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Capitolo I I PRINCIPI COSTITUZIONALI SULLA TUTELA GIURISDIZIONALE

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Capitolo I

I PRINCIPI COSTITUZIONALI SULLA

TUTELA GIURISDIZIONALE

1. Il principio di Legalità

1.1. Definizione e Origine Storica

Il principio di Legalità è il nucleo fondante ed essenziale dello Stato di Diritto, e rifacendosi al modello francese, è un principio caratterizzato da due istanze fondamentali: le amministrazioni e i tribunali sono sottoposti alla legge, in reazione all’assetto presente nella monarchia assoluta, in cui il monarca si poneva al di sopra della legge; la seconda, è costituita dall’affermazione della sovranità popolare, per cui i giudici, i funzionari e il capo dello stato saranno soggetti al rispetto di regole generali poste dal popolo, nell’esercizio della sua sovranità1.

Da queste due istanze vediamo come tale principio abbia sia una valenza garantistica che una valenza democratica, dal momento che la legge, oltre ad essere precedente, «trae la sua forza vincolante dalla volontà dei cittadini»2.

Dal punto di vista storico, il principio, seppur presente già in età

ellenistica e comunale si afferma nel continente europeo nel 1789, con la

Rivoluzione francese, come risposta rispetto al sistema dell’Ancien Regime, dove il magistrato del re decideva la legge e, contestualmente, le approvava: grazie alle idee giacobine e illuministe, la figura del giudice viene vista come

1 O.Mayer, Le droit amministratif allemand, I, Paris, 1903, p.66s.

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2 «bocca della legge», come mero «tramite» del contenuto della legge, la quale era

suscettibile quindi della sola interpretazione letterale.

Questa trova poi il suo assetto definitivo nella teorica dello Stato di Diritto, per cui il potere esecutivo e giudiziario erano sottoposti alla legge, mentre il parlamento «tutto poteva», non aveva nessun limite, quindi poteva anche adottare misure illegittime che risultavano comunque valide, purché avessero la forma della legge.

Con la successiva evoluzione dello Stato di Diritto in Stato Costituzionale

di Diritto, si supera quel limite fondamentale proprio dello Stato di Diritto,

cioè l’assenza di vincoli per il parlamento, dal momento che anche questo comincia ora a essere sottoposto alla legalità e quindi, nello specifico, alla Costituzione, vista come la Grundnorm che afferma i diritti fondamentali di un ordinamento democratico, e alla Corte costituzionale, come organo giurisdizionale superiore, incaricato di controllare la conformità della legge alla Costituzione stessa, quindi il rispetto dei diritti fondamentali della persona e dell’ordinamento. Ovviamente, quando in questo contesto si parla di Costituzione, si fa riferimento alla costituzione in senso rigido, escludendo invece quelle flessibili perché queste comporterebbero un ritorno all’assetto presente durante lo Stato di Diritto, dove il legislatore potrebbe derogare la Costituzione stessa, potendo vincolare potere esecutivo e giurisdizionale, arbitrariamente senza alcun controllo: la riserva di legge si ridurrebbe a una mera legalità formale quindi i due concetti verrebbero a coincidere3.

Il principio di Legalità allora è quel principio che sottomette ogni attività dei pubblici poteri alla legge, intesa come prodotto del parlamento, così da rendere invalido ogni atto che non sia conforme alla legge. Questa definizione, particolarmente generale e astratta, è articolata in tre regole

«pragmaticamente connesse ma logicamente irrelate»4 che la analizzano

3 V.Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, II, Padova, 1966.

4 L.Carlassare, Regolamenti dell'esecutivo e principio di legalità, Padova, 1966, p.113 ss.; S.Fois,

voce Legalità (principio di), in Enc. dir., XXIII, Milano, 1973, p.666; L.Carlassare, voce Regolamento (diritto costituzionale), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, p.621-622; Id., voce

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nella sua complessità: la prima regola può essere definita come «principio di

preferenza della legge», o anche di «sovraordinazione gerarchica della legge

rispetto agli atti dei poteri esecutivo e giurisdizionale»; per la seconda si parla di «principio di legalità in senso formale»; la terza è definita come «principio

di legalità in senso sostanziale». Le prime due regole, anche se con sfumature

diverse, affermano il principio di legalità in senso stretto cioè la «soggezione

dei pubblici poteri alla legge», attingendo alle condizioni di validità degli atti

amministrativi e giurisdizionali.

La prima è un limite in negativo rispetto ai pubblici poteri, perché, prevedendo «l’invalidità di ogni atto dei pubblici poteri che sia in contrasto con la legge», afferma che i pubblici poteri possono adottare qualsiasi atto che la legge ammette, non potendo invece compiere atti incompatibili e vietati dalla legge; la condizione di validità dell’atto allora è una soltanto e cioè che il contenuto non sia in contrasto con la legge.

La seconda invece è un limite in positivo per cui «è invalido ogni atto dei pubblici poteri che non sia espressamente autorizzato dalla legge», quindi per i pubblici poteri non vale il «principio generale di libertà»5 tipico dei privati

ma vale la norma di chiusura, contraria, per cui «tutto ciò che non è espressamente

autorizzato dalla legge è vietato»6: gli organi devono emanare atti che siano

positivamente previsti, espressi e autorizzati dalla legge.

Le condizioni di validità degli atti allora qui sono due, cioè l’atto è valido se è autorizzato dalla legge e se il suo contenuto non è in contrasto con la stessa.

La terza regola invece, è una «regola sulla legislazione»7, perché riguarda

le condizioni di validità della legge, quindi non può che essere di rango

costituzionale, e prevede che «è invalida – o meglio, costituzionalmente

illegittima– ogni legge che conferisca un potere senza disciplinarlo

Legalità (principio di), in Enc. giur., XVIII, Roma, 1990, 2; G.Zagrebelsky, Manuale di diritto costituzionale, I, Il sistema delle fonti del diritto, rist. aggiornata, Torino, 1991.

5 A.Mazziotti di Celso, Lezioni di diritto costituzionale, II, Milano, 1985, p.10.

6 M.S.Giannini, Diritto amministrativo, 2 voll., Milano, 1970, I, p.81-82; G.U.Rescigno, Corso

di diritto pubblico ,3, Bologna-Roma, 1990, p.55; G.Zagrebelsky, Il diritto mite, Legge, diritti, giustizia, Torino, 1992, p.29 ss.

7 R.Guastini, in voce Legalità (principio di), in Digesto on-line, Leggi d’Italia, anno di

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compiutamente»: per disciplinare si intende sia, in senso debole, circoscrivere un potere, autorizzandolo e ponendo limiti in negativo, sia vincolare un potere, cioè predetermina il contenuto dei suoi atti, dando una garanzia sempre più forte ai diritti soggettivi dei cittadini.

Possiamo dire allora che il principio di legalità sostanziale» è condizione

di efficacia del principio di legalità formale: per quanto riguarda gli atti

giurisdizionali, è pacifico8 che la legge ne determini interamente il

contenuto, dal momento che, giudicando, non si fa altro che dedurre un precetto individuale e concreto da una fattispecie generale e astratta, cioè dalla legge, quindi è un’attività interamente vincolata; per quanto riguarda il potere esecutivo invece è discusso in dottrina se la legge debba disciplinare specificamente i poteri del governo e della Pubblica Amministrazione, conferendo limiti sia in positivo che in negativo.

In conclusione possiamo allora dire che il Principio di Legalità, con la Costituzione, in quanto rigida, diventa principio di legalità costituzionale9,

da un lato ponendo al centro del sistema giuridico la legge come manifestazione della volontà del popolo attraverso i suoi rappresentanti, e quindi costituisce lo strumento principale attraverso cui si realizza il principio della sovranità popolare, dall’altro limitando la stessa legge, tramite un atto ancora più alto riconducibile pur sempre alla volontà del popolo.

