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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1

LA FAMIGLIA E IL MATRIMONIO:

TEORIE SOCIOLOGICHE E CAMBIAMENTI STORICI

Premessa

Il termine famiglia può apparire ovvio nel suo significato, ma osservando i numerosi mutamenti delle forme familiari lungo la storia risulterà chiaro quanto nella realtà sia complesso definirne l’identità.

Il modo di fare famiglia, le relazioni che la costituiscono e i confini che la distinguono sono cambiati nel tempo, da un luogo ad un altro e, talvolta, anche da un ceto sociale all’altro. Allo stesso modo, una stessa famiglia può cambiare forma nell’arco del suo ciclo di vita.

Nel capitolo verranno spiegate le varie fasi dell’evoluzione storica della famiglia, dalla cui analisi risulterà palese l’impossibilità di darne una definizione univoca prescindendo dal contesto storico e sociale in cui essa è inserita: la famiglia, infatti, può equipararsi ad una sorta di “sistema poroso” posto all’interno di un più ampio sistema sociale con il quale intrattiene continui scambi di mutua influenza, in tal modo se ne modificano le peculiarità in conseguenza alle mutazioni socio-culturali che avvengono all’interno di quest’ultimo.

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11 1. La famiglia secondo la sociologia

Vivere insieme sotto lo stesso tetto è ciò che costituisce uno degli indicatori più semplici e universalmente riconosciuti dell’esistenza di una famiglia, tant’è che gli studiosi delle scienze sociali contemporanei identificano con il termine famiglia quel “ gruppo di persone unite fra loro da legami di parentela, di affetto, di servizi o ospitalità che vivono insieme sotto lo stesso tetto”1. Definizione adoperata anche dall’Istat per definire la “famiglia di censimento”.

Non è, però, così semplice definire il concetto di famiglia.

La coresidenza è solamente un indicatore che di per sé risulta insufficiente: non tutte le persone che vivono assieme, e quindi convivono, possono considerarsi alla stregua di una famiglia. L’individuazione della convivenza familiare, e della famiglia come forma di convivenza, richiede la necessità di chiarire le regole che stanno alla base della convivenza familiare, e la definizione dei rapporti tra le diverse persone come rapporti familiari. E’ proprio grazie a queste regole che diventa possibile distinguere i numerosi tipi, o strutture di famiglie che si sono succedute nel tempo e nelle varie culture.

Ogni cultura è portata a pensare che la forma di famiglia più diffusa in un dato periodo sia l’unica possibile o, comunque, l’unica socialmente rilevante, ma non è così e gli studi sociologici lo dimostrano.

Le prime indagini sulla famiglia in Europa sono state condotte da F. Le Play, il quale elaborò una schema secondo il quale esistevano tre tipi

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12 ideali di famiglia : la famiglia patriarcale, dove tutti i figli sposati

convivono assieme ai genitori e sono sottoposti all’autorità paterna; la

famiglia instabile, dove i figli hanno piena libertà di decidere e, una volta

raggiunta la maggior età, sono liberi di lasciare la casa dei genitori e andare a vivere altrove in completa autonomia; la famiglia ceppo, infine, che è una via di mezzo tra le due tipologie precedenti e si concretizza quando uno solo dei figli, scelto dal padre, porta la propria moglie a vivere nella casa dei genitori, mentre gli altri ne escono una volta sposati2.

E’ evidente come la tipologia in oggetto si basi sia sul criterio dell’autorità paterna, che è più o meno forte a seconda del tipo, sia sulla regola di residenza dopo le nozze, la quale può essere di diversi tipi (mi limiterò a menzionarli senza entrare nei particolari): matrilocale, patrilocale, bilocale, neolocale, avunculocale.

Lo schema di Le Play, sociologicamente parlando, è stato velocemente abbandonato per lasciare spazio alla più accreditata teoria di Peter Laslett dei primi anni Settanta, tanto importante da essere utilizzata da quasi tutti gli studiosi di scienze sociali dell’argomento.

Nella sua ricerca egli individua le strutture della famiglia (intesa come convivenza) ponendosi come domanda “chi sta nella famiglia, chi vive con chi e secondo quali regole?”. La struttura della famiglia non si riferisce al numero dei suoi membri, bensì al tipo di vincolo che lega i membri di una convivenza, che possono essere: vincoli di affinità e di consanguineità, di matrimonio e di discendenza3.

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A. Bagnasco, M. Barbagli, A. Cavalli, Ibidem, p. 173 3

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13 Assieme agli storici e demografi del gruppo di Cambridge, Laslett ha

osservato che, nel corso degli anni, in Europa si sono succedute diverse forme di strutture familiari: la famiglia nucleare, quella costituita da una sola unità coniugale sia completa (marito, moglie ed eventuali figli) che incompleta (come quella di una madre vedova con figli), detta anche monoparentale; la famiglia senza struttura, formata da persone con rapporti di parentela diversi dalla relazione coniugale (fratelli non sposati, per esempio); la famiglia estesa, che è quella formata da una sola unità coniugale e uno o più parenti conviventi; la famiglia multipla, costituita da due o più unità coniugali; la famiglia del solitario che è, come dice il nome stesso, formata da una sola persona ed, infine, la

famiglia complessa che unisce quella estesa e quella multipla4.

Se, invece, rapportiamo le forme familiari alla formazione storico e sociale prevalente in una data epoca, possiamo riconoscere ulteriori assetti familiari: quello tipico delle società primitive, quello delle società

antiche o tradizionali, quello proprie delle società borghesi della prima

modernità, quello delle società industrializzate nella modernità più avanzata e quello delle formazioni storico-sociali postmoderne5. Il

succedersi di queste forme di aggregazioni famigliare è stato più o meno lento a seconda dell’epoca storica : mentre le prime hanno impiegato più di due millenni di storia per evolversi in quelle successive, le ultime due si sono succedute con estrema velocità, complice soprattutto l’accelerazione del processo tecnologico e culturale dell’ultimo secolo.

