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STUDIO DELLA VARIABILITÀ GENETICA ADATTATIVAIN SPECIE FORESTALI: UN APPROCCIO GENOMICOPER LA DEFINIZIONE DI STRATEGIE DI CONSERVAZIONEPER IL PINO LORICATO NEL PARCO NAZIONALE DEL POLLINO

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– L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments 69 (2): 115-124, 2014 © 2014 Accademia Italiana di Scienze Forestali doi: 10.4129/ifm.2014.2.06

ANDREA PIOTTI (*) (°) - MARCO BORGHETTI (**) - ALDO SCHETTINO (***) GIOVANNI GIUSEPPE VENDRAMIN (*)

STUDIO DELLA VARIABILITÀ GENETICA ADATTATIVA IN SPECIE FORESTALI: UN APPROCCIO GENOMICO PER LA DEFINIZIONE DI STRATEGIE DI CONSERVAZIONE PER IL PINO LORICATO NEL PARCO NAZIONALE DEL POLLINO

(*) Istituto di Bioscienze e BioRisorse, Consiglio Nazionale delle Ricerche, IBBR-CNR, via Madonna del Piano 10, 50019 Sesto Fiorentino (FI).

(**) Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari e dell’Ambiente, Università della Basilicata, viale dell’Ateneo Lucano 10, 85100 Potenza.

(***) Ente Parco Nazionale del Pollino, Complesso Monumentale Santa Maria della Consolazione, Rotonda (PZ).

(°) Autore corrispondente; andrea.piotti@gmail.com.

Gli effetti del cambiamento climatico sono chiaramente riscontrabili nella regione mediterranea, uno tra gli hotspot di biodiversità vegetale più rilevanti a livello mondiale. Le foreste mediterranee sono ecosistemi fragili, già compromessi da pascolo, incendi e sfruttamento del legname. Il cambiamento climatico sta interagendo con questi fattori di disturbo determinando una crescente frammentazione e perdita di servizi ecosistemici in quest’area.

Come possono le specie forestali fronteggiare i rischi collegati al cambiamento climatico? Tre sono le principali strategie: migrare, adattarsi alle mutate condizioni locali oppure far leva sul plasticità fenotipica.

Si stima però che per fronteggiare l’attuale cambiamento climatico sia richiesta una velocità di migrazione di un ordine di grandezza superiore a quella necessaria durante i passati cicli glaciali. Inoltre, nonostante l’elevata diversità genetica tipica delle specie forestali e la loro capacità di adattamento potenzialmente rapida, non ci sono solide evidenze che gli alberi possano adattarsi geneticamente ai cambiamenti climatici in atto in poche generazioni.

Nell’immediato futuro dovranno venire predisposti strumenti conoscitivi che consentano di comprendere i processi evolutivi coinvolti nelle risposte delle specie forestali al cambiamento climatico, strumenti basati su un approccio multi-disciplinare che permetteranno di disegnare efficaci strategie di gestione delle risorse forestali. Ciò che ci si attende dallo sforzo congiunto degli scienziati che si occupano a vario titolo di risorse forestali è quello di fornire dati e risultati che permettano di capire quali processi sono in atto e quale sia la loro relativa importanza.

In questo lavoro viene presentato un progetto di ricerca volto ad indagare le risposte adattative del pino loricato (Pinus leucodermis). Il progetto è basato sullo studio congiunto di caratteri genetici e ecofisiologici individuali misurati nei nuclei frammentati presenti nel territorio del Parco Nazionale del Pollino. I risultati di questa indagine sulla distribuzione della variabilità genetica e fenotipica lungo gradienti ecologici fornirà importanti strumenti gestionali agli enti preposti alla conservazione di questa preziosa risorsa genetica forestale.

Parole chiave: cambiamento climatico globale; flusso genico; frammentazione; genetica di popolazioni;

migrazione; Parco Nazionale del Pollino; Pinus leucodermis; risposte adattative; specie forestali.

Key words: global climatic change; gene flow; fragmentation; population genetics; migration; Pollino National Park; Pinus leucodermis; adaptive responses, forest trees.

