secolo XVIII, aveva come obiettivo quello di raggiungere un catalogo naturale quanto più onnicomprensivo possibile: se gli autori Rinascimentali avevano focalizzato l’attenzione sull’identificazione delle piante descritte nelle opere degli autori passati254, dalla metà del Cinquecento in poi la comunità di botanici si allargò e si passò dall’identificazione alla descrizione di nuove piante sconosciute, ampliando i confini della conoscenza naturale, moltiplicando il numero di nuove specie, soggette a continue tassonomie e definizioni, creando glossari e volumi

252 GALLEGO MORELL, Antonio 1970, op. cit., pp. 140-141.

253 GÓMEZ CANSECO, Luis (1989), Individualidad y religión en el paraíso cerrado de Pedro

Soto de Rojas, in «Philologia Hispalensis», n. 4, p. 356.

254

Tra le principali: la Naturalis historia di Plinio il Vecchio (enciclopedia naturale per eccellenza, tradotta dal medico Jerónimo Gómez de Huerta nel 1599), i cinque libri della De materia medica di Discoride (tradotta in castigliano da Andrés Laguna nel 1555) e Storia delle piante e Cause

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109 enciclopedici che facevano parte del corpus letterario di chi si avvicinava alla natura255.

In ogni caso, la prima ed essenziale opera che l’autore dovette conoscere fu la classica Obra de Agricultura (1513) di Gabriel Alonso de Herrera, il quale visse a Granada e seppe osservare e conciliare, da una parte, la pratica agricola dei mori granadini, dall’altra, la teoria degli agronomi classici e moderni. L’opera opta per un modo di classificare e ordinare la natura di tipo induttivo e logico, che si rifletterà nel Paraíso di Soto, e, inoltre, interi capitoli sono dedicati a singole specie arboree e alla disposizione di piani e oggetti nello spazio. Soto potette anche conoscere altri compendi sulla disposizione architettonico-floreale dello spazio del giardino, come le opere greche e latine: nell’Odissea, ad esempio, il giardino di Calypso presenta dèi, ninfe e satiri e alberi sacri che entrarono a far parte del corpus mitologico del giardino «que hablaba un lengiaje rico y profundo, cargado de significado, sensualidad y misterio»256. Tra le altre opere si ricordano l’Opus agriculturae di Palladio, il De agricultura di Catone, il De re rustica di Varrone, i De arboribus e De re rustica di Columela e il De architectura di Vitruvio, che stanno alla base già dell’opera di Herrera e che sono fondamentali per capire la stima, l’idea etica e la teoria che i romani avevano dell’agricoltura257. Il giardino della casa romana era infatti parte dell’immaginario barocco e

255 Tra le opera di botanica si possono citare il Botanologicon (1534) di Euricius Cordus (basato

sulle opere degli antichi), il Kreutterbuch (1539) di Hieronymus Bock e la Historia plantarum (1561) di Valerius Cordus (i quali dettero il via non solo a una profusione di analisi su nuove specie vegetali, ma anche alla creazione di indici e nomenclature, una confusio rerum parallela a una confusio verborum); degni di menzione sono anche la Historia generalis plantarum (1587), il primo erbario enciclopedico, e le opere di Bauhin, veri dizionari di botanica. Per ulteriori riferimenti allo sviluppo della storia naturale tra 1500 e 1600 si rimanda a: OGILVIE, Brian W. 2003, op. cit.; REY BUENO, Mar (2005), «El jardín de Hécate: magia vegetal en la España barroca», in AA.VV., Paraíso cerrado, jardín abierto. El reino vegetal en el imaginario religioso

del Mediterráneo, Ediciones Polifemo, Madrid, pp. 251-272.

256 AÑÓN FELIÚ, Carmen 2001, op. cit., p. 15. Per altri riferimenti al mondo naturale in Omero si

rimanda a CURTIUS, Ernst Robert 1992, op. cit., pp. 209-214.

