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Capitolo 1 Multi-level governance e realismo: un'impronta teorica

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Capitolo 1

Multi-level governance e realismo: un'impronta teorica

1.1. Premessa

L'oggetto del presente lavoro consiste nell'indagare il concetto di governance come struttura portante del processo decisionale europeo e nazionale. L'intento è quello di capire quali siano le relazioni tra istituzioni comunitarie, Stato centrale e regioni; queste ultime vanno intese come aree geografiche dotate di un proprio assetto istituzionale, politico e amministrativo, che oggi più che mai richiedono di partecipare in modo attivo al processo di policy making europeo.

Tale richiesta viene avanzata dalle regioni al fine di non essere relegate ad un ruolo meramente passivo di implementazione delle decisioni prese ad un altro livello istituzionale; o meglio, visto che proprio le regioni dovranno mettere in pratica ed eseguire certe scelte, la richiesta è disporre di una certa influenza sui percorsi che le generano.

Questo diventa più che mai rilevante nella strutturazione della politica di coesione europea, una politica che mette al centro del suo obiettivo proprio le realtà regionali, promotrici primarie dei processi di convergenza.

Hooghe1 evidenzia come siano molteplici le possibili definizioni di regione, a seconda che il punto di vista acquisito sia economico, socio-culturale o politico. L'ottica economica definisce l'entità regionale in base ai modelli di produzione, di commercio ed al mercato del lavoro che si esprimono al suo interno; la definizione socioculturale invece valorizza la storia, la lingua, la cultura o l'identità che rende la singola regione cosa a sé rispetto alla cultura nazionale. Infine la definizione politica si riferisce all'istituzione che governa il territorio: Hooghe sostiene che proprio a questa bisognerà riferirsi nell'intraprendere un discorso sulla multi-level governance, avvertendo che la regione “economica” o “socioculturale” sopra dette possono anche non coincidere con quella “politica”.

In quanto istituzione, la regione può essere assimilabile o ad una debole agenzia di pianificazione (amministratrice delle politiche nazionali) o ad un vero e proprio governo autonomo.

1 Hooghe L. e Marks G., “Multilevel governance and European Integration”, Rowman&Littlefield Publisher Inc., 2001.

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Di fatto, a prescindere dalle funzioni svolte, l'autorità regionale si caratterizza per la sua posizione, che la pone tra lo Stato e la dimensione locale; oggi, infatti, la regione viene efficacemente chiamata meso-level, termine che ben la colloca nell'assetto di

multi-level governance:

“Some authors suggest replacing the term “region” by “meso” which refers to that tier of government between the lowest (local) and the highest (national)”2.

Così, ricercare l'impronta dei governi sub-nazionali nella politica regionale europea, che si avvale dello strumento finanziario dei fondi strutturali, diventa ancora più interessante, poiché tale policy rappresenta il massimo esempio della necessità di una politica coerente e condivisa, per poter ridurre sensibilmente le disparità economiche e sociali nelle regioni europee.

La tendenza riscontrata nella preparazione della programmazione dei fondi strutturali è quella non soltanto di puntare ad una convergenza c.d. “esterna” (una riduzione delle disparità tra Stati membri), ma anche di tener ben presente il concetto di convergenza c.d. “interna”; per quest'ultima si intende la riduzione delle disparità tra le realtà regionali di un singolo Stato membro, ai fini di scongiurare una crescita della ricchezza nazionale ottenuta concentrando gli interventi nelle aree più produttive e che presentano per questo più facili economie di scala, lasciando a sé stesse le regioni che al contrario riportano difficoltà strutturali nello sviluppare il proprio potenziale endogeno.

Questa logica viene oggi seguita sicuramente grazie al principio solidaristico a cui la politica di coesione si ispira; inoltre le analisi economiche dimostrano che il percorso di crescita economica europea, che corra parallelo all'aumento dei tassi occupazionali3 e che sia stabile nel lungo periodo, necessita di una diffusione

capillare del benessere.

Appurate la centralità dell'attore regionale e, di conseguenza, la necessità di coinvolgerlo nella politica di coesione, l'intento è ora quello di capire i meccanismi che definiscono l'ambito di partecipazione delle regioni al policy making per il periodo 2007-2013.

2 p.191, Hooghe, 2001, op.cit.

3 Si ricorda che crescita e occupazione sono le principali linee direttrici su cui si sviluppa la strategia di Lisbona di cui si avrà modo di parlare e per cui vedi infra.

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La prospettiva assunta è dunque quella della regione4, entità che emerge come snodo

politico ed economico cruciale: l'attore regionale infatti è inteso come livello territoriale che riesce a sintetizzare la rete di interessi, che si articolano all'interno dei suoi confini geografici. Dunque si presuppone che essa sia un'entità di dimensione non eccessivamente ampia, così da non perdere la percezione delle richieste avanzate dalle micro-realtà interne e, allo stesso tempo, non troppo ridotta e tale da avere una visione d'insieme e sinergica degli attori economici e sociali, relazionati in essa. Comunque sia, la regione resta un'entità tuttora in via di sviluppo, in tutta Europa, e il suo divenire procede parallelo alla crisi del modello verticale di Stato. Qualunque sia infatti l'impostazione di pensiero seguita, e cioè sia che più si enfatizzino le conquiste regionali o al contrario si propenda all'affermare la preminenza dello Stato centrale, nessuno oggi si sentirebbe di dire che nulla è cambiato nella dimensione istituzionale europea.

Sicuramente ciò deriva dai meccanismi di globalizzazione economica che coinvolgono non solo l'Europa, ma tutto il pianeta, a cui si accosta spesso la necessità di rivalutare la dimensione locale, al fine di potersi orientare in uno spazio ormai privo di limiti5. Vale a dire che è innegabile il fatto che, in qualche modo, lo Stato sia sottoposto ad una sorta di smembramento delle componenti del suo assetto, elementi che lo avevano messo in una posizione forte e indiscussa fino a quel momento.