Citazione - P

iotti

A., B

orghetti

M., S

chettino

A., V

endrAMin

g.g., 2014 – Studio della variabilità

genetica adattativa in specie forestali: un approccio genomico per la definizione di strategie di

conservazione per il pino loricato nel Parco Nazionale del Pollino. L’Italia Forestale e Montana, 69

(2): 115-124. http://dx.doi.org/10.4129/ifm.2014.2.06

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e ffetti del cAMBiAMento cliMAtico nell ’ AreA MediterrAneA

Gli effetti del cambiamento climatico sono ormai chiaramente riscontrabili nella regione mediterranea, e stanno sommandosi agli ef- fetti causati dalla pressione antropica che, localmente, continua a manifestarsi in modo intenso. Il cambiamento climatico ha subito una decisa accelerazione dagli anni ’70, con un innalzamento medio delle temperature che raggiunge i 2 °C nella penisola Iberica e sulle coste francesi, e con una riduzione delle preci- pitazioni anche del 20% sulla costa mediterra- nea del Medio Oriente. Le proiezioni dei trend in atto nella regione mediterranea mostrano come, durante il XXI secolo, si assisterà a un ulteriore innalzamento delle temperature, a una diminuzione delle precipitazioni, a periodi di siccità più prolungati, oltre ad un aumento sia in frequenza che in intensità di ‘eventi meteo- climatici estremi’, come le ondate di calore e altre manifestazioni atmosferiche violente. A tali eventi è strettamente collegata l’incidenza di incendi e inondazioni. Ma oltre a eventi puntiformi e impredicibili, estati più calde e asciutte significano minori risorse idriche e un incremento nel processo di desertificazione, minor attrattività turistica, maggior incidenza di patologie legate alle alte temperature. Tra le conseguenze del cambiamento climatico, lo stress idrico a scala ecosistemica sarà probabil- mente tra le più rilevanti sia per l’uomo che per tutte le altre risorse naturali. Le foreste mediter- ranee sono ecosistemi fragili, già compromessi da pascolo, incendi e sfruttamento del legname.

Il cambiamento climatico sta interagendo con questi fattori di disturbo determinando una crescente frammentazione degli habitat, e una conseguente marcata perdita di servizi ecosiste- mici (S chröter et al., 2005; FAO, 2013).

r ileVAnzA delle riSorSe genetiche foreStAli nell ’ AreA MediterrAneA

La regione mediterranea è uno degli hotspot di biodiversità vegetale più rilevanti a livello mondiale. Inoltre, l’Europa meridionale (in particolare, le tre penisole maggiori: Iberica,

Italiana e Balcanica) ha sicuramente svolto un ruolo fondamentale, durante i cicli di glacia- zione avvenuti durante il Pleistocene, come area rifugio per la flora europea. Il risultato di queste dinamiche di contrazione-espansione degli are- ali collegate al cambiamento climatico globale è che attualmente nell’Europa meridionale si trova la maggior parte della variabilità genetica di molte specie vegetali a diffusione europea, e a ciò non fanno eccezione le specie forestali (e.g.

M Agri et al., 2006; l iePelt et al., 2009).

Proprio i cicli glaciali del Pleistocene sono ri- tenuti i maggiori responsabili dell’attuale distri- buzione delle risorse genetiche forestali. Ovvia- mente, essendo esistite numerose aree rifugio, anche le migrazioni successive al ritiro dei ghiac- ciai e l’adattamento alle nuove condizioni locali hanno contribuito a modellare le caratteristiche genetiche attuali delle specie forestali (P etit et al., 2003). Un altro fattore che ha sicuramente inciso sulle risorse genetiche forestali durante la loro storia evolutiva nell’area mediterranea è la deriva genetica, una forza evolutiva che può determinare rapidi cambiamenti genetici tanto più le popolazioni sono isolate e di pic- cole dimensioni. La geografia stessa dell’area circum-mediterranea e il cambiamento clima- tico hanno sicuramente favorito l’azione della deriva genetica. La rilevanza di tale processo è probabilmente ancora maggiore in quest’ultimo periodo storico (spesso definito come ‘Antro- pocene’, per la rilevanza degli effetti antropici sulle risorse naturali). Infatti, la frammentazione dell’habitat, fenomeno diffusissimo nella re- gione mediterranea sia per questioni climatiche che per aspetti legati all’azione dell’uomo, tende ad esacerbare gli effetti della deriva genetica.

