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2. Germania

2.1. BVerfG (Corte costituzionale tedesca) 21 giugno 2006, 1 BvR 1659/04 (in  indice A-Z, voce Licenziamento individuale).

2.2. BVerfG 27 gennaio 1998, 1 BvL 15/87 (in  indice A-Z, voce

Licenzia-mento individuale).

2.3. BAG 10 giugno 2010, 2 AZR 541/09 (in  indice A-Z, voce Licenziamento

individuale).

2.4. BAG 13 marzo 2008, 2 AZR 1037/06 (precedenti BAG 29 novembre 2007, 2 AZR 388/06; BAG 17 giugno 1999, 2 AZR 522/98) (in  indice A-Z, voce

Licenziamento individuale).

2.5. BAG 14 gennaio 2003, CA 87/02 (in  indice A-Z, voce Licenziamento

individuale).

2.6. BAG 26 settembre 2002, 2 AZR 636/01 (in  indice A-Z, voce

Licenzia-mento individuale).

2.7. BAG 21 maggio 1992, 2 AZR 399/91 (in  indice A-Z, voce

Licenziamen-to individuale).

I licenziamenti in Germania: i presupposti di legittimità

Sommario: 1. Il licenziamento nel quadro dei principi costituzionali. – 2. Il

licenzia-mento per motivi legati alla persona (personenbedingte Kündigung). – 2.1. Il li-cenziamento per malattia. – 3. Lili-cenziamento per ragioni economiche o aziendali. – 4. Licenziamento per ragioni legate al comportamento inadempiente del lavora-tore.

1. Come accade in altri ordinamenti giuslavoristici dell’UE, nel sistema tede-sco la giurisprudenza costituzionale ha svolto un ruolo di particolare rilievo per chiarire e definire la portata dei principi costituzionali che vengono in considerazione in materia di licenziamenti, giungendo anche a dedurre da essi la doverosità di una tutela minima contro i licenziamenti

(Mindestbestan-dsschutz). In effetti, la Costituzione tedesca non garantisce direttamente un

diritto del lavoratore alla conservazione del posto; ed, anzi, a differenza di quanto prevedono, ad esempio, le Costituzioni italiana (art. 41, 1°), spagnola (art. 38, comma 1) e portoghese (art. 61, 1°), ma anche la Carta di Nizza (art. 16),non riconosce esplicitamente neppure la libertà d’impresa del datore di lavoro. Eppure, il Bundesverfassungsgericht (BVerfG) col tempo ha rafforza-to la portata garantistica della libertà occupazionale (Berufsfreiheit) di cui all’art. 12 del Grundgesetz (GG), chiarendo che il diritto previsto da tale

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nor-ma, dal lato del lavoratore, comprende anche «il diritto di mantenere o rinun-ciare» al posto di lavoro liberamente scelto (BVerfG 24 aprile 1991; BVerfG 27 gennaio 1998, in epigrafe), mentre, dal lato del datore di lavoro, include anche il diritto di costituire un’impresa e di scegliere come organizzarla al suo interno in quanto libertà di costituire e di condurre un’attività economica (BVerfG 1° marzo 1979). In analogia con quanto accade da noi, giurispruden-za e dottrina, pur avendo sempre escluso la Drittwirkung del diritto alla libertà professionale sia in relazione al datore di lavoro che al lavoratore, concorda-no, tuttavia, sul fatto che i giudici, nell’applicare ed interpretare la normativa sui licenziamenti alla luce della Costituzione, sono tenuti a preservare la posi-zione giuridica costituzionalmente tutelata (del lavoratore) da qualsiasi indebi-ta intromissione, garantendo di volindebi-ta in volindebi-ta «il bilanciamento migliore pos-sibile» (BVerfG 21 giugno 2006, in epigrafe); si veda, per tutti, T. DIETERICH,

Unternehmersfreiheit und Arbeitsrecht im Sozialstaat, in Arbeit und Recht,

2007, 65 e 67). Secondo il BVerfG, dall’art. 12, Abs. 1, del GG discende un dovere di protezione a carico dello Stato (Schutzpflicht) anche se il suo campo di applicazione non è stato ancora chiarito; anzi, una tutela minima contro i licenziamenti va ammessa entro certi limiti anche al di fuori del raggio di ap-plicazione della normativa contenuta nel Kündigungsschutzgesetz (KSchG). In una celebre sentenza del 1998 la Corte costituzionale, richiamando a tal fi-ne le clausole gefi-nerali del diritto civile (Gefi-neralklauseln), e in particolare quelle che vietano gli atti contra bonos mores (§ 138) del Bürgerliches