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C. Saraceno, M. Naldini, ibidem, p. 17

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14 All’interno della società moderna, segnata da rapidi e profondi

cambiamenti, la famiglia costituisce una realtà particolarmente complessa. Le scoperte scientifiche, le innovazioni tecnologiche e i progressi nel campo del sapere hanno condotto a trasformazioni i cui effetti hanno avuto riflessi sui cambiamenti del modo di lavorare e di produrre, di curarsi, di riprodursi e, naturalmente, anche nel modo di organizzare la routine quotidiana della famiglia.

Definire l’identità della famiglia risulta, quindi, essere un’impresa tutt’altro che semplice, anche perché, come spesso accade all’interno della stessa comunità convivono diverse tipologie di strutture familiari. Nonostante questo, però, gli studiosi sono riusciti ad identificarne due forme distinte: una per il periodo della piena industrializzazione e l’altra per la società post-industriale6.

Nel primo caso la diffusione del Welfare State, assieme ad un modello industriale basato sulle grandi organizzazioni, imponeva una trasformazione dei modelli di vita che andò ad influire sugli stili di vita familiare, cosicchè la famiglia borghese - unità familiare privatizzata caratterizzata dalla separazione tra economia domestica e economia dell’impresa familiare - assunse un orientamento ancora più privatistico, favorito dal facile accesso alla società dei servizi e dei consumi, e la famiglia proletaria - che possedeva solo la prole e che dipendeva, per la sua sopravvivenza, dalla famiglia borghese - si dissolse .

Nell’era post-industriale, poi, la crisi del Welfare State di tipo centralistico evidenziò la capacità della famiglia di riorganizzarsi in reti formali e informali di servizi che le permisero di definirsi come “unità di

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15 servizi primari di vita quotidiana”. Le tradizionali distinzioni per classi o

ceto sociale rimasero discriminanti solo per quel che riguardava la quantità e le tipologie di risorse a disposizione, mentre presero campo altri elementi quali, ad esempio, l’abilità della famiglia di trasformare i nuovi strumenti dell’evoluzione tecnologica in risorse utili ad accrescere la partecipazione sociale e migliorare la qualità della vita. Fu così che le famiglie si differenziarono per l’ampiezza delle reti in cui erano inserite, poiché fu “l’intensità relazionale” che diventò un fattore cruciale di qualità7. Da questo aspetto deriva la centralità acquisita dalla famiglia nel nostro contesto sociale: le relazioni primarie sono intese come capitale sociale fondamentale, in quanto matrice di ogni altra relazione. La famiglia, dunque, è sia oggetto che soggetto di socializzazione8

Chi scrive ritiene opportuno ricordare che quelle appena descritte sono le forme familiari prevalenti in quelle particolari epoche storiche poiché, come già ricordato, in ciascuna formazione storico- sociale convivevano, e convivono tuttora, subculture diverse nelle quali, a loro volta, esistevano ulteriori tipologie familiari. Si parla, in questo caso, di “pluralizzazione delle famiglie” processo per il quale, appunto, accanto alle formazioni familiari standard convivono altri modelli.

A questo proposito si ritiene utile elencare brevemente le fondamentali tipologie familiari esistenti e delle quali si parlerà anche nel proseguo del capitolo.

7

E. Scabini, V. Cigoli, ibidem, p. 7 8

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Famiglia nucleare: è composta dai coniugi e dai loro figli. E’ il tipo di

famiglia più conosciuto e sicuramente il più diffuso, anche se il suo peso rispetto alle altre tenderà a calare per effetto della diminuzione dei matrimoni e delle nascite.

Famiglia allargata, è costituita da più di due generazioni. E’ il caso in

cui nella stessa casa vivono i nonni con i figli sposati e i relativi nipoti.

Famiglia con coniugi senza figli: composta da coppie anziane i cui figli

hanno lasciato la casa o da coppie giovani che non hanno, per scelta o perché non possono averne, figli.

Famiglia di fatto: la particolarità di questa unione non sta tanto nella sua

composizione, visto che potrebbe essere tranquillamente equiparata ad una famiglia nucleare, quanto piuttosto nella legittimazione della coppia stessa. Qui, infatti, la coppia non è legittimata dal matrimonio, ma dalla decisione di convivere. Altro modo di definire tale unione è convivenza

more uxorio.

Famiglia monogenitoriale: è composta da un solo genitore e da uno o più

figli. Le cause all’origine di questa tipologia familiare possono essere: vedovanza, procreazione al di fuori del matrimonio, separazione e divorzio. L’attuale aumento di questo tipo di famiglie è collegato all’aumento dell’instabilità coniugale e, quindi, ai casi di separazione e divorzio.

Famiglia ricomposta: la cui caratteristica principale è la presenza di figli

nati da un precedente matrimonio. Queste famiglie esistevano già nel passato ma erano basate sull’unione in seconde nozze di due vedovi, oggi invece alla loro base troviamo l’unione di coppie divorziate. In questa tipologia la coppia coniugale e quella genitoriale non corrispondono.

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17 2. Strutture familiari nella storia

Per molti secoli la famiglia come gruppo domestico ha rappresentato il modo normale di far fronte alla riproduzione e garantire la continuità delle generazioni ma anche una vera e propria impresa: produttiva, finanziaria o politica, a seconda dei ceti di appartenenza. Aspetto, questo, che risulta evidente nelle famiglie del passato: le unità produttive dei contadini e degli artigiani e le famiglie patrimoniali della borghesia urbana o dell’aristocrazia erano, infatti, unità familiari privatizzate orientate al successo economico.

