• Non ci sono risultati.

Capitolo 3 PER UN CASO CONCRETO: L’OBICE DA 380 mm SULL’ERMADA Premessa

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 3 PER UN CASO CONCRETO: L’OBICE DA 380 mm SULL’ERMADA Premessa"

Copied!
67
0
0

Testo completo

(1)

67

Capitolo 3

PER UN CASO CONCRETO: L’OBICE DA 380 mm SULL’ERMADA

Premessa

Lo scopo di questo lavoro è offrire spunti di riflessione, sì teorica, ma innanzitutto operativa, concreta, praticabile, sull’archeologia dei conflitti e più in particolare sull’archeologia dedicata alla Prima Guerra Mondiale. Dopo aver gettato un rapido sguardo sul panorama generale di questa disciplina, l’attenzione è stata rivolta agli studi di contesti della Grande Guerra: l’esperienza estera è decisamente più avanti e offre molti spunti alcuni dei quali, come già detto, hanno trovato terreno fertile anche qui in Italia; altri attendono ancora e magari nuove generazioni di studiosi potranno farli propri e portare avanti la ricerca su un ambito, quello del comprendere l’uomo e le sue scelte nella complessità del dinamismo storico, che non si esaurirà mai.

In questa terza e ultima parte si vuole scendere ancora di più nel concreto. È bene chiarire subito che non si tratta di uno studio archeologico del tutto compiuto al pari di tanti altri citati in precedenza. Tenendo conto di mezzi e possibilità concrete a disposizione e del tipo di elaborato accademico, si propongono i risultati di uno studio a carattere squisitamente preliminare a cui potranno seguire – anzi sono auspicabili – ulteriori attività di ricerca di carattere più approfondito sulla scia di quanto accennato in precedenza. Vuole dunque essere una sorta di ricognizione su ciò che è fattibile e ancora da farsi in ottica archeologica nei confronti di un caso concreto, nei confronti di un sito della Grande Guerra, una postazione austro-ungarica alle pendici del monte Ermada a nord di Trieste. Una prima parte è dedicata propriamente al lavoro svolto e all’evidenza riscontrata, mentre con la seconda sono fornite alcune proposte di intervento che potrebbero essere prese in considerazione.

(2)

68

L’evidenza

Il contesto del monte Ermada

Il monte Ermada (anche chiamato Hermada e Grmada) è in realtà un massiccio costituito da una serie di basse cime collinari con quota massima di 323 m. s.l.m., orientato da sud-ovest a nord-est, situato a nord di Trieste nell’attuale comune di Duino-Aurisina; le pendici orientali attualmente sono in territorio sloveno. Il complesso, ben riconoscibile dall’antistante golfo di Panzano come anche dalla pianura monfalconese, forma un naturale sbarramento a difesa della città di Trieste. A nord-ovest dell’Ermada si apre la pianura friulana con le foci del fiume Timavo, la città portuale di Monfalcone e più a occidente il fiume Isonzo con Punta Sdobba che protende nel golfo di Trieste (cfr. figg.29 e 30).

La varie cime (circa una decina tra cui il monte Cocco e il “vero” monte Ermada) sono ben separate tra loro da solchi vallivi in cui spesso si possono trovare alcune doline: queste sono tipiche dell’ambiente carsico, di cui lo stesso monte Ermada fa parte, e si caratterizzano come delle depressioni imbutiformi subcircolari di varia ampiezza e profondità; la genesi di una dolina – per dissoluzione o per crollo – è dovuta alle caratteristiche litologiche del terreno (affioramenti di calcari più carsificabili e/o presenza di drenaggio ipogeo) e a fattori climatici, in particolare le precipitazioni. Il tipo più diffuso presenta fianchi poco inclinati, fondo ampio e piano formato da strati di “terra rossa”, suolo a matrice argillosa di colore rossastro; queste sono particolarmente adatte alla coltivazione.

Alle pendici di queste alture sono numerosi gli abitati di piccole dimensioni: da nord-ovest in senso antiorario ricordiamo Medeazza, S. Giovanni di Duino (o S. Giovanni al Timavo), Duino, Sistiana-Visoglaino, Malchina e Ceroglie (fig.31). Questi abitati hanno carattere rurale o legato all’ambiente marino, alcuni hanno radici almeno medievali; andando indietro nella storia ai piedi delle alture correva la via Gemina, strada romana che collegava Aquileia e Emona (l’attuale Lubiana); le alture dell’Ermada recano inoltre numerose tracce di insediamenti protostorici, i cosiddetti “castellieri”. Attualmente le alture sono “disturbate” esclusivamente dal percorso di un elettrodotto e un oleodotto in direzione nord-sud; la ferrovia e una strada a scorrimento veloce che assicurano il collegamenti a Trieste corrono tra il mare e le pendici occidentali del monte. La viabilità del massiccio è assicurata da carrarecce e sentieri; l’ambiente, caratterizzato oggi da vaste aree a bosco deciduo (la tipica

(3)

69

boscaglia carsica termofila denominata Ostrio-Querceto della roverella)262 che hanno preso il posto di vaste aree aperte coltivate o lasciate al pascolo come testimoniano i numerosi muretti a secco segna-confine, si presenta abbastanza poco antropizzato: è molto frequentato da cacciatori (il cinghiale è una specie molto diffusa) e qualche piccolo allevatore senza dimenticare escursionisti in mountain bike o a piedi con interesse di vario livello anche per la storia locale. Proprio in riferimento a questa categoria di frequentatori, da una decina d’anni si è sviluppato l’interesse per la promozione turistica locale: anche con la collaborazione di varie associazioni locali sono stati aperti sentieri con apposita segnaletica, si organizzano escursioni guidate, sul territorio sono sorte piccole strutture extralberghiere e ristorative, alcune delle quali ripropongono tradizioni locali, come l’osmiza263. Da segnalare i vari itinerari realizzati per la visita delle tracce della Grande Guerra presentati in varie pubblicazioni a tiratura locale264.

La Grande Guerra e il monte Ermada265

Per quello che riguarda il nostro argomento, la Grande Guerra, diamo ora uno sguardo alla situazione dell’Ermada durante il conflitto. Nel maggio 1915 il confine tra i territori asburgici e quelli italiani era molto distante e rimaneva circa quello del 1866, all’altezza del fiume Natisone (cfr. figg. 29 e 32); da entrambi i lati il confine era scarsamente presidiato da reparti non attrezzati per alcuna offensiva che ingaggiarono i primi scontri, poco più che scaramucce, dopo la dichiarazione di guerra. Se la parte italiana indugiò alquanto, sia per una certa disorganizzazione sia per una eccessiva cautela dello Stato Maggiore, e non si mosse in una rapida e mirata offensiva, la controparte austroungarica ebbe il tempo e l’accortezza di preparare una linea difensiva solida leggermente arretrata rispetto all’effettivo confine, su posizioni maggiormente difendibili. Le fortificazioni lungo la linea dell’Isonzo – che nel tratto finale del fiume comprendono anche il monte Ermada – rientrano in questa visione strategica del generale Boroevic: attendendo che il nemico faccia la prima mossa, si

262

Gherbaz 2003, p. 35.

263 Il termine, derivato dallo sloveno “osem” (otto), indica la possibilità data ai contadini di aprire per otto giorni un’attività commerciale e vendere i propri prodotti: l’attività si svolge nelle aie o nelle cantine appositamente attrezzate ed è segnalata da una frasca verde appesa sulla strada; i prezzi e la qualità dei prodotti offerti variano di caso in caso, andando da locali rustici a pregiate sale ormai quasi ristoranti.

264 Per esempio Gherbaz 2003 (un approccio più tecnico) o Todero 2002 (di carattere più divulgativo). 265 Per riferimenti bibliografici: Pieri 1968, pp. 75-160; Pieri 1986, pp. 133-151, 198-213.

(4)

70

allestisce un solida linea fortificata arretrata con la quale arrestare qualunque offensiva, trasformando la guerra al più in una guerra di posizione e difendendo ad ogni costo il territorio imperiale. L’esercito austro-ungarico si era attestato sul cosiddetto “primo ciglione” carsico, su posizioni elevate e facilmente difendibili: la guerra per gli italiani si combatté in salita.