Proprio le attività umane legate alla millenaria

presenza della nostra specie nell’area mediter-

ranea (conversione degli ambienti forestali in

ambienti agricoli, sfruttamento delle risorse

forestali, urbanizzazione, incendi) hanno deter-

minato un crescente isolamento genetico delle

popolazioni, con conseguente limitazione del

flusso genico (scambio di semi e polline), oltre a

una marcata riduzione delle loro dimensioni. In

conseguenza di ciò, molte popolazioni di specie

forestali sono caratterizzate da una elevata mar-

ginalità, sia in termini ecologici che puramente

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geografici (e.g. J uMP e P enuelAS , 2006; S cAlfi

et al., 2009; P ioVAni et al., 2010; l eonArdi et al., 2012; de l AfontAine et al., 2013).

L’erosione genetica può essere fortemente accelerata dalla frammentazione dell’habitat e dalla posizione marginale nell’areale della specie, due condizioni spesso accoppiate. So- litamente infatti, più una popolazione si trova in posizione periferica rispetto al centro dell’a- reale, più è probabile che sia frammentata.

Il ruolo delle popolazioni periferiche per la conservazione della biodiversità è considerato molto rilevante poiché solitamente queste popo- lazioni hanno caratteristiche genetiche peculiari e poiché è probabile che abbiano subito diffe- renti pressioni selettive rispetto a quelle al cen- tro dell’areale. Inoltre, recenti studi filogeogra- fici su specie forestali europee hanno mostrato come popolazioni periferiche che si trovano al confine meridionale dell’areale spesso rappre- sentino una riserva di biodiversità (P etit et al., 2003; M Agri et al., 2006; l iePelt et al., 2009).

Come sopra argomentato, questo dipende dal fatto che alcune di queste popolazioni, nelle quali gli aspetti demografici legati all’attuale po- sizione periferica non hanno determinando un processo irreversibile di impoverimento gene- tico, conservano la variabilità genetica ‘accumu- latasi’ nelle aree rifugio durante le glaciazioni.

Nonostante questa possibile resilienza spesso le- gata alle peculiari caratteristiche del ciclo vitale delle specie forestali, è stato osservato per talune conifere europee come i cambiamenti climatici stiano determinando un netto calo di soprav- vivenza e crescita al limite inferiore dell’areale, processo che probabilmente accelererà la per- dita prevista di variabilità genetica (r uBiAleS et al., 2008; r eich e o lekSyn , 2008).

r iSPoSte delle SPecie foreStAli Al cAMBiAMento cliMAtico gloBAle

Come possono le specie forestali fronteggiare e rispondere ai rischi collegati al cambiamento climatico globale? Le principali strategie sono tre: migrare, adattarsi alle mutate condizioni locali oppure far leva sulla plasticità fenotipica (A itken et al., 2008). Al contrario di quanto si pensava in seguito ai primi studi sulle capacità

di migrare delle specie forestali, da recenti la- vori è emerso che, soprattutto mediante il pol- line, le popolazioni di specie forestali sono in grado di condividere la loro variabilità genetica a scale geografiche notevoli (10