257 Il giardino, detto anche hortus nella villa Romana, era caratterizzato dall’ars topiaria, ovvero

l’orticultura o decorazione con intaglio: il servus topiarius potava e accorciava gli alberi per dargli forme di animali o esseri umani, proprio come farà Soto. Inoltre, Covarrubias riprende la tradizione antica definendo il giardino come «huerto de recreación de diversas flores, y hierbas olorosas, con fuentes, y cuadros repartidos con muchos lazos, y obra que llaman los latinos topiaria, de mesas de arrayán, y de otras hierbas» (cfr. COVARRUBIAS HOROZCO, Sebastián de 2006, op. cit., s.v.: «jardín»). Subito dopo specifica e riconferma che i giardinieri, i latini

hortulani, «Hazen de arrayán y de murta y romero y otras matas castillos, naves, hombres armados

y diversos animales, afeitando las matas y guiándolas a su propósito; y esta habilidad se llama arte topiaria [...]»: le definizioni si inquadrano perfettamente con quelle che emergono dall’opera di Soto de Rojas (cfr. COVARRUBIAS HOROZCO, Sebastián de 2006, op. cit., s.v.: «jardinero»).

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110 diffondeva l’idea di una vita in perfetta armonia con la natura, mentre la figura del giardiniere era ben conosciuta all’epoca e risplendeva come quella di un demiurgo che rendeva la natura arte, modellandola e trasformandola in quadri, in sculture e in aiuole; in aggiunta, fu proprio la casa romana che fece penetrare il giardino al suo interno, che convertì l’orto in luogo di lusso ed esotismo e che ornò il peristilio con piante, fiori e arbusti258. Tra gli altri modelli, senz’altro l’autore contò anche quello delle allegorie medievali, come ad esempio la Divina Commedia259, o quello dell’Agricultura de los jardines (1592), del chierico erudito Gregorio de los Ríos260, o ancora con il Llibre dels secrets de Agricultura, casa Rústica y Pastoril (1617) di Miguel Agustín e la Naturae Historia (1594) del biologo Benito Arias Montano, con Despertar que trata de la gran fertilidad y riqueza que España solía tener (1578) di Juan de Arrieta, con Discurso del pan y del vino del Niño Jesús (1578) di Diego Gutiérrez de Salinas e con il Tratado breve de cultivación y cría de las colmenas y así mesmo de la ordenación de las colmenas (1586) di Luis Méndez de Torres.

Ampia nel periodo è anche la profusione di opere che danno una visione della natura personale, poetizzandola attraverso l’opera d’arte, come fa Lupercio Leonardo de Argensola in Aranjuez del alma (1580), Bernardo de Balbuena in Grandeza mejicana (1604), nella quale si trova un lungo catalogo di elementi naturali, Pedro de Espinosa con Soledad de Pedro de Jesús261 (1613), le cui undici parti sono interamente dedicate alla descrizione delle delizie che offre la natura.

258 Così la villa romana si apre e si protende verso lo spazio verde esterno, costituendone il

continuo, mentre l’architettura da giardino si caratterizza da numerose strutture e tematiche che entreranno per sempre nell’ideologia: templi, padiglioni, pergole, torri, obelischi, uccelliere, grotte, sculture, ninfe, satiri, ghirlande, maschere, e così via (il cui esempio più famoso è la villa di Adriano a Tivoli). Per una storia del giardino dall’antichità al secolo XX si rimanda a: HUIDOBRO PÉREZ-VILLAMIL, Javier (1989), Conceptos de naturaleza y paisaje (I), in «Espacio, Tiempo y Forma», serie VII, Historia del Arte, Tomo 2, pp. 63-71; AÑÓN FELIÚ, Carmen 2001, op. cit.; NIETO CALDEIRO, Sonsoles 2001, op. cit.; INSAUSTI MACHINANDIARENA, Pilar de – VIGIL DE INSAUSTI, Adolfo 2009, op. cit.; INSAUSTI MACHINANDIARENA, Pilar de – VIGIL DE INSAUSTI, Adolfo (2011), El jardín romano a

través de la literatura y la pintura, in «Arché: publicación del Instituto Universitario de

Restauración del Patrimonio de la UPV», Universidad Politécnica de Valencia, Valencia, n. 6, pp. 111-118.

259 Nella quale Dio appare come «l’ortolano etterno» (cfr. ALIGHIERI, Dante (2006), La Divina

Commedia, SAPEGNO Natalino (a cura di), Fabbri Editori, Milano, p. 1062, v. 65).

260 Il quale si dedicò all’arte della floricoltura e vide in essa un sistema per avvicinarsi a Dio e

fuggire dalle calunnie e dai vizi mondani.