1.2. Il Principio di Legalità nella Costituzione italiana

Nel nostro ordinamento il principio di Legalità, pur non trovando una espressa definizione in Costituzione10, ha comunque assunto centralità

e rilevanza a livello costituzionale, tanto che una parte della dottrina ritiene che sia stato implicitamente costituzionalizzato, mentre la giurisprudenza

8 S.Fois, voce Legalità (principio di), in cit., p.660-661.

9 G.U.Rescigno, voce Principio di Legalità, in Diritto online, Treccani, 2016.

10 A differenza del sistema tedesco, dove all’art. 80, comma 1, del Grudgesetz della

Repubblica federale tedesca, si impone al legislatore di determinare il contenuto, lo scopo e la misura dei poteri regolamentari conferiti all’esecutivo.

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costituzionale lo ha ritenuto un principio generale dell’ordinamento, ancorché non costituzionalizzato.

Dal punto di vista contenutistico, il principio assume significati diversi11 sia perché riguarda attività di diversi organi pubblici, sia perché

trova applicazione in branche diverse del diritto: dal diritto penale12 al

diritto amministrativo, per cui la violazione di legge costituisce una delle cause tipiche dell’illegittimità di un atto amministrativo, da questioni che riguardano la libertà personale13 all’ambito delle sanzioni.

Dopo aver spiegato il principio dal punto di vista concettuale,

teorico-generale, dobbiamo analizzare il principio di legalità nella prospettiva del diritto positivo, distinguendo tra potere legislativo, potere esecutivo e

soffermandoci poi maggiormente sul potere giurisdizionale.

Rispetto al potere legislativo, abbiamo già detto che anch’esso oggi è soggetto alla legalità perché, essendo il nostro uno stato costituzionale di diritto, vi è una costituzione rigida14, garantita da controlli costituzionali di

legittimità delle leggi15: il legislatore è sottoposto al principio di legittimità

costituzionale nel senso che non può adottare leggi che siano incompatibili con la Costituzione.

Rispetto al potere esecutivo, questo si occupa intrinsecamente di eseguire e applicare la legge, quindi è uniformato al principio di «preferenza della legge», cioè è sottoposto alla supremazia della legge: si tratta di un principio di rango costituzionale per cui è vietato all’esecutivo di emanare atti che non

trovano fondamento nella legge16, pena l’invalidità degli stessi per illegittimità

costituzionale.

11 L.Carlassare, voce Legalità (principio di), in cit., 1990.

12 Ex artt. 25 Cost. e 1 c.p. «Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente previsto

come reato da una legge che sia entrata in vigore prima della sua commissione».

13 Es. art. 13 Cost. 14 Vd. Art. 138 Cost. 15 Vd. Artt. 134 e 136 Cost.

16 La legalità «per essere soddisfatta esige non già una generica (o generale) “autorizzazione” legislativa,

bensì una specifica attribuzione legislativa di competenza che precisi l'organo (dell'esecutivo-amministrazione) abilitato, la “natura” del potere che ad esso viene assegnato, e la “materia” sulla quale il potere potrà essere esercitato»: S.Fois, voce Legalità (principio di), in cit., p.691.

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Molte sono le fonti che confermano questo assetto, tra cui possiamo ricordare: l'art. 4, comma 1, disp. prel. c.c., il quale dispone che «i regolamenti

non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi»; oppure l'art. 15,

disp. prel. c.c., il quale stabilisce che le leggi non possono essere abrogate se non da altre leggi successive.

Se tale principio è pacificamente accettato, così non è riguardo la sottoposizione degli atti dell’esecutivo al principio di legalità formale: è necessario che tutti gli atti siano conformi alla legge, ma in assenza di una espressa previsione costituzionale, si discute se effettivamente tale principio abbia valenza generale, quindi se valga per tutti gli atti, senza eccezioni, oppure solo per alcuni. La dottrina maggioritaria è d’accordo nel dire che ogni atto dell’esecutivo deve trovare fondamento nella legge, pena la sua invalidità e conseguente disapplicazione da parte dell’organo giudiziario: ogni atto della pubblica amministrazione che viola una legge e lesivo di un diritto, ex art. 113 Cost., è sempre soggetto al controllo giurisdizionale di legalità, è sempre ricorribile di fronte al giudice, ed essendo il giudice soggetto solo alla legge, per converso anche l’esecutivo, e la sua attività in generale, saranno sottoposti alla legge stessa.

Rispetto al principio di legalità sostanziale dobbiamo capire se effettivamente il legislatore abbia l’obbligo di disciplinare «compiutamente i poteri del governo e della pubblica amministrazione»17, e per farlo

dobbiamo intanto distinguere tre tipi di materie: materie in cui vige la riserva di legge relativa, la riserva di legge assoluta e materie non affatto coperte dalla riserva di legge.

In generale, si considera riservata per legge, ogni materia per cui la Costituzione fa rinvio alla legge, per la relativa disciplina –salvo qualche eccezione–, poi, nello specifico, secondo la dottrina e giurisprudenza maggioritarie, la riserva di legge assume due volti diversi. Si parla di riserva di legge c.d. assoluta in tutte quelle ipotesi in cui la materia in questione non può che essere disciplinata dalla legge, peraltro in maniera dettagliata ed

17 In proposito, Sentt. n. 35/1961, 12/1963 e 150/1982 C. cost.; L.Carlassare, voce Legalità

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esaustiva, sopprimendo qualsiasi discrezionalità dell’esecutivo: sarebbe quindi invalido per vizio di competenza18 qualsiasi regolamento

dell’esecutivo al riguardo o sarebbe costituzionalmente illegittima quella legge che conferisse all’esecutivo il potere di emanare regolamenti in materia; si parla poi di riserva c.d. relativa, che ricomprende i casi in cui la Costituzione prevede l’obbligo per il legislatore di disciplinare le materie, solo in via di principio, lasciando margini di discrezionalità agli organi esecutivi, che però devono essere limitati e circoscritti nello specifico, quindi vincoli in negativo, pena la illegittimità costituzionale della legge stessa19.

Per le materie invece che non sono sottoposte alla riserva di legge, secondo l'art. 17, comma 1, lett. c), legge n. 400/1988, non essendovi alcun obbligo per il legislatore di fornire una previa disciplina, l’esecutivo potrà discrezionalmente emanare regolamenti in materia, senza che siano costituzionalmente illegittimi.

Quindi possiamo dire che il principio di legalità, in senso sostanziale, si sovrappone al principio di riserva di legge infatti i casi in cui la legge abbia l’obbligo di disciplinare «compiutamente» il potere esecutivo, coincidono con quelli che la Costituzione riserva alla legge: ecco perché spesso la dottrina confonde questi due istituti.

Più rilevante ai nostri fini, è l’analisi del principio di legalità rispetto al potere giurisdizionale, che oggi si configura come attività interamente vincolata: la soggezione alla legge è dato intrinseco e costitutivo del potere giurisdizionale stesso, infatti ex art. 101 Cost., l’atto giurisdizionale non può che essere conforme alla legge. Data questa prima premessa generale, bisogna però analizzare nello specifico cosa significhi il concetto di sottoposizione del giudice alle norme perché assume tante e diverse sfaccettature.

18 R.Guastini, Le fonti del diritto e l'interpretazione, Milano, 1993, p.15.

19 In proposito, Sentt. n. 48/1961, 133/1968, 126/1969, 129/1969, 67/1973, 27/1979,

21/1980, 96/1981, C. cost.; F.Sorrentino, Lezioni sulla riserva di legge, I, Genova, 1980; R.Balduzzi- F. Sorrentino, voce Riserva di legge, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, p.1207 ss.; L.Carlassare, voce Legge (riserva di), in cit., 1990.

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Innanzitutto è necessario che ogni provvedimento del giudice sia

fondato su una specifica norma di legge e questo lo ricaviamo dall’art. 111

Cost., comma 1, che obbliga gli organi giurisdizionali a motivare ogni loro provvedimento20, nonché gli artt. 118, comma 2, disp. att. c.p.c. e 546,

comma 1, lett. f), c.p.p., che obbligano gli organi giurisdizionali ad indicare in motivazione le norme di legge applicate. Non solo, il provvedimento giurisdizionale deve essere anche conforme in senso stretto alle leggi, tant’è che ogni sentenza emessa «in violazione di legge», ex art. 111 comma 2, Cost., è ricorribile in Cassazione.