Inoltre, intensi cambiamenti economici hanno coinvolto molti Paesi europei, condotti a focalizzare maggiormente il ruolo regionale, in sede di progettazione dello sviluppo: si è assistito al passaggio da modelli economici in cui il motore della crescita era rappresentato dalle grandi imprese a modelli basati sul proliferare di piccole e medie imprese (PMI). Così, mentre le grandi dimensioni imprenditoriali vedevano nello Stato centrale la giusta controparte nel fornire le risposte necessarie e valide per l'intero territorio nazionale, la realtà delle piccole e medie imprese necessita, ora, di un dialogo con le amministrazioni locali, al fine di sviluppare contatti utili per lo sfruttamento dei fattori endogeni che quel determinato territorio offre.

4 La presente trattazione assume un'ottica strettamente regionale al fine di far emergere la consapevolezza che, parlando di articolazioni sub-nazionali rilevanti per la politica di coesione, le istanze europee si riferiscono anche alle realtà locali fino a ricomprendere le città a cui, tra l'altro, viene data particolare attenzione in questo periodo di programmazione; basti pensare a tal proposito agli Orientamenti strategici comunitari, che dedicano una parte alla specificazione del contributo delle città agli obiettivi di crescita e di occupazione.

5 Questo fenomeno di portata mondiale equivarrebbe alla cosiddetta “glocalizzazione”, di cui si sente spesso parlare sui giornali, ormai da molto tempo.

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Si ha dunque il relazionarsi della realtà locale con le PMI6, meccanismo in base al

quale si riesce a costruire un pacchetto d'offerta locale, costituito su elementi che sono per natura localizzati (non si possono cioè trasferire), per creare così le condizioni di attrazione di capitali e innovazione, fattori che invece sono caratterizzati dalla mobilità; ecco che l'attore sub-nazionale diventa “imprenditore politico dello sviluppo del proprio territorio”7.

Detto ciò, si capisce perché la Commissione europea si sia resa promotrice storica del riconoscimento del ruolo regionale, anche se, in realtà, il passaggio logico successivo è capire quanto sia ancora valido, oggi, attribuirle tale merito, alla luce dei nuovi regolamenti comunitari sui fondi strutturali.

La scelta di sviluppare un discorso sulla governance dal punto di vista regionale è motivata dal fatto che, nella maggior parte dei Paesi europei, il c.d. meso-level esercita notevoli pressioni sullo Stato centrale e sulle istituzioni comunitarie, per rivendicare il proprio ruolo di co-decisore al fianco dello Stato e dell'Unione europea. E' sicuramente una situazione che dipende molto dall'assetto istituzionale interno a ciascun Paese: infatti mentre in alcuni Stati membri le disposizioni costituzionali favoriscono una presa di posizione da parte delle autonomie sub-nazionali, in altri la regione è un'entità debole e sfumata e, in certi casi, addirittura nata per

6 C'è chi sostiene che il ruolo regionale si sarebbe accentuato anche per motivazioni attinenti alla struttura economica che, negli anni '80-'90, aveva visto la crisi della grande impresa, parallelamente al crescente peso che le piccole e medie imprese (PMI) stavano acquisendo, soprattuto in termini di occupazione. La soluzione dunque ai problemi di disoccupazione si cominciò a vedere nella PMI, che senz'altro entrava in contatto diretto con la dimensione locale, piuttosto che con quella nazionale. Infatti, la micro-dimensione di queste entità produttive necessita di una rete di servizi, all'interno del contesto in cui opera, non avendo la possibilità economica di produrli autonomamente; dunque la realtà locale deve rispondere a tale esigenza, offrendo alle imprese un pacchetto integrato di servizi.

Così, mentre la grande impresa necessitava di un interlocutore nazionale, la PMI ha ora bisogno di relazionarsi con le autorità regionali che, se fornite di potestà legislativa, possono anche creare un ambiente favorevole alle imprese di un certo settore, per determinarne il radicamento. “Regions are better suited for the task of interacting with small and medium-sized firms because: 1) their geographical size allows them to operate at the area-wide level and make use of a variety of resources and institutional functions; 2) they can achieve a critical mass of administrative and technical expertise in interacting with relatively small production units scattered across a region's territory; 3) in a variety of national settings, regions manage significant amounts of financial resources in providing incentives in collaboration with sectoral associations; 4) they have legislative powers in metters related to industrial parks, loans to entrepreuners, infrastructure planning, environmental control, vocational education, social service planning and provision, business services, transfer of technology to local firms, etc.; 5) regions can define intersectoral policies to serve a broad range of economic and social intersts which are territorially based and functionally interconnected within the region”, Nanetti in Hooghe, 1996, op.cit.

7 Alessia Damonte, “Le regioni tra Stato e Unione europea: l'emergere del 'terzo livello'?”, Consorzio Interuniversitario Milano-Torino-Pavia, 2000.

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l'implementazione della politica regionale comunitaria8.

Tale ipotesi, secondo cui sarebbero l'ordinamento interno ed altre condizioni nazionali a definire la volontà di innalzare il ruolo regionale, può avere un senso, ma c'è anche chi sostiene che il percorso logico causa-effetto sia orientato in senso opposto a quello descritto; è possibile, dunque, che sia proprio la dimensione europea, con le sue politiche, ad aver fatto prendere coscienza alle regioni del loro ruolo e della loro rilevanza, cosa da cui sarebbe poi scaturita una vera e propria rivendicazione, sia in sede europea che nazionale. Da qui, secondo molti, si sarebbe avviato il percorso di “regionalizzazione” che oggi sembra procedere a passo svelto, in particolar modo nei paesi dell'Europa occidentale.

Nel contesto attuale non si può tralasciare la prospettiva dei nazionalismi locali, che reclamano la realizzazione di un “Europa delle Regioni”, in cui queste siano autonome nel definire le strategie che esse stesse dovranno concretizzare, derivandone così maggiori risultati.