2

-10

3

km, W il -

liAMS , 2010; r oBledo -A rnuncio , 2011). Ma

il cambiamento climatico impone migrazioni

e spostamenti di areale che rendono necessari

lunghi spostamenti anche tramite la dispersione

via seme, e questa potenzialità è spazialmente

molto più limitata. Sulla base di dati paleobota-

nici è stato stimato che le specie forestali siano

state in grado di migrare durante i passati cicli

glaciali ad una velocità nell’ordine di grandezza

delle centinaia di metri all’anno, che di per se

è una velocità notevole, ma almeno un ordine

di grandezza inferiore a quella necessaria per

fronteggiare l’attuale cambiamento nelle condi-

zioni ambientali (P etit et al., 2008). Tuttavia, il

potenziale adattativo delle specie forestali può

essere molto elevato. Oltre a migrare (senza

adattarsi), gli alberi possono adattarsi rapida-

mente attraverso risposte legate alla loro plasti-

cità fenotipica, oppure attraverso risposte evo-

lutive a livello genetico alla pressione selettiva

indotta da eventi legati al clima (S AVolAinen et

al., 2007). Prove realizzate in campo (in espe-

rimenti in cui progenie da provenienze diverse

vengono cresciute alle stesse condizioni) hanno

dimostrato che la maggior parte delle popola-

zioni di specie forestali posseggono un’elevata

diversità genetica associata alla risposta a fattori

di stress, e che tale diversità è organizzata lungo

gradienti ambientali (A lBerto et al., 2013). È

interessante notare il fatto che gli estremi, piut-

tosto che le medie, dei parametri climatici sem-

brano determinare la distribuzione della diver-

sità adattativa. La capacità di adattamento delle

popolazioni di alberi è testimoniata dall’attuale

distribuzione della variabilità genetica adatta-

tiva, per lo più rigeneratasi rapidamente du-

rante i processi di ricolonizzazione nel periodo

post-glaciale. L’adattamento locale può essere

inoltre favorito dall’elevata diversità genetica

generalmente presente entro le singole popo-

lazioni, dalle grandi dimensioni stesse delle

popolazioni, oltre che dall’intenso flusso ge-

nico via polline. D’altra parte il flusso genico

può generare effetti contrastanti. La teoria

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sulle dinamiche evolutive ai margini dell’are- ale predice che il flusso genico dalle popola- zioni centrali a quelle marginali possa, da un lato, determinare l’introgressione in queste ultime di geni con effetti “maladattativi”, di- minuendone l’adattabilità e le possibilità di espansione, mentre dall’altro, potrebbe au- mentare le dimensioni effettive e la loro va- riabilità genetica, accrescendone il potenziale adattativo (S AVolAinen et al., 2007; k reMer

et al., 2012).

Ad oggi, comunque, non ci sono solide evi- denze che gli alberi possano adattarsi geneti- camente ai cambiamenti climatici nel giro di poche generazioni. Quando le condizioni am- bientali sono tali da generare un riduzione de- mografica (come spesso accade ai margini me- ridionali dell’areale di distribuzione), allora la capacità di adattamento di queste popolazioni è significativamente diversa da quella mani- festata in una fase di espansione demografica (situazione attualmente comune al margine set- tentrionale dell’areale di distribuzione). L’adat- tamento, quindi, è una delicata competizione tra declino demografico e cambiamenti evolu- tivi: se l’introduzione di nuova variabilità ge- netica è lenta, allora le popolazioni potrebbero estinguersi prima di adattarsi alle nuove con- dizioni ambientali. Solo quando i cambiamenti climatici non sono troppo rapidi ed intensi, le popolazioni sono di dimensioni ampie, e il po- tenziale evolutivo è elevato, le popolazioni pos- sono essere mantenute grazie ai meccanismi di adattamento genetico.

Tra le specie europee studiate per quanto riguarda le possibili risposte al cambiamento climatico globale, sicuramente i pini mediter- ranei (principalmente il pino d’Aleppo, Pinus halepensis, il pino marittimo, Pinus pinaster, e il pino domestico, Pinus pinea), rappresentano uno tra i gruppi in cui sono state eseguite le analisi più approfondite e gli esperimenti più articolati (V endrAMin et al., 2008; g riVet et al., 2013; B udde et al., 2014). Ciò ha permesso di ricostruirne accuratamente le dinamiche a livello biogeografico (soprattutto in relazione agli ultimi cicli di ricolonizzazione post-gla- ciale) avanzando ipotesi ben fondate sulla lo- calizzazione delle aree rifugio, sui percorsi se-