La struttura e l’ampiezza della famiglia dipendevano principalmente dalle risorse materiali, legali e culturali che esistevano nelle diverse epoche per poter far fronte alle varie esigenze: disponibilità della terra, il patrimonio, le risorse politiche, i modelli di eredità ecc.

Numerosi sono stati gli studi e le ricerche portate avanti da demografi e sociologi in merito alla struttura della famiglia prevalente nell’occidente europeo.

Tra le più rilevanti ricordiamo ancora una volta le ricerche del gruppo di Cambridge (1972), le quali dimostrarono che già secoli prima degli inizi dell’industrializzazione - circa a metà del XV secolo - la struttura familiare coniugale-nucleare era già il modello prevalente in diversi paesi del Nord Europa, specie in Inghilterra, luogo principe della rivoluzione industriale9.

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18 Secondo Laslett, le caratteristiche di quella che si definiva la famiglia

occidentale sarebbero state: l’età del matrimonio relativamente alta, in

particolare per quel che riguarda le donne (23-24 anni); una differenza di età tra i coniugi relativamente bassa; fecondità ridotta, riconducibile proprio all’età non più giovanissima della donna; la presenza di servi per taluni fasi del ciclo di vita familiare10.

In conclusione si ritiene corretto sostenere che la coniugalità- nuclearità della famiglia occidentale appare più come una delle circostanze favorevoli all’industrializzazione stessa che non come una sua conseguenza, dato che la stessa si è sviluppata primariamente nelle zone ove già prevaleva questo modello di famiglia.

2.1 Il caso italiano: strutture familiari e cause di instabilità

Procediamo ora con l’esaminare più da vicino la situazione Italiana, basandoci in particolar modo sullo studio- ricerca di M. Barbagli dei primi anni Ottanta.

Tra il quattordicesimo e il ventesimo secolo la struttura delle famiglie delle aree urbane del nostro Paese si è trovata protagonista di quattro grandi mutamenti: 1) una stabilizzazione dovuta principalmente alla diminuzione della frequenza delle morti per epidemie e/o carestie; 2) una riduzione del numero delle famiglie incomplete, cioè senza un genitore, dovuta proprio alla riduzione della mortalità; 3) una riduzione delle differenze nel grado di complessità delle famiglie dei diversi ceti urbani,

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19 data dai mutamenti delle regole di trasmissione patrilineare dei ceti

nobiliari. Infatti, dove il modello successorio patrilineare divisibile aveva favorito famiglie nelle quali i fratelli sposati continuavano a vivere nella casa dei genitori con mogli e figli, l’affermazione del modello patrilineare indivisibile aveva favorito il diffondersi della struttura familiare multipla verticale a ceppo (ove sono presenti più nuclei coniugali con i loro figli e dove la coppia anziana viveva con quella dell’erede), estesa (nella quale convivevano i membri della famiglia “semplice” assieme ad altri parenti, discendenti o collaterali) e uni personale. Il quarto ed ultimo cambiamento è rappresentato dalla diminuzione, a partire dal diciassettesimo secolo, della presenza del personale domestico nelle strutture delle famiglie urbane, che ha causato una permanenza più lunghi dei figli in famiglia11.

Questo per quanto riguarda le aree urbane, vediamo di seguito la situazione della campagna.

Dalla ricerca di Barbagli si apprende che, tra il quindicesimo e sedicesimo secolo, nell’Italia centrosettentrionale si consuma una frattura tra città e campagna, sia a livello politico che a livello di organizzazione domestica. In queste Regioni si estende, o nasce, la cosiddetta

organizzazione produttiva poderale familiare, fenomeno per il quale le

terre vennero riunite affinché fosse possibile la costruzione di un podere di dimensioni tali da poter dar da vivere ad un numero abbastanza elevato di persone, uomini, donne, adulti e minori. Ciò ha favorito l’insediamento e la stabilizzazione di famiglie complesse e

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20 l’organizzazione della popolazione contadina in questo tipo di

convivenze familiari.

Dunque, proprio quando in città si andava affermando la famiglia nucleare, nelle campagne si assisteva alla massima diffusione delle famiglie multiple.

Se ne deduce come la struttura della famiglia contadina corrispondesse alle esigenze della produzione agricola del periodo, a riprova dello stretto legame tra attività economica della famiglia e struttura della stessa e, di conseguenza, tra caratteristiche socio-culturali di riferimento e famiglia. Si noti come il caso italiano mostri, nel medesimo periodo storico, il sorgere di diverse strutture familiari secondo processi di trasformazione non lineari (anche se poi prevarrà, complice soprattutto la spinta dell’industrializzazione, la struttura di tipo nucleare-coniugale anche nelle campagne).

In precedenza si è accennato alla mortalità come causa di instabilità delle strutture familiari in Italia: eventi imprevisti, catastrofici o meno, infatti, avevano conseguenze non poco rilevanti sui destini individuali e sulla composizione della famiglia stessa. Durante la seconda metà del Seicento, non solo in Italia ma in tutto il territorio Europeo, le epidemie e le carestie conobbero una discreta diminuzione ma successivamente, circa a metà dell’Ottocento, la mortalità tornò ad essere molto diffusa e spesso colpiva molto prima della vecchiaia.

La morte prematura dei genitori lasciava molti figli nella condizione di orfani e ciò, di solito, determinava una successiva dispersione della famiglia: i figli rimasti soli venivano accolti da parenti oppure sceglievano di emigrare in solitaria abbandonando le proprie radici.

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21 Da quanto appreso sinora, la famiglia del passato appare maggiormente

instabile e più soggetta a disgregazione, almeno di fatto, rispetto a quella contemporanea, le cause però risultano essere differenti: nella maggioranza dei casi l’instabilità era data da episodi di morte improvvisa di uno dei coniugi dalla quale derivava la vedovanza del coniuge superstite e la condizione di orfano del figlio. In questi casi poteva accadere che il superstite mettesse su una nuova famiglia attraverso un secondo matrimonio, cosicché il figlio si ritrovava ad avere dei nuovi genitori. Questa seconda opzione era molto più rara rispetto ai giorni nostri ed era molto più comune negli uomini che non nelle donne rimaste vedove..