Sul fronte del Carso (per l’Italia denominato settore del Basso Isonzo, per l’Austria - Ungheria diviso nei settori IV e III) i preparativi durarono circa un mese dalla dichiarazione di guerra cui seguì una serie di undici scontri ricordati da ambo le parti come le “Undici battaglie dell’Isonzo”: queste costarono all’Italia trecentomila caduti e oltre due milioni tra prigionieri e invalidi e all’impero asburgico duecentocinquanta mila morti e un milione di feriti e prigionieri. Se la strategia degli eserciti imperiali era sostanzialmente difensiva, l’Italia passò all’offensiva con lo scopo di prendere Gorizia e Tolmino; Trieste, porto dell’impero, rimase un obbiettivo interessante ma non primario. Le scelte tattiche italiane si dimostrarono da subito poco accorte e in seguito del tutto insensate: seguendo ciò che ormai era la vecchia scuola, i generali ordinavano folli cariche frontali contro un nemico, numericamente inferiore certo, ma in posizioni abbondantemente vantaggiose e riparate. Durante il 1916 l’esercito italiano tentò di impegnare il nemico più a fondo per alleggerire la pressione tedesca sugli alleati franco-britannici: il risultato fu abbastanza scarso, tanto più che l’esercito austro-ungarico prese l’iniziativa con la Strafexpedition nell’attuale Trentino. Sull’onda del successo di questa spedizione, il comando asburgico organizzò quella che divenne poi la sesta battaglia dell’Isonzo, nella quale però l’Italia raggiunse e prese Gorizia e il monte san Michele (per la riconquista di questo gli austriaci lanciarono un attacco con gas, ma si risolse in un nulla di fatto). Per la parte italiana, guidata dal generale Cadorna, si trattò ora di estendere i vantaggi territoriali e offrire un po’ di respiro a Gorizia, ma si risolse tutto in sanguinosi scontri senza risultato. L’anno successivo nuovamente gli alleati chiesero un altro ciclo di offensive atte a distrarre parte delle forze austro-tedesche dal fronte occidentale: Cadorna, con un uno spiegamento notevole di mezzi e uomini, lanciò la decima battaglia dell’Isonzo; gli austriaci, nella lunga pausa invernale, avevano però avuto il tempo di rafforzare le difese in profondità e disponevano di artiglieria nuova e ben rifornita. L’obbiettivo era l’occupazione della selva di Tarnova raggiunta attraverso la Bainsizza, contando su un poderoso diversivo sull’altipiano carsico, nell’area del monte Ermada (fig.33). Questo era stato pesantemente fortificato dagli

(5)

71

austro-ungarici e rimase in mano asburgica fino alla fine del conflitto nonostante i numerosi e sanguinosissimi tentativi italiani di conquista: il monte si trasformò in una fortezza inespugnabile – forse la migliore di tutta la linea del’Isonzo – che bloccava la via per Trieste e a nulla valsero i tentativi di aggiramento da nord come anche le artiglierie navali italiane installate appositamente a punta Sdobba che bersagliarono il monte senza tregua. Con la sorpresa tattica di Flondar, nel giugno 1917 gli austroungarici condussero un’azione di alleggerimento sul basso Isonzo e recuperarono le pur magre conquiste italiane. Le gravi perdite subite e gli scarsi successi raggiunti dall’esercito italiano diedero poi l’opportunità ai generali asburgici di creare un’offensiva di modeste forze nell’alto Isonzo, azione che si trasformò inaspettatamente, per svariate cause, in quello che la memoria agiografica italiana ricorda come la tragedia di Caporetto. A fine 1917 il fronte era ben distante dall’Ermada.

I reparti interessati negli scontri per l’Ermada furono il VII e XXIII Corpo d’armata austro-ungarici (con sei divisioni e due di riserva) da un lato, dall’altro undici divisioni della III Armata Italiana.

Il paesaggio bellico dell’Ermada

Il paesaggio visibile durante la Grande Guerra sul monte Ermada doveva essere alquanto differente da quanto oggi abbiamo sotto gli occhi ed è possibile ricostruirlo principalmente grazie alla documentazione fotografica. Innanzitutto possiamo notare, anche nella memorialistica di guerra, che viene indicato come parte del complesso dell’Ermada un territorio molto più ampio di quello attuale che sostanzialmente comprende solo le alture vere e proprie: il ponte ferroviario all’altezza dell’attuale casello autostradale al km 515 della A4/E70 Torino-Trieste era indicato come ponte dell’Ermada266. La rete ferroviaria esisteva già da metà ottocento e seguiva il medesimo percorso di quella attuale: i terrapieni e i viadotti furono sfruttati come ostacoli “naturali” durante i combattimenti e anche riadattati, la linea ferroviaria diventò – e rimane – un utile punto di riferimento per l’interpretazione delle fotografie aeree e terrestri (cfr. figg. 34 e 35).

(6)

72

A livello di copertura vegetale il panorama era decisamente diverso: pur esistendo isole di vegetazione più folta, la maggior parte del territorio era caratterizzato da scarsa vegetazione, per lo più arbustiva anche a causa della vasta diffusione del pascolo267. Considerando la scarsità d’acqua e il clima poco mite (anche se già decisamente migliore di altre aree del Carso), il terreno dell’Ermada non era dei più agevoli per una guerra di posizione così come si svolgeva su altri fronti (fig.36). Il terreno, tipicamente roccioso, amplificava il cosiddetto “effetto scheggia” prodotto dalle granate, proiettando in aria ulteriori frammenti, pietrosi, ed aumentando la pericolosità degli ordigni268.

I ripari naturali offerti ai combattenti però non mancavano: doline e creste vennero subito sfruttate al meglio, ma soprattutto vennero utilizzate abbondantemente le cavità naturali tipiche del posto. Queste furono immediatamente riadattate dai reparti del genio dell’esercito asburgico: nelle più grandi furono realizzate opere in muratura, calcestruzzo e legno capaci di proteggere da esplosioni e schegge e ospitare facilmente centri di comando, magazzini, dormitori e posti di soccorso, ne è un esempio la Grotta Zita. Sono numerosissime le cavità più piccole, in genere artificiali in buona parte del loro percorso: si tratta delle cosiddette “tane di volpe” (vedi figg. 37 e 38). Si presentano come gallerie scavate nella roccia viva (altezza circa 2 m, larghezza 1,50 m, lunghezza in media 15 – 20 m) attraverso sistemi di scavo di tipo minerario, terminanti sul fondo con uno slargo; sono possibili alcune deviazioni interne e anche alcuni pozzi verticali verso l’esterno usati per posizionare riflettori. L’ingresso è rivolto sempre a sud-est, a protezione dal fuoco italiano; eventuali muri paraschegge offrivano maggiore sicurezza contro le granate, mentre contro eventuali attacchi col gas si sigillava l’entrata della caverna (in genere già protetta da stipiti in metallo o in muratura e calcestruzzo) con un telo catramato o imbevuto di acqua. Gradini in legno o scavati nella roccia facilitavano la discesa, il fondo della caverna era coperto di tavole lignee al di sotto delle quali sono stati ritrovati spesso frammenti di bottiglie e altri oggetti tipici della vita di trincea269. Non si tratta di cavità utilizzate per la vita quotidiana come in altri punti del fronte, bensì di rifugi momentanei durante i bombardamenti d’artiglieria: mancano sistemi di areazione, di illuminazione (probabilmente si improvvisavano lumini a petrolio o candele) e di possibilità di alloggio duraturo; durante il martellante fuoco delle artiglierie italiane

267 Gherbaz 2003, pp.35-44. 268 Mantini 2010, p. 39. 269 Gherbaz 2003, p. 12.

(7)

73

vi poteva trovare riparo un plotone intero. Bisogna segnalare anche la rifunzionalizzazione delle gallerie ferroviarie, ottimi ripari per un buon numero di soldati.

Le strutture in elevato erano del tutto inadatte soprattutto sul pendio nord-ovest dell’altura, rivolto cioè verso il nemico italiano: le trincee e i ripari erano interamente scavati nella roccia salvo l’aggiunta di parapetti di minima altezza in pietra o cemento con feritoie. La copertura generalmente era in legno, terra e pietre; in alcuni casi l’intera struttura era in calcestruzzo, compresa la copertura. Il sistema di difesa si articolava in tre ordini di trinceramenti, partendo dalla base dell’Ermada fino alle cime dove spesso c’erano ottimi posti di osservazione; furono costruite delle linee di sbarramento che raccordavano trasversalmente le linee dei vari sistemi e formavano compartimenti stagni in caso di sfondamento270.

Il lato sud-orientale, quello rivolto verso la città di Trieste, dunque le prime retrovie, presentava una situazione leggermente diversa: pullulava di acquartieramenti provvisori, di tane di volpe, ogni genere di riparo e anche complessi di più strutture articolate. Erano presenti sentieri di collegamento con i livelli più elevati dei trinceramenti e altri collegamenti verso le retrovie distanti dal fronte. Vennero sfruttate soprattutto le doline e le valli tra le varie cime del monte, al declivio si addossarono strutture in elevato piuttosto basse, costruite spesso con materiale reperito in loco: si usarono legno e lamiere su cui accumulare pietrame e terra, pietra, non sbozzata, con muretti a secco o con legante (malta rosata a causa del materiale locale usato) (cfr. da fig.39 a fig.41). Si riutilizzarono strutture preesistenti rifunzionalizzandole per servire meglio alla situazione di conflitto: l’esempio più noto è quello della località Casa Coisce, costituito dalle rovine di due strutture abitative pre-belliche a sud-est del monte Cocco riadattate, tramite rafforzamento delle strutture murarie e scavo di rifugi sotterranei, a locali utili a scopi bellici.