Il giudice poi deve conoscere la legge, secondo il brocardo latino «jura novit curia», cioè la parte non è obbligata a informare o dimostrare al giudice

l’esistenza della legge dal momento che lui già ne è a conoscenza; dovrà poi limitarsi solamente ad applicarla senza crearne di nuove, sia perché la creazione del diritto è una funzione in gran parte attribuita al legislatore, sia perché i provvedimenti giurisdizionali hanno solo efficacia «inter partes», solo per il caso specifico, e non «erga omnes», come la legge e gli atti aventi forza di legge ex art. 54, comma 1, Cost.

Infine i giudici non possono nemmeno disapplicare le norme, a meno che non si tratti di leggi abrogate o leggi annullate dalla Corte costituzionale perché in contrasto con la Costituzione, come si conferma nell’art. 15 disp. prel. c.c., negli artt. 75 e 136 Cost. e nell’art. 30, legge 87/1953.

1.3. Contestazione e negazione del principio di legalità

Nella prassi applicativa del nostro ordinamento molti autori hanno osservato come questo principio abbia perso di significato, tanto da essere addirittura negato. Rescigno fa notare come continuamente e in maniera fraudolenta, le norme costituzionali vengono interpretate rispettando solo

formalmente il principio di legalità, ma non anche sostanzialmente. Si può far

riferimento agli scandalosi abusi commessi mediante decreti-legge e decreti

20 M.Taruffo, La motivazione della sentenza civile, Padova, 1975, p.392 ss.; V.Denti, Commento

all'art. 111, a cura di G.Branca, in Commentario della Costituzione; La magistratura, IV, Artt. 111-113, Bologna-Roma, 1987, p.7 ss.

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legislativi, il mancato rispetto della riserva relativa di legge per regolamenti delegificanti e per le ordinanze di necessità ed urgenza. Le cariche dello Stato, avrebbero potuto opporsi a questa degenerazione ma hanno preferito rimanere inerti, arrivando ad una situazione in cui il potere normativo è «quasi completamente affidato al governo, ai ministri, ad altre

autorità, e della legge come espressione canonica della sovranità del popolo non rimane pressoché nulla»21.

Altri autori hanno mosso ulteriori critiche nei confronti di questo principio. Possiamo citare Fois il quale, negando addirittura la natura dell’ordinamento sia come Stato di diritto sia come Stato democratico, nega l’esistenza del principio e il suo fondamento costituzionale, in nome del criterio dell’effettività22, perché, il nostro ordinamento sarebbe proprio in

contrasto con la legalità. Questo principio, così come altre parti della Costituzione frequentemente violate, rimarrebbe inattuato e ciò contrasta con la natura rigida della nostra Costituzione, dunque sembrerebbe più che accettabile quanto detto da Fois, essendo oltretutto venuta meno qualsiasi

«fiducia nella legalità» e qualsiasi riferimento alla sovranità popolare. In realtà

però c’è da dire che questo non è l’unico principio che non trova attuazione nella prassi, e che comunque l’infrazione non è tale da scardinare la natura rigida della nostra Costituzione, rendendola flessibile, perché, specialmente negli ultimi anni, la giurisprudenza costituzionale ha fortemente affermato il contrario23.

Secondo altri invece si nega il principio in base all’idea della centralità,

preminenza dell’esecutivo, seguendo le idee di Karl Schmitt dello Stato Amministrativo, teorica riproposta recentemente per cui essendo superato il

rapporto tra comunità e Stato-amministrazione24, sarebbe superato anche

il principio di legalità. In realtà anche questa dottrina non riesce a prendere campo perché è in contrasto con la Costituzione stessa, vedendo il popolo

21 G.U. Rescigno, voce Principio di Legalità, in cit., Treccani, 2016. 22 S. Fois, voce Legalità (principio di), in cit., p. 659ss.

23 L.Carlassare, cit., 1966, p.214ss.

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da un lato e gli organi politici dall’altro, che invece ne sono diretta espressione.

In conclusione, sembra opportuno accettare quella corrente dottrinale che considera proprio lo stesso principio democratico come il fattore che determina e impone la vigenza della legalità, che quindi non viene intesa come «mera esigenza di una base legale, ma come effettiva previsione di interessi da soddisfare»25.

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2. I Principi sull’Azione in Giudizio

2.1. Introduzione e Cenni storici

L’ art. 24 Cost., sancisce il diritto fondamentale, di cui è titolare qualsiasi soggetto, di agire in giudizio per la tutela dei diritti soggettivi ed interessi legittimi: si garantisce, in un’ottica strettamente liberale, l’accesso

incondizionato alla giustizia.

La ratio dell’istituto, espressa nella Relazione svolta dalla Sottocommissione all'Assemblea Costituente, è quella di impedire che il legislatore ordinario possa arbitrariamente privare della protezione giudiziaria determinate posizioni giuridiche soggettive26.

Dal punto di vista storico, i diritti fondamentali della persona, specialmente di natura processuale, trovano il loro primo riconoscimento già nel 1215 con la Magna Charta dove si garantiva la libertà dagli arresti e dalle altre misure afflittive «nisi per legale judicium parium suorum» e si prometteva a tutti di rispettare «rectum vel justiciam», e nella Costituzione americana del 1878, che comincia a essere considerata come «higher law», il cui rispetto e attuazione sono quindi garantiti giudizialmente.

In Europa invece queste nuove soluzioni cominciano a diffondersi in tempi più recenti, grazie alla attuazione della regola anglosassone della «rule of law» e della nozione tedesca di «Rechtsstaat», arrivando ad essere conosciute anche in alcune dichiarazioni di natura internazionale.

Tra i diritti della persona, protetti e garantiti dalle carte costituzionali e internazionali, hanno assunto rilevanza fondamentale il diritto di agire in

giudizio –in tutela delle situazioni giuridiche soggettive di natura sostanziale,

lese sia da soggetti privati che dai pubblici poteri–, e il connesso diritto di

difesa.

26L.P.Comoglio, La garanzia costituzionale dell'azione, Padova, 1970, p.100, ed ivi riferimenti

alla relazione svolta all'Assemblea Costituente dalla I Sottocommissione sui «Problemi costituzionali».

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Se nello Statuto albertino vi era almeno un riconoscimento formale di tali diritti, anche se in concreto, venivano puntualmente derogati dalla legislazione ordinaria, nel Regime fascista erano addirittura formalmente limitati, infatti il diritto di difesa, soprattutto nell’ambito della giustizia penale, era concepito come mera «difesa tecnica», cioè come tutela dell’imputato da parte di un avvocato, escludendo invece la nozione moderna di «difesa materiale», intesa come garanzia delle «possibilità di tutelare

in giudizio le proprie ragioni, con le forme ed i mezzi che assicurano la istituzione e lo svolgimento del contraddittorio»27.

È proprio in risposta a questo assetto che nella Costituzione, viene garantito «in termini lapidari e perentori»28 la possibilità per qualsiasi privato di

esercitare attivamente tale diritto in ogni grado di giudizio e di fronte a qualsiasi giudice, escludendo ogni limitazione tipica del passato: l’inserimento dei diritti di azione e di difesa nella Costituzione, oltre a renderli inviolabili, li ha resi il fondamento essenziale per la salvaguardia e il ripristino di tutte le libertà e i diritti garantiti29.

È opportuno in questa sede, dimostrare esplicare la rilevante tutela di natura internazionale riguardo tali diritti: gli articoli 8 e 10 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, approvata il 10 dicembre 1948 dall'assemblea generale dell'O.N.U. costituiscono una delle esplicazioni più ampie del diritto di azione e di difesa, che, pur essendo priva di vera e propria efficacia giuridica, viene usata come «criterio

interpretativo per qualsiasi testo interno o nazionale»30. In particolare, l’art. 8

dispone che «ciascuno ha diritto ad un'effettiva possibilità di ricorso –c.d. «effective

remedy» – ai competenti giudici del suo paese contro gli atti lesivi dei diritti fondamentali a lui riconosciuti dalla costituzione o dalle leggi», mentre l'art. 10 aggiunge che «ciascuno ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad un'equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente ed imparziale, al fine della determinazione dei

27 In proposito, Sent. n. 108/1963 C. cost., voce Motivazione.

28 Considerazioni queste emerse durante il dibattito assembleare sull'art. 19 del progetto,

in A.C., I, p.2567, 2627 e 2628.