Gese-tzbuch (BGB) e gli atti compiuti in violazione della buona fede (§ 242 del

BGB), ha statuito che il datore di lavoro, indipendentemente dall’applicabilità della disciplina legale in materia di licenziamenti, non può licenziare nessuno in modo arbitrario o sulla base di motivi non appropriati; né può, in sede di selezione delle persone dei lavoratori da licenziare, sottrarsi all’applicazione di un criterio che consenta la considerazione della situazione sociale; né, infi-ne, può omettere di considerare l’aspettativa alla prosecuzione del rapporto acquisita dopo un lungo periodo di tempo, per cui nel caso di un lavoratore occupato da molti anni il motivo del licenziamento deve essere più importante che rispetto ad altre persone che lavorano nell’impresa da meno tempo (BVerfG 27 gennaio 1998). In una più recente decisione il BVerfG ha con-fermato la possibilità di estrapolare dall’art. 12, comma 1, GG un divieto di esercitare in modo arbitrario la libertà di licenziare ed ha ritenuto che questa forma di tutela minimale valga non solo nel caso delle piccole imprese, ma anche in caso di recesso dal rapporto di lavoro nel c.d. “periodo di attesa” (Wartezeit), e cioè nel periodo di prova di sei mesi previsto per legge

(gese-tzliche Probezeit) durante il quale il datore di lavoro può licenziare senza

do-ver addurre una giustificazione ai sensi del § 1 comma 4 del KSchG (BVerfG 21 giugno 2006). In tale periodo l’affidamento del lavoratore nella prosecu-zione del rapporto è limitato in quanto il datore di lavoro di regola ha un legit-timo interesse a controllare se il nuovo lavoratore appena assunto soddisfi le sue aspettative e disponga dell’idoneità, competenza e professionalità

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neces-sarie, e dunque deve poter prendere in considerazione un licenziamento senza doverne documentare i motivi, soprattutto se le parti di lavoro hanno concor-dato un periodo di prova.

2. Se nel sistema italiano non esistono motivi del licenziamento diversi dalle ragioni soggettive ed oggettive, la legge tedesca sul licenziamento (KSchG del 1951) prevede, invece, che il datore di lavoro per giustificare “socialmen-te” la legittimità del licenziamento (sozial gerechtfertigte), può addurre non solo una causale attinente al comportamento del lavoratore, o ad «urgenti ne-cessità aziendali» (§ 1, Abs. 2, KSchG), ma anche ragioni concernenti la per-sona del lavoratore (personenbedingte Kündigung). Come vedremo, la pre-senza di un tertium genus assume particolare rilievo non foss’altro perché consente di superare “a monte” alcune questioni di inquadramento dibattute in Italia (si pensi alla possibilità di ravvisare nello scarso rendimento incolpevole un g.m.o.). In relazione a tale causale la giurisprudenza si è assunta il compito di riempire di contenuto la formulazione pressoché indeterminata contenuta nella legge. Questo tipo di ragione giustificatrice – il cui esempio paradigma-tico è costituito dalla malattia – presuppone che il dipendente, per ragioni per-sonali, non sia più nella condizione di poter adempiere esattamente agli obbli-ghi contrattuali, causando, per questa ragione, una lesione degli interessi a-ziendali ed economici del datore di lavoro (BAG 28 febbraio 1990; E. S TA-HLHACKE, U. PREIS, R. VOSSEN, Kündigung und Kündigungschutz im

Arbei-tsverhältnis, C.H. Beck, 2010, Rn. 1218; W. BERKOWSKY, Die

Personenbe-dingte Kündigung, in Rechtsprechungs-Report Arbeitsrecht (NZA-RR), 2001,

393 e 449). Se il licenziamento per ragioni aziendali (betriebsbedingte

Kündi-gung) si riferisce a circostanze attinenti alla sfera di influenza del datore di

la-voro, la giustificazione in esame si caratterizza per la connessione ad elementi della persona del lavoratore, ma non riguarda inadempimenti, colpe, mancan-ze a lui attribuibili. Al pari del verhaltensbedingte Kündigung tale giustifica-zione inerisce a ragioni concernenti il lavoratore (BAG 11 dicembre 2003). Tuttavia il dipendente non ha alcuna capacità di incidenza sul fatto posto alla base del licenziamento: «un motivo legato alla persona sussiste quando il pre-statore di lavoro vuole ma non può; viceversa, un motivo afferente al compor-tamento del lavoratore, quando egli può, ma non vuole» (T. JESGARZEWKI, T. HOLZENDOF, Personenbedingte Kündigung – Aktuelle Rechtsprechung zur