Altre strutture potevano presentare degli elevati anche più imponenti, come per esempio muri di sostegno per terrapieni. Altrove si utilizzò anche il cemento armato che si caratterizza per un colore rosato del legante e per il materiale inerte a frammenti e schegge con facce irregolari (contrariamente a quello italiano che presenta invece come inerte ghiaia). Nei periodi di relativa tranquillità del fronte, quando cioè le truppe stanziate avevano principalmente un ruolo di presidio e il

(8)

74

nemico era distante dall’Ermada, sorsero numerosi ripari e strutture provvisorie costituite di materiali più leggeri come frasche e legname reperiti in loco (al’inizio del conflitto, dopo i primi scontri era impensabile) e tende come si può notare in fotografie d’epoca (fig.42); inoltre c’era la possibilità di dare degna sepoltura ai caduti in cimiteri militari provvisori, caratterizzati da un recinto e croci lignee ad indicare la sepoltura secondo i regolamenti dell’esercito271. A fine confitto molti caduti vennero riesumati e tumulati presso cimiteri di guerra più grandi e monumentalizzati ad opera di appositi reparti; alcuni cimiteri provvisori come anche alcune sepolture singole sono invece stati obliati dalla memoria.

Con l’accanirsi degli scontri le alture subirono i primi effetti delle guerra moderna ed è per noi difficile riuscire a visualizzarli (le figg. 41, 43, 44 e 45 forse possono aiutare): di fronte al verde e tranquillo Ermada di oggi non ci passa per la mente un monte sconvolto dalle esplosioni e dagli incendi della poca vegetazione superstite, con potenti riflettori che solcano nella notte una terra desolata in cerca di bersagli. Le cavità in cui erano rintanati gli uomini si sarebbero trasformate in trappole senza scampo qualora un proiettile avesse fatto saltare l’ingresso o, peggio ancora, fatto crollare il soffitto; lo stesso accadeva per i ripari in elevato o nelle doline: in quelle di piccole dimensioni, un paio di granate o proiettili shrapnel potevano annientare ogni forma di vita. Durante la bella stagione i problemi che si aggiungevano ai bombardamenti italiani erano il caldo e la mancanza di acqua, nella stagione fredda il lato nord-orientale era esposto al vento di bora272.

Il sito

Il sito preso in esame per questo lavoro è stato individuato sul lato sud-orientale dell’Ermada, a ovest dell’abitato di Ceroglie all’Ermada, a sud-ovest dell’altura indicata come “castelliere”. L’accesso è garantito a piedi o con mezzi adeguati e autorizzati273, tramite una carrareccia che dalle ultime case dell’abitato sale verso la cima dell’Ermada: il terreno è parte di una proprietà privata anche se non è al momento utilizzato né sono presenti recinzioni di alcun tipo. Non distante è presente un appostamento da caccia con un piccolo bacino d’acqua. L’area è poco frequentata:

271 Per un accenno si veda Todero 2002, pp. 115-118. 272 Gherbaz 2003, p. 39.

(9)

75

per lo più cacciatori ed escursionisti a piedi o sulle due ruote. L’ambiente è quello tipico del posto di cui abbiamo già parlato: la visibilità del sito attraverso fotografie aeree risulta pressoché nulla a causa della copertura vegetale

una certa difficoltà nel riconoscere resti di strutture più minuti, del tutto nascosti alla vista da un rigoglioso sottobosco che risulta poco curato; inoltre la crescita arborea non controllata ha intaccato l’integrità di molte str

attivi; anche la fotografia al suolo ha bisogno di luce e ombra causati dalle chiome degli alberi.

Figura I Carta della dislocazione del sito

Figura II Carta generale del sito

274 Questo vale anche su immagini non recenti, quali quelle del volo GAI 1953

r lo più cacciatori ed escursionisti a piedi o sulle due ruote. L’ambiente è quello tipico del posto di cui abbiamo già parlato: la visibilità del sito attraverso fotografie risulta pressoché nulla a causa della copertura vegetale274; al suolo si riscontra una certa difficoltà nel riconoscere resti di strutture più minuti, del tutto nascosti alla vista da un rigoglioso sottobosco che risulta poco curato; inoltre la crescita arborea non controllata ha intaccato l’integrità di molte strutture provocando crolli ancora attivi; anche la fotografia al suolo ha bisogno di maggior cura a causa dei giochi di luce e ombra causati dalle chiome degli alberi.

Carta della dislocazione del sito

Carta generale del sito

he su immagini non recenti, quali quelle del volo GAI 1953-1954.

r lo più cacciatori ed escursionisti a piedi o sulle due ruote. L’ambiente è quello tipico del posto di cui abbiamo già parlato: la visibilità del sito attraverso fotografie ; al suolo si riscontra una certa difficoltà nel riconoscere resti di strutture più minuti, del tutto nascosti alla vista da un rigoglioso sottobosco che risulta poco curato; inoltre la crescita arborea utture provocando crolli ancora cura a causa dei giochi di

(10)

76

Si tratta di un’area di circa 2 ettari di terreno in cui si distribuiscono svariate installazioni e costruzioni di diverso tipo ma verosimilmente riferibili comunque a una comune realtà, riguardante la linea del fronte presente sull’Ermada. L’area presa in esame è divisa in due settori dalla via d’accesso al sito che poi prosegue verso le cime dell’Ermada: questa strada è di certo stata risistemata intorno agli anni sessanta e lo testimonia la data impressa sul cemento di una canalina del selciato; non è da escludere però che la carrareccia sia stata più volte rimaneggiata ma che in sostanza il percorso fosse esistente già all’epoca del primo conflitto: infatti alcune strutture chiaramente riferibili al fenomeno bellico sono disposte tenendo conto della presenza della strada.

Sul lato nord-est il sito si caratterizza come un’area con copertura vegetale cospicua ad eccezione di un piccolo campo del tutto scoperto ma incolto; il terreno è abbastanza pianeggiante e si notano alcune strutture in muratura con legante, tutte in stato di crollo; una di queste è degna di nota: il muro superstite in alzato (da 1 a 2 m di altezza) si caratterizza per la presenza di due incisioni su malta fresca della data “1917” (fig.46) e per l’orientamento della costruzione che rispetta l’andamento della strada.

Allontanandosi dalla carrareccia, sempre in direzione nord-est, è presente una profonda dolina (quota 157,4 m s.l.m.) ai piedi dell’altura del castelliere: troviamo qui numerose strutture in alzato con almeno un lato addossato ai fianchi della depressione, si presentano tutte parzialmente crollate in genere verso l’interno; il materiale da costruzione è la pietra locale appena sbozzata con legante, intonaco interno e cemento; lo spessore delle pareti è notevole (non inferiore ai 40 cm) e davanti a ogni ingresso è sistemato un muro paraschegge. Si intravede quella che doveva essere la strada di accesso al fondo della dolina. È presente anche un’apertura di una cavità naturale, forse un pozzo, che sembra essere coevo delle strutture occupanti la dolina. A una prima ricognizione risulta complesso riuscire a farsi un’idea precisa della disposizione e della quantità delle strutture in questa parte del sito anche a causa dell’abbondanza di vegetazione.

A sud-ovest della carrareccia troviamo una situazione non dissimile: il terreno pianeggiante coperto di abbondante vegetazione preclude una comprensione immediata della presenza e dell’entità delle strutture. Siamo di fronte a meno strutture sparse e, sostanzialmente, a due aree edificate: procedendo dalla strada in

(11)

77

direzione ovest, si incontra un edificio (denominato per comodità “edificio B”) i cui muri perimetrali sono ancora discretamente ben leggibili nonostante la presenza di molti crolli.