29 P.Ferrua, voce Difesa (diritto di), in Digesto pen., III, Torino, 1989, p.469.

30 A.Pizzorusso, voce Garanzia costituzionale dell'azione, in Digesto on-line, Leggi d’Italia, anno

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13 suoi diritti e dei suoi doveri, nonché della fondatezza di qualunque accusa penale che venga rivolta contro di lui».

Tornando alla normativa nazionale, la Costituzione italiana disciplina ai primi due commi dell’art. 24 il diritto di azione e il diritto di difesa, che insieme all’art. 113, garantiscono una tutela giurisdizionale piena, e non limitabile nei confronti della Pubblica amministrazione, specificati e concretizzati dai codici processuali e da leggi processuali come, per esempio, la legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1 che indica in qual modo i cittadini possono far valere l'eventuale incostituzionalità delle leggi e degli atti normativi ad esse equiparati. È necessario citare in questo senso anche una sentenza della Corte costituzionale31, che definisce il diritto di azione e di

difesa come «principio supremo della costituzione materiale e quindi come un limite

per la stessa possibilità di revisione della costituzione».

2.2. L’Art. 24 della Costituzione italiana

Abbiamo già detto che l’art. 24 ingloba al suo interno due tra i principi supremi del nostro ordinamento, connessi direttamente con il principio di democrazia e con le garanzie di certezza e stabilità del diritto32

diventando il baricentro dei «mezzi di garanzia dei diritti» e delle norme organizzative «destinate a dare concretezza alla tutela delle libertà»33. Il cittadino

si rivolge agli organi giurisdizionali dello Stato per ottenere dalla giustizia un provvedimento decisorio obbligatorio, a cui corrisponde un dovere statutale di non rifiutare ingiustificatamente la prestazione del servizio giudiziario34. È

stato infatti affermato che «assicurare a tutti e sempre un giudice e un

31 In proposito, Sent. n. 18/1982, C. cost., FI, 1982, I, p.936.

32 Ibidem: «il diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti va ascritto tra i principi supremi del nostro

ordinamento costituzionale, in cui è intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l'assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice ed un giudizio».

33 C.Mortati, Relazione all'Assemblea Costituente della Commissione per gli studi attinenti alla

riorganizzazione dello Stato, Min. per la Costituente, Roma, 1946, I, p.93.

34 In tal senso, Sent. n. 67/1960 C. cost.: «l'uso delle parole “tutti” e “sempre” nel primo comma

dell'art. 24 Cost. ha lo scopo di ribadire la uguaglianza di diritto e di fatto di tutti i cittadini per quanto concerne la possibilità di richiedere la tutela giurisdizionale, sia nei confronti di altri privati, sia in quelli dello Stato e di enti pubblici minori».

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giudizio, dinanzi ad organi imparziali ed indipendenti, per qualsiasi controversia riguardante diritti soggettivi od interessi legittimi rappresenta una pietra miliare nell'attuazione dei principi di legalità democratica»35.

Il presupposto fondamentale per poter esercitare il diritto di azione e di difesa è la titolarità di una situazione giuridica soggettiva di natura sostanziale che si vuole appunto far valere in giudizio: questa è l’unica condizione che legittima il ricorso alla tutela giurisdizionale36, essendo esclusa qualsiasi altra

limitazione alla tutela giurisdizionale di tali situazioni giuridiche.

Il nostro ordinamento garantisce quindi una tutela c.d. a «doppio

gradino»37: il legislatore detta la disciplina sostanziale, qualificando vari

comportamenti come doverosi, leciti o illeciti e idonei a produrre conseguenze giuridiche. Questo è il «primo gradino» di tutela – di carattere

volontario e spontaneo– perché se il comportamento della parte si conforma a

quanto previsto dalla norma, non lederà nessuna posizione giuridica altrui. Se però questa prima tutela risulta insufficiente e inidonea, cioè la norma viene violata e la posizione giuridica soggettiva viene lesa, l’ordinamento riconosce allora un «secondo gradino» di tutela, sancito proprio dall’art. 24 che appunto garantisce «i mezzi -coercitivi- per l'attuazione della tutela secondaria o

giurisdizionale»38 , attraverso i quali si eliminano gli impedimenti che non

permettevano la soddisfazione e il godimento dei diritti.

2.3. Il diritto di Azione

Cominciando ad analizzare il diritto di azione, l’art. 24, comma 1, affermando che

«Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi»,

35 A.Luminoso, Crisi della giustizia civile e tutela dei diritti, in Riv. giur. sarda, 1988, p.557. 36 V.Caianiello, La tutela dei diritti fondamentali in cento anni di giurisdizione amministrativa, in

Diritto e società,1989, p.565 ss.

37 A.Luminoso, cit., p.557.

38 E.Betti, Diritto processuale civile italiano, Roma,1936, p.3 ss.; V.Denti, La giustizia civile,

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sancisce una tutela giurisdizionale universale sia dal punto di vista oggettivo che dal punto di vista soggettivo: essa abbraccia qualunque situazione soggettiva di vantaggio che abbia carattere sostanziale e deve trovare attuazione per tutti – cittadini, stranieri, apolidi e clandestini39–,

indipendentemente da ogni differenza di carattere personale o sociale. Dal punto di vista soggettivo, la Costituzione ricollega la tutela giurisdizionale al «principio di uguaglianza» di cui all’art. 3 Cost., con il divieto quindi per il legislatore di introdurre discriminazioni irragionevoli di ordine soggettivo per l’accesso alla giustizia, salvo che ricorrano particolarissime giustificazioni di ordine costituzionale. A tale garanzia di eguale trattamento dal un punto di vista strettamente formale, si affianca la necessità di un trattamento differenziato per situazioni che sono

sostanzialmente diverse, per assicurare un’equa tutela giurisdizionale, alla luce

del principio di uguaglianza sostanziale.

Dal punto di vista oggettivo, il costituente ha concepito la giurisdizione come strumento di tutela per qualsiasi situazione soggettiva da far valere, sia nei confronti di altri cittadini, che nei confronti dello Stato: «ogni volontà concreta di legge, di cui sia possibile la formazione secondo la legge

sostanziale, deve trovare nella legge processuale mezzi idonei di attuazione»40 .

Nello Stato sociale la tutela delle posizioni giuridiche sostanziali non assolve solo lo scopo di dirimere le controversie insorte in relazione ad esse, ma viene utilizzata in modo dinamico, anche al fine di assicurare la piena e completa attuazione delle garanzie dei diritti ed interessi legittimi41,

che andremo ora ad analizzare approfonditamente.

39 Sent. n.198/2000 C. cost., con la quale si afferma che: «il diritto al riesame del provvedimento

di espulsione, con piena garanzia del diritto di difesa, spetta, ai sensi dell'art. 13, 8° comma, t.u. 25 luglio 1998 n. 286, non soltanto agli stranieri che soggiornano legittimamente in Italia, ma anche ai clandestini».

40 A.Proto Pisani, Note sulla tutela civile dei diritti, in Foro it., 2002, p.165.

41 L.Maruotti, La tutela degli interessi diffusi e degli interessi collettivi in sede di giurisdizione di

legittimità del G.A.: questioni di giurisdizione e selezione dei soggetti legittimati all'impugnazione, in Dir. proc. amm., 1992, p.255; F.G.Scoca, Contributo alla figura dell'interesse legittimo, Milano, 1990.

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16

Il diritto Soggettivo42 è quella situazione giuridica soggettiva di

vantaggio, che consente al soggetto titolare di realizzare un proprio interesse, e che per decenni ha rappresentato l'unica situazione giuridica suscettibile di tutela piena e completa davanti all'autorità giudiziaria43.