guiti durante i periodi di espansione dell’areale, sulle possibili zone di incontro di diverse rotte di ricolonizzazione. Ad esempio, è ormai dimo- strato che il pino marittimo è sopravvissuto alle ultime glaciazioni in diversi rifugi occidentali, sulle coste sud-orientali spagnole, sulle coste atlantiche del Portogallo e nella zona del Ma- ghreb; al contrario, ci sono numerose evidenze che il pino d’Aleppo abbia colonizzato le coste occidentali del Mediterraneo in seguito a eventi di colonizzazione a lunga distanza da antiche popolazioni situate in Grecia (g riVet et al., 2011). Tali informazioni rappresentano la base fondamentale per organizzare studi sull’attuale livello di adattamento locale delle popolazioni, in quanto essenziali per comprendere il ruolo relativo della demografia e della selezione nel determinare la distribuzione della diversità ge- netica.

Studi approfonditi sulla storia evolutiva dei pini mediterranei a livello dell’intero areale di distribuzione hanno permesso di ottenere ri- sultati incoraggianti riguardo alle porzioni del genoma coinvolte nelle risposte delle specie forestali a condizioni ambientali che rappre- sentano e, soprattutto, rappresenteranno negli anni a venire, forti pressioni selettive (come pe- riodi di siccità prolungata, incendi frequenti e di grande intensità, gelate tardive oltre l’inizio della stagione vegetativa) (g riVet et al., 2013).

Tali conoscenze avranno un ruolo cruciale per lo sviluppo di corrette strategie di conserva- zione delle risorse genetiche forestali, ma do- vranno essere necessariamente integrate con risultati di esperimenti su scala locale (oppor- tunamente replicati) per sviluppare e organiz- zare azioni di conservazione a una risoluzione spaziale adeguata.

i l contriButo dellA genoMicA foreStAle AllA coMPrenSione delle dinAMiche eVolutiVe delle riSorSe foreStAli in

riSPoStA Al cAMBiAMento cliMAtico gloBAle

Lo scopo di studi che combinano dati a li-

vello di intero areale e esperimenti su scala

locale dovrà necessariamente essere quello

di comprendere, mediante approcci innova-

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tivi e multi-disciplinari, l’importanza relativa di ciascuno dei meccanismi di risposta delle specie forestali al cambiamento climatico globale, con un particolare focus sull’adatta- mento locale, che dovrà essere analizzato i) su scala macro-geografica, tramite studi di asso- ciazione tra dati ambientali e genomici (mar- catori SNP) in un elevato numero di popola- zioni che coprano in modo esaustivo l’areale della specie, e ii) su scala micro-geografica, a livello di popolazione, concentrandosi sull’as- sociazione tra dati fenotipici e genomici lungo transetti caratterizzati da condizioni molto contrastanti per quanto riguarda, ad esem- pio, la disponibilità idrica (quelli che ven- gono comunemente chiamati local gradient experiment). Una volta determinata l’intensità dell’adattamento locale, la caratterizzazione genetica delle popolazioni sull’intero areale e i risultati di esperimenti di flusso genico condotti negli esperimenti a scala locale pro- durranno un quadro esaustivo della distri- buzione della variabilità genetica adattativa e delle dinamiche, in termini di migrazione, che la interessano. Il flusso genico adattativo, cioè l’immigrazione di varianti genetiche in qualche modo ‘pre-adattate’ alle nuove con- dizioni locali in un contesto di cambiamento climatico, viene solitamente considerato come il fattore determinante nel promuovere adatta- mento locale qualora cambino rapidamente le condizioni ambientali (d AViS e S hAW , 2001).

La sua stima mediante marcatori genomici appropriati è cruciale per capire se, e a che ritmo, le caratteristiche genetiche delle popo- lazioni riescano a modificarsi in seguito allo shift delle condizioni ecologiche per contra- stare l’erosione del loro potenziale adattativo.