Figura III Planimetria generale edificio B

L’edificio (fig.47) è a pianta grosso modo rettangolare, infatti i lati lunghi, orientati est-ovest, non sono rettilinei ma presentano a metà un’angolatura di circa 15° verso sud. È costituito da tre soli muri, mentre il lato corto a est è lasciato aperto: il alto lungo meridionale è un muro in pietra e legante con spessore di circa 1 m, è “spezzato” in due tronconi da un piccolo crollo; il primo misura in lunghezza tra i 6 e 6,5 m, il secondo circa 6,9 m e si presenta parzialmente costruito direttamente sulla roccia viva affiorante. Il lato corto occidentale è costituito in parte da roccia affiorante appositamente scavata, in parte da un muro in pietra e legante che sostiene

(12)

78

il terrapieno retrostante: l’altezza qui raggiunge i 2-3 m. Il lato lungo a nord si presenta diviso in due tronconi da un accesso all’edificio: il primo tratto, occidentale, senza soluzione di continuità con il lato corto è simile a questo; presenta un grande crollo verso l’interno che ha invaso del tutto il fondo dell’edificio; il terrapieno, esternamente, si presenta come una lieve scarpata con un muro di sostegno in pietra e legante. L’ingresso all’edificio, che taglia il lato nord e permette di misurare lo spessore del muro (circa 4,5 m), si presenta come un’apertura di 1,8 m sulla parete esterna che va restringendosi progressivamente fino all’apertura sulla parete interna che misura 1,4 m: il lato ovest dell’ingresso, pur crollato in parte a causa di radici, è costituito da un muro in pietra e legante; il lato opposto, integro, invece è in cemento armato. Su questo si possono notare gli alloggiamenti per 5 piccole travi che costituivano la copertura appoggiandosi sul lato opposto (fig. 48). L’altro troncone del lato settentrionale è costituito, come detto, di questa parte d’ingresso in cemento e di un muro in pietre e legante di contenimento di terrapieno: la parete interna è completamente crollata ostruendo il lato est dell’edificio che non presenta alcun muro ed era probabilmente lasciato aperto. Lo spazio interno individuato dai muri è largo circa 3,15 m e lungo non più di 14 m. Dall’ingresso parte chiaramente una piccola massicciata che, allargandosi fino a circa 5,5 m, conduce alla poco profonda dolina a ovest dell’edificio B dove si incontra il complesso principale del sito.

(13)

79

Figura IV Planimetria del complesso principale

A1 A

USM 7

(14)

80

Figura V Complesso principale, sezione

Esso (una vista generale a fig.49) è costituito da un terreno piano circondato in parte da un possente terrapieno che si appoggia esternamente al margine ovest della dolina. La dolina nella parte nord-est presenta un area libera da bosco e, a parte una probabile piccola cava di materiale, non presenta evidenti segni di occupazione o strutture; la massicciata sembra scomparire giusto all’inizio dell’area del complesso principale (fig.50), all’altezza del muro denominato “paraserventi” (USM 7). A sud della ipotetica strada troviamo una struttura denominata “riservette” (figg.50 e 51), composta di muri spessi circa 1 m in pietra e legante che individuano due ambienti di piccole dimensioni (1,8 x 2,1 m) e i relativi muri paraschegge davanti agli ingressi rivolti verso il centro della dolina; le pareti risultano conservate per circa 2 m della loro altezza, manca ogni segno di eventuale copertura, probabilmente crollata. Il lato occidentale di questa struttura è legato al poderoso terrapieno e si presenta crollato tanto da ostruire parzialmente il secondo ambiente e parte dell’accesso a questo. Il terrapieno è retto da un muro in pietra e legante, costruito in maniera attenta, che raggiunge i 3 m di altezza: nonostante le mura sono numerosi i crolli dovuti alla crescita della vegetazione e al deflusso d’acqua, che vengono a formare grandi coni detritici. Il perimetro interno non è regolare ma presenta ispessimenti murari, barbacani e alcune anse e rientranze che sono parte integrante dell’intento costruttivo; in particolare a nord-ovest si individua uno spazio semicircolare in cui sono inseriti due bassi muri paralleli appoggiati alla parete interna del terrapieno (dunque costruiti in seconda istanza rispetto ad esso): questi misurano ciascuno 2,9 m di lunghezza, 1 m di spessore e sono conservati in altezza per circa 1,8 m; individuano uno spazio largo 2,6 m. Il muro “paraserventi”275 (USM 7), 1 m di spessore, lungo circa 9 m e alto 2 m, si stende in direzione nord-ovest sud-est e si appoggia al muro di sostegno

275 La denominazione, puramente arbitraria, viene usata per comodità.

A1 A

(15)

81

del terrapieno: la tecnica costruttiva è la medesima delle altre opere in muratura ma con un uso leggermente più ampio di malta; a metà del muro, parete meridionale, la crescita di un paio di alberi ha causato il parziale crollo ed accumulo di detriti. In due punti ulteriori la parete risulta crollata in maniera singolare: si tratta di due fori risultanti dal crollo in corrispondenza di due leggere depressioni rettilinee perpendicolari al muro che sembrano attraversarlo (salvo poi perdersi del tutto sul lato esterno poco distanti dal muro) e ricordano immediatamente canaline di scolo o drenaggio.

L’area che più attira l’attenzione è quella compresa tra il muro “paraserventi” e il terrapieno, circa 3 m a sud-est dell’area semicircolare con i due muri paralleli e circa 6,5 m dal muro sopracitato: qui si situa una fossa di notevoli dimensioni che risulterà utile a comprendere l’intero sito. Si tratta di una fossa quadrangolare, profonda circa 1,2 m delimitata su tre lati da un muro a secco di buona fattura coronato da un sottile strato di cemento. La fossa, chiaramente opera dal lavoro umano, può avere ragionevolmente origini in parte naturali dato che siamo nel punto più basso della dolina in cui è posizionato il complesso. Le dimensioni non sono semplici da calcolare a causa di numerosi crolli e della mancanza totale del lato nord-est: la distanza tra i lati nord-ovest e sud-est è di circa 6,5 m; tra sud-ovest e nord-est, approssimando la posizione di quest’ultimo, è di circa 5,8 m, mentre fino alla base del declivio/crollo sono circa 5,2 m. Un grande cono detritico, originato dal terrapieno, occupa l’angolo meridionale estendendosi a gran parte della fossa; un altro crollo non trascurabile riguarda l’angolo ovest e tutto il lato nord-ovest. È questa fossa, insieme all’imponente opera di difesa che le è costruita intorno che ha permesso, come vedremo in seguito, di proporre l’identificazione del sito come postazione di artiglieria pesante austro-ungarica e, in particolare, dell’obice da 380 mm. Perciò l’attenzione si è rivolta esclusivamente sul complesso principale dell’intero sito.

Operazioni svolte sul sito

L’individuazione del sito è avvenuta grazie all’interessamento, al consiglio e alla partecipazione di alcune persone coinvolte nell’approfondimento della storia locale e nella cura del territorio, contattate per conoscenza tramite l’architetto M. Anselmi della Sovrintendenza e il prof. G. Boschian: il sign. R. Todero è impegnato, con

(16)

82

l’associazione culturale Zenobi276, ad approfondire e valorizzare alcuni temi legati al primo conflitto mondiale, con particolare rifermento all’esercito austro-ungarico e agli scontri avvenuti sull’Isonzo; anche il sig. F. Fabec si interessa di storia locale, in particolare dei resti della Grande Guerra, e di promozione delle ricchezze del territorio. Entrambi uniscono alla passione coltivata con cura da tempo una buona conoscenza del territorio e della cultura materiale del conflitto ottenuta con numerose e attente escursioni. È proprio grazie a questa “esplorazione” che il sito era già loro noto: pur facendo parte della linea del fronte presente sull’Ermada e pur essendo di non trascurabile grandezza, il sito è tagliato fuori dai percorsi classici che prediligono le alture e i pendii nord-occidentali; gli stessi proprietari del terreno ne avevano scarsa consapevolezza.

Una prima ricognizione per localizzare e avere un’idea del sito è stata operata in luglio dall’arch. Anselmi guidato dal sig. Todero; in seguito sono stati contattati i proprietari per valutare la possibilità di un qualche intervento, per il momento poco invasivo: l’esito è stato positivo ed è stata prodotta formale autorizzazione. Per quello che riguarda invece autorizzazioni da parte delle autorità competenti la situazione è complessa: tecnicamente il sito rientra in una porzione di territorio fortemente regolamentato277 per quello che riguarda ogni attività, in particolare il movimento terra, che possa influenzare l’integrità ambientale (fig.52); il controllo è affidato al Corpo Forestale Regionale. Inoltre ogni attività di scavo archeologico, in linea teorica, è di competenza della Soprintendenza per i Beni Archeologici; rientra invece nella sfera di competenza della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici e della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici il periodo sotto esame, la Grande Guerra: è evidente il vuoto legislativo e di competenze. A tutto questo si aggiungano i tempi burocratici di autorizzazione. Concretamente si è operato negli ultimi dieci giorni del mese di agosto 2012: il clima caldo e l’assenza prolungata di precipitazioni avevano reso tutta l’area boschiva del monte pericolosamente esposta agli incendi, avvenuti dolosi nell’area adiacente la ferrovia che corre a sud dell’Ermada; solamente l’ultimo giorno di lavoro è stato interessato da un violento temporale estivo.

276 Rimando per eventuali approfondimenti circa l’attività dell’associazione al sito

www.zenobionline.com.