261 Opera che offre una descrizione della natura più concreta e artificiosa animata, inoltre, da una

spiritualità religiosa assorta davanti alla bellezza della creazione, esattamente come nel Paraíso di Soto.

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111 Importanti sono anche Fray Luis de Granada con Introducción al Símbolo de la Fe (1583), nel quale si consolida il concetto granadino secondo il quale la sapienza divina si manifesta prima di tutto nelle cose piccole e minori del mondo naturale, e Collado de Hierro con l’opera Granada (1635), che elogiando proprio le stesse proprietà di Soto spinse probabilmente l’autore alla composizione del Paraíso262; e ancora Soto potette contare sulla tradizione dei giardini nelle commedie di Calderón de la Barca, sull’idea del giardino come libro aperto alla lettura, alla contemplazione e all’ammirazione nel Criticón di Baltasar Gracián e sull’immagine del giardino fantastico di Lope de Vega dell’Epístola a Francisco de Rioja (1621, inserita in La Filomena), così come su quello piantato dalla stessa mano del Fénix nel Huerto deshecho (1633, inserito in La Vega del Parnaso del 1637) e, naturalmente, sul paesaggio della Arcadia263 (1598). Da nominare sono anche le Academias del jardín (1630) e gli Ocios de la soledad (1633) di Polo de Medina, che insieme all’enorme lista di poeti mursiani che dedicano le loro opere allo stesso tema, descrivono, rispettivamente, una passeggiata tra le bellezze floreali del giardino di Espinardo e un epicureo invito al godimento campestre nella campagna di Mursia; e troviamo ancora Manuel Gallegos che descrive le sale del Palazzo del Buen Retiro in Silva topográfica (1637), il certosino Fray Miguel de Dicastillo con la sua Aula de Dios264 (1637), Fray Isidoro de Barreira con Tratado das significaçoens das plantas (1622), uomo di chiesa che si dedicò alle correlazioni tra le strutture vegetali e i significati religiosi265, Jerónimo Cortés con il Libro de phisionomia natural, y varios secretos de naturaleza (1598), che contiene un intero trattato sulle eccellenti proprietà del rosmarino, Fray Esteban Villa con Ramillete de plantas (1637), nel quale descrive l’influsso degli astri

262 Agustín Collado de Hierro elogia prima la tipica villa granadina nella sezione Cármenes,

descrivendo quella profusione di fiori, di statue, di fonti e di riferimenti mitologici che ritorneranno poi nel Paraíso; in seguito, celebra specificatamente il carmen di Soto e i suoi giardini nella sezione Fertilidad, quasi come se l’autore avesse visitato quei luoghi aperti per pochi e chiusi a molti.

263

Per i punti di contatto tra le opere di Lope, Gracián e il Paraíso di Soto si rimanda a EGIDO, Aurora (2013), Jardines hechos y deshechos: Lope de Vega, Soto de Rojas y Baltasar Gracián, Esles de Cayón, Santa María de Cayón.

264 Dove si descrivono le delizie dei giardini della Cartuja Real di Saragozza come cammini che

conducono a Dio e come spazi fatti per la meditazione e il silenzio.

265 «Así, consideraba el árbol como símbolo de vida humana; la flor, como esperanza; los frutos,

obras; los ramos, deseos; las hojas, palabras y las raíces, como secretos» (cfr. REY BUENO, Mar 2005, op. cit., p. 258).

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112 nell’universo vegetale, Lucas Fernández de Ayala con Hortus Augustisimi Nominis Maria (1648), e moltissimi altri266.