D'altra parte va anche preso in considerazione chi parla di “regionalismo cooperativo”, a sostegno di un'”Europa con le Regioni”, che affidi a queste un rilevante ruolo di sostegno agli Stati nel contesto europeo; così, passando attraverso la voce dello Stato, le regioni avrebbero accesso all'arena decisionale comunitaria. Sembra quest'ultima una posizione meno radicale della politica citata, ma comunque capace di far compiere un sostanziale passo in avanti rispetto all'idea tradizionale, e ormai superata, di un'”Europa per le Regioni”. E' questo, in effetti, uno slogan che, seppur semplicistico, aiuta ad intuire la concezione di un sistema in cui le regioni sono essenzialmente agenti, con il compito di realizzare ciò che altrove è stato deciso. Al fine di capire che cosa si intenda per governance, può risultare utile riprendere la definizione data da Rhodes, che la descrive come modalità di gestione della società attraverso “reti interorganizzative ed autorganizzative”9, caratterizzate

dall'interdipendenza delle entità coinvolte.

Si tratta dunque di un sistema aperto, in cui i membri della rete interagiscono di continuo, a causa della necessità di scambiare risorse e di negoziare, per raggiungere obiettivi comuni; il contesto è rappresentabile come un gioco strategico, fondato su rapporti più o meno formali, di fiducia o diffidenza, che spesso (ma non sempre) si

8 Questo è il caso dei nuovi Stati membri ed in particolare della Slovenia e dell'Estonia, per cui vedi infra (capitolo 4).

9 Traduzione ripresa da Keating che cita Rodhes in “Europeism and Regionalism in the European Union and the Regions”, Clarendon Pres, Oxford, 1995.

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traducono in regole precise di interazione.

Il concetto di governance presuppone la coesistenza di una pluralità di attori e lo Stato è uno di questi; per verificare la tipologia di governance instaurata, è necessario sia vedere se, e con che forza, lo Stato modella il sistema istituzionale, sia definire il grado di autonomia decisionale che esso si riserva.

Oltre all'analisi istituzionale, va poi tenuto di conto il fatto che il sistema di

governance pone in essere relazioni non formalizzate, tali da definire un margine di

incertezza e tali da rendere impossibile un controllo totale del sistema. Così, al di là dell'esistenza di un attore predominante, si viene a creare uno spazio in cui gli altri attori possono insinuarsi, per raggiungere una maggiore visibilità e rilevanza. Certo è che gli attori sub-nazionali, per potersi approfittare di tali aporie del contesto, devono essere dotate di una chiara volontà, ma soprattutto di capacità e risorse per poter essere all'altezza di sfruttare la situazione. E' d'obbligo, a tal proposito, il riferimento all'attività di “regional lobbying”, solitamente organizzata dalle regioni più attive e prospere, che puntano molto sulla loro presenza diretta in prossimità delle istituzioni comunitarie, a Bruxelles.

Fatto sta che il concetto di governance si complica molto, proprio perché consta di una dimensione “legale” e formalmente definita e di una dimensione, al contrario, estremamente variabile e assolutamente in divenire, che è quella costituita dai canali di contatto diretti e informali.

Alla luce di questa prima sommaria sintesi del contesto europeo, la riflessione proposta riguarda l'assetto di governance realizzato nell'ambito della politica di coesione 2007-2013: le relazioni UE - Stato centrale - Regioni ricalcano la struttura della multi-level governance? Oppure altri modelli meglio rappresentano il sistema? L'intento è dunque rintracciare i flussi ascendenti e discendenti tra le regioni e l'Ue, sia di natura formale (definiti da disposizioni legislative), sia informale; molti ritengono che sia proprio ciò che avviene a livello “non regolarizzato” a poter mettere in crisi la posizione mediatrice dello Stato che, tradizionalmente, è l'interfaccia forte tra le istituzioni europee e le regioni.

Prima di poter fare questo tipo di considerazioni, occorre mettere in luce i modelli di

governance europea; il riferimento è dunque alle due teorie dominanti nel dibattito

contemporaneo, che sono quella neo-funzionalista, che dà luogo a quello che viene definito approccio multi-level governance, e la teoria realista che sviluppa il modello Stato-centrico, oggi rivalutato sotto molteplici aspetti.

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Con queste due opposte prospettive si ha, da una parte, l'interpretazione dell'integrazione europea10 come un processo di creazione di un nuovo policy

making, influenzato dai livelli sopranazionale, nazionale e sub-nazionale e il cui

controllo ormai spetta all'Unione europea e non più ai singoli Stati (governance multi-livello); dall'altra invece, si trova il modello di governance Stato-centrica, in cui si afferma che il potere dello Stato è preservato, se non rafforzato, dal fenomeno di integrazione europea; a dimostrazione di ciò si ricorda che l'attore sovranazionale è stato creato proprio per volontà degli Stati, al fine di facilitare il raggiungimento di accordi intergovernativi.

Dobbiamo innanzitutto rintracciare le radici di tale dibattito nelle istanze dell'Atto Unico Europeo, siglato nel 1986, dalle cui disposizioni emerse l'idea che l'inclusione dei governi sub-nazionali avrebbe migliorato il processo decisionale. Seguì poi un'ulteriore affermazione della partecipazione regionale, col Trattato di Maastricht del 1992, in cui la formulazione del principio di sussidiarietà creò un nuovo contesto in cui poter inquadrare le relazioni dirette tra il livello sopranazionale e quello sub-nazionale.

1.2. La Teoria Neo-funzionalista

Questa teoria prende avvio da una pregresso filone di pensiero, detto “funzionalista”, basato sull'assunto di una preminenza logica delle funzioni, da cui discendono le strutture che, a loro volta, influenzano la pratica. Si tratta di un'impostazione che denota un forte pragmatismo, facendo risiedere nelle funzioni da svolgere la causa determinante delle strutture relazionali tra le istituzioni comunitarie, nazionali e sub-nazionali.