Nell’immediato futuro dobbiamo predi- sporre gli strumenti conoscitivi che ci con- sentano di comprendere i processi evolutivi coinvolti nelle risposte delle specie forestali al cambiamento climatico globale, oltre a for- nire una solida base multi-disciplinare su cui disegnare strategie di gestione efficaci delle risorse forestali mediterranee (B orghetti et al., 2012; l efeVre et al., 2012; g riVet et al., 2013). Un obbiettivo fondamentale di tale ri- cerca è capire e predire le risposte a uno dei

cambiamenti climatici globali più drammatici.

Ciò che ci si attende dallo sforzo congiunto degli scienziati che si occupano a vario titolo di risorse forestali, siano essi ecofisiologi, eco- logi, genetisti, è quello di fornire dati e risul- tati che permettano di capire quali tra questi processi sono in atto e con quale intensità. Se si sarà in grado di agire più tempestivamente dei cambiamenti climatici ed ambientali in corso, questo sforzo congiunto permetterà di comprendere quale sia il miglior approccio e la reale urgenza di strategie di conservazione per la biodiversità delle foreste mediterranee.

i l cASo del Pino loricAto

nel P Arco n AzionAle del P ollino

Tra le specie forestali più emblematiche, il pino loricato (Pinus leucodermis o P. heldrei- chii var. leucodermis) riveste una grande im- portanza sia da un punto di vista evoluzioni- stico che conservazionistico. Di particolare interesse sono i popolamenti disgiunti presenti nella parte occidentale della sua distribuzione, per la maggior parte compresi nel territorio del Parco Nazionale del Pollino. Questi nuclei sono caratterizzati da una distribuzione fram- mentata, una marcata distribuzione altitudi- nale e un significativo isolamento dall’areale principale localizzato nei Balcani (B oScherini

et al., 1994; t odAro et al., 2007; g uerrieri

et al., 2008). I popolamenti presenti possono essere ricondotti a quattro distinti gruppi naturali di vegetazione localizzati nel piano montano e sub-montano: 1) il gruppo setten- trionale lucano (M. Alpi, M. La Spina, M. Zàc- cana), 2) il gruppo centro-orientale calabro- lucano (Serra di Crispo, Serra delle Ciavole, Serra Dolcedorme, M. Pollino), 3) il gruppo centrale calabro (M. Palanuda, M. Caramolo, Cozzo del Pellegrino), e 4) il gruppo costiero meridionale (Massiccio della Montea).

Il pino loricato è una specie montana che ve-

geta sia in stazioni rupestri assai scoscese che

nei pianori dei valloni d’alta quota più protetti

dal vento, con predilezione per le esposizioni

calde dei quadranti ovest e sud-ovest, su suoli,

litosuoli e rocce calcaree e/o dolomitiche di ere

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geologiche diverse, in una fascia altitudinale assai ampia compresa tra i 530 m s.l.m. in lo- calità Golfo della Serra nella Valle del Fiume Argentino, e i 2240 m s.l.m. sull’Anticima Nord di Serra Dolcedorme. La specie caratterizza il paesaggio delle alte vette e dei costoni rocciosi con esemplari pluricentenari e monumentali, di forma e portamento che suggeriscono l’estrema adattabilità all’aridità del suolo ed alle difficili condizioni climatiche. I popolamenti d’alta quota sono spesso costituiti da individui di età superiore ai 300 anni, sono privi di classi di età intermedie, a densità rada, con alta percentuale di piante morte (Fig. 1). La scarsa rinnovazione tende ad insediarsi a piccoli gruppi al mar- gine dei popolamenti adulti, al riparo vicino a gruppi di rocce, con incrementi longitudinali ridotti a causa delle difficili condizioni ambien- tali (Fig. 2).