Altri riferimenti letterari e culturali, conosciuti nel 1500-1600, si legano al Paraíso di Soto per quanto riguarda la simbologia numerale: il sette, ovvero il numero delle dimore in cui è diviso il componimento, è il numero sacro per eccellenza. La Bibbia centra su di esso un’innumerevole serie di simboli (soprattutto nel libro dell’Apocalisse) e sette sono anche i candelabri sacri dell’utopica città del sole nelle Utopías di Campanella, in cui si esalta il valore dell’agricoltura e si configura una topografia di isolamento e solitudine come nell’opera di Soto; ma, ancora, le sette muse regolano l’orbita dei sette astri, equivalenti alle sette divinità planetarie, Alfonso X el Sabio scrisse le Siete Partidas, basandosi proprio sulla simbologia biblica, Al-Hamadani, mistico del secolo XV, dedicò un libro al numero sette, così come il numero appare nel Libro de’ sette savi, e così via. Ma forse l’opera che più si avvicina a quella di Soto è El Libro de la escala de Mahoma, testo di tradizione araba trasmesso e tradotto su iniziativa di Alfonso X el Sabio, nel quale il protagonista viaggia per le sette mansiones del Paradiso e le sette terre dell’Inferno. Da notare come la numerologia sia più di una coincidenza, soprattutto nei Secoli d’Oro, poiché il numero sette godeva di ampi rimandi simbolici267: Rojas seppe quindi fondere nel numero sette la tradizione araba e quella cristiana, il tutto in un giardino letterario che elogia e celebra cultissimamente gli straordinari spazi verdi che l’autore si costruì a partire dal 1619.

Ma il testo chiave per l’edificazione dei giardini rinascimentali e barocchi è senz’altro la Hypnerotomachia Poliphili (1499), conosciuta e tradotta in francese come Le Songe de Poliphile (Parigi, 1546 e 1554), ma senza una

266

Per ulteriori opere legate al tema si rimanda a SLATER, John 2010, op. cit. Mi sembra opportuna citare, anche, il giardino-orto di Fray Alonso de Santo Tomás a Malaga, spazio verde che ospitava non solo ogni elemento vegetale presente anche in quello di Soto, ma anche la commistione architettonica tra stile medievale, rinascimentale, ispano-musulmano e barocco che caratterizza il giardino granadino, racchiudendo così «[…] el interés por lo emblemático y la simbología de una época» (cfr. NIETO CALDEIRO, Sonsoles 2001, op. cit., p. 1300).

267 Fra i tanti: le sette stelle, i sette pianeti, i sette cieli, le sette parti della terra, i sette sacramenti, i

sette peccati capitali, le sette arti liberali, le sette virtù, ecc.; inoltre, era il simbolo dell’armonia dell’universo, la somma cioè della Trinità e delle virtù teologali con i quattro elementi della terra o con le virtù cardinali. Il giardino rappresentava la totale armonia, univa la musica con la poesia e rendeva l’arte topiaria un emblema di proporzione che rifletteva l’ordine e la perfezione esistenti in natura.

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113 traduzione in spagnolo. Opera conosciuta e letta nel Rinascimento e Barocco, assieme al Cortigiano (1528) di Castiglione e all’Adone di Marino, in essa venne eternizzato l’ermetismo dei giardini fiorentini e il lascito dell’antichità classica, lasciando un’impronta nell’architettura dei giardini sia spagnoli che europei, attraverso i modelli italiani. Inoltre, sette torri, corrispondenti alle sette età della vita, aspettano il pellegrino Poliphilo nel suo viaggio attraverso il giardino verso il centro del labirinto: ancora, forse non casualmente, torna la coincidenza e simbologia numerica con le sette dimore di Soto.

Non meno importante è la concezione utopica che fa da base, in generale, a qualsiasi costruzione vegetale esistente creata dall’uomo: la volontà, conscia o meno, di riprodurre il Paradiso perduto, poiché tutti gli spazi verdi «encaran su descripción como un medio de encontrar en el jardín un recuerdo del paraíso terrenal, de la armonía microcósmica, que refleja la perfección del macrocosmos»268. Il giardino fu la prima metafora della felicità umana, secondo la Genesi, e ognuno di essi conserva un intrinseco valore religioso: è simbolo materiale della vita ultraterrena e del cielo di cui godranno eternamente i giusti e i beati, non è altro che un’equivalenza o una variante nostalgica, più o meno evoluta nel corso del tempo e delle epoche, del Paradiso perduto269. Perché l’Eden biblico non è solo natura aperta e selvaggia, ma spazio delimitato, hortus conclusus, che si diversifica dal resto della terra per l’intervento dell’Artefice, del «supremo jardinero»270, che crea un luogo privilegiato, bello e piacevole, per la goduria fisica e spirituale della sua creatura appena nata: l’uomo. Allo stesso modo, l’immaginario mitico dell’Antichità classica ideò ulteriori utopie vegetali della felicità umana, come i Campi Elisi, l’Arcadia271

o le isole dei Beati

268 PARDO LESTA, Rubén 2000, op. cit., p. 1028; l’Eden veniva situato sulla cima di un monte,

in una regione intermedia tra il cielo e la terra, ed era immaginato in costante primavera, pieno di pietre preziose e solcato da un fiume diviso in quattro torrenti. A partire dalla Controriforma, inoltre, si tese a fare teologia attraverso e a dare valore alle interpretazioni allegoriche del paradiso, come quelle di San Cipriano, Sant’Ambrogio, San Girolamo, Sant’Agostino e San Giovanni Crisostomo.