Per superare le lacune del funzionalismo, nasce la teoria neo-funzionalista, basata anch'essa sulla convinzione che il policy making non sia da connettere necessariamente alla struttura autoritativa verticistica dello Stato, ma possa invece ruotare intorno ad un'entità decisionale tecnica; il filo diretto con la teoria funzionalista è evidente, poiché è la funzione stessa che richiama al centro del

10 I documenti storici attestano che il processo di integrazione europea viene intrapreso in risposta agli orrori della Seconda Guerra Mondiale, al fine di acquietare le tensioni internazionali attraverso l'istituzione di un'entità sopranazionale. L'idea era dunque quella di sostituire l'Europeismo al nazionalismo, cosa che si riteneva potesse esistere con il patriottismo, da associare però ad un forte attaccamento al progetto-Europa. C'è poi da considerare anche la voce di chi sostiene che l'integrazione europea parta dalla specifica necessità di indebolire gli Stati centralizzati della Germania e dell'Austria, nel post-guerra.

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processo decisionale chi disponga degli strumenti per decidere, senz'altro più tecnici che politici.

Secondo tale impostazione teorica, l'entità sovranazionale nasce come frutto dell'integrazione europea; infatti, in seguito al venir meno dei conflitti internazionali e all'aumento degli scambi economici europei, si avverte la necessità di istituzionalizzare un'entità superiore rispetto al singolo Stato; tale livello ha il compito di coordinare le relazioni transnazionali, in modo da creare effetti sinergici nei vari settori economici, potenziati dal venir meno delle divisioni spaziali. Si ha dunque una perfetta sovrapposizione della dimensione politica ed economica.

Questa teoria, dunque, promuove l'idea che la Comunità Europea esista a prescindere dalla volontà esplicita dei singoli Stati membri. Infatti sarebbe in atto un'inevitabile tendenza, per gli attori nazionali, a trasferire le proprie attività verso un nuovo centro di ordine superiore, che erode alcune componenti della tradizionale sovranità nazionale.

Secondo Hooghe e Marks, il processo di destrutturazione dello Stato nazionale è un fenomeno di portata mondiale, ma che da nessuna parte ha prodotto un'affermazione della multi-level governance così decisa come nell'Unione Europea11.

Tale processo di definizione dell'ente sovranazionale coincide, per i neo-funzionalisti, con il processo di integrazione, il cui avvio è stato determinato da vari eventi cruciali nella storia europea, quali la strutturazione del mercato unico, seguito dall'introduzione dell'Euro.

Secondo la teoria in esame, l'integrazione europea prende avvio con una prima fase in cui l'obiettivo è armonizzare questioni di “bassa politica”12, e cioè problematiche di

facile de-politicizzazione, poiché di ordine tecnico. L'avvio di questo processo alimenta iterativamente la legittimazione delle istituzioni sovranazionali, andando ad includere più attori e gruppi di interesse che, beneficiando di questa apertura dei processi decisionali, esercitano pressioni sul livello statale affinché questa forma di integrazione prosegua e si evolva.

Tale teoria supporta l'idea che il livello sovranazionale e sub-nazionale siano in un certo senso “complici”, per rafforzarsi reciprocamente di fronte allo Stato centrale. Bisogna poi osservare come la storia dell'integrazione europea, secondo i

11 Vedi “Multilevel governance and European Integration”, Hooghe L. e Marks G., Rowman&Littlefield publisher Inc., 2001.

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funzionalisti, conduca ad 'affrontare problematiche di ordine economico, che acquistano sempre più rilevanza, fino a penetrare nella dimensione politica.

Una seconda fase di tale percorso è la creazione di un'istituzione centrale sovranazionale, che agisca autonomamente e che promuova accordi inter-statali. Il valore aggiunto dall'esistenza di tale entità è spingere l'accordo ben oltre i risultati che si avrebbero da una semplice negoziazione tra Stati e che corrisponderebbero alla posizione del “minimo comune denominatore”13; questo grazie al fatto che la funzione mediatrice dell'entità super-ordinata riesce a comporre sinteticamente gli interessi conflittuali delle singole parti. Ecco che, nonostante le autorità statali restino una parte rilevante del “puzzle europeo”14, le istituzioni comunitarie hanno un'influenza indipendente, che non deriva direttamente dagli esecutivi nazionali.

1.3. Dalla teoria neo-funzionalista al modello di multilevel governance

Ispirandosi all'impostazione neo-funzionalista, la multi-level governance15 fornisce uno strumento adeguato per interpretare i processi decisionali europei, soffermandosi in modo particolare sull'analisi della formazione delle scelte statali.

Innanzitutto cerca di motivare il fatto che gli Stati accettino di percorrere la strada dell'integrazione, che pone in posizione preminente le istituzioni comunitarie ed in particolare la Commissione europea, fulcro tecnico della Comunità e promotrice del processo integrativo stesso. In secondo luogo, si afferma che l'integrazione europea e l'aumento del potere regionale sono due fenomeni da analizzare congiuntamente, proprio perché si tratterebbe di due facce della stessa medaglia.

Una motivazione forte alla base del modello multi-level è la tendenza a tecnicizzare le istanze prodotte, grazie ad una expertise che fa sì che la soluzione escogitata dalla Commissione dia comunque dei vantaggi.

13 L'espressione “minimo comune denominatore” si ritrova in Hooghe, Marks e in generale quando si sostiene il modello neo-funzionalista in contrapposizione con quello realista. Infatti la principale critica al modello realista è proprio quella di far rimanere gli accordi al livello minimo dei risultati, cosa che farebbe venir meno la principale argomentazione realista per cui il livello sovranazionale nasce per esclusiva volontà degli Stati, per gestire meglio alcune questioni. Infatti il “minimo comune denominatore” fa sì che la soluzione trovata a livello sopranazionale sia un second best rispetto a quella a cui si sarebbe pervenuti risolvendo la questione attraverso la politica interna. Il “minimo comune denominatore” richiama, in un certo senso, la logica del “dilemma del prigioniero” secondo cui gli stati, in un gioco non cooperativo, si assesterebbero sull'equilibrio di Nash in cui i pay-off sono inferiori per tutti rispetto a quello che si potrebbe ottenere cooperando. 14 “Puzzle europeo” è un espressione che dà la chiara immagine del modello multi-livello, che

presenta una pluralità di attori; è utilizzata con ricorrenza nei testi di Hooghe.