Situazioni simili davano luogo a cambiamenti nella struttura familiare similari a quelli che oggigiorno definiamo “famiglie ricostituite”: figli nati da unioni diverse si ritrovavano a vivere assieme, nel medesimo nucleo familiare, proprio come avviene oggi nelle famiglie nate dall’unione, per esempio, di una coppia di divorziati.

3. L’avvento dell’industrializzazione: influenze sulla famiglia

L’industrializzazione è un fenomeno storico-sociale che

‹‹ include sia il sistema di fabbrica e il lavoro salariato che processi di urbanizzazione, sia innovazioni tecnologiche nel campo della produzione che creazione di nuovi gruppi, o classi sociali, sia fenomeni demografici di ampie dimensioni, quali le migrazioni dalla campagna alla città, l’esplosione demografica, ecc., con i loro effetti sulla struttura della popolazione, che nuove

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22 forme di divisione del lavoro, e quindi anche nuove forme di rapporti tra i sessi

e le generazioni ››12.

La famiglia nucleare come struttura della convivenza familiare è stata presente per diversi secoli ancora prima dell’industrializzazione, ma di sicuro nei paesi dove il progresso è stato più forte questo tipo di convivenza familiare si è diffuso con maggiore rapidità.

Vediamo, dunque, quali sono i principali fenomeni che, con l’avvento dell’industrializzazione, segnarono l’organizzazione familiare, in modo più o meno diretto.

In primo luogo l’introduzione del nuovo sistema di lavoro in fabbrica influì notevolmente sulla divisione del lavoro familiare. Non tutti potevano più accedere al lavoro in fabbrica: erano perlopiù i maschi adulti e i giovani di ambo i sessi che potevano accedervi, mentre le donne con carichi familiari e gli anziani erano destinati al lavoro agricolo o a domicilio.

Questa nuova divisione del lavoro tra le diverse figure familiari faceva emergere la necessità di uno spazio domestico, non più mescolato con lo spazio del lavoro, soprattutto per quel che riguarda le particolari esigenze di cura dei bambini. E’ qui che emerge la netta divisione dei compiti e dei ruoli tra uomo e donna: la maternità inquadrava le donne al di fuori dei luoghi di lavoro più moderni e le collocava tra le mura domestiche, mentre gli uomini erano portati a trascorrere la maggioranza del loro tempo sul luogo del lavoro e, perciò, , lontano dalla famiglia. Da qui

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23 deriva la famosa distinzione tra le due figure dell’operaio/uomo e della

casalinga/donna.

Un secondo fenomeno importante fu quello della cosiddetta “transizione demografica”13. Fenomeno che vide il passaggio dall’alto tasso di mortalità e fecondità tipico delle società pre-industriali, alla situazione attuale di bassa mortalità e bassa fecondità. Una fase intermedia di questo processo vide l’abbassamento della mortalità dato dai miglioramenti nelle condizioni igieniche, lavorative e di conseguenza di salute generale, e l’innalzamento della fecondità dato dall’aumento dei matrimoni, che si celebravano in giovane età. Quest’ultimo fattore fu la diretta conseguenza della possibilità di ottenere un reddito a prescindere dal possesso dei mezzi di produzione, possibilità che rese il matrimonio accessibile anche a ceti che prima ne erano esclusi.

4. La famiglia postmoderna

Numerosi studi demografici evidenziano come a partire dalla metà degli anni Settanta, a cavallo delle trasformazioni sociali, culturali ed economiche, si fece evidente una disaffezione verso la famiglia tradizionale.

L’aspetto fondamentale della famiglia moderna, quella protagonista dal diciannovesimo secolo sino agli anni Settanta, sta nel connubio tra sentimento amoroso e matrimonio, il quale era inteso come il naturale approdo di una storia d’amore tra uomo e donna. In questo tipo di famiglia le peculiarità di base erano: l’attenzione verso la cura dei figli

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24 nati dal matrimonio, una netta divisione dei ruoli coniugali, che

rispecchiava anche la netta inferiorità sociale e giuridica della moglie nei confronti del marito.

In questo quadro il numero dei matrimonio era alto e il numero delle separazioni era assai basso14.

Dalla metà degli anni Settanta, invece, si sono succeduti numerosi fenomeni che hanno influito non poco sul cambiamento delle strutture familiari. Nello specifico si è assistito ad un aumento del numero delle famiglie maggiore rispetto all’aumento della popolazione stessa e una differente distribuzione dei vari tipi di strutture familiari: sono aumentate le famiglie coniugali-nucleari, quelle unipersonali e quelle monogenitoriali, mentre sono diminuite quelle estese o multiple.

I fenomeni descritti sono conseguenze di comportamenti diversi da parte dei singoli e delle famiglie, ma anche di processi demografici differenti. In primo luogo, l’aumento del numero delle famiglie sopra citato non è più conseguenza della maggiore accessibilità del matrimonio, anche a strati sociali che prima ne erano esclusi, come era stato durante gli anni d’oro dell’industrializzazione, bensì rappresenta la tendenza verso la nuclearizzazione ed è relazionabile all’allungamento della durata della vita. Fenomeno per il quale vi sono più coppie anziane e più singoli che vivono soli, sia perché i figli sono usciti di casa per farsi una propria famiglia, sia perché il coniuge è deceduto.

La riduzione delle nascite rappresenta un altro fenomeno che contribuisce a spiegare i cambiamenti avvenuti nelle strutture familiari e che rende più

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25 evidente lo squilibrio tra incremento della popolazione e incremento delle

famiglie.