269

«Los jardines nos hablan tanto de la nostalgia de lo que una vez fue como de lo que nunca podrá ser» (cfr. BERUETE VALENCIA, Santiago 2013, op. cit., p. 42).

270 CORTINES TORRES, Jacobo (2000), Jardines de Sevilla en la lírica castellana, in «Boletín de

la Real Academia Sevillana de Buenas Letras : Minervae Beticae», n. 28, p. 93.

271

Il paesaggio arcadico si basava in gran parte sulla ricchezza vegetale e, benché in origine indicasse una zona selvaggia, diventò un mito letterario di evasione e idealismo con le opere di Virgilio e Iacopo Sannazzaro: «el Edén Perdido necesitaba un escenario y el Renacimiento lo encontrò en Arcadia» (cfr. CARDETE DEL OLMO, María Cruz (2005), «Arcadia: naturaleza y

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114 all’estremo Occidente, al bordo dell’Oceano, in cui una tradizione ubicava il Giardino delle Esperidi. Tutti questi microcosmi configurano paesaggi singolari che cristallizzano il topico del locus amoenus, tema retorico-poetico indipendente e ben radicato nella cultura occidentale, i cui elementi essenziali sono gli alberi, i prati, le fonti, i fiori, il canto degli uccelli e il soffio della brezza272. Quest’intento si respira in tutti i giardini del mondo e si collega a svariate tradizioni, senza contare che a questa divinizzazione del giardino corrisponde anche il simbolismo dei fiori e delle piante che in esso sono contenuti e che la tradizione ha via via arricchito di nuovi significati273. Le opere derivate da giardini o altri spazi naturali, quindi, prefigurano quasi sempre un altro Paradiso e Soto de Rojas non fa eccezione: come i giardini del Corano, come quelli della Bibbia o come quelli dell’Arcadia virgiliana, quelli dell’autore in questione aspirano a essere la formulazione di un’utopia, la creazione di uno spazio felice in terra, perenne, immutabile, perfetto, senza sofferenza né fatica, senza dolore né disinganno274. Si vengono così a fondere nella struttura del carmen di Soto l’ideologia cristiana, con il locus amoenus classico e con l’immaginario musulmano e le sette dimore del Paraíso acquisiscono un’esatta simbologia, un significato nella loro partizione, mentre l’arte della jardinería raggiunge un significato trascendentale: serve a rendere reale l’impossibile e a concretizzare la realizzazione di un paradiso terreno sincretico. Da qui che Rojas, volendo recuperare il Paradiso perduto, abbia ripreso il modello dell’hortus conclusus, quella tipologia di luogo ristretto e isolato che così tanto si lega alla tradizione biblica del Giardino dell’Eden275

e a quella pagana del Giardino delle Esperidi, chiudendo le porte di

mito», in AA.VV., Paraíso cerrado, jardín abierto. El reino vegetal en el imaginario religioso del

Mediterráneo, Ediciones Polifemo, Madrid, p. 279).

272 «Il «luogo ameno» […] è un angolo di natura, bello ed ombroso; in esso si trovano almeno un

albero (o parecchi alberi), un prato ed una fonte o un ruscello; vi si possono aggiungere, talvolta, anche il canto degli uccelli e i fiori; la descrizione più ricca comprende anche una tenue brezza» (cfr. CURTIUS, Ernst Robert 1992, op. cit., p. 219).

273

Dato l’influsso potente della Chiesa nel 1600, la simbologia vegetale che esisteva nelle religioni pagane fu assorbita dal cristianesimo, facendo sì che molte piante ed erbe appaiano nelle iconografie di Santi e Sante (cfr. REY BUENO, Mar 2005, op. cit., pp. 256-257).

274 «Moreover, since the original Eden was a garden, [...] the country and the formal garden

became for the seventeenth century a symbol of inward as of outward quiet» (cfr. COHEN, John Michael (1963), «Gardens and Landscapes», in Idem, The Baroque Lyric, Hutchinson University library, London, p. 89).