15 Tale modello è accreditato da vari studiosi della governance europea tra cui Marks, Kohler-Koch, Sbragia, Scharpf e altri.

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E' interessante l'analisi che Hooghe fa a proposito della causa delle forze centrifughe, che allontano l'autorità dal livello centrale di Stato; in sintesi, a proposito di questo flusso di potere in uscita, si dice che le ipotesi plausibili sono tre: o il governo centrale vuole che ciò si realizzi oppure non lo vorrebbe, ma è nel suo interesse far si che ciò accada o, nel caso più estremo, lo Stato non ha più le forze per arrestare questa tendenza, che sfocia nella multi-level governance. In particolare, la prima ipotesi è strettamente attinente all'impostazione logica dell'approccio neo-funzionalista, poiché infatti sostiene che ad oggi non sia così azzardata16 l'idea che lo Stato possa favorire una crescita del ruolo di altre entità al suo interno, consapevole del fatto che il suo destino17 non dipende dal grado di accentramento del potere, come invece succedeva nei regimi dittatoriali.

Si sarebbe così giunti ad un mutamento del concetto stesso di potere, inteso non più come grado di controllo sulle persone e sulle risorse, ma come possibilità di arrivare ai risultati economici e politici voluti; oggi si ritiene più forte quello Stato che riesca ad aggiudicarsi buoni tassi di crescita economica, piuttosto che quello che, pur mantenendo saldamente l'autorità nelle sue mani, si ritrovi in una grave condizione di crisi economica.

Inoltre gli studiosi delle politiche comunitarie e delle negoziazioni a queste sottese sostengono che l'accordo, raggiunto nell'arena internazionale, sia più vantaggioso qualora la posizione del singolo Stato sia stata prodotta dalla stratificazione del consenso nazionale. La seconda ipotesi avanzata da Hooghe è quella secondo cui se un politico vuole restare al comando, dovrà scendere a compromessi, sacrificando una parte del proprio potere. Serva da esempio, a tal proposito, il caso spagnolo che vede, a più riprese, il governo scendere a patti, assecondando richieste di decentramento. Infatti, alle elezioni del 1993, il Partito Socialista (PSOE) trovò il modo di aggiudicarsi la maggioranza, facendosi appoggiare dal CiU (Convergencia i

Uniò), un partito catalano di impronta nazionalista, in cambio di una maggiore

autonomia fiscale regionale. Lo stesso accadde successivamente, quando anche Aznar, leader del Partito Popolare, di impostazione fortemente statalista e avverso al decentramento delle competenze verso le Comunità Autonome, dovette far ricorso

16 Hooghe, op. cit. “But in a liberal democracy it is not at all implausible to believe that government leaders may want to shift authority away from the central state that thei control”, p.71.

17 Si ritiene infatti che un carattere distintivo della democrazia sia che, per vincere le elezioni, non serva l'accentramento dell'autorità; anzi la diffusione di questa può al contrario mobilitare un più elevato consenso intorno al governo che promuove questo nuovo assetto.

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all'appoggio del CiU, acconsentendo a compiere scelte che inevitabilmente spinsero, suo malgrado, ad uno sbilanciamento verso la multi-level governance. Terza opzione è quella secondo cui lo Stato si ritrova impotente di fronte al dirompente attivismo regionale che si concretizza, tra l'altro, con l'apertura di uffici di rappresentanza a Bruxelles, con l'avvento dell'associazionismo trans-regionale, con una connessione sempre più diretta con la Commissione, cose che fanno sentire le regioni ancora più legittimate a reclamare riconoscimenti da parte dello Stato centrale.

Il modello multi-level governance18 vede il processo di integrazione avviato come un meccanismo di interconnessione delle diverse politiche e per questo richiama l'intervento di vari attori, che interagendo mutano orientamenti e convinzioni.

Tale assetto spiega il processo evolutivo dell'autorità statale, senza doverlo definire nei rigidi termini di una perdita di sovranità, e d'altra parte fa emergere il ruolo di nuovi attori come quello regionale, ora chiamati in causa per motivi “tecnici”19. La multi-level governance riconosce l'esistenza di uno Stato forte, dotato di capacità normativa e di risorse economiche e coercitive, ma constata dei cambiamenti rilevanti connessi allo slittamento di competenze decisionali verso l'arena politica comunitaria, dove inevitabilmente la volontà del singolo Stato è diluita nel processo decisionale sovranazionale.

Parallelamente poi a questo trasferimento verso l'alto, corre un altro flusso di competenze decisionali, questa volta diretto verso il basso, cioè verso le articolazioni sub-nazionali. Non si mette in discussione la centralità dello Stato, ma si vuole dar giustizia al fatto che questo non detiene più il monopolio decisionale e non rappresenta più l'entità prioritaria di aggregazione del consenso.

Si apre dunque la prospettiva della condivisione delle competenze decisionali tra una pluralità di attori autonomi, che lasciano il ruolo di semplici agenti degli esecutivi nazionali20.

Un'altra caratteristica dell'approccio di governance multi-livello è non accettare il fatto che le autorità sub-nazionali interagiscano solo tra di loro, orizzontalmente, o con lo Stato centrale, delegando a questo la rappresentanza dei propri interessi in

18 In altre parole la multi-level governance è un modello che estende l'autorità, che viene divisa e condivisa tra i vari livelli di governo.

19 Questo sistema è reso possibile dal fatto che le preferenze di ciascun livello di governo, in particolare quello statale e comunitario, non sono necessariamente miopi e ostinate a rafforzare solamente il potere da loro esercitato.