Altro fattore responsabile della diversificazione delle strutture familiari nelle società avanzate contemporanee è rappresentato dall’instabilità coniugale. Le conseguenze di questo fenomeno ricadono sulle famiglie nucleari-coniugali che si dividono per formare famiglie con un solo genitore (monogenitoriali) e famiglie unipersonali. Alcune di queste famiglie possono, poi, formarne altre dando vita alle famiglie ricostituite o ricomposte.

Tutti i fenomeni sinora analizzati hanno plasmato quella che possiamo definire come la famiglia postmoderna, nella quale l’istituzione del matrimonio è molto più fragile rispetto al passato. Qui la difesa della qualità relazionale ed affettiva all’interno della famiglia viene a giustificare anche la rottura dell’unione stessa15.

Oltre alle cause sin qui citate, legate per la maggioranza a cambiamenti economici e sociali, troviamo anche altri fattori che hanno trasformato le strutture familiari, fattori legati più alla sfera culturale- valoriale: il declino dei valori religiosi tradizionali, l’affermazione dell’autonomia individuale e dell’ideale romantico dell’amore.

In Italia, rispetto ad altri paesi europei, questa trasformazione della famiglia è stata più lenta proprio a causa della maggior influenza che le tradizioni religiose e culturali hanno sempre avuto e per gli ostacoli di natura economica che si trovavano di fronte le giovani coppie.

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26 5. Il matrimonio e la famiglia

Il matrimonio costituisce l’atto ufficiale che rende visibile e socialmente efficace la coppia tutelandone diritti e doveri. Il rito che lo accompagna sta a sottolineare l’importanza che ha sia per i contraenti, che per la comunità intera16.

Nel corso del tempo la concezione di matrimonio ha subito un radicale cambiamento, perciò chi scrive ritiene utile, al fine di comprendere a livello di fenomeno sociale perché molti adulti oggigiorno si dichiarano disponibili a stringere certi tipi di rapporti, ripercorrere alcune delle tappe della storia sociale del matrimonio.

Inoltrandosi in questo cammino si vedrà che nel corso della storia la costituzione di una coppia coniugale ha assunto varie funzioni sociali. Prima dell’epoca moderna, infatti, il matrimonio rappresentava una modalità per creare alleanze tra famiglie o, per meglio dire, era inteso come una vera e propria strategia di alleanza politica ed economica, soprattutto nei ceti aristocratici e, più tardi, in quelli imprenditoriali. All’interno di queste strategie la coppia come tale aveva solamente una funzione strumentale e il loro rapporto aveva importanza in quanto rappresentava la garanzia vivente della continuità dell’alleanza tra i gruppi. Per questa ragione il matrimonio era deciso dalle famiglie e aveva come precondizione la trasmissione dell’eredità (famiglia dello sposo) e di una dote (famiglia della sposa)17.

16

E. Scabini, V. Cigoli, Il famigliare. Legami, simboli e transizioni, p. 67

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27 Nelle famiglie artigianali e contadine, invece, il matrimonio non era

inteso come una strategia politica ed economica, bensì rispondeva a necessità lavorative: ci si univa in matrimonio per procurarsi un compagno di lavoro nell’impresa artigianale oppure per avere un adeguato ricambio alla forza lavoro nella famiglia contadina.

All’inizio dell’epoca moderna il matrimonio da forma di alleanza tra famiglie diviene una forma di affare in grado di portare prestigio economico e affermazione sociale. La famiglia costituiva una vera e propria impresa, soprattutto per le famiglie contadine e di artigiani: strutture e ampiezza delle famiglie dipendevano dalle risorse possedute e il padre svolgeva il ruolo di amministratore sia dell’economia domestica che di quella commerciale.

Nella società borghese, poi, fa il suo ingresso la famiglia acquisitiva , frutto della separazione tra economia domestica ed economia dell’impresa familiare.

La famiglia moderna nasce proprio dalla distinzione dei conti relativi all’economia domestica da quelli dell’economia dell’azienda di famiglia (Webber 1922)18.

Tutto questo porta alla nascita di una nuova struttura familiare: dalla famiglia estesa a quella nucleare- coniugale moderna.

Nella società post-industriale, infine, la famiglia diviene luogo degli affetti e dei processi di socializzazione primaria e secondaria e, perciò, si svincola dai legami con la società e l’economia e diviene sempre più uno spazio privato.

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28 Allo stesso modo anche la coppia coniugale non è più legata da

un’unione di comodo finalizzata alla costituzione di un’impresa, bensì è legata da sentimenti e la loro unione ha come fine la felicità personale e la realizzazione come singoli individui.

In sintesi, da “fatto sociale totale” (secondo la definizione di Lévi-Strauss) il matrimonio e con esso la famiglia che ne deriva, diventano un’ “impresa personale”: al centro si pone la coppia e la sua relazione, prende forza il legame sentimentale- affettivo di coppia, a discapito delle alleanze tra famiglia e prestigio sociale19.

Oggi si da risalto all’intimità tra i partner: i due si manifestano a vicenda i propri sentimenti e si aspettano empatia, comprensione e sostegno reciproco. La relazione di coppia risulta essere fortemente idealizzata e investita di grandi aspettative, proprio per questo, probabilmente, risulta facilmente soggetta a delusione e, successivamente, alla rottura.

6. Il complesso dell’amore romantico: legittimazione del matrimonio nell’era moderna

E’ chiaro ormai il profondo mutamento avvenuto all’interno della coppia nel corso dei secoli, soprattutto per quel che riguarda le motivazioni che stanno alla base della sua unione.