275 Cfr. HUIDOBRO PÉREZ-VILLAMIL, Javier 1989, op. cit., pp. 63-71; INSAUSTI

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115 casa per fuggire dalle menzogne della corte e dalle banalità ingannevoli dell’amore che fino a quel momento lo avevano circondato. Soto volle allontanarsi dal mondo e peregrinare per i suoi propri e straordinari giardini alla ricerca di Dio, fare del Paradiso una fusione di natura e arte, «una imagen hecha realidad en su carmen y luego trasladada al poema»276.

Nella concezione del carmen e nell’evoluzione del paesaggio granadino si addossavano inoltre vari secoli di storia e di correnti artistiche277, che poi concepirono il programma estetico e morale del giardino privato di Soto: l’arte del giardino musulmano e quella del giardino rinascimentale italiano. Il giardino peninsulare ispano-islamico era uno spazio mistico e sensuale, pieno di colori, odori, rumori, brezze e sapori, veicolo per la meditazione e il raggiungimento dell’ascensione verso Dio; previamente impregnato dello sfondo culturale mediterraneo che si radica in Spagna con secoli e secoli di romanizzazione, il giardino musulmano è una sintesi unica, che accoglie nel Seicento ulteriori arricchimenti botanici dal Nuovo Mondo. Le ville-giardino granadine, in particolare, seppero fin dall’inizio unire le tecniche orientali e classiche alla geografia specifica della città, rompendo con la simmetria del terreno e costruendo padiglioni e pergole attraverso intricate architetture di mirti, rosmarini, cipressi, e altre piante. Il paesaggio della Granada musulmana offrì infatti all’autore uno straordinario esempio di natura e artificio278

, poiché le case accoglievano nei loro patios alberi, frutta e fiori di svariato genere, forma, profumo e gusto: è quindi un paesaggio che dà piacere e che chiede di essere ammirato e goduto, in una contemplazione che Soto mise in pratica nell’isolamento e nella solitudine della sua villa-giardino e nella penombra dei suoi vari padiglioni, pergole, e gallerie. Gli arabi infatti costruirono il giardino del carmen per la contemplazione, le cui caratteristiche essenziali sono: gli alti muri di cinta bianchi, che servivano per occultare le sue delizie agli occhi altrui, la

276

SOTO DE ROJAS, Pedro 1981, op. cit., p. 26, nota 27.

277

«El paisaje urbano granadino no es un producto estático sino el resultado de un complejo proceso evolutivo en el que ha habido avances y retrocesos y en el que han intervenido factores tan diversos como las guerras, la demografía, las modas jardineras o las ideologías locales» (cfr. TITO ROJO, José – CASARES PORCEL, Manuel (1999), Los jardines y la génesis de un paisaje

urbano a través de la documentación gráfica: El Albayzín de Granada, in «Boletín del Instituto

Andaluz del Patrimonio Histórico», año 7, n. 27, p. 164).

278 Il paesaggio granadino, attraverso il carmen (o aggruppamento di case con orti e giardini), era

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116 disposizione architettonica su diversi volumi e con terrazzamenti secondo le inclinazioni del terreno, i paramenti decorati con gesso e piastrelle policrome, le fonti con bocche e getti d’acqua e infine una fantasia vegetale la cui disposizione si avvicina a quella dell’arazzo, del quadro e della geometria delle linee, chiusa da cipressi e da padiglioni di vite e mirti, il cui esempio più comune è il Palazzo del Generalife279.