krankheitsbedingten Kündigung, in Arbeit und Recht, 2011, 386, 387). In

par-ticolare, tale giustificazione si profila quando ricorrono circostanze che scalfi-scono in modo significativo e durevole il rapporto di equivalenza tra le presta-zioni (Äquivalenzstörung) (cfr. BAG 11 dicembre 2003). Dal momento che il licenziamento per ragioni legate alla persona non presuppone un comporta-mento inadempiente e colposo del dipendente, in tale ipotesi, in linea di prin-cipio, non è necessario, né è ammissibile alcun previo ammonimento

(Abma-hnung). Piuttosto, si pone il problema di valutare in che misura l’impossibilità

di adempiere la prestazione valga a menomare il rapporto di equivalenza tra le prestazioni del contratto di lavoro (E. FROMM, Die arbeitnehmerbedingte

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Kündigungsgrunde, Duncker & Humblot, 1995, 568). Si ritiene che il

control-lo sulla Sozialwidrigkeit di un personenbedingten Kündigung debba essere svolto sulla base di uno schema articolato in quattro fasi (secondo la giuri-sprudenza, tre): a) prognosi negativa: occorre anzitutto valutare se il prestato-re di lavoro si potrà trovaprestato-re in tempi ragionevoli in condizione di poter adem-piere, in tutto o in parte, la sua prestazione. Ed infatti il datore di lavoro deve essere tutelato rispetto all’alterazione del nesso di equivalenza che derivereb-be laddove la condizione personale ostativa allo svolgimento della prestazione di lavoro non fosse soltanto passeggera; b) a parte la prognosi negativa deve sussistere un significativo pregiudizio degli interessi aziendali ed economici del datore di lavoro, non essendo sufficiente che questi siano semplicemente messi in pericolo (BAG 20 luglio 1989); c) ancora, in base al principio di pro-porzionalità, occorre valutare se sono possibili misure più miti per evitare di licenziare e consentire un reimpiego (BAG 30 maggio 1978); d) una giustifi-cazione sociale sussiste se al venir meno della prestazione di lavoro si prefigu-ra un peso insostenibile per il datore di lavoro. A fronte di un’interferenza in-tollerabile nel rapporto di lavoro l’interesse del datore di lavoro deve essere anteposto rispetto all’interesse del lavoratore alla stabilità (BAG 12 luglio 2007). Nel contemperamento di interessi vengono in considerazione le circo-stanze connesse al rapporto di lavoro da entrambi i lati: in particolare, dal lato del lavoratore, si valuta l’anzianità, lo svolgimento del rapporto, l’età, le

chances di un reinserimento lavorativo nel mercato, gli obblighi di

manteni-mento; dal lato del datore di lavoro, la gravità del pregiudizio all’impresa, la durata dell’inidoneità al lavoro del lavoratore.

2.1. L’incapacità al lavoro (Arbeitsunfähigkeit) per malattia può legittimare, in determinate circostanze, un licenziamento per motivi personali. Per malattia deve intendersi «una condizione fisica e mentale anomala che rende necessa-rio il trattamento medico» (BAG 25 giugno 1981). L’incapacità al lavoro ai sensi del EFZG (Entgeltfortzahlungsgesetz) e dei §§ 3 e 44 Sozialgesetzbuch (SGB) V sussiste quando il lavoratore è impossibilitato a causa della malattia ad adempiere la prestazione contrattualmente dovuta oppure quando non è in grado di farlo in futuro senza assumersi il rischio di un aggravamento del pro-prio stato di propria salute. Dal § 8 EFZG si deduce che, in linea di principio, è possibile irrogare un licenziamento in relazione alla malattia e che il lavora-tore ha diritto a ricevere un’indennità di malattia (Lohnfortzahlungsanspruch). La nozione di malattia non deve essere confusa con la nozione di handicap (Behinderung), in quanto un licenziamento per malattia non configura di per sé anche la discriminazione per motivi di handicap vietata dalla direttiva 2000/78/CE. La Corte di giustizia ha chiarito che il termine «handicap» va in-teso come un limite che deriva da minorazioni fisiche, mentali o psichiche e che ostacola l’attività e la partecipazione alla vita sociale. Può però certamen-te darsi il caso di malattie che configurano un handicap, cosicché resta aperta la questione di una discriminazione. La legittimità di un licenziamento irroga-to per malattia presuppone dunque la sussistenza di una giustificazione ai