20 E' questa in definitiva la visione che invece il modello teorico realista propone per la Commissione, che rimane un braccio operativo della volontà dei governi nazionali, che si esprimono in Consiglio, l'organo col potere politico più forte tra le istituzioni europee.

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sede comunitaria. Si va oltre il tradizionale muro che divide le realtà regionali dalle istituzioni comunitarie, sottolineando l'esistenza di canali diretti di comunicazione tra regioni e Commissione europea. Quindi lo Stato, perdendo il monopolio decisionale, perde anche la prerogativa esclusiva di fare “da ponte” tra livelli a questo sovra-ordinati e subsovra-ordinati.

E' interessante quanto sostenuto da Marks a proposito del fatto che i trattati comunitari, in effetti, richiamano più da vicino la visione dei realisti, legata ad un assetto decisionale derivante dalla negoziazione intergovernativa; allo stesso tempo, proprio partendo da qui, si osserva come il Trattato sull'Ue, in tema di politiche strutturali per la coesione economica e sociale, dia indicazioni di massima sulle modalità di negoziazione previste, ma niente dica invece a proposito degli impegni di spesa e di tutti quegli elementi che rendono una politica operativa: questo spazio decisionale è, di conseguenza, lasciato agli Stati, ma anche e soprattutto alla Commissione21. Quindi l'idea di Marks è che, sebbene gli Stati membri mantengano il pieno controllo sui trattati, questi perdono il controllo sull'esercizio istituzionale delle relative competenze.

L'altro punto meritevole di nota è il fatto che la governance multi-livello faccia sì che, nel processo di policy making, non conti solo chi detiene l'autorità formale, ma che emergano anche quelle entità che, pur sprovviste (o quasi) della legittimità giuridica ad intervenire, abbiano in loro possesso le risorse necessarie per partecipare al processo decisionale; tali risorse sono, ad esempio, l'informazione, la capacità organizzativa, la conoscenza e i mezzi finanziari. Alla luce di ciò, si afferma che le interazioni e le interconnessioni si instaurano per un puro e semplice vincolo di necessità, che porta a far sì che tutti gli attori svolgano, nel processo, un'azione irrinunciabile affinché il problem solving dia risposte ottime, in un ambiente complesso e globale come, non a caso, è quello in cui dovrà produrre i suoi risultati la politica di coesione.

Insomma, non si potrà certo aspirare alla convergenza semplicemente seguendo le necessità peculiari e contingenti dei singoli Stati membri, in un'Europa dove esistono disparità tali per cui in Lettonia si registra un Pil pro capite annuo pari al 41% della media dell'Ue-25, mentre in Lussemburgo lo stesso indicatore arriva al 215% della

21 Si è riportato qui quanto detto da Marks in “Cohesion policy and European Integration”, Clarendon Press Oxford, 1996; sarà poi interessante cercare di vedere che cosa sia successo attualmente, ad esempio, nel caso della definizione delle prospettive finanziarie, per vedere il ruolo giocato dalla Commissione e dagli Stati, vedi infra (capitolo 4).

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media europea (senza parlare poi delle disparità regionali che sono ancora più elevate di quelle a livello nazionale, benché in lento corso di riduzione)22.

E' interessante vedere come l'interdipendenza tra attori, causata dalla necessità di far circolare l'informazione, sia per le regioni “un'arma” valida su cui far leva. Si tratta della stessa interconnessione che, attraverso l'aggregazione del consenso, produce un “gioco a somma positiva” anziché “a somma zero” (a cui invece si arriva attraverso l'interpretazione realista). Infatti, con “gioco a somma positiva” Marks e Hooghe23 intendono connotare il valore aggiunto che la decisione sovranazionale riesce ad assicurare al sistema, superando nettamente i risultati ottenuti dalla semplice negoziazione tra Stati: in quest'ultima infatti sicuramente c'è chi esce vincitore e chi sconfitto, definendosi così un saldo nullo per il “sistema Europa”, nel suo insieme. Inoltre non si può nemmeno parlare nemmeno di “gioco a somma zero” nel caso della redistribuzione delle competenze tra i tre livelli istituzionali, nella multi-level

governance; infatti il potenziamento dell'autorità regionale non deve essere

necessariamente interpretato come un indebolimento di quello nazionale, e viceversa: infatti l'assetto multi-livello prevede che tutti gli attori coinvolti nel decision making siano simultaneamente attivi e cooperino, costituendo nuove relazioni inter-istituzionali in cui si sviluppano capacità e risorse aggiuntive.

Ciononostante “il cambiamento delle relazioni è lento, poiché gli attori nazionali e regionali preferiscono mantenere comportamenti in linea con la cultura politica ed amministrativa nazionale, piuttosto che adeguarsi alle nuove procedure europee”24. In sintesi, riassumendo il concetto in sé di governance multi-livello, Piattoni dice che questa “si riferisce a scambi negoziati e non gerarchici tra istituzioni ai livelli transnazionali, nazionali, regionali e locali. Siamo abituati a considerare questi livelli istituzionali come verticalmente ordinati; le relazioni inter-istituzionali tipiche della

governance multi-livello non operano necessariamente attraverso i livelli intermedi,

possono avvenire direttamente tra, ad esempio, il livello transnazionale e quello regionale, saltando così il livello statale”25. Lo Stato centrale perde la tradizionale

funzione di “cerniera” tra le regioni e l'Unione europea che entrano, secondo tale

22 Si tratta di dati tratti dalla “Terza relazione intermedia sulla coesione: verso un nuovo partenariato per la crescita, l'occupazione e la coesione”, p.8, COM(2005)192def., del 17.05.2005.

23 Vedi “Multilevel governance and European Integration” di Hooghe L. e Marks G., Rowman&Littlefield publisher Inc., 2001.

24 Pag.430, Piattoni, op. cit.

25 Pag. 425, Piattoni S. “La governance multi-livello: sfide analitiche, empiriche, normative” in Rivista italiana di scienza politica, 3/2005, Il Mulino.