A tal proposito approfondiamo la motivazione principale che oggigiorno porta due persone alla decisione di sposarsi, ossia l’amore romantico. Gli studi sociologici sono concordi nel rilevare che unirsi in matrimonio per amore è un fenomeno piuttosto recente. Prima dell’Ottocento ci si

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29 sposava per interesse, il matrimonio doveva essere un buon affare; ci si

maritava per garantirsi la sopravvivenza. Adesso ci si sposa per amore, così come per mancanza d’amore ci si lascia.

La centralità dell’ideologia dell’amore come base del matrimonio, secondo Goode, “rappresenta un modo storicamente specifico di riconoscere e fare i conti con una dimensione sentimentale che è presente in ogni società”20.

Mentre nelle società tradizionali l’amore era percepito come potenzialmente pericoloso per le strategie familiari e al sentimento amoroso veniva negato valore, nelle società occidentali contemporanee è proprio la mancanza d’amore a costituire una sorta di aberrazione, perciò sin da giovani ogni individuo viene socializzato ad innamorarsi e a farsi guidare solo dai sentimenti nella scelta del proprio coniuge.

Sempre secondo il pensiero di Goode, l’ideologia dell’amore romantico è resa possibile dalla relativa autonomia spaziale, economica e sociale della coppia rispetto alla parentela: essendo indipendente dai legami di dipendenza e solidarietà ascritti, la coppia può concentrarsi di più solo sul proprio rapporto. Inoltre, sposarsi per amore e innamorarsi per scelta autonoma fornisce il codice legittimo e consensuale della separazione dai propri genitori e dalla propria famiglia, costituendo così un rito di passaggio all’età adulta21.

Proprio per questo l’ideologia dell’amore romantico, dove sono inclusi anche forti connotati erotici e sessuali, può costituire un rafforzamento

20

C. Saraceno, M. Naldini, Sociologia della famiglia, Bologna, Il Mulino, 2012, p. 99

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30 della sfera di libertà concessa a giovani e adolescenti nelle società e nelle

famiglie occidentali contemporanee22.

Quello della coppia diviene, così, uno spazio del tutto privato, senza legami con le famiglie o con la comunità. La coppia deve rispondere solamente a se stessa, sono i due coniugi che devono trovare l’accordo sui propri ruoli e darsi delle regole per una convivenza serena.

L’amore romantico porta con sé un modello relazionale di coppia basato sulla parità e sulla reciprocità e comporta un alto livello di intimità. Su questi valori si basa la fiducia che ognuno dei partner ha dell’altro.

Dagli elementi descritti si deduce come l’attuale coppia coniugale sia molto più sbilanciata sul versante affettivo piuttosto che su quello etico: rispetto della soggettività del partner e cura della relazione sono al primo posto rispetto agli impegni che questi hanno nei confronti delle proprie famiglie di origine. Questa ridefinizione delle priorità porta ad un’idealizzazione del rapporto di coppia come spazio dove poter trovare tutte le risposte necessarie ai propri bisogni23.

In tal modo la coppia viene ad essere caricata di aspettative enormi che, quando si trovano a scontrarsi con le sue possibilità nella realtà, finiscono con il causare frustrazioni e delusioni.

A questo tipo di processo possono essere collegati i sempre più numerosi casi di separazioni e divorzi dei nostri giorni. E sempre a questo fenomeno può ricondursi l’aumento delle convivenze more uxorio: vengono interpretate come una sorta di riduzione dell’impegno, sia istituzionale che con il partner.

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C. Saraceno, M. Naldini, Sociologia della famiglia, Bologna, Il Mulino, 2012, p. 101

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31 6.1 Perché si aspira all’amore romantico: due teorie 24

La domanda cardine alla base della stesura e della comprensione di questo paragrafo è “perché le persone continuano a cercare l’amore

romantico anche se hanno più di un rapporto, spesso finito male, alle proprie spalle?”

Per rispondere al quesito mi rifarò all’opinione di due studiosi (uno sociologo e l’altra psicologa) statunitensi: P. Slater e A.W. Schaef.

Secondo Slater a fondamento dell’ideologia dell’amore romantico si trova l’etica consumistica, ormai dominante nel mondo occidentale. Gli individui vengono socializzati in modo da divenire consumatori ossessivi di prodotti che soddisfano desideri- il più delle volte indotti dai media o, più in generale, dalla società- divenuti insaziabili. Questa mentalità viene inculcata inconsciamente sin dalla tenere età: secondo il sociologo, i bambini delle famiglie moderne hanno un legame quasi esclusivo con la propria madre e l’intensificarsi di questa relazione crea nel piccolo una sensazione di “scarsità affettiva” che lo porterà a concentrare la propria ricerca d’amore su di un singolo “oggetto”, la madre appunto, durante il periodo dell’infanzia e crescendo su altri oggetti.

La combinazione di individui socializzati a desiderare un amore romantico è funzionale al mantenimento di una società consumistica e viceversa. Il consumismo si basa sulla libertà di scelta dell’individuo, intesa come libertà di scegliere tra i diversi prodotti offerti dal mercato. Di riflesso, quindi, abbiamo anche la libertà per l’individuo di scegliere chi diventerà suo partner.

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32 In realtà la libertà di scelta è, per così dire, fittizia in quanto le restrizioni

avvengono sul piano della scarsità di oggetti, o persone, definite desiderabili.

Per quel che riguarda le relazioni umane la mentalità consumistica si realizza collocando le persone a diversi livelli di desiderabilità come partner, a seconda dei criteri ritenuti più validi nella società contemporanea: ricchezza, successo, intelligenza e potere per gli uomini, bellezza, sex appeal e gioventù per le donne. Chi possiede la maggior parte dei requisiti è presentato dai media come partner desiderabile. Quindi, sottolineando la rarità dell’amore romantico, l’ideologia dominante non fa che trasportare a livello psicologico lo stesso tema che propone a livello economico.