Il pino loricato, considerato una specie relitta delle foreste oro-mediterranee del terziario, è stato relativamente poco studiato, tanto da rappresentare tutt’oggi un’entità tassonomica incerta. Pochi sono i lavori a scala biogeogra-

fica e scarse le informazioni sulle dinamiche entro popolazione (B orghetti et al., 1989;

B oScherini et al., 1994; B ucci et al., 1997;

t odAro et al., 2007), informazioni basilari per progettare corrette strategie di conservazione al fine di contrastare la riduzione dell’areale determinata dall’impatto antropico e per va- lutare l’impatto delle migrazioni indotta da cambiamenti climatici particolarmente intensi nell’area mediterranea (B orghetti et al., 2012). In studi basati su un numero limitato di popolazioni situate nel Parco Nazionale del Pollino, è emerso come tali nuclei mostrino se- gnali marcati dell’azione della deriva genetica, probabilmente legati al loro elevato isolamento e ad uno scarso flusso genico tra di esse. A tal proposito, è importante segnalare la com- pleta assenza di dati sulle capacità di disper- sione della specie, in quanto il flusso genico tra ed entro popolazioni può rappresentare la principale strategia delle specie forestali per contrastare l’erosione della variabilità genetica adattativa, fondamentale per evolvere risposte ai cambiamenti ambientali. Dalla capacità di

Figura 1 – Popolamento cacuminale di pino loricato sulla Serra delle Ciavole (2130 m s.l.m.).

Pinus leucordermis stand on the top of Mt. Serra delle Ciavole (2130 m a.s.l.).

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movimento via seme e via polline dipende, ovviamente, anche la potenzialità della specie di colonizzare nuovi habitat, caratteristica che diviene cruciale in un contesto di cambiamenti climatici. Interessante notare come studi più generali sul sistema riproduttivo della specie hanno mostrato come essa sembri tollerare tassi di auto-impollinazione elevati nei primi stadi di sviluppo, una possibile strategia di significato adattativo per una specie pioniera (M orgAnte et al., 1991, 1993).

Il progetto di recente approvazione “Stu- dio della variabilità genetica adattativa lungo transetti altitudinali di pino loricato nel Parco Nazionale del Pollino: un approccio genomico per disegnare adeguate strategie di conser- vazione”, che sancisce la collaborazione tra il Parco Nazionale del Pollino, l’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del CNR e la Scuola di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (SAFE) dell’Università della Basilicata è pro- prio finalizzato a indagare le caratteristiche genetiche dei popolamenti presenti nel Parco Nazionale del Pollino, per raccogliere dati e risultati fondamentali per l’ideazione di stra-

tegie di conservazione adeguate al manteni- mento del potenziale adattativo della specie.

Il progetto si articolerà in tre fasi operative in cui saranno indagate: A) la distribuzione della variabilità genetica nei nuclei presenti nel parco, B) le caratteristiche genetiche ed eco-fisiologiche legate all’adattamento locale lungo transetti altitudinali, e C) le capacità di dispersione della specie lungo tali gradienti ecologici, con un focus particolare sulla ca- pacità di migrazione di varianti genetiche con particolare valore adattativo.

Verranno a tal fine censiti e caratterizzati geneticamente tutti i nuclei presenti nel Parco Nazionale del Pollino, istituiti due transetti al- titudinali (fondamentali per avere almeno una replica dei risultati) costituiti ciascuno da tre aree di studio (alta quota, quota intermedia, bassa quota), massimizzando così la proba- bilità di individuare segnali genetici di adat- tamenti locali che, a livello fenotipico, sono stati già ipotizzati, per tratti importanti come la dormienza dei semi, per questa specie (B or -

ghetti et al., 1989). In ciascun’area di studio verranno scelte almeno 50 piante adulte e 50

Figura 2 – Rinnovazione di pino loricato insediata in praterie d’alta quota sul versante ovest-nord-ovest della Serra Dolcedorme, ad una quota di 2150 m s.l.m.

Pinus leucordermis regeneration at high altitude pastures on the west-northwest slope of Mt. Serra

Dolcedorme (2150 m a.s.l.).