L'ordinamento giuridico può eventualmente condizionare la tutela dei diritti soggettivi quando si presentano motivi di interesse pubblico che necessitano una rilevante protezione: si tratterà comunque di un diritto che produce determinati effetti, seppur in via affievolita.

Dall’altra parte abbiamo invece gli interessi legittimi, categoria che di fatto ricomprende tutte quelle situazioni di diritto pubblico, differenziate dal diritto soggettivo e che vedono come controparte, lesiva dell’interesse stesso, la Pubblica Amministrazione44. Dunque, il riconoscimento prima

giurisprudenziale e poi legislativo della risarcibilità dei danni derivanti da lesione di situazioni di interesse legittimo, ha comportato un'effettività ed una pienezza della tutela giurisdizionale, e quindi della previsione costituzionale.

In questo modo si offre una efficace copertura garantistica a qualsiasi posizione di vantaggio, individuale e collettiva, peraltro azionabile in giudizio da chiunque, non volendo sancire, anche indirettamente, alcuna discriminazione tra gli interessi tutelabili.

Si tratta adesso di capire in cosa consista il diritto di azione, cioè in cosa concretamente si risolve il suo contenuto.

L’art. 24 Cost. prevede che l’accesso alla giustizia, in tutela di diritti soggettivi e di interessi legittimi, non può essere impedito o limitato: si garantisce così sia l’osservanza della Costituzione e delle altre fonti,

42 D.Barbero, Il diritto soggettivo, IV, Firenze,1939, p.42; W.Cesarini Sforza,Diritto soggettivo,

in Enc. Dir., XII, Milano, 1964, p.659; F.Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1983, p.70 ss.; In giurisprudenza: Sent. n. 35/1980 C.cost.; Sent. n. 10800/1994, Cass. S.U., in Corriere giur., 1995, p.483, con nota di Giuffré.

43 I primi seri tentativi di concettualizzare e definire il diritto soggettivo risalgono agli inizi

dell'ottocento, con la famosa teoria del Windscheid che configurava il diritto soggettivo come «signoria (o potere) della volontà» tutelata dall'ordinamento giuridico.

44 L.P.Comoglio, cit. 1970, p.103: «Il problema costituzionale di garantire l'esercizio del diritto-potere

di azione in giudizio si è primariamente posto quale problema di tutela del cittadino nei confronti delle pubbliche amministrazioni».

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sanzionando le eventuali violazioni e ripristinandone il rispetto, sia –si garantisce– la composizione delle controversie per la pacifica convivenze e l’ordinato vivere civile45. Il giudice è sottoposto al dovere istituzionale di

concedere la tutela giurisdizionale, quindi deve necessariamente garantire l’accesso alla giustizia, a meno che non vi siano dei presupposti, che saranno comunque valutati in giudizio: sono inammissibili e costituzionalmente illegittime tutte le norme che, direttamente o indirettamente, sottraggono all'autorità giudiziaria, in tutto o in parte, il «giudizio», quindi impongono l'arbitrato come forma obbligatoria di

giurisdizione privata alternativa a quella pubblica46; sono ammissibili invece

le norme sull’arbitrato facoltativo, cioè quello strumento liberamente ricorribile dai privati, al fine di risolvere le controversie relative a diritti disponibili davanti ad arbitri da loro stessi scelti.

Come ha affermato Police, l’articolo sancisce l’effettività della tutela, eliminando «qualsiasi limitazione che ne renda impossibile o difficile l'esercizio da

parte di uno qualunque degli interessati» assicurando in tal modo un «giusto processo secondo il più noto dei significati spettanti alla formula statunitense del due process of law»47.

Connesso e strumentale a questo diritto è il principio di indipendenza del giudice, il quale, in quanto figura terza, imparziale e

naturalmente precostituita, garantisce in via paritaria sia il pieno accesso alla

giustizia, che la tutela giudiziale rispetto a situazioni giuridiche soggettive lese, poiché giudica basandosi solo ed esclusivamente sulla volontà di legge, alla quale è soggetto, evitando così che possa venir influenzato nelle sue decisioni in modi indebiti, ossia in modi diversi da quelli consentiti dalle norme processuali che regolano, ad esempio, l'assunzione delle prove e la discussione fra le parti.

45 In L.P.Comoglio, Valori etici e ideologie del «giusto processo (modelli a confronto), in Riv. trim.

dir. e proc. civ., 1998, p.896, il «diritto al giudice», condiviso dalla CGCE, si inserisce nel nucleo centrale del modello giustiziale accolto dal costituzionalismo moderno.

46 G.Verde, Profili del processo civile, Napoli, 1991, p.42 ss.; B.Borghesi, Azione popolare, in

Enc. Giur., IV, Roma, 1988.

47 G.Verde, cit., 1991, p.4; M.Cappelletti, V.Vigoriti, I diritti costituzionali delle parti nel processo

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Dunque, in conclusione, possiamo dire che l'art. 24, di fronte ad una specifica richiesta di tutela della propria sfera giuridica, da chiunque avanzata, connette il dovere inviolabile in capo allo Stato di assicurare l’emanazione di una pronuncia giurisdizionale. Per garantirne la piena attuazione del principio costituzionale però, non basta il mero riconoscimento della titolarità dei diritti e della libertà di agire in giudizio, ma è necessario concedere la possibilità seria e reale di ottenere un’adeguata e completa tutela dall’organo giurisdizionale, eliminando qualsiasi disparità e diseguaglianza tra le parti in conflitto: chiunque agisca o si difenda in giudizio deve beneficiare delle medesime possibilità al fine di ottenere la tutela delle proprie ragioni, senza disparità nelle modalità di esercizio dei poteri processuali.

2.4. Il diritto di Difesa

Oltre al diritto-potestà di azione, al comma 2 dell’art. 24, viene sancito il diritto di difesa, anch’esso connotato del carattere della inviolabilità: i due diritti sono speculari e connessi, infatti c’è chi ha affermato che

«l'attuazione di entrambe le garanzie si fonda su identiche componenti»48.

La Corte costituzionale, ha evidenziato come all’interno del concetto di «inviolabilità del diritto di difesa», sono rinvenibili due profili: il diritto alla «difesa tecnica»49 e, in via sostanziale, il diritto a far valere le proprie ragioni

in giudizio50. In particolare, volendo sottolineare la centralità della difesa

tecnica, la Corte ha affermato che l'art. 24, comma 2, implica la «potestà

effettiva dell'assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che venga assicurato il contraddittorio e venga meno ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti»51; invece il diritto di far valere in giudizio le proprie ragioni,

avvalendosi di un soggetto professionale, sintetizza il principio del

48 L.P.Comoglio, voce Art. 24, in cit., p.53.

49 Che consiste nel diritto della parte di godere in giudizio dell'assistenza di un esercente

la professione legale.

50 Sent. n. 39/1961 e n. 46/1957 C. cost. 51 Sent. n. 46/1957 C. cost.

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19 contraddittorio volto a garantire la partecipazione attiva delle parti al

processo52.

In ogni caso, le due facce del diritto di difesa (tecnica e sostanziale) non possono essere viste come entità distinte, poiché la prima è indispensabile ad offrire un effettivo e concreto sostegno alla seconda dal momento che l'assistenza tecnica si ridurrebbe ad una mera formalità se alla parte non fossero attribuiti reali poteri difensivi.