277 In particolare si tratta di un territorio sottoposto a vincolo idrogeologico e parte di un Sito di Interesse Comunitario, SIC (si fa riferimento alla direttiva comunitaria 92/43/CEE). Segnaliamo a riguardo il WebGis all’indirizzo http://natura2000.eaa.europa.eu.

(17)

83

Oltre all’autore e al prof. Boschian, relatore del presente del lavoro, hanno partecipato a parte dei lavori la dott.ssa C. Gerometta, dottoranda in Geoarcheologia dell’Università di Zagabria e collaboratrice del Dipartimento Civiltà e Forme del Sapere dell’ateneo pisano, il sig. L. Rupini, pensionato e volontario dell’associazione “Gruppo Speleologico S. Giusto”, il sig. F. Sganga, della medesima associazione e il dott. F. Bernardini di formazione archeologica, ricercatore presso il Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste; in ogni caso la forza lavoro per giornata non ha superato le quattro unità. La giornata tipo può essere così riassunta: alloggiati in Trieste, in automobile si raggiungevano le ultime abitazioni del paese di Ceroglie, si procedeva a piedi sulla carrareccia fino al complesso principale del sito; il lavoro, con pausa per pranzo al sacco, procedeva fin verso il tardo pomeriggio; rientrati avveniva la sistemazione delle fotografie e della documentazione di scavo; parallelamente si cercavano informazioni di carattere storico riguardanti il fronte sull’Ermada. I pochi strumenti di scavo più ingombranti erano lasciati sul posto, accuratamente riposti in modo da non attirare eventuali curiosi.

Innanzitutto è stata effettuata una ricognizione del sito volta a rendersi conto della entità dei resti e per l’individuazione di possibili limiti del sito: è durante questa ricognizione che sono state recuperate alcune schegge di granate, affioranti ma poco diagnostiche, che però costituiscono gli unici materiali ritrovati (fig.53). Attraverso un tracciato GPS si è poi riportato sulla carta il perimetro del sito. Tenendo conto della quantità di manodopera, di mezzi e di tempo a disposizione, si è valutato il da farsi optando per aprire non più di sei saggi di piccole dimensioni nel complesso principale dell’area a sud-ovest della carrareccia. I saggi, che già si ipotizzavano di scarsa profondità, si concentrano in alcune parti più singolari del complesso per valutare e iniziare a rispondere a interrogativi che la preliminare ricognizione aveva posto; il materiale di risulta dallo scavo è stato utilizzato, dopo la documentazione, per chiudere il saggio. La scarsa profondità prima dello strato vergine e lo scarso intervallo di tempo di vita del terreno comportano una sequenza sottile spesso difficile da leggere salvo nei suoi tratti più sviluppati.

(18)

84

Figura VI Complesso principale con posizioni dei saggi

saggio 2

saggio 1

saggio 6

(19)

85

(20)

86 Saggio 1

Figura VIII Saggio 1, fotografia raddrizzata

Figura IX Saggio 1, profilo N

1 3 6 5 7 10 cm 5 buca 7

(21)

87

Figura X Saggio 1, profilo W

Figura XI Saggio 1, profilo S

1 4 5 6 7 10 cm muro fossa 1 2 5 6 7 10 cm

(22)

88

Figura XII Saggio 1, profilo E

Il saggio è situato all’interno della fossa quadrangolare del complesso principale, circa a metà lungo il lato nord-ovest della fossa. Dimensioni: 1 x 2 m. Profondità: circa 30 cm. Scopo: valutare la tecnica costruttiva del muro nord-ovest, la profondità effettiva della fossa e gli strati di accumulo. La dislocazione è stata scelta anche per la minore presenza di detriti e di vegetazione, così da facilitare i lavori.

- USM 1: muro nord-occidentale della fossa. Gli si appoggiano US 1; US 2; US 3. Copre US 5.

- US 1: strato composto di materiale in larga parte organico di origine vegetale più o meno decomposto, con rara frazione minerale franco-limosa ad aggregazione granulare grossolana molto ben sviluppata. È scarsissimo lo scheletro, composto di pietrame calcareo medio-fine con scarse tracce di dissoluzione; più ancora raro è il cemento, in genere alterato. Il limite superiore è il piano di campagna, il limite inferiore è irregolare e suborizzontale. Spessore massimo 15 cm.

Copre US 2; US 3; US 4. Si appoggia a USM 1.

- US 2: strato di pietrame grossolano, non classato e angoloso, presenta una matrice franco-limosa, di colore bruno scuro, ad aggregazione granulare grossolana molto ben sviluppata; la struttura è clasto-sostenuta o, più frequentemente, openwork. È parte di un cono detritico in lieve pendenza, proveniente dall’angolo ovest della fossa. Il limite è debolmente inclinato. Spessore tra 0 e 20 cm.

È coperto da US 1; US 4. Copre US 5; US 6; US 7. Si appoggia a USM 1.

10 cm

(23)

89

- US 3: strato di pietrame grossolano, non classato e angoloso, presenta una matrice franco-limosa, di colore bruno scura, ad aggregazione granulare grossolana molto ben sviluppata; la struttura è clasto-sostenuta o, più frequentemente, openwork. Il materiale qui accumulato proviene dal dilavamento della parete nord-est della fossa. Limite debolmente inclinato e irregolare. Spessore tra 0 e 20 cm.

È coperto da US 1; US 4. Copre US 5; US 6; US 7.

- US 4: strato a matrice franco-limosa, di colore bruno scuro, ad aggregazione granulare grossolana molto ben sviluppata. Sono presenti numerosi frammenti di cemento armato. Il limite è piano e suborizzontale. Spessore tra 0 e 10 cm.

È coperto da US 1. Copre US 2; US 3; US 5.

- US 5: piastra in calcestruzzo. Si situa al di sotto del muro USM 1 da cui sporge per circa 30 cm; la faccia esterna si presenta in un primo tratto regolare e ad andamento divergente rispetto al filo del muro, con possibili tracce dell’impronta di legname utilizzato come cassaforma per la costruzione. Il limite superiore si presenta piano e regolare; lo spessore della piastra è di circa 15 cm.

È coperto da US 2; US 3; US 4; USM 1. Gli si appoggia US 6.

- US 6: strato costituito da pietrame grossolano, talora con elementi calcitici concrezionari, concentrato soprattutto sul lato ovest; la matrice si presenta franco-limosa bruno-rossastra, con abbondante sabbia derivante dal disfacimento del cemento che conferisce un colore grigiastro al sedimento. Lo spessore varia da 0 a 12 cm in diminuzione verso il centro della fossa.

È coperto da US 2; US 3. Copre US 7. Si appoggia a US 5.

- US 7: soletta in conglomerato cementizio il cui inerte è costituito da clasti calcarei di dimensioni dalle ghiaie fini alle medie; la superficie si presenta sommariamente livellata, verso l’angolo nord sono presenti una buca grossolanamente quadrata (circa 27 cm di lato) e una leggerissima impronta regolare parallela alla faccia regolare della piastra US 6. Non è stato indagato il limite inferiore dello strato.

È coperto da US 2; US 3; US 6.

Materiali rinvenuti: numerosi frammenti di medie dimensioni di cemento armato spesso con almeno una superficie piana (fig.54); alcuni frammenti di tondini metallici e un tondino metallico integro libero dal cemento (fig.55). Sono state riconosciute tre “tipologie” di cemento: a) grossolano, con inclusi di medie

(24)

90

dimensioni, gettato direttamente sul terreno, testimoniato nella soletta US 7 e in alcuni blocchi; b) più fine, testimoniato dal coronamento dei muri perimetrali della fossa e da alcuni frammenti, presenta almeno una superficie livellata; c) armato di tondini di ferro, testimoniato da alcuni frammenti.

(25)

91 Saggio 2

Figura XIII Saggio 2, fotografia raddrizzata

Figura XIV Saggio 2, profilo S

10 cm

8

9

(26)

92

Figura XV Saggio 2, profilo W

Il saggio è situato nell’area semicircolare a nord-ovest della fossa, nello spazio compreso tra i due muri paralleli, adiacente a quello di sud-ovest. Dimensioni: 1 x 1 m. Profondità: circa 40 cm . Scopo: valutare la tecnica costruttiva del muro adiacente e cercare di comprendere la funzione dello spazio individuato dai due muri. Come nel caso precedente, le ridotte quantità di detriti e di vegetazione facilitano il lavoro. - US 8: strato di terreno organico con scarsa frazione minerale; quest’ultima è più presente nell’angolo sud, dove si presenta come ghiaia fine; nella metà nord-ovest affiorano alcune pietre derivanti dall’accumulo di un basso cono detritico addossato alla muratura di fondo. Lo spessore non supera i 10 cm. Il limite superiore è il piano di campagna, il limite inferiore è irregolare.

Copre US 9; US 10.