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piante giovani che verranno caratterizzate con marcatori molecolari e per diversi tratti feno- tipici. Tutti gli individui campionato verranno marcati e georeferenziate allo scopo di svilup- pare attorno a questi nuclei delle aree di studio permanenti. Per quanto riguarda la genetica, le piante verranno genotipizzate con marcatori microsatellite neutrali e marcatori SNP (Single Nucleotide Polymorphism) mediante il rise- quenziamento di geni candidati, da scegliere in base al loro coinvolgimento in processi legati all’adattamento (in particolare, alla resistenza alla siccità e al freddo). Alla caratterizzazione genetica verranno accoppianti dati ecofisiolo- gici (principalmente dati dendroecologici e mi- sure fenologiche).

Una volta individuate caratteristiche geneti- che potenzialmente soggette a pressione selet- tiva, verrà eseguita un’analisi del flusso genico per valutare l’efficacia (oltre all’eventuale dire- zionalità) della dispersione tra ed entro i popo- lamenti analizzati. Per questi esperimenti verrà esteso il campionamento a tutti gli adulti e a un campione della rinnovazione presenti nei popolamenti ai limiti altitudinali del transetto, al fine di stabilire le relazioni di parentela tra le due coorti campionate, quale sia il tasso di immigrazione verso la popolazione esaminata, e gli eventuali scambi genetici lungo il transetto analizzato.

Gli obbiettivi del progetto sono molteplici, data l’ingente quantità di risultati ricavabili dalla combinazione di dati genetici e fenotipici.

Tra quelli di valore generale i principali saranno la comprensione della componente genetica dell’adattamento locale lungo transetti estesi (tra 530 e 2240 m s.l.m.), la relazione tra i geni studiati e la risposta fisiologica che generano, la quantificazione della variabilità genetica po- tenzialmente adattativa in una specie con distri- buzione locale estremamente limitata. Oltre a queste informazioni, verranno certamente for- nite indicazioni di carattere conservazionistico di grande interesse per il Parco Nazionale del Pollino e degli altri enti interessati alla conser- vazione e corretta gestione della specie. Tra gli altri, si potrà rispondere a quesiti quali: il flusso genico è efficace nel mantenere la varia- bilità genetica tra i popolamenti frammentati

di pino loricato? La connettività genetica tra i nuclei è sufficiente a garantire lo scambio di varianti con potenziale valore adattativo? I po- polamenti esaminati hanno subito colli di bot- tiglia a causa dell’impatto antropico nell’area studiata? Quali sono le dimensioni effettive dei popolamenti studiati? Sono necessari interventi di migrazione assistita per mantenere il poten- ziale adattativo della specie?

SUMMARY

Investigating adaptive genetic variation in forest trees:

a genomic approach to define conservation strategies for Pinus leucodermis in the Pollino National Park The effects of climate change are easily recognizable in the Mediterranean region, one of the most important hotspots of plant biodiversity worldwide. Mediterranean forests are fragile ecosystems threatened by grazing, fires and intensive forest cuttings. Interacting with such disturbances, climate change is fuelling an ever- increasing fragmentation process and the loss of ecosystem services.

What can trees do to cope with climate change?

The main strategies are to migrate, to adapt to new environmental conditions or to rely on phenotypic plasticity. However, it has been estimated that spread rates that allowed a successful escape from past glaciations are far below what would be necessary for species migration to track future climatic warming.

In addition, notwithstanding large genetic variation and potentially fast adaptation, there is only anecdotal evidence that forest trees can genetically adapt to contemporary environmental change over a limited number of generations.

In the near future, a deep knowledge of evolutionary processes involved in forest tree responses to climate change is required. This must rely on a sound multi- disciplinary approach upon which effective strategies for the conservation of forest genetic resources should be based. Only through a joined multi-disciplinary effort, high quality data can be generated to understand the biological processes coming along with ongoing climate change and what is their relative relevance.

In the present work, we outline a research project on adaptive responses of Pinus leucordermis. The project is based on the joined evaluation of genetic and ecophysiological characteristics at the individual level from the fragmented populations present in the Pollino National Park. Results on the distribution of genotypic and phenotypic variation along ecological gradients will provide local managers with effective tools for maintaining invaluable forest genetic resources.

BIBLIOGRAFIA

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