Si tratta di capire, anche in questo caso, in cosa consista il contenuto del diritto di difesa: secondo la dottrina maggioritaria, il diritto di difesa coincide con il diritto di partecipazione al processo, espresso dal brocardo latino «audiatur et altera pars», che pur manifestandosi diversamente all’interno del processo civile, penale e amministrativo, consiste in generale nel «garantire

agli interessati la possibilità di influire sull'esito del giudizio partecipando direttamente al processo»53, in condizioni di uguaglianza a meno che «non ostino gravi motivi razionalmente giustificabili con il pubblico interesse»54: di fronte ad un giudice terzo

e imparziale, si instaura in questo modo un rapporto dialettico tra le parti alla luce del principio del contraddittorio. La giurisprudenza costituzionale ha definito il contraddittorio come «perno»55 del diritto di difesa:

formandosi in condizioni di «completa ed effettiva uguaglianza», si consente alle parti di tutelare concretamente in giudizio le proprie ragioni, servendosi di tutta una serie di strumenti processuali come la possibilità di proporre domande, opporre eccezioni –rispettando i termini processuali ordinari o perentori stabiliti–, di avvalersi dunque del diritto alla prova sui fatti. Il diritto alla prova è stato visto dalla Corte costituzionale come necessario, senza il quale il contraddittorio in realtà rimarrebbe un principio vuoto, anche se può essere soggetto a specifiche limitazioni sia per esigenze sostanziali di

52 P.Ferrua, cit., p.466.

53 M.S.Giannini, Il criterio guida: il principio del contraddittorio, in Nuovo Dir., 2002, p.339;

N.Rascio, Contraddittorio tra le parti, condizioni di parità, giudice terzo e imparziale, in Riv. dir. civ., 2000, I, p.601; N.Picardi, Il principio del contraddittorio, in Riv. dir. processuale, 1998, p.673; G.Martinetto, voce Contraddittorio (principio del), in Noviss. Dig. it., App. II, Torino, 1980, 604, p.77.

54 Sentt. n. 2/1974 e. 27/1972 C. cost.

55 V. D'Orsogna, Lo svolgimento del processo di primo grado - la fase di decisione, in Giustizia

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interessi protetti, sia per esigenze processuali di struttura del processo stesso.

Un corollario del diritto di difesa, è il principio della parità delle armi: le parti della controversia, in virtù del principio di uguaglianza, hanno sia il pieno e indiscriminato accesso alla tutela giurisdizionale, sia l’effettiva uguaglianza inter partes, dal momento che la legge fornisce a entrambe strumenti tecnico-processuali idonei a condizionare in loro favore il libero convincimento del giudice. Le parti, pertanto, godono di pari trattamento

«dalla instaurazione alla definizione del giudizio, beneficiando di una identità di poteri paralleli» 56.

Ai nostri fini, è opportuno soffermarci sull’applicazione e le peculiarità del diritto di difesa, all’interno del processo amministrativo, che di fatto lo rendono e lo connotano come species a sé stante rispetto al genus. Si tratta di un processo che vede come unica controparte in senso sostanziale la Pubblica Amministrazione, non escludendo comunque l’intervento legittimo di «cointeressati» e «controinteressati», come parti in senso processuale.

Il principio «audiatur et altera pars» si pone come condizione di ammissibilità della domanda e come presupposto di efficacia del provvedimento giurisdizionale, ecco perché la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale della legge istitutiva dei T.A.R., nella parte in cuinon consentiva una efficace tutela dei terzi controinteressati ed ha quindi ritenuto applicabile anche nel processo amministrativo il rimedio straordinario di impugnazione dell'opposizione di terzo 57. Questo diritto di

partecipazione non trova però ancora piena attuazione quanto i controinteressati sono esclusi dalla categoria delle parti necessarie, infatti la giurisprudenza ammette l’intervento dei controinteressati solo entro il

56 L.P.Comoglio, in cit., 1970, p.140.

57 Sent. n. 177/1995 C. cost., in Dir. proc. amm., 1996, p.294, con nota di F.Lorenzotti, «La

Corte costituzionale introduce l'opposizione di terzo nel processo amministrativo», p.298 ss.; A.Police, L'opposizione di terzo nel processo amministrativo: la Corte costituzionale anticipa il legislatore, in Giur. it., 1995, I, p.512 ss.

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termine previsto per l'impugnativa dell'atto58 . Riguardo la disponibilità dei

mezzi di prova, vige nel processo amministrativo un principio dispositivo

attenuato con metodo acquisitivo, in quanto da un lato spetta alle parti il

potere di allegare i fatti ritenuti rilevanti in vista della prova, dall'altro il giudice può decidere in ordine alla rilevanza e all'opportunità di apprendere dal processo i fatti stessi o altri dai quali risalire ai primi59. La Corte

costituzionale, con la sentenza n. 146 del 1987 ha ritenuto ammissibili, nelle controversie riguardanti il pubblico impiego, l’utilizzo di mezzi istruttori come la consulenza tecnica e la richiesta di informazioni alle associazioni: si garantisce così una piena cognizione dei fatti per il giudice, grazie all’impiego dei necessari mezzi istruttori60, confermato anche nelle

Disposizioni in materia di giustizia amministrativa di cui alla legge 21 luglio 2000,

n. 20561.

Riguardo il concetto di difesa tecnica la legge T.A.R stabilisce l'obbligo del patrocinio innanzi al giudice di primo grado, di «avvocato o di procuratore legale» mentre di fronte al Consiglio di Stato è obbligatoria, l'assistenza di avvocato abilitato al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori62, ad eccezione che per i giudizi in materia di accesso agli atti, per

58 Altra parte della dottrina ritiene possibile l'intervento tardivo del cointeressato, il quale

assumerà il ruolo di parte accessoria e, in quanto tale, non potrà modificare la materia del contendere.

59 F.Benvenuti,L'istruzione nel processo amministrativo, Padova, 1970; V.Cerulli Irelli, Corso di

diritto amministrativo, Torino, 2000; A.M.Sandulli, Il giudizio davanti al Consiglio di Stato ed ai giudici sottordinati, Napoli, 1963; P.Virga, Diritto amministrativo. Atti e ricorsi, Milano, 1992; L.F.Caramazza-M.L.Guida, La prova nel processo amministrativo, in Rass. avv. Stato, 1985, II, p.1994-1995; G.Abbamonte- R.Laschena, Giustizia amministrativa, Padova, 1997; A.Police, Istruzione preventiva e processo amministrativo. Riflessioni a margine di una recente pronuncia, in Dir. proc. amm., 1998, p.621 ss.; F.G. Scoca, Riflessioni sui criteri di riparto della giurisdizione (ordinaria e amministrativa), in Dir. proc. amm., 1989, p.549.

60 Sent. n. 586/1997 T.A.R. Milano, sez. III, (pubblicata in Urbanistica e app., 1997, p.1262

ss., con nota critica di Travi, Valutazioni tecniche e istruttoria del giudice amministrativo, ed in Foro amm., 1997, p.1275 ss., con nota di Perfetti, Il sindacato giudiziale sulla discrezionalità tecnica); Sent. n. 463/ 1996 T.A.R. Milano, sez. III, (pubblicata in Foro amm., 1996, 2982, con nota di Caputo, La consulenza tecnica nel processo amministrativo).

61 G.Perulli, Integrazione dell'istruttoria mediante consulenza tecnica, in La giustizia amministrativa,

a cura di Italia, Milano, 2000, p.311ss.; G.Abbamonte, Disposizioni varie sul processo, in Verso il nuovo processo amministrativo, Torino, 2000, p.223 ss.; E.Picozza, La C.T.U. tra processo amministrativo ed effettività del diritto comunitario, in Potere discrezionale e controllo giudiziario, a cura di Parisio, Milano, 1998, p.188 ss., ora anche in Convivenza nella libertà. Scritti in onore di G. Abbamonte, II, p.1130 ss.

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cui, in base alla legge n. 205 del 2000, il ricorrente può stare in giudizio

personalmente senza assistenza di difensore e l'amministrazione può essere

rappresentata e difesa da un proprio dirigente.

Un aspetto che deve essere necessariamente evidenziato è la connessione con l’art. 113, di cui abbiamo fatto già menzione, perché riguardano entrambi il diritto di difesa, uno in generale, l’altro in particolare, nei casi di contrasti contro la pubblica amministrazione. Tale connessione è stata confermata anche dalla Corte costituzionale, che ha sottolineato che l’art. 113 è di fatto «privo di autonomia» rispetto all' art. 24 Cost. 63: tra le due disposizioni vi è un rapporto di genus -species, per cui l’art.

113 rafforza la tutela generalmente concessa dall’art. 24, estendendola esplicitamente nelle specifiche questioni che coinvolgono i pubblici poteri64.