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sen-si del § 8 Allgemeines Gleichbehandlungsgesetz (AGG) o dell’art. 4 della di-rettiva 2000/78 che si verifica quando l’assenza di un particolare handicap rappresenta un requisito essenziale e determinante del lavoro. Una malattia può costituire un valido motivo di Kündigung se l’interesse dell’impresa subi-sce un pregiudizio rilevante. La sussistenza di una giustificazione sociale

(So-zialwidrigkeit) deve essere valutata avendo riguardo anche al tipo di malattia,

dovendosi distinguere se si tratta di malattie brevi e frequenti, di una malattia protratta a lungo, oppure di un calo del rendimento, più o meno consistente, dovuto a malattia. Nel principale caso di licenziamenti per malattia, quello dovuto a malattie brevi e frequenti, il BAG valuta la sussistenza di una giusti-ficazione sociale seguendo tre passaggi (3-Stufen-Theorie). In primo luogo verifica se al momento del licenziamento ci siano circostanze oggettive da cui si possa presumere che la malattia si ripresenti in futuro nella stessa entità, po-tendo trarre un indizio in tal senso dalle assenze verificatesi in passato (BAG 10 novembre 2005). Peraltro, il licenziamento non può costituire una sanzione afflittiva per l’assenteismo (BAG 23 giugno 1983)e viene in considerazione solo quando non sia più possibile una collaborazione in futuro. Solo in casi assolutamente eccezionali si può dedurre dalla frequenza di malattie diverse una particolare cagionevolezza del lavoratore che possa fondare di per sé una prognosi negativa (BAG 10 novembre 2005; Landesarbeitsgericht (LAG) Schleswig-Holstein 3 novembre 2005). In secondo luogo, la giurisprudenza ritiene che le assenze per malattia assumono rilevanza ai fini del licenziamen-to, anzitutlicenziamen-to, quando causano gravi disfunzioni nel normale svolgimento dell’attività dell’impresa (blocco degli impianti, sovraccarico di lavoro per il personale restante, ecc.), purché il datore di lavoro non avrebbe potuto altri-menti evitarle (per esempio, con uno straordinario). Assume rilievo anche il pregiudizio economico che deriva dall’assunzione dei costi relativi alla corre-sponsione della retribuzione (Lohnfortzahlungskosten): il danno è insostenibi-le allorquando il datore di lavoro debba farsi carico in un anno dell’indennità con riferimento ad un lasso di tempo superiore a sei settimane. Se si tratta di malattie diverse e ripetute, è sufficiente che il limite delle sei settimane venga superato per più del cinquanta per cento. In terzo luogo, occorre valutare se la malattia è riconducibile a cause connesse all’impresa (per es. infortunio sul lavoro, lavoro usurante, mansioni dannose per la salute) poiché tale circostan-za esclude la giustificazione sociale dovendo il datore di lavoro garantire la ricollocazione mediante l’esercizio del potere direttivo. Diverso è il caso di una malattia che si protrae per un lungo periodo di tempo. Anche in questo caso, la giurisprudenza valuta la sussistenza del motivo di licenziamento alla luce delle conseguenze che l’incapacità al lavoro può avere sull’organizzazione dell’impresa, ammettendo la sussistenza di un carico eco-nomico eccessivo quando il datore di lavoro è tenuto a corrispondere la retri-buzione dopo un periodo di sei settimane. Una condizione di permanente in-capacità al lavoro è ravvisabile quando il prestatore di lavoro è impedito a la-vorare per sei mesi e non è prevedibile una fine (BAG 21 maggio 1992, in