- US 9: strato di pietrame non classato, calcare misto a frammenti di cemento più o meno alterati; gli elementi appiattiti sembrano essere preferibilmente orientati orizzontalmente. La matrice è bruna, franco-argillosa, ad aggregazione granulare grossolana ben sviluppata; sono presenti abbondanti radici. Il limite è netto, sub-orizzontale e irregolare. Lo spessore varia tra i 15 e i 20 cm.

È coperto da US 8. Copre US 10.

cm 10

8

(27)

93

- US 10: strato di pietrame grossolano non classato, debolmente arrotondato per dissoluzione; matrice bruno rossastra, franco-argillosa, con aggregazione granulare medio-bassa. I limiti non sono stati osservati.

È coperto da US 8; US 9.

Materiali rivenuti: nello strato US 8 sono stati rivenuti due chiodi (fig.56) e alcuni frammenti di filo di ferro (fig.57).

(28)

94 Saggio 3

Figura XVI Saggio 3

Figura XVII Saggio 3, sezione A-A1

angolo muro NE angolo fossa A1 A A A

(29)

95

Figura XVIII Saggio 3, visione assonometrica dell'angolo della fossa

Il saggio è situato in corrispondenza dell’angolo est della fossa, in parte all’interno di questa, in parte all’esterno. Dimensioni: inizialmente 1 x 1 m, poi allargato a circa 1 x 2 m. Profondità: esternamente circa 10 cm, nella fossa circa 30 cm. Scopo: individuare con precisione l’angolo est della fossa, chiarire la presenza di quello che sembra un canalino che ivi sfocia provenendo dal muro “paraserventi”; la parte del saggio posta all’interno della fossa ha la finalità di far luce sulla presenza di un muro nord-orientale e di verificare il fondo della fossa secondo quanto trovato nel saggio 1. La presenza di un corniolo a bordi esterni del saggio e le forti differenze di quota non rendono semplice il lavoro (fig.58).

- USM 2: muro nord-orientale della fossa. Si interrompe bruscamente a circa 25 cm dall’angolo ovest della fossa, formando un angolo molto netto che si suppone intenzionale e non dovuto a fenomeni di crollo.

Si lega a USM 3. È coperto da US 12. Gli si appoggia US 13; - USM 3: muro sud-orientale della fossa.

Si lega a USM 2. Gli si appoggia

angolo muro NE

13

15

(30)

96

- US 11: strato di materiale in larga parte organico di origine vegetale situato nella parte del saggio esterna alla fossa. Lo spessore è al massimo di 10 cm.

È uguale a US 12.

- US 12: strato di materiale organico con scarsa frazione minerale situato nella parte del saggio interna alla fossa. Si presenta come in forte pendenza verso il centro della fossa. Lo spessore varia tra 5 e 15 cm a seconda della possibilità di accumulo dovuta alla pendenza.

Copre US 13; US 16; USM 2. È uguale a US 11.

- US 13: strato a matrice franco-limosa ad aggregazione granulare media e di colore bruno-rossastro. Il limite è irregolare e coerente con la pendenza verso la fossa. È coperto da US 12. Copre US 14; US 15. Si appoggia a USM 2.

- US 14: piastra in calcestruzzo con faccia superiore piana. Si situa al di sotto dell’USM 2 e 3, si suppone proseguendo per pochi cm; occupa solamente la porzione meridionale del saggio. Non è possibile indagare il limite inferiore dunque stimarne lo spessore, ma si segnala l’estrema somiglianza con l’US 5 del saggio 1.

È coperto da US 13; US 15; US 16; USM 2; USM 3.

- US 15: strato con matrice franco-limosa, di colore bruno-rossastro, ad aggregazione granulare media. Occupa la parte nord-orientale del saggio e fa parte del dilavamento proveniente dal lato nord-orientale della fossa. Verso sud, in corrispondenza del contatto con la maglia del cono detritico US 16, sono presenti alcune pietre di dimensioni simili a quelle utilizzate in USM 2 e USM 3; a nord di US 14 invece, si trovano due grandi frammenti di cemento armato in stato di crollo, con relativo groviglio di tondini metallici, che proseguono oltre il saggio e impediscono l’indagine del limite inferiore dello strato.

È coperto da US 13. Copre US 14. Si lega a US 16.

- US 16: strato con matrice franco-limosa, di colore bruno-rossastro, ad aggregazione granulare media. Occupa la parte sud-est del saggio e fa parte di un piccolo cono detritico di materiale proveniente dall’USM 3. In corrispondenza del contatto con la maglia del dilavamento US 15, si rinvengono alcune pietre di dimensioni simili a quelle utilizzate in USM 2 e USM 3. Il limite è inclinato verso il centro della fossa, lo spessore varia tra pochi cm a 15 cm.

(31)

97

(32)

98 Saggio 4

Figura XIX Saggio 4, fotografia raddrizzata

Figura XX Saggio4, sezione A-A1

Figura XXI Saggio 4, sezione B-B1

A A1 B B1 C1 C cm 10 10 cm 18 17 20 23 18 17 20 21 21 A1 A B1 B

(33)

99

Figura XXII Saggio 4, sezione C-C1

Il saggio è situato a nord-est del saggio 3, in corrispondenza della leggera depressione rettilinea, sorta di “canalina”, che corre perpendicolare al muro “paraserventi” verso la fossa. Dimensioni: 1 x 2 m. Profondità: circa 45 cm nel punto più profondo, in media 30 cm. Scopo: chiarire la natura di quella che sembra una “canalina”.

- US 17: strato composte da pietre di medie dimensioni poste in linea e verticalmente sul lato nord-ovest del taglio US 19.

Riempie US 19. Gli si appoggia US 20.

- US 18: strato composto di pietre di medie dimensioni poste in linea sul lato sud-est del taglio US 19 ma scivolate verso il centro della “canaletta”.

Riempie US 19. Gli si appoggia US 20.

- US 19: taglio di US 21 che individua la “canaletta”. Larghezza media di 40 cm, profondità media di 30 cm costante, lunghezza 2 m; occupa tutto il saggio ma sembra proseguire oltre i limiti di scavo in direzione del muro “paraserventi” (nord-est) e della fossa (sud-ovest).

Taglia US 21. È riempito da US 17; US 18; US 20. È tagliato da US 22

- US 20: strato composto da materiale organico di origine vegetale, costituisce il riempimento del taglio US 19. Con l’aumentare della profondità la composizione si fa più minerale. Il colore è bruno scuro, la matrice franco-limosa con aggregazione granulare da mediamente a ben sviluppata. Il limite inferiore è piano e regolare. Lo spessore è di circa 30 cm.

Riempie US 19. Si appoggia a US 17; US 18. Copre US 22.

cm 10 20 23 21 C1 C

(34)

100

- US 21: strato caratterizzato da un deposito pietroso ad elementi molto debolmente arrotondati per dissoluzione e immersi in una matrice bruno rossastra, franco-argillosa, tipica del substrato vergine di dolina.

È tagliato da US 19; US 22.

- US 22: taglio posizionato a sud-est del saggio, perpendicolare al taglio US 19. La sezione del taglio è pressoché quadrata con il lato di circa 20 cm. Prosegue in direzione sia sud-est sia nord-ovest sotto i limiti della “canaletta” (US 17 e US 18). Taglia US 19; US 21. È riempito da US 23. Gli si appoggia US 17; US 18.

- US 23: strato di riempimento del taglio US 22. Si caratterizza come terreno a componente organica molto simile alla parte più superficiale dell’US 20; si segnalano la presenza di numerose radici e la comparsa di minuscoli frammenti di legno riferibili non alla rottura delle radici, ma probabilmente alla presenza di un trave (fig.59).

(35)

101 Saggio 5

Figura XXIII Saggio 5, fotografia raddrizzata. Indicate le tre “chiazze” di cemento.

a

c

(36)

102

Figura XXIV Saggio 5, profilo N

24 25

(37)

103

Il saggio è situato fuori dal complesso principale, nell’edificio B, più precisamente nello stretto passaggio del lato nord, poco distante dalla parete nord (esterna), addossato al muro in cemento. Dimensioni: 1 x 1 m. Profondità: circa 30 cm. Scopo: individuare la soglia e far luce sull’utilizzo dell’ingresso all’edificio B.

- USM 5: muro in pietre e legante situato a nord-ovest del saggio. Presenta un grande crollo nel centro.

- USM 6: muro in cemento situato sul lato sud-est del saggio. Gli si appoggia US 24; US 25; US 26.

- US 24: strato organico di origine vegetale con alcune pietre di medie dimensioni e frammenti di malta provenienti dal disfacimento del muro nord-ovest (USM 5). Limite irregolare. Spessore di circa 10 cm.

Si appoggia a USM 6. Copre US 25.

- US 25: strato di ghiaia medio-fine e fine. L’andamento è orizzontale, il limite ben individuabile. Lo spessore è di circa 15 cm.