Nonostante sia dubbia tra dottrina e giurisprudenza la portata innovativa della disciplina, non si può comunque negare che abbia portato ad una tutela piena ed effettiva del cittadino nei confronti dei pubblici poteri.

Per una completa trattazione dell’art. 113, si rinvia al paragrafo 4 del presente capitolo.

63 Sent. n.193/2003 C. cost. (ord.).

64 A.G.Garrone, Contributo allo studio del provvedimento impugnabile, Milano, 1990, p.96-99 e

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23

3. I Principi sul Giudice

3.1. Considerazioni generali e origini storiche

Il Giudice è il soggetto, appartenente agli organi giudiziari, a cui è affidato lo specifico compito di risolvere i conflitti, applicando le norme generali di legge a casi concreti e sanzionando gli eventuali comportamenti illeciti, per garantire la stabilità del gruppo sociale. È un organo che deve essere necessariamente caratterizzato da una certa competenza tecnica e professionalità, ed è protetto da speciali guarentigie, che ne garantiscono in particolare l’indipendenza.

Si tratta di una figura che, pur essendo già affermata nell’antichità, in società non occidentali65, trova i suoi primi sviluppi durante l’impero romano.

Nonostante sia presente e operante fin dall’inizio della civiltà romana, è solo con l’imperatore Diocleziano che questa figura acquista caratteristiche e connotati che manterrà anche durante il Medioevo. Nello specifico, è qui che si crea un sistema in cui la giustizia è resa nel nome del Principe e i giudici assumono il ruolo di funzionari-dipendenti dello stesso: si abbandona definitivamente la concezione privatistica del giudice, che quindi diventa a tutti gli effetti organo dello Stato, e la sua attività viene qualificata come «amministrazione», controllata tramite l’istituto dell’«appello».

Per comprendere appieno le caratteristiche del sistema attuale però, dobbiamo soffermarci maggiormente sul periodo storico che va dal 1700 in poi, cioè dall’età delle Monarchie Assolute, in cui il re era legibus solutus, al periodo in cui lo Stato si appropria della funzione giurisdizionale, come reazione all’assolutismo regio. Si tratta di un periodo storico in cui si registrano in tutta Europa eventi rivoluzionari, come in Inghilterra la

Gloriosus Revolution del 1688, e l’Act of Settlement del 1701, che portano anche

e soprattutto alla impossibilità per il sovrano di continuare a nominare i

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giudici, o come in Francia dove, a causa di diverse tensioni66 che cercarono

di limitare l’assolutismo regio, si arriva ad affermare l’indipendenza dei giudici stessi.

È proprio in questa fase di lotta contro l’assolutismo che comincia ad affermarsi anche il principio di separazione dei poteri, principio che garantiva i diritti e le libertà dei cittadini, impedendo gli arbitri e gli abusi di potere. Oltre a Locke, uno dei principali esponenti di questo principio fu Montesquieu, il quale ne «L’Esprit des lois», oltre a sostenere tale principio, definisce la figura del giudice come «potere nullo», come mera

«bocca della legge», dal momento che esso poteva solamente applicarla

«letteralmente»67 e meccanicamente, senza possibilità alcuna di sindacarla o

interpretarla: è l’ideologia tipica del periodo illuministico68, in reazione agli

abusi dell’Ancien Regime. In realtà però, secondo Senese, l’indipendenza del giudice perde della sua centralità perché di fatto, nella società, è mero

guardiano dei vari ceti sociali, anche lui vincolato dalle leggi del sovrano e

dalle consuetudini di diritto pubblico, leggi «fondamentali» che vincolano anche il sovrano, frenando i mutamenti normativi69. Infatti, malgrado

l’omaggio che si rende a Montesquieu, i giudici da lui ideati erano come i giudici dell’Ancien Regime, cioè senza alcuna indipendenza: le leggi rivoluzionarie, nel disciplinare la nomina e l’attività del giudice, si ispireranno piuttosto agli ideali di Jean Jacques Rousseau, «la cui concezione

di sovranità unica e indivisibile e della volontà generale come unica espressione della sovranità, è sicuramente agli antipodi della dottrina della divisione dei poteri» 70

Successivamente, con la Rivoluzione Francese viene spazzato via l’intero sistema di giustizia dell’Ancien Regime, abolendo i parlamenti, i privilegi e le cariche presenti, tra cui quella del giudice: se formalmente vengono ripresi i principi di Montesquieu della separazione dei poteri e del potere giudiziario come indivisibile e nullo, in sostanza questo era soggetto al

66 Montesquieu, L’Esprit des lois, Gamier, Paris, 1748, dove ricorda il contrasto tra il

Parlamento e Luigi XIII.

67 Montesquieu, cit., Capitolo VI, Libro XI.

68 L.Ferrajoli, Diritto e ragione, Bari, 1989, p.10ss. e 99ss. 69 G.Rebuffa, La funzione giudiziaria, Torino, 1986, p.2ss. 70 J. J. Rousseau, Du contrat social (1762), Ginevra, 1947, p.208 ss.

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potere politico in quanto non aveva la possibilità di giudicare qualsiasi atto o attività posta in essere dal potere esecutivo o conflitti in cui una parte era un soggetto pubblico, come se l’attività dell’amministrazione fosse coperta da una sorta di immunità. In più i poteri del giudice erano limitati anche rispetto al potere legislativo, dal momento che non si poteva interpretare la legge e in più era stato istituito il tribunale di Cassazione proprio come organo di controllo del potere legislativo, per mezzo del référé legislatif, verso l’operato interpretativo del giudice: si riteneva che, come afferma Robespierre, «se la legge potesse essere interpretata, estesa o applicata secondo la

determinazione di una volontà particolare, l'uomo non sarebbe più sotto la salvaguardia della legge ma sotto il potere di colui che l'interpreta o l'estende»71.

Questo assetto particolarmente contraddittorio, che impediva la formazione del potere giudiziario moderno, comincia a cambiare negli anni successivi, in particolare nel 1810, anno in cui Napoleone emana la «Legge

dell’organizzazione giudiziaria e dell’amministrazione della giustizia», in vigore fino

alla prima metà del XX secolo, che istituisce il c.d. «modello francese», contrapposto al «modello anglosassone» e destinato a influenzare molti paesi, tra cui il nostro ordinamento. Secondo tale modello i giudici sono i funzionari dello stato, che amministrano la giustizia, vista come sezione dell’attività amministrativa in generale; i giudici sono ordinati secondo una scala gerarchica, a seconda delle diverse competenze, e vi sono gradi diversi di giurisdizione, posti secondo una gerarchia piramidale, al cui vertice è posizionata la Corte di cassazione. Infine le nomine, i trasferimenti, le promozioni dei giudici sono affidate al governo che esercita anche un controllo sull’attività interpretativa del giudice, seppur l’indipendenza della figura del giudice non sia formalmente rinnegata.

Abbandonando lo scenario europeo e focalizzandoci sul panorama italiano, troviamo lo Statuto albertino, che, riprendendo il modello francese del 1814, agli artt. 68 ss., definiva i giudici come funzionari dello Stato, quindi come soggetti «istituiti» direttamente dal Re, che amministravano in suo nome la giustizia: erano dotati di una sorta di «impermeabilità» rispetto a

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qualunque ordine regio o ministeriale sul «se» e sul «come» applicare la legge72, ma comunque non erano visti come distinto potere. Erano protetti

da poche garanzie, come l’inamovibilità, esclusa per i magistrati di mandamento e per tutti coloro che non avevano maturato tre anni di esercizio. Il giudice quindi non era un potere indipendente, che peraltro non poteva sindacare in alcun modo il potere esecutivo. È per questo motivo che secondo alcuni73, la legge 20 marzo 1865, n. 2248 All. E, non

portò a nessun risultato, perché di fatto il cittadino continuava ad essere sprovvisto della tutela giurisdizionale nei confronti delle attività della pubblica amministrazione, ma dovremo aspettare interventi successivi, del 1889 e del 1902, in cui si istituisce per la prima volta una figura diversa, il giudice amministrativo, che affianca quello ordinario e che si occupa di interessi giuridicamente rilevanti, non qualificabili come diritti soggettivi, in cui è coinvolta anche la pubblica amministrazione. Con l’avvento del Regime fascista si registra, come sappiamo, una forte regressione, infatti si elimina la composizione mista del Consiglio superiore, si irrigidisce il sistema gerarchico della carriera e si elimina la specializzazione degli stessi. Si forma un sistema totalitario, caratterizzato da un integrale controllo del Governo verso i giudici74. Nonostante molti abbiano affermato la presenza

di un sistema uniformato al criterio della unicità, in realtà in questo periodo si è registrata una moltiplicazione di giurisdizioni di equità e di collegi arbitrali e giurisdizionali: una raccolta ufficiale del Regime contò circa 300 collegi di natura giurisdizionale, oltre ad importanti tribunali speciali quali la Magistratura del lavoro.