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e-pigrafe; ma si veda anche BAG 14 gennaio 2003, in epigrafe, secondo cui il licenziamento per malattia è giustificato se il lavoratore non è in grado di la-vorare a causa di malattia per un periodo di 7 mesi). Lo stesso vale quando nei successivi ventiquattro mesi non sia prevedibile un recupero della capacità di lavoro. Il datore di lavoro ha l’onere di allegare e dimostrare nel corso del processo che la prognosi è negativa, potendosi avvalere del parere di un medi-co esperto (BAG 13 giugno 1996). Nell’ambito del medi-contemperamento di inte-ressi la causa dell’incapacità al lavoro assume particolare rilievo in vista di una eventuale corresponsabilità del datore di lavoro e del lavoratore all’incapacità di lavoro, specie nei casi in cui i motivi della malattia si colle-gano strettamente alla rispettiva attività (infortuni sul lavoro, malattia profes-sionale, lavori usuranti ecc.). Una giustificazione valida per un licenziamento può ravvisarsi infine nel caso in cui il lavoratore mostra un deficit di rendi-mento a causa di un impedirendi-mento fisico sopraggiunto (BAG 26 settembre 1991), purché esso sia tale da compromettere in modo significativo gli inte-ressi aziendali (BAG 13 dicembre 1990). La giurisprudenza tedesca, che sul punto appare meno rigorosa di quella italiana (Cass. 5 marzo 2003, n. 3250), afferma che il calo di rendimento giustifica il licenziamento se comporta una riduzione di circa 2/3 rispetto alla normale capacità di lavoro sempreché non si accerti che la difficoltà della prestazione sia superabile con il ricorso ad oc-cupazioni alternative (ad esempio, mediante part-time) nel caso in cui il lavo-ratore sia idoneo a svolgere tali attività (BAG 26 settembre 1991).

3. Venendo ai presupposti di legittimità del licenziamento per ragioni econo-miche, si deve anzitutto rilevare che il KSchG definisce «socialmente ingiusti-ficato» il licenziamento che non abbia alla base, tra l’altro, «urgenti esigenze aziendali incompatibili con la continuazione del rapporto di lavoro». Il KSchG si caratterizza poi in quanto prevede espressamente che il datore di lavoro, prima di licenziare, debba: a) valutare la possibilità di riutilizzare al-trimenti la professionalità del lavoratore eccedente, ricollocandolo in un altro posto di lavoro nella stessa azienda o in un’altra azienda dell’impresa (§ 1, Abs. 2, n. 1); b) procedere all’aggiornamento della professionalità del lavora-tore per consentire un’eventuale utilizzazione in mansioni che egli sappia svolgere; c) offrirgli un posto di lavoro alternativo a condizioni contrattuali meno favorevoli rispetto a quelle pattuite originariamente (§ 1, Abs. 2, S. 3). A tal proposito, si ritiene che il datore di lavoro sia obbligato ad introdurre una riduzione dell’orario di lavoro (Kurzarbeit), anche se non è ancora chiaro a quali condizioni. Peraltro, accanto a queste regole assai incisive sull’obbligo di repêchage la legge contempla una tutela di tipo procedurale che limita il potere del datore di lavoro di decidere chi deve essere colpito dal licenziamen-to: il datore di lavoro è tenuto a far ricadere tale scelta sul lavoratore che me-no ha l’esigenza, secondo i criteri di rilevanza sociale previsti dal KSchG, di conservare il posto di lavoro.

Per quanto riguarda le “esigenze aziendali” a cui fa riferimento il § 1, Abs. 3, KSchG, esse debbono attenere all’impresa, al suo sviluppo ed alla sua

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esisten-za in senso lato, ed avere alla base una riduzione del fabbisogno di personale (W. DÄUBLER, Betriebsbedingte Kündigung ohne Interessenabwägung?, in

Arbeit und Recht, 2013, 9). La formula prevista dal KSchG sembra ancora più ampia rispetto all’art. 3 della legge italiana n. 604/1966 che, come è noto, ri-chiama nella definizione legale di g.m.o. le ragioni «inerenti all’attività pro-duttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa»; ma ciò non significa che basta una qualsiasi esigenza aziendale. Il legislatore tedesco, con l’espressione “drigend” (urgente), ha posto l’accento sul caratte-re della necessarietà, il che caratte-rende indispensabile una valutazione della merite-volezza delle esigenze addotte in concreto (W. DÄUBLER, Betriebsbedingte, cit., 9). Peraltro, la disciplina tedesca richiede che il recesso del datore di la-voro sia “subordinato” (bedingt) alle esigenze dell’impresa, essendosi da ciò dedotta una (ulteriore) concretizzazione legislativa del principio del licenzia-mento come extrema ratio. Ad ogni modo, il BAG lascia ampi margini di au-tonomia al datore di lavoro nella individuazione del tipo di vicende che legit-timano il licenziamento, tanto che si è parlato di una “soggettivizzazione” di tale causale (E. STAHLHACKE, U. PREIS, R. VOSSEN, Kündigung und