È coperto da US 24. Copre US 26. Si appoggia a USM 6.

- US 26: strato composto di tre diverse “chiazze” di cemento: la principale (a) è costituita da cemento amalgamato e gettato sul terreno vergine, occupa la metà meridionale del saggio; nell’angolo sud-est del saggio è presente una piccola quantità di cemento colata fuori dalla cassaforma utilizzata per la parete USM 6 e di cui rimane una debolissima impronta; infine la parte settentrionale è occupata da un’area (c) di cemento molto friabile, apparentemente quasi sparso in polvere direttamente sul substrato vergine senza neanche realizzare l’amalgama. Il piano di questo strato appare leggermente inclinato verso nord-est. Lo spessore risulta non superare in media i 5 cm.

È coperto da US 25. Si appoggia a USM 6.

Materiali ritrovati: molti frammenti di malta utilizzati come legante e rifinitura del muro in pietra a ovest del saggio; i frammenti di malta utilizzati come rifinitura del paramento esterno del muro presentano una faccia levigata, conservano l’impronta delle pietre, sono spessi tra i 3 e i 5 cm (fig.60).

(38)

104 Saggio 6

Figura XXV Saggio 6

Figura XXVI Saggio 6, visione assonometrica

28 29 30 28 29 USM 7 31

(39)

105

Il saggio è situato nel complesso principale a nord-est della fossa, oltre il muro “paraserventi”, in corrispondenza del foro più settentrionale nella parete del muro (fig.61). Dimensioni: circa 1 x 1 m. Profondità: circa 30 cm. Scopo: aperto per verificare la prosecuzione oltre il muro della “canaletta” e per comprendere il foro presente nella parete.

- USM 7: muro “paraserventi”.

Gli si appoggia US 27; US 28. Copre US 30.

- US 27: strato composto di materiale organico di origine vegetale. Lo spessore è di appena 5 cm.

Si appoggia a USM 7. Copre US 28; US 29.

- US 28: lastra in cemento spessa circa 5 cm, è posta nella porzione sud del saggio. Risulta tagliata in corrispondenza della breccia nel muro e sembra proseguire oltre i limiti di scavo.

Copre US 29. È coperta da US 27.

- US 29: strato caratterizzato da pietrame angoloso non classato incoerente, ghiaia e frammenti di malta. Tutto il materiale è riferibile al disfacimento della parte interna ed esterna di USM 7. Si segnalano poche pietre che, per dimensioni e caratteristiche, potrebbero aver fatto parte del muro, ma non sono sufficienti per colmare la breccia attualmente presente nella parete.

È coperto da US 27; US 29. Si appoggia a USM 7. Copre US 30.

- US 30: strato a matrice franco-argillosa di colore bruno rossastro, ad aggregazione granulare medio-fine; sono presenti poche pietre non classate, debolmente arrotondate per dissoluzione e qualche frammento di malta. Lo strato individua una lieve depressione rispetto al terreno circostante.

È coperto da US 29; USM 7. Copre US 31.

- US 31: strato caratterizzato da un deposito pietroso ad elementi molto debolmente arrotondati per dissoluzione e immersi in una matrice bruno rossastra, franco-argillosa, tipica del substrato vergine di dolina. Lo strato è molto simile a US 21 del saggio 4.

(40)

106

Materiali rinvenuti: alcuni frammenti di malta e cemento riferibili al disfacimento del paramento esterno e del sacco del muro USM 7.

Ogni saggio, dopo la documentazione, è stato chiuso utilizzando gli strati asportati unitamente al materiale ritrovato, il più delle volte solamente frammenti di cemento e malta di cui, comunque, sono stati presi alcuni campioni. Si è preferito non lasciare aperto alcun saggio, innanzitutto per questioni conservative e in seconda istanza per non attirare curiosi e cacciatori di “reliquie” che potrebbero fare danni. Nel saggio 4 è stato lasciata una piccola targhetta in plastica bianca con inciso l’anno, a segnalare – in eventuali successivi lavori – l’avvenuto scavo.

Discussione

Sulla base dei dati raccolti con la ricognizione e con i sei saggi aperti si possono fare alcune considerazioni. Il sito si presenta esteso e complesso già a una prima indagine superficiale come è stata quella effettuata, segno di una occupazione di notevole interesse e di una certa densità di vita del sito. Pur appartenente alla linea del fronte, in particolare alle retrovie, non sembra essere stato troppo danneggiato dagli eventi bellici: le cause di tutti i crolli sono da ricercarsi nel degrado naturale delle strutture, dovute ai fenomeni atmosferici, alla crescita non controllata della vegetazione avvenuta soprattutto dal secondo dopoguerra e all’opera dell’uomo; non sembrano esserci evidenti tracce di scavi clandestini, ma alcuni crolli, soprattutto dei soffitti di alcune strutture, potrebbero riferirsi all’opera dei recuperanti.

Circa il periodo di occupazione sono fondamentali le due date incise sulla malta fresca ritrovate nel muro di una struttura subito a est della carrareccia: se si può considerare il sito terminato nel 1917 non è lecito andare oltre il mese di novembre dello stesso anno, momento in cui la linea austro-ungarica lascia l’Ermada per avanzare decisamente fino al Piave. Dopo tale mese, il sito perde la sua funzione bellica e subisce un profondo cambiamento: con buona probabilità viene ripulito con cura e abbandonato. Riguardo alla carrareccia e alla relazione tra questa e la struttura costruitale immediatamente a ridosso si potevano offrire due conclusioni: la strada

(41)

107

esisteva già nel 1917 anno in cui è stata costruita la struttura ai lati di questa; oppure la struttura è stata costruita nel 1917, la strada non necessariamente esisteva già, ma successivamente è stata creata tenendo conto della struttura già esistente. È risultata corretta la prima ipotesi che ha ottenuto verifica definitiva grazie a una carta del 1913 (fig. 62) in cui è segnalata la presenza della strada278. Precedentemente a questa verifica si era propensi comunque a questa prima opzione considerando che su terreni non facili e in contesti di urgenza, come quello bellico, facilmente si mantengono percorsi preesistenti piuttosto che crearne di totalmente nuovi e che non sembrano esistere altre vie d’accesso diverse da questa, vie che si sarebbero verosimilmente continuate ad utilizzare anche in periodo postbellico.

La pressoché totale assenza di manufatti – tant’è che i sei saggi, che sono pochi ma sufficienti per i contesti bellici, non ne hanno intercettato nessuno – è forse spiegabile: innanzitutto il sito si trova non sulla prima linea dove abbondano i manufatti e i resti di questi abbandonati e dimenticati, ma nelle retrovie, luoghi piuttosto tranquilli dove con cura, al momento della smobilitazione, si può recuperare ogni oggetto ancora utilizzabile; in secondo luogo bisogna considerare che il periodo di vita del sito è stato relativamente breve rispetto ad altri punti del fronte in cui il periodo di occupazione è stato considerevole.

Non è possibile quantificare il numero di uomini interessati nell’occupazione del sito solo sulla base dei resti a nostra disposizione: le strutture aventi una copertura per il momento identificate sono davvero poche, praticamente due ambienti nel complesso principale e quattro ambienti delle stesse misure nell’area della seconda dolina a nord-est della carrareccia. Anche di queste strutture si ignora la funzione: si può ipotizzare, date le esigue dimensioni, che non servissero tanto da ricovero per i soldati quanto piuttosto come riservette munizioni o centri di comando. Per l’edificio B il discorso riguardo una sua copertura non è semplice e si può facilmente propendere per l’assenza di copertura o al più per una copertura in materiale rimovibile come ad esempio teloni; solamente per il passaggio nel muro nord si dà per certa la presenza di una copertura costituita da 5 travi e probabilmente materiale cementizio: le tracce dei travi sono evidenti (cfr. fig.48), manca il materiale costituente il soffitto ma si può pensare che l’asportazione dei travi (forse avvenuta in fase post bellica ad opera di recuperanti) abbia portato via anche la copertura.

278 Carta del K. u . K. Militaergeographisches Institut 1:75000, foglio Goerz und Gradisca (zone 22, kol. IX), 1913.

(42)

108

È possibile che gli alloggi fossero in materiale deperibile o comunque con strutture di cui non è rimasta traccia riscontrata in questo lavoro.