A seguito delle guerre mondiali e della caduta dei regimi totalitari, si avvertiva l’esigenza nel nostro ordinamento di creare un sistema che ripudiasse i valori centrali del Regime fascista, adottando peraltro una Costituzione garantistica dei diritti fondamentali della persona e dell’assetto democratico. Si istituì l’Assemblea Costituente, la quale in primis volle

72 N.Zanon-L.Panzeri, Comm. Art.101, in Commentario alla Costituzione, a cura di

Bifulco-Celotto-Olivetti, Vol. III, Torino 2006.

73 In particolare, M.Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, 1976, p.73 ss. 74 G.Neppi Modona, La magistratura e il fascismo, PD, 1972, p.569 ss.

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affermare il principio di indipendenza dei giudici dal potere esecutivo, in via effettiva, e la centralità degli stessi per la formazione dello Stato di Diritto, raggiungendo l’accordo tra le diverse componenti politiche che formavano l’Assemblea.

Quindi viene creato un sistema con una Costituzione rigida, il cui rispetto è garantito dalla Corte costituzionale, in forte limitazione della supremazia del Parlamento, e in più vengono istituite tutta una serie di guarentigie, per garantire l’effettiva indipendenza del giudice, come la inamovibilità, la dispensa dal servizio, il divieto d'iscrizione ai partiti politici, la responsabilità disciplinare e la progressione in carriera, assegnando ad organi75 formati da magistrati, scelti pressoché interamente

in via elettiva, con compiti non soltanto di tipo consultivo. Non mancano però sia notevoli contraddittorietà tra le disposizioni costituzionali, ad esempio tra gli artt. 107 – che prevede l'enunciazione della pari dignità dei magistrati– e 105 – che prevede l’attribuzione al CSM della competenza a deliberare le loro promozioni–, sia una difficoltà di attuazione del disegno costituzionale, a causa di vincoli e retaggi del passato, ancora presenti nella realtà concreta ma dissonanti con il nuovo ordinamento giudiziario.

3.2. Relatività e problematicità della nozione di «Giudice»

Data questa ricostruzione storica, non possiamo non notare che la figura del giudice ha assunto, nel corso del tempo, connotati e caratteri diversi a seconda della struttura dell’ordinamento in cui operava: è per questo motivo che spesso si è parlato di «relatività storica»76 della nozione di

giudice.

Ad oggi, la figura del Giudice, trova la sua disciplina principale, ma non esauriente, nel Titolo IV della Parte II della Costituzione, intitolato per l’appunto «La Magistratura», e trova ulteriori riferimenti in altri articoli sparsi all’interno del testo, come l’art. 13 sulla limitazione della libertà

75 Consigli Giudiziari, presso le Corti di Appello; Consiglio superiore e Corte disciplinare

entrambi con sede in Roma.

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personale, l’art. 24 sul diritto di azione in giudizio, l’art. 25 e l’art. 98 sullo status del giudice.

Nonostante la corposa disciplina, nella Costituzione non troviamo ancora una esplicita definizione della nozione di giudice, pertanto, è necessario fare riferimento all’operato della dottrina che però, nel corso del tempo, non ha portato a risposte soddisfacenti perché nessuna delle stesse è riuscita a definire il fenomeno nella sua completezza, individuandolo per confronti o ancorandolo a caratteri «intrinseci», che talvolta possono anche mancare.

Un contributo rilevante in questo senso, è stato dato da Allorio77, il

quale, rifiutando ogni costruzione classificatoria, identifica la nozione di «giudice» come figura capace di emanare atti idonei ad avere efficacia di cosa giudicata: è sicuramente una ricostruzione valida ai fini della legislazione ordinaria, afferma Senese, ma di fatto è insufficiente e scarsamente utile a livello costituzionale, dal momento che tale contrassegno non è richiesto da tale normativa, essendo invece determinato secondo la discrezionalità del legislatore ordinario.

Alcuni invece hanno attribuito a tale nozione un connotato normativo, sia nel senso che qualsiasi situazione giuridica soggettiva di vantaggio deve avere un giudice di fronte al quale possa esser fatta valere, sia nel senso che la qualifica di giudice attribuita ad un certo organo comporta specifiche conseguenze giuridiche inerenti allo stesso: l'organo dovrà esser indipendente e sarà soggetto solo alla legge, nell'esercizio della sua attività; le sue «sentenze» saranno ricorribili in Cassazione e dovranno essere motivate, così come tutti i provvedimenti da lui emanati; potrà peraltro sollevare questioni incidentali di legittimità costituzionale e eventuali conflitti di attribuzione tra i poteri.

Non riuscendo quindi a trovare una definizione «essenzialistica» della nozione di giudice, la dottrina prevalente ha rinunciato a trovare una definizione ontologica e unitaria della stessa, cominciando a riconoscere il

77 E. Allorio, Nuove riflessioni critiche intorno a giurisdizione e giudicato, in Scritti in memoria di P.

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carattere giurisdizionale di un organo «limitatamente a determinati fini»78, come,

per esempio, ad ogni organo dotato del potere di sollevare la questione di costituzionalità.

In realtà quindi, a livello costituzionale, per riconoscere ad un organo natura giurisdizionale, non è necessario che la sua attività comporti tutte le conseguenze giuridiche sopra richiamate, ma secondo la stessa Costituzione dovrebbe ritenersi indefettibile la legittimazione a sollevare questione incidentale di costituzionalità, cioè il potere di svincolarsi dalla legge invalida – in mancanza della quale non è possibile riconoscere a nessun altro effetto la qualità di giudice–, e la legittimazione a pronunciarsi su posizioni giuridiche soggettive lese, in conformità con gli artt. 24, comma 1, Cost. e 113 Cost.

Date queste corpose premesse, possiamo ora analizzare i principi e le caratteristiche principali che riguardano la figura del giudice.

3.3. I principi sull’organizzazione giudiziaria

Cominciando dall’aspetto prettamente organizzativo degli organi giudiziari, gli artt. 24 e 25, anche se non contengono «principi attinenti

propriamente alla materia in oggetto»79, prevedono per il legislatore l’obbligo

specifico di garantire una stabile struttura giurisdizionale.

In particolare, abbiamo già visto che il comma 1 dell’art. 24, definendo il diritto di azione, impone al giudice il dovere inviolabile di tutelare tutte le situazioni giuridiche soggettive, cioè di assicurare quindi una tutela giurisdizionale ad hoc.

Il comma 1 dell’art. 25 invece, disponendo che «nessuno può essere distolto

dal giudice naturale precostituito per legge», secondo la dottrina maggioritaria80,

78 F.Pizzetti, Corte dei conti fra Corte costituzionale e Parlamento, GiC, 1976, p.2042 ss.;

G.Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, p.179 ss.

79 G.Impignatello, voce Giudice (ordinamento del), in Digesto on-line, Leggi d’Italia, anno di

pubblicazione 1993.

80 A.Pizzorusso, Sul significato dell'espressione «giudice» nell'art. 25, comma 1, della Costituzione,

GiC,1970, p.1067 ss.; Id., Il principio del giudice naturale nel suo aspetto di norma sostanziale, RTPC, 1974, p.1 ss.; Id., voce Giudice naturale, in Enc. giur., XV, Roma, 1989, 3; R.Romboli, Il giudice

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