Kündi-gungschutz im Arbeitsverhältnis, C.H. Beck, 2010, Rn 905): la soppressione

dei posti di lavoro può essere determinata non solo da cause esterne all’impresa (ad es. una contrazione permanente della domanda), ma anche da una qualsiasi scelta del datore di lavoro inerente alla gestione della stessa (purché essa sia seria e non pretestuosa) (BAG 26 settembre 2002, in epigra-fe), sia essa la scelta di ingrandire l’impresa, di limitarla o razionalizzarla al fine di ridurre i costi, di rinunciare alla produzione di un determinato prodotto, di chiudere alcuni reparti e spostare la produzione in un paese con costi del lavoro più bassi per aumentare gli utili, o ancora quella di disporre della forza-lavoro, e rimuovere un livello gerarchico sulla base di una valutazione di effi-cienza (si veda ad esempio BAG 13 febbraio 2008, nella quale il Tribunale federale dà ragione ad una società di vendita al dettaglio di elettrodomestici e di attrezzature fotografiche, la quale nel trasformare una delle sue filiali in un megastore, aveva deciso di rimuovere la posizione di direttore commerciale nella struttura gerarchica dei livelli professionali, ritenendo il lavoro dei re-sponsabili delle vendite inefficiente e quindi obsoleto). Il licenziamento può conseguire alla scelta di modificare il profilo richiesto per ciascuna posizione professionale e mantenere esclusivamente operai specializzati in un determi-nato ambito (BAG 17 giugno 1999), ovvero a quella di sostituire un docente di una scuola elementare con una rappresentante del personale (BAG 29 no-vembre 2007 citata da W. DÄUBLER, Rechtswidrige

Unternehmenrentschei-dung und betriebsbedingte Kündigung, in Der Betrieb, 2012, 2100); di

impie-gare, in relazione a determinati compiti, forza-lavoro a tempo parziale anziché a tempo pieno; o, ancora, di subappaltare un servizio di affissione di manife-sti, sostituendo un rapporto di lavoro subordinato con uno di lavoro autonomo (BAG 13 marzo 2008, in epigrafe). Infine è giustificato anche il licenziamento intimato nei confronti di un lavoratore di origini spagnole che si rifiuti di

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fre-quentare corsi per migliorare la conoscenza della lingua tedesca scritta e porsi in condizione di comprendere le direttive impartitegli per iscritto (BAG 28 gennaio 2010 il quale esclude la possibilità di ravvisare una discriminazione diretta ed indiretta per ragioni di etnia).

Talvolta, il BAG richiama a fondamento di questa impostazione la libertà oc-cupazionale (Berufsfreiheit) di cui all’art. 12 del GG sul presupposto che chi sceglie una determinata occupazione deve avere il diritto di decidere la di-mensione della sua impresa e di scegliere come organizzarla al suo interno; e dunque deve poter anche valutare quali lavoratori assumere e quale consisten-za di organico sia necessaria. In tal modo, però, il Bundesarbeitsgericht, come osserva criticamente Däubler (Betriebsbedingte, cit., 9), sembra manipolare (Handhabung) la libertà di impresa, poiché da un lato, legittima il datore di lavoro a precostituire autonomamente le ragioni del licenziamento, dall’altro, sacrifica in modo sproporzionato l’interesse del lavoratore alla stabilità del posto di lavoro, facendo ricadere la tutela di tale interesse al di sotto di uno standard minimo costituzionalmente imposto (Untermaßverbot). Infatti, la giurisprudenza rinuncia di fatto a decidere sulla base di un contemperamento degli interessi, legittimando, rispetto alle ipotesi del licenziamento per ragioni personali e comportamentali, una disparità di trattamento che sacrifica del tut-to la tutela alla stabilità del postut-to. In effetti, la modifica organizzativa posta a fondamento del recesso, come tale, resta immune da un controllo giudiziale, nel senso che non può essere sindacata sotto il profilo della necessarietà

(No-twendigkeit) e congruità (Zweckmaßigkeit) (BAG 26 settembre 2002); la

que-stione che attiene al “se” e al “come” esercitare un’attività economica (ad es. se subappaltare un certo servizio o effettuarlo nella propria azienda) rientra nella libertà di impresa costituzionalmente tutelata dagli artt. 2, Abs. 1, 12 e 14 GG. Sono assai rari i casi in cui i giudici, sulla base di un