Anche riguardo ad altri aspetti della vita quotidiana sul sito non possiamo che tacere o al più affidarci ancora a fonti non archeologiche. Possiamo però ancora notare le tecniche costruttive di alcune strutture: il materiale da costruzione è tutto reperito in loco, grazie a piccoli punti di estrazione di sabbia e pietre; ciò comporta la presenza sul sito, almeno al momento della costruzione, di reparti del genio con strumenti adatti allo scavo e alla lavorazione della pietra e con conoscenze tecniche di costruzione. La malta e il cemento utilizzati assumono sfumature rossastre/rosate a causa del materiale locale utilizzato come inerte. I muri principali poggiano direttamente sulla roccia viva, altri muri secondari, come il muro “paraserventi” USM 7, poggiano su un terreno solo minimamente preparato. L’alzato dei muri si può dividere in tre categorie: a) muri a secco, senza uso di legante con pietre sbozzate e disposte in filari tendenzialmente regolari; sono così costruiti i muri di sostegno del terrapieno nel complesso principale e i muri della fossa; b) muri con pietre parzialmente o non sbozzate legate con malta; si caratterizzano anche per una struttura a sacco; il paramento esterno è rifinito, nello spazio libero tra le pietre, con malta lisciata; è esempio di questa tecnica il muro “paraserventi” USM 7; c) muri con paramento in cemento armato e interno con pietre e terra; ne è unico esempio parte del muro nord dell’edificio B (USM 6).

Gli scavi dei saggi 1 e 3 hanno permesso di gettare luce sulla natura della fossa quadrangolare del complesso principale. Nel saggio 1, essa presenta sul fondo un basamento piano in cemento che si suppone essere stato gettato direttamente sul terreno vergine e occupare verosimilmente tutta la fossa. Su questo, lungo il lato nord-ovest, al di sotto del muro USM 1, è stata rinvenuta una piastra in cemento (US 5) che sporge dal muro in direzione del centro della fossa circa 30 cm e che, si suppone, prosegue oltre i limiti di scavo come basamento del muro USM 1.

Nel saggio 3 si riscontra una situazione simile: al di sotto del muro USM 3 è presente una piastra di cemento (US 14), molto simile a quella ritrovata nel saggio 1; lo stesso vale anche per il breve tratto di USM 2, dove è possibile verificare che la piastra prosegue al di sotto del muro per pochi centimetri solamente, non costituendo così il basamento su cui poggia il muro. Lo scavo non ha potuto individuare il basamento in cemento costituente il fondo dell’intera fossa come si è ipotizzato dal saggio 1, a

(43)

109

causa della presenza di alcuni frammenti di cemento armato che proseguono oltre i limiti di scavo. Per quello che riguarda il lato nord-est possiamo con certezza dire che non esiste alcun muro come nel caso degli altri tre lati della fossa: l’angolo est è costituito dal muro USM 3 e da un brevissimo tratto murario USM 2 che risulta interrompersi immediatamente. Risultano non corrette le ipotesi che il muro nord-est sia più arretrato rispetto al filo ricostruibile traguardando il termine dei muri USM 1 e USM 3, oppure che sia stato parzialmente distrutto. Infatti i crolli murari delle strutture incontrate nel sito si verificano sempre con un processo di collasso verso l’esterno per apertura dall’alto del paramento: nel caso dell’ipotetico muro nord-est non abbiamo materiale in crollo sufficiente per costituire un muro, né è presente alcuna base ancora in situ (che si sarebbe facilmente conservata); inoltre il tratto murario USM 2 presenta un angolo netto dove invece, se fosse stato parte del muro nord-est, avrebbe presentato fratture nella tessitura muraria.

Con lo scavo dei saggi 4 e 6 si è potuta definire insostenibile l’ipotesi circa la presenza, quanto mai inusuale, di canaline di scolo/drenaggio nel complesso principale; è escluso che le depressioni rettilinee tra il muro “paraserventi” e la fossa possano essere state costruite a scopi idraulici: mancano segni nella stratigrafia di un passaggio prolungato di acqua ed è presente, nel saggio 4, quello che ha tutta l’aria d’essere un alloggiamento per trave posto perpendicolare alla “canalina”. Il ritrovamento, nel saggio 4, di alcuni piccoli frammenti di legno porta a pensare che le “canaline” siano in realtà alloggiamenti di travi o rotaie.

Per il complesso principale possiamo individuare le seguenti fasi:

1) costruzione della fossa quadrangolare, forse a partire da una depressione naturale preesistente nel fondo pianeggiante della dolina; costruzione del terrapieno e del muro di sostegno; scavo sistemazione della struttura in pietra delle “canaline” in direzione della fossa;

2) costruzione dei due muri nello spazio semicircolare a nord-ovest; costruzione del muro “paraserventi”; costruzione dei due ambienti a sud-est;

3) ipotetica fase di vita del sito attivo;

4) ipotetica fase di abbandono e pulizia del sito; 5) vari crolli delle murature;

Qualcosa di più possiamo dire sulla funzione più generale del sito proprio a partire dal complesso principale e più precisamente dalla fossa quadrangolare presente al

(44)

110

centro della dolina. La tradizione locale riporta di un “posto del canon” situato nelle alture dietro il paese di Ceroglie, non distante dalle abitazioni, traccia di un evento e di un luogo di non trascurabile entità, capaci di segnare la toponomastica locale: questo fenomeno è tipico di molti contesti bellici e ne sono testimonianza i numerosi toponimi entrati a far parte della toponomastica civile e ufficiale dei territori un tempo interessati dalla Grande Guerra. Il sito preso in esame è stato immediatamente collegato, da parte del sign. Todero, con questo toponimo e presentato come la postazione, in particolare, di un pezzo di artiglieria pesante austro-ungarica, un obice da 380 mm, cosa che avrebbe giustificato la presenza della fossa e di notevoli strutture. La ricerca si è dunque orientata anche verso l’acquisizione di informazioni riguardo all’occupazione del sito proposta. È necessario segnalare la scarsissima reperibilità di carte e dettagli riguardanti l’area presa sotto esame: le carte italiane, costruite sulla base di ricognizioni aeree e di resoconti di prigionieri e fuggiaschi, perdono di affidabilità quanto più si scende nel dettaglio delle retrovie austriache; le carte austro-ungariche d’altro lato sono andate in parte perdute, in parte risultano difficilmente reperibili.

L’obice da 380 mm

Per quello che riguarda dati tecnici e informazioni circa l’arma in questione, l’obice da 380 mm, la situazione è leggermente migliore anche grazie a un discreto numero di fotografie d’epoca dalle quali ricavare alcuni dati altrimenti mancanti279.

Un obice è un’arma da fuoco di grosso calibro che si differenzia dal cannone e dal mortaio in quanto può effettuare tiri sia con il primo arco (tipico del cannone) sia con il secondo (tipico del mortaio). Il tiro è sempre indiretto, corretto da osservatori anche molto distanti dall’arma. I proiettili sono lanciati da una carica di sparo separata da quest’ultimo: regolando la carica e l’angolo di tiro si possono raggiungere differenti distanze. La lunghezza relativa della canna è inferiore rispetto a quella dei cannoni; come tutte le armi da fuoco posteriori al XIX secolo possiede la canna rigata. Sviluppato all’inizio del rinascimento, il suo utilizzo è relegato agli scontri ossidionali fino a fine diciannovesimo secolo; con la Grande Guerra la

279

Faremo riferimento per quello che riguarda la bibliografia a Kerchnawe 1936; von Horstenau 1936; Prášil 1997, in particolare pp. 5-57; Ortner 2007, pp. 356-357; 522-527; Grestenberger 2008, pp. 146-151. Qui, come anche in rete, sono disponibili numerose fotografie storiche. Per i testi degli anni ’30 è doveroso ringraziare la ricerca del sign. Todero.

Figura

Figura I Carta della dislocazione del sito
Figura III Planimetria generale edificio B
Figura IV Planimetria del complesso principale
Figura V Complesso principale, sezione
+7

Riferimenti

Documenti correlati

Si segnala altresì che la partecipazione precedentemente detenuta in Locman USA Corporation (70%) è stata ceduta a maggio 2008 alla società MANN Jewelry Inc. di New York, nel

4 The movement between di ferent languages and cultures, therefore, breaks the constitutive relation be- tween language and identity, thus disrupting the grounding of the self in

Per permettere tale meccanismo, il livello eccitato dell’antenna deve essere superiore al livello eccitato dello ione, altrimenti potrebbe instaurarsi un diverso

Any opinions expressed in any GLMM publica- tion are those of the author(s) alone and do not necessarily state or reflect the opinions or position of the Migration Policy Centre,

Livestock production fell in B_Africa and B_NAmer in all scenarios, achieving more pronounced reduction under global scenario (-25.21% and -24.52%, respectively). B_LatinAmer

Though both papers note the importance of eigenvector centrality in (their analogues of) the case of strategic complements, their main focus is on how the curvature of best

&.. Consideriamo due possibili puntate: A) quella sui numeri pari: si vince se esce un numero pari tra 2 e 36, e in questo caso si riceve il doppio del capitale puntato (quindi

Altri studiosi, pur concordando che sia necessario apportare dei miglioramenti alla metodologia, hanno invece osservato che tali critiche possono essere superate