La psicologa Anne Wilson Schaef, dal canto suo, offre una diversa spiegazione del predominio dell’amore romantico. A suo parere, la società- nel suo caso quella statunitense- tende a favorire lo sviluppo di personalità dipendenti, cioè di individui pronti a diventare consumatori di cibo, alcool, droghe, lavoro, amore o persone; ma, mentre è consapevole dei danni causati dalla dipendenza da sostanze, la società è restia ad ammettere l’esistenza di malati nei rapporti interpersonali, anche perché alcuni tipi di dipendenza- come quella dal lavoro o dalle persone- sono incoraggiate dalla cultura e dalla società stessa, dalle famiglie e dai mass media.

La Schaef distingue tra i malati di amore dipendenza quelli che sono principalmente 1) sesso, 2) romanticismo, 3) rapporti o specifica persona dipendenti. Le tre forme indicano se la persona ottiene il suo cambiamento d’umore e gratificazione attraverso 1) la gratificazione

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33 sessuale, 2) il provare sensazioni romantiche, 3) l’avere un rapporto, non

importa con chi, o nell’avere una relazione con una persona specifica. L’obiettivo di queste dipendenze è sempre il solito: sfuggire alla tristezza e alla noia per ottenere un momentaneo stato di euforia. Con il tempo i valori etici e morali della persona mutano e si materializza un deterioramento fisico e psichico che si ripercuote anche su chi gli sta intorno.

Per ognuna delle forme di dipendenza citate, la psicologa statunitense identifica differenti caratteristiche. Ne citerò le principali.

I sesso dipendenti: ve ne sono di diversi tipi, in un primo tipo i soggetti

tentano di reprimere la propria e altrui sessualità e al tempo stesso sono ossessionati dal sesso. In un secondo tipo si registrano comportamenti dannosi solo per l’individuo in questione, se praticati in modo compulsivo: possono essere di carattere passivo, come avere fantasie sessuali, leggere giornali pornografici, o più attivo come prostituirsi. Altri comportamenti, invece, rientrano in atti socialmente disapprovati, come il voyerismo o l’esibizionismo. Un terzo tipo, infine, prevede comportamenti dannosi per gli altri: la violenza e le molestie sui bambini o sugli adulti, l’incesto e altre forme di abuso sessuale.

I romantico dipendenti. Questi individui non amano le altre persone ma

sono innamorate dell’ideale dell’amore, si nutrono di illusioni e vivono nell’attesa di colui o colei che realizzerà i suoi sogni. A questi individui la vita reale appare banale, senza emozioni. Così, negli stadi più avanzati della malattia, provocano litigi familiari al fine di sperimentare emozioni forti. In realtà non riescono a sopportare normali relazioni di coppia perché nessun uomo e nessuna donna sono mai all’altezza del partner

(25)

34 sognato. Il romantico, infatti, è bravissimo nel trovare difetti in tutte le

persone che lo amano e nel farle sentire inadeguate.

I rapporto dipendenti. Si dividono in due gruppi: quelli che hanno

bisogno di un rapporto qualsiasi pur di sentirsi in coppia con qualcuno e quelli che sono “persona dipendenti”. Questi ultimi hanno un rapporto patologico di fissazione solo con una particolare persona. Tutti e due i tipi sono ossessionati dal bisogno di far star bene l’altro, di controllarlo e dalla paura che cambi e li abbandoni.

Si è visto come la società moderna (in principio quella americana, ma negli ultimi decenni anche la nostra) dia estrema importanza al fatto di piacere agli altri. Essere popolari è cruciale al giorno d’oggi, ma non tutti possono piacere, solo quelli con le caratteristiche giuste, caratteristiche dettate, o imposte, dalla società nella “persona” dei mass media.

La società contemporanea, dunque, è popolata da milioni di perdenti, con bassa autostima e alto senso di frustrazione. Al tempo stesso viene incoraggiata, specie per quel che riguarda le donne, la dipendenza compulsiva da altri, alimentando la convinzione che il nostro bene sia legato all’essere amato o desiderato da terze persone.

Diviene condivisibile, allora, la tesi secondo cui nella nostra società l’amore romantico è diventato così importante proprio perché funge da antidoto ad un senso di malessere diffuso. Si dichiara che ci si sposa per amore, perché è socialmente accettabile, ciò non significa che le persone mentano, bensì che se ci si impegna ad analizzare più a fondo le loro motivazioni si scopriranno un insieme di ragioni in parte mutuate dalla mentalità sociale oggi dominante, in parte rispecchianti le vecchie

(26)

35 concezioni del matrimonio e in parte derivanti dalle storie individuali dei

partner.

7. Il matrimonio oggi: alcuni dati

Nonostante sia diffusa l’opinione che la famiglia coniugale italiana sia una delle poche istituzioni felicemente sopravvissuta ai grandi cambiamenti sociali, la storia smentisce tale convinzione.

Il progressivo affermarsi dell’industrializzazione favorì un aumento consistente del tasso di matrimoni e, contemporaneamente, un abbassamento dell’età media al matrimonio. Ciò ha portato a considerare i primi decenni del ventesimo secolo come “l’età d’oro della nuzialità”. Anche l’Italia è stata coinvolta in questo processo, anche se con un poco di ritardo: il calo del nubilato definitivo, infatti, avviene solo nelle generazioni nate dopo il 1920, e solo tra quelle nate dopo il 1930 scende sotto il 10% 25.

Questa età dell’oro è stata, però, solo una breve stagione: già a partire dagli anni Sessanta, nonostante i tassi di nuzialità continuassero ad essere alti, le analisi per età indicavano un rallentamento sia nella propensione al matrimonio che nell’abbassamento dell’età.