Mißbrauchskon-trolle, hanno considerato la decisione dell’impresa «manifestamente non

og-gettiva, irragionevole o arbitraria» (BAG 30 aprile 1987). In particolare, ciò è avvenuto nel caso di un’impresa ospedaliera costituita in forma di società a responsabilità limitata che aveva “esternalizzato” i servizi di pulizia ad una società figlia costituita ad hoc con l’intento di realizzare un risparmio sul co-sto del personale (BAG 26 settembre 2002), oppure in quello del licenziamen-to determinalicenziamen-to dal proposilicenziamen-to di aumentare la redditività (Arbeitsgericht (ArbG) Berlin 17 febbraio 2000). Da questo punto di vista il diritto “vivente” in Germania, sostanzialmente, converge con il nostro dove solo una giuri-sprudenza del tutto minoritaria, e peraltro assai risalente, ritiene che possano essere sindacate la congruità e l’opportunità delle scelte aziendali, afferman-dosi che «la reale sussistenza» della modifica organizzativa giustifichi «da so-la il licenziamento, quali ne siano le finalità e quindi comprese quelle dirette al risparmio di costi o all’incremento dei profitti» (Cass. 24 maggio 2011, n. 11356). Anche sul versante dell’onere della prova, la giurisprudenza tedesca assume una posizione poco garantista in quanto a fronte di una qualsiasi scelta imprenditoriale volta alla soppressione del posto di lavoro presume l’esistenza

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di ragioni oggettive, facendo gravare sul lavoratore l’onere di dimostrare la manifesta irrilevanza, irragionevolezza o arbitrarietà della misura strutturale adottata (BAG 13 marzo 2008, BAG 21 settembre 2006). In considerazione di questo atteggiamento giurisprudenziale il datore di lavoro potrebbe avere un qualche interesse ad addurre il motivo oggettivo anche quando le ragioni del licenziamento attengono ad un comportamento del lavoratore; e ciò specie se si considera che alla base della scelta imprenditoriale vi possono essere motivi “misti”, legati cioè tanto alla persona che all’organizzazione (pensiamo al ca-so in cui si intenda sbarazzarsi di una perca-sona poco efficiente per rivolgersi ad una ditta estera specializzata). Sembra pertanto giustificato il timore che i giu-dici abbiano incoraggiato tecniche di aggiramento, offrendo al datore di lavo-ro un facile mezzo per bypassare il contemperamento di interessi richiesto in caso di licenziamento per ragioni di persona e di comportamento. Lo stesso timore potrebbe prospettarsi mutatis mutandis anche con riferimento al nostro sistema dal momento che la l. n. 92/2012 ha consentito di fatto una monetiz-zazione dei licenziamenti per motivi economici, rendendo, in tal caso, del tut-to residuale l’area della tutela reintegratut-toria.

4. Anche in Germania il rapporto di lavoro può essere risolto dal datore di la-voro mediante un recesso ordinario per ragioni legate al comportamento man-chevole del lavoratore ovvero mediante recesso straordinario senza preavviso se sussistono gli estremi del “grave motivo” (wichtiger Grund). A differenza che in Italia, però, un licenziamento irrogato per motivi legati al comporta-mento non è assoggettato, per sua natura, alle regole del procedicomporta-mento disci-plinare (salvo in casi eccezionali) ed il lavoratore non deve essere ascoltato prima della sua irrogazione; la giurisprudenza, in applicazione del principio di

extrema ratio, impone peraltro al datore di lavoro di dare un previo

ammoni-mento (Abmahnung) se è dato presumere che in virtù di esso il lavoratore non reiteri in futuro la condotta manchevole. Il fondamento normativo di tale ob-bligo è stato rafforzato con il nuovo § 314, Abs. 2, BGB entrato in vigore nel 2002: si prevede che, nel caso di violazione di un obbligo contrattuale, il re-cesso da un contratto di durata debba essere preceduto da un ammonimento. Tale norma fa riferimento all’ipotesi in cui sussiste un “grave motivo”, ma può essere applicata anche nel recesso ordinario, nonché nei rapporti di lavoro che non ricadono nel campo di applicazione del KSchG. Nel recente dibattito si è posta l’attenzione sul recesso straordinario, che, ai sensi del § 626 del BGB, si verifica quando sulla base delle circostanze del caso concreto e di un bilanciamento degli interessi in gioco risulta irragionevole aspettarsi la prose-cuzione del rapporto. La valutazione dei presupposti del wichtiger Grund vie-ne effettuata dal BAG in due passaggi distinti sulla base di una distinziovie-ne che, nell’ottica della certezza del diritto, contribuisce a rendere più chiaro il campo di applicazione del § 626 del BGB: occorre anzitutto accertare se una data circostanza di fatto sia di per sé (an sich) idonea a configurare un

wichti-gen Grund e, in secondo luogo, se il licenziamento si giustifica, appunto, alla