La Granada musulmana si aprì poi, nel corso della storia, al Rinascimento italiano, acquisendo forme e tratti decorativi tipici dell’arte topiaria italiana, fusi così con quelle strutture architettoniche, con quello spirito e con quegli elementi propri di una città islamica: entrambi gli stili si consolidano nella stessa struttura del carmen che «en su complejidad de goces sensoriales y espirituales y en su complejidad estética de naturaleza y artificio, se ofreció así como el ambiente ideal para el hombre Barroco»280. Dall’arte rinascimentale italiana, il giardino granadino assorbì le decorazioni scultuoree e le colonne con maschere e grottesche, i pergolati e le balaustre, lo stile classico dei portici e dei chioschi, così come i rilievi istoriati e le statue mitologiche, collocate in nicchie e piedistalli, e la deviazione e l’incanalamento delle acque allo scopo di creare artificiosi giochi di pirotecnia idraulica. L’importanza che si dà nell’Hypnerotomachia Poliphili a statue e a obelischi riflette quel gusto romano che caratterizzerà pure i giardini europei rinascimentali e barocchi e lo stesso Soto adatterà nel suo carmen questi modelli italiani in una summa della villa rinascimentale, nella quale convivono simboli cristiani e pagani, che rendono il tutto contemporaneamente locus amoenus, Paradiso terrestre e Parnaso delle Muse. C’è un’ulteriore unione tra la villa rinascimentale e il carmen: l’incorporazione della pittura nel giardino come ulteriore elemento ornamentale artificioso, presente già nei giardini classici e in quello di Soto. Numerosi affreschi descrivono una natura artificiale, rispetto alle finestre e agli archi da cui si contempla un paesaggio previamente trasformato dalle forbici del giardiniere in quadro: le pitture che incorpora Soto sono quadri dentro quadri e l’arte torna così a sovrapporsi alla natura, la emenda, la ritocca, la

279 Uno dei più antichi giardini mori di al-Andalus e meraviglioso esempio di giardino medievale

di arte musulmana. Per un’analisi storico-artistica del giardino arabo di Granada si rimanda a: TITO ROJO, José – CASARES PORCEL, Manuel 1999, op. cit.; CASARES PORCEL, Manuel 2010, op. cit.

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117 seleziona, la rende libro, quadro o statua. Soto fu un vero poeta-pittore in tal senso e riuscì a unire nel componimento l’arte topiaria e la cultura artistico-ornamentale del giardino con ciò che godeva di una ampissima tradizione poetica281. Inoltre il giardino dell’autore, nel suo aspetto classico, prevede un’ulteriore commistione di elementi, già presenti nell’hortus romano: all’artificiosa estetica musulmano-rinascimentale si unisce l’orto o il frutteto, così che sfilino accanto a fonti e sculture anche viti, alberi da frutto, erbe aromatiche e medicinali, ortaggi.

Nei giardini granadini barocchi si sente e si percepisce sì la natura nella sua varietà e bellezza, ma sempre guidata nella sua crescita e sviluppo dall’arte umana. Il proposito del poeta-giardiniere Soto coincide con queste tradizioni, senza tuttavia privare il giardino del suo individualismo, dato che esso viene comunque costruito secondo i gusti di chi lo abita. Infatti emergono dal componimento varie differenze rispetto alla tradizione, che testimoniano la straordinaria commistione che mise in atto l’autore: il suolo marca un’asimmetria che rompe con le norme dei giardini orientali e rispetto alle grandi estensioni verdi o ai topici giardini babilonici, la brevità e ristrettezza del carmen granadino è più vincolata a quei giardini in miniatura che i greci consacravano al culto di Adone o ai giardini pompeiani, disposti armonicamente accanto alla casa282. Inoltre, la presenza di statue e sculture mitologiche nei giardini antichi, come quelle di Apollo e Dafne, di Afrodite, delle Grazie, delle Ore, di Silvano, di Flora, di Pomona e di Vertumno e di altre divinità campestri che avrebbero popolato i giardini europei del Rinascimento e del Barocco, lega agricoltura e poesia e rende più significativa la loro analogia nella doppia finalità artistica di Rojas283: i soggetti mitici uniscono il giardino classico e la mitologia con l’arte granadina musulmano-italiana, rendendo l’opera un vero giardino-libro che si fa libro-giardino284. Un’altra differenza tra i giardini di Soto e quelli precedenti classici o

281

Difatti, ad esempio, nel Canto VI dell’Adone di Marino si combinano elementi pittorici e artistici con quelli vegetali e architettonici.

282 Come quelli del Tiburtino, in cui, tra l’altro, la scienza si univa all’agricoltura, collegando così

campagna e città, natura e arte.

283

In tutto ciò ricorda molto il giardino privato di Juan de Lastanosa a Huesca.

284 Come indica egregiamente Aurora Egido nella sua edizione delle opere di Soto, definendo il

Paraíso come «Jardín-libro» e «Libro-jardín» (cfr. SOTO DE ROJAS, Pedro 1981, op. cit., p. 22 e

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