Nei paesi del Nord Europa questa svolta è avvenuta in anticipo rispetto all’Italia: in Svezia e in Danimarca, a partire dal 1965, il tasso di nuzialità è diminuito molto e, nel giro di cinque anni la medesima cosa è avvenuta in Norvegia e Paesi Bassi, Repubblica Federale Tedesca, Austria e

25

(27)

36 Svizzera. In Italia, invece, la svolta è avvenuta nel 1974, anno che ha

avuto come protagonista la riduzione della nuzialità26.

Dopo una breve ripresa attorno al 1990, il declino riprende sino a raggiungere i livelli del 2004 che risultano essere tra i più bassi d’Europa. Questa flessione della nuzialità è stata accompagnata sia da un forte incremento dei giovani che vivono da soli (nel nostro Paese questa tendenza risulta essere meno forte) sia ad un prolungamento della permanenza dei figli in famiglia.

A tal proposito si osserva che alla fine della seconda guerra mondiale si è assistito a due diverse tendenze: sino alla metà degli anni Settanta è aumentata la propensione dei giovani a lasciare presto la famiglia; dopodiché la situazione si è ribaltata ed è cominciato a crescere il numero dei giovani che rimanevano sempre più a lungo in casa con i genitori. Nell’anno 2010-2011 vivono nella famiglia d’origine il 50% dei maschi e il 34% delle femmine tra i 25 e i 34 anni d’età27. Questo fenomeno è dovuto a molteplici fattori quali: l’aumento diffuso della scolarizzazione della popolazione giovanile, l’allungamento dei tempi formativi e il conseguente ritardo nell’entrata nel mondo del lavoro; la difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e la condizione di precarietà del lavoro stesso; le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni e, infine, il fallimento del matrimonio che riporta i figli a vivere nella casa con i propri genitori.

Nonostante tutto, in Italia il matrimonio sembra costituire ancora la principale ragione per cui si esce dalla casa dei genitori, a differenza di

26

M. Barbagli, Provando e riprovando. Matrimonio, famiglia e divorzio in Italia e in altri paesi occidentali, Bologna, Il Mulino/Contemporanea, 1990, p. 17

27

(28)

37 altri paesi del Nord Europa dove questo passaggio sembra legato più al

raggiungimento di una soglia d’età (massimo 25 anni). Il matrimonio segna l’ingresso nell’autonomia abitativa, che è proprio uno degli indicatori contemporanei dell’entrata nella vita adulta28.

Anche nei tempi più recenti quello che si nota è sempre una diminuzione dei tassi di “primo- nuzialità” nei giovani al di sotto dei 35 anni, mentre nelle età successive la propensione al matrimonio risulta essere in lieve aumento. Si osserva, pertanto, un accentuazione del rinvio delle prime nozze ad età più mature: fenomeno che, come abbiamo avuto modo di vedere, è in atto già dal 1972 ma che nel quadriennio 2007- 2011 si è fatto più marcato. Attualmente l’età media al primo matrimonio degli uomini è pari a 34 anni e quella delle donne a 31.

Altro dato rilevante è la diminuzione dei numeri di matrimoni: tra il 2007 e il 2011 la diminuzione è stata del -4,5%, a fronte di un valore del -1,2% rilevato negli ultimi vent’anni29.

Il paragrafo è iniziato sottolineando la perdita di importanza conosciuta dalla famiglia nucleare-coniugale nel corso degli anni e, difatti, abbiamo riportato alcuni dati caratteristici del fenomeno, ma è parere di chi scrive che ciò che più di tutto va a rappresentarlo è l’aumento delle convivenze

more uxorio. La minore propensione a sancire con il vincolo

matrimoniale la prima unione è da mettere in relazione, anche, con la progressiva diffusione delle unioni di fatto che da circa mezzo milione

28

C. Saraceno, M. Naldini, Sociologia della famiglia, Bologna, Il Mulino, 2012, p. 109

29

(29)

38 nel 2007 sono arrivate a quota 972 mila nel 2010- 201130. Queste unioni,

però, risultano essere funzionali al matrimonio stesso.

La famiglia di fatto si è posta non tanto come alternativa al matrimonio, ma come fase di preparazione alla famiglia legittima: chi sceglie di convivere non accetta e nemmeno rifiuta il matrimonio, bensì si limita a posticipare la decisione in merito.

Le convivenze presentano una caratteristica importante: la minore stabilità rispetto alle unioni matrimoniali. Ciò può essere la conferma di quelle che sono le caratteristiche proprie di questa forma di unione e cioè il loro essere fasi di sperimentazione nel passaggio all’età adulta e il loro carattere negoziale.

Proprio perché rapporti fortemente negoziali, le convivenze comportano aspettative e soglie di intollerabilità diverse rispetto al matrimonio. Non c’è da sorprendersi, quindi, che una quota rilevante di esse finiscano con il fallire.

Comunque sia, è indubbio che le moderne convivenze, anche quelle prenuziali, comportino una perdita di importanza del matrimonio: oggigiorno questo non è più considerato un rito di passaggio ma, piuttosto, un rito di convalidazione, che non ha più la funzione di consacrare l’inizio di un’unione bensì ne sancisce la sua esistenza31. Dai dati raccolti in relazione alle convivenze emerge che in esse gli individui godono di una maggiore autonomia a livello economico, nella gestione del tempo e in relazione alla vita sociale rispetto al matrimonio. Ciò equivale a dire che per il giovane questo tipo di rapporto occupa una

30

Istat, ibidem

31

M. Barbagli, Provando e riprovando. Matrimonio, famiglia e divorzio in Italia e in altri paesi occidentali, Bologna, Il Mulino/Contemporanea, 1990, p. 27

(30)

39 posizione intermedia tra la condizione di permanenza in famiglia con i

propri genitori e il matrimonio vero e proprio32.

Nonostante tutto, il matrimonio risulta essere ancora un ideale altamente desiderabile per i giovani moderni.

32

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