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modello, in contatto diretto a prescindere dalla volontà statale.

1.4. La lettura “multi-level governance” della mobilitazione delle autorità sub-nazionali

La domanda cruciale, a questo punto, è se gli Stati europei siano o meno ancora in grado di adempiere alla tradizionale funzione di connessione unica tra la dimensione politica interna e quella internazionale. La teoria politica occidentale ha sempre sostenuto la centralità dello Stato, come presupposto di una concentrazione delle competenze nell'esecutivo nazionale, nonché di una definizione dell'arena statale come naturale luogo del confronto e della competizione degli interessi interni.

Il modello multi-level governance invece prefigura un'altra realtà, che si muove parallelamente a quanto finora detto a proposito dell'integrazione e del nuovo rapporto Stato-Ue: si dà spazio alla mobilitazione regionale, al fine di una connessione diretta con il livello sopranazionale.

Infatti i processi decisionali

“implicano spesso il simultaneo coinvolgimento di livelli di governo differenti secondo modalità che non rispecchiano, ed anzi mettono in crisi, le rispettive competenze giurisdizionali. Più semplicemente, le istituzioni sovranazionali dell'Unione europea, le strutture governative degli Stati membri ed i rappresentanti dei governi sub-nazionali si trovano ad interagire, in particolari ambiti di policy, per così dire “alla pari”, in modi che implicitamente od esplicitamente mettono in discussione la gerarchia insita nell'articolazione giurisdizionale originaria di questi livelli di governo”26.

Procede così la catena di spillover di cui i neo-funzionalisti parlano: dal primo passo del processo di integrazione, che porta alla definizione dell'istituzione sopranazionale e, in seguito, allo slittamento di competenze dallo Stato al livello comunitario, fino alle interazioni che coinvolgono nuovi attori; l'ultimo spillover generato è dato dall'avvio di un processo di legittimazione decisionale per gli attori sub-nazionali, accompagnato da un incremento delle aspettative di questi, sia nei confronti dello Stato centrale che della Comunità europea.

26 Pag.426, Piattoni, op.cit.

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Si è descritta fin qui una serie di fattori che illustrano l'origine del processo di regionalizzazione27 dei Paesi comunitari, all'interno del percorso storico

d'integrazione europea.

Si può parlare di un effetto di regionalizzazione, promosso dalla mobilitazione delle entità regionali; da qui è derivato il progressivo riconoscimento da parte dello Stato centrale degli interessi sub-nazionali, dimostratisi più attivi, nell'ambito europeo. Ciò sarebbe addirittura funzionale al mantenimento del potere statale, secondo la visione più radicale del modello multi-level governance.

Come accennato in precedenza, un elemento chiave è il fatto che la Commissione risulti, secondo l'approccio esaminato, dipendente dalle conoscenze e dall'expertise dei soggetti interessati alle sue proposte, in virtù di una “scientizzazione della policy, attraverso la valorizzazione dell'efficienza come obiettivo prioritario”28; ciò che si deduce è che la condivisione della responsabilità e dei poteri tra gli attori interessati è causata dalla dimensione tecnocratica del policy making, che oggi si affermerebbe, prevalendo su quella strettamente politica.

Così la Commissione utilizza il metodo della consultazione che fonda un “sistema pragmatico di legittimazione reciproca”29 tra due entità, quella sub-nazionale e quella sopranazionale; inoltre “per riuscire ad ottenere conoscenze esperte, ed insieme consenso e sostegno dai gruppi direttamente interessati alle politiche europee, la Commissione avrebbe creato una serie di gruppi clientelari di sostegno, differenti a seconda della policy, di cui anche gli attori sub-nazionali possono essere parte nel momento in cui possiedono le risorse chiave necessarie alla Commissione”30.

L'idea generale è dunque che un interesse rilevante, anche privo di legittimità formale, abbia la possibilità di accedere al policy network31 in base alla sua capacità

27 Il percorso di regionalizzazione, in effetti, è innegabile; basti pensare alla riforma costituzionale del nostro paese, che ha riflessi non solo sull'ordinamento interno ma anche sui rapporti delle regioni col diritto comunitario; infatti il riconoscimento di una partecipazione alla fase ascendente del diritto comunitario da parte delle regioni ha legittimato varie richieste da parte di queste, tra cui la possibilità di avere un rappresentante regionale nella delegazione ministeriale in Consiglio, a cui si accennerà in modo più esaustivo nel resto della trattazione e per cui vedi infra.

28 p.92, Damonte A., op. cit 29 p.93, Damonte A., op. cit. 30 p.93, Damonte A., op. cit.

31 Per chiarire il concetto di governance e di network si riporta la distinzione che fa Keating: “Governance is used in at least six different ways but generally seems to refer to the emergence of self-regulating systems which go beyond government in the traditional sense. Network is used in some cases merely as a “roodmap” of actors and institutions, in others as a theory of power. Both are usefull in drawing attention to new configurations of power which transcend institutional boundaries”, Keating M. “The territorial Politics. A Zero-Sum Game? The new regionalism, territorial competition and political restructuring in Western Europe”, European University

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di rendersi indispensabile, o quanto meno utile, candidandosi così come insider nell'arena di policy, sfruttando il fatto che le proprie risorse gli permettono di instaurare legami di interdipendenza con gli altri attori coinvolti.

Dunque si può parlare di risorse negoziali tra cui primeggiano l'informazione e la competenza specializzata: queste spesso risiedono in loco e difficilmente sono acquisibili dai funzionari europei che, di norma, entrano in contatto diretto con il territorio attraverso sporadiche visite conoscitive.