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dalla giurisprudenza non rilevano soltanto ai fini del diritto sostanziale (§ 626, Abs. 1, BGB), ma anche per definire, sul piano della disciplina processuale, la possibilità di risoluzione in caso di recesso straordinario inefficace ai sensi degli artt. 9, comma 1, frase 2; 13, comma 1, frase 3, KSchG (si veda sul pun-to J-A. WEBER, Auflösung des Arbeitsverhältnisses durch Urteil wegen eines

Bagatelldelikts am Beispiel der “Emmely”- Entscheidung, in Recht der Ar-beit, 2002, 108 ss.). Perché una data circostanza di fatto sia «di per sé» idonea a giustificare un recesso straordinario e, tipicamente, un wichtigen Grund, è necessario, come nel nostro sistema, che il comportamento del lavoratore sia talmente grave da rendere irragionevole una prosecuzione del rapporto sino alla scadenza del preavviso. Non è sempre chiaro quando si configura una causa “di per sé” idonea a giustificare un recesso straordinario. Per l’opinione maggioritaria ciò si può affermare con tranquillità in relazione ai comporta-menti del lavoratore penalmente perseguibili e diretti contro il datore di lavoro ed ai reati che coinvolgono la sfera patrimoniale (M. HENSSLER, Münchener

Kommentar zum Bürgerlichen Gesetzbuch: BGB, C.H. Beck, 2009, Rn. 185).

Tuttavia, non mancano pronunce nelle quali si sostiene che un furto avvenuto in “circostanze normali” non giustifica “di per sé” un recesso straordinario (LAG Hamm 17 marzo 1977). In secondo luogo occorre valutare se alla luce delle “particolari circostanze del singolo caso” debba eccezionalmente esclu-dersi l’idoneità a giustificare un recesso straordinario. A tal fine non assume rilievo decisivo la scarsa entità del danno causato in quanto anche il furto di oggetti di modico valore conduce, di regola, ad un licenziamento per “motivo importante”. Se il dipendente commette volontariamente reati contro il patri-monio o contro la proprietà del datore di lavoro, si può configurare un recesso straordinario anche se il danno causato al datore di lavoro è di modesta entità (BAG 10 giugno 2010, in epigrafe). La gravità della violazione è oggetto di una valutazione diversa a seconda della posizione rivestita dal dipendente, del tipo di merce sottratta, del particolare rapporto esistente con l’impresa. Infine, per valutare nel singolo caso la ragionevolezza della prosecuzione del rappor-to di lavoro deve essere effettuarappor-to un contemperamenrappor-to tra l’interesse del da-tore di lavoro ad estinguere immediatamente il rapporto di lavoro e gli interes-si personali del dipendente al mantenimento del posto di lavoro. Ci interes-si è chiesti in che misura possa venire in considerazione la durata dell’anzianità di servi-zio. In linea di principio, se il dipendente ha trascorso in azienda un lungo pe-riodo di tempo senza aver ricevuto alcun richiamo da parte del datore di lavo-ro, si dovrebbe ritenere ragionevole la prosecuzione del rapporto di lavoro fi-no alla scadenza del periodo di preavviso (BAG 24 marzo 1984); ma d’altra parte un reato contro il patrimonio o la proprietà del datore di lavoro, in taluni casi, turba in modo particolare la base fiduciaria del rapporto. In effetti il BAG, nella prima decisione in cui ha preso in considerazione la durata dell’anzianità di servizio (BAG 12 agosto 1999), ha stabilito che anche un fur-to di oggetti di scarso valore possa giustificare un recesso straordinario sebbe-ne la lunga durata dell’anzianità di servizio deposebbe-nesse a favore del lavoratore.

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Nel recente caso Emmely – nel quale è sfociato un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale – il BAG (10 giugno 2010), nel ribadire che non esistono motivi di licenziamento validi in assoluto, ha accolto il ricorso di una cassiera di un negozio al dettaglio licenziata in tronco per aver incassato due buoni del valore complessivo di 1,30 euro, valorizzando, tra le specifiche circostanze del caso, il fatto che la ricorrente era stata per trent’anni alle dipendenze del datore di lavoro senza aver commesso rilevanti inadempimenti dei obblighi contrattuali, e che il danno causato era di lieve entità. Risulta dunque definiti-vamente acquisito che il furto, pur se di lieve entità, non giustifica necessa-riamente un recesso straordinario (W. DÄUBLER, Das Arbeitsrecht, cit., Rn. 1128; tra le altre LAG Köln 30 settembre 1999).

Raffaello Santagata Ricercatore di Diritto del lavoro – Seconda Università di Napoli

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