Un esempio è dato proprio dai regolamenti sui fondi strutturali, per cui le autorità di gestione32 devono produrre dei rapporti annuali e finali di esecuzione33, creando così un bagaglio informativo da utilizzare anche nella successiva programmazione. Se quanto appena detto attiene alla fase di implementazione delle politiche strutturali, in seguito verrà sottolineato come, anche in fase di preparazione delle strategie nazionali (che sono parte integrante della programmazione e decidono le linee politiche da seguire), l'informazione messa in circolazione dalle regioni ha fatto sì che questi venissero tutti coinvolti in modo strutturato, nel processo decisionale34. Altra risorsa che le regioni possono vantare è il potere di implementazione, e cioè la possibilità di fare la differenza in termini di efficacia nella realizzazione della policy: proprio per questo, il livello sub-nazionale non potrà essere completamente ignorato al momento del decision making.

C'è chi sostiene poi che anche il peso economico di una regione contribuisca a definire le possibilità di questa nell'influire sulle scelte di policy, anche se ciò va valutato caso per caso.

Va, inoltre, considerata l'aggregazione di interessi simili, nella loro specificità, che ha portato alla definizione di associazioni regionali transnazionali o nazionali, che fanno leva sulle problematiche e sulle opportunità comuni. A tal proposito, verso la trasmissione delle richieste non individualmente ma per mezzo di alleanze, la Commissione è sempre stata ben disposta, dimostrando a questi raggruppamenti

Institute, Firenze, 1998, p.3.

32 Art.59 del Reg(CE) N.1083/2006: “Per ciascun programma operativo, lo Stato membro designa: a) un'autorità di gestione: un'autorità pubblica o privata, nazionale, regionale o locale, designato dallo Stato membro per gestire il programma operativo...”.

33 Art.67 del Reg. cit. che dispone i contenuti di tali rapporti tra cui uno stato di avanzamento del programma operativo, l'esecuzione finanziaria del programma operativo, nonché le informazioni su problemi significativi riguardanti il rispetto del diritto comunitario incontrati nell'attuazione del programma operativo e le misure adottate per risolverli.

34 Si vedrà in seguito nel dettaglio il percorso che ha prodotto, nel caso italiano, il Quadro strategico nazionale a partire dall'elaborazione dei Documenti strategici preliminari e che è seguito con un serrato confronto Stato-Regioni.

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un'attenzione particolare.

Da ultimo si richiamano la coerenza e l'effettività della rappresentanza regionale, più concretamente rivolta al raggiungimento degli obiettivi e su cui è esercitato un controllo diretto da parte della popolazione che vive nella regione; a tal proposito si può infatti parlare di credibilità35 dell'azione e della posizione regionale nell'arena

comunitaria.

Tali risorse contribuiscono alla definizione di un credito spendibile, almeno potenzialmente, per auto-candidarsi come insider nel network politico.

Risorse negoziali

informazione e competenza specializzata potere di implementazione peso economico alleanze tra regioni credibilità della regione

In base a quanto detto finora, si intende che la Commissione è considerata, in questo modello, come un attore che opera in modo completamente autonomo, contrastando così la visione per cui tale istituzione diventerebbe un'entità “decorativa”36 delle volontà espresse dagli Stati membri. Non solo si può affermare ciò ma, seguendo le conclusioni che il modello multi-livello permette di trarre, riguardo alla posizione degli attori sub-nazionali, occorre sottolineare anche come siano rilevanti le influenze che i gruppi di interesse esercitano sulla Commissione, fin dalla fase precedente alla formulazione dell'iniziativa politica, di cui questa ha pieno potere.

35 Proprio in termini di credibilità il dirigente Giuseppe De Vita, dell'ufficio di contatto della Regione Lombardia, a Bruxelles, si è espresso a proposito dei risultati che, in sede di contatto informale, le regioni possono raggiungere accordandosi con la Commissione; ha ricordato anche quanto sia facilmente spezzabile il legame di fiducia che c'è tra la Commissione e le regioni, che solo con un serio lavoro possono riuscire ad essere prese in considerazione e quindi a strappare qualche vantaggio da questo contatto. Intervista del 17.10.2006, Bruxelles.

36 Tale espressione è ripresa da Hooghe, op.cit., che si chiede se la Commissione sia “a decorative institution that draws up legisletion to meet the demands of national governments, as a state-centrist might suggest?”, p.12.

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A tal proposito occorre dunque ricordare il Comitato delle regioni, istituito nel 1993, per volontà della stessa Commissione, che voleva istituzionalizzare, in qualche modo, la partecipazione regionale37. Nonostante all'inizio ci si attendesse ciò, il

Comitato non è certo diventato una camera delle regioni, poiché manca di un'autorità formale, svolgendo una funzione essenzialmente consultiva38.

Nell'ottica multi-level, l'iniziativa politica della Commissione è caratterizzata da una notevole complessità, dovendo ricercare un compromesso di alta qualità tecnica tra gruppi di interessi pubblici e privati, da contemperare con le richieste degli Stati. In un certo senso, se questo fosse davvero il modello più calzante alla realtà, risulterebbe parzialmente risolto anche il problema della democraticità dei processi decisionali comunitari, almeno da un punto di vista sostanziale, prescindendo da una dimensione strettamente giuridica39.

In realtà gli stessi Marks e Hooghe riconoscono l'esistenza di un deficit democratico nel decision making, poiché la Commissione, pur detenendo un'ampia autonomia decisionale, non gode di una diretta legittimazione; si nota come, in effetti, in nessun'altra entità occidentale il principio di diretta rappresentanza sia così debole. Al contrario tale supposto deficit democratico, per l'approccio Stato-centrico, non fa altro che suffragare il fatto che in realtà l'organo decisionale forte e preminente sia il Consiglio, dove siedono gli Stati membri, e non la Commissione: ecco che, secondo questo modello, il problema di democraticità svanisce.

Secondo Marks, invece, il deficit democratico è evidente e deriva dal percorso storico che ha portato gli Stati e l'Ue, entrambi goal-oriented40, ad aderire ad un percorso di integrazione, spontaneamente, senza poter strutturare razionalmente le istituzioni nate da tale genesi.

1.5. La Teoria Realista

37 Occorre ricordare come il CdR veda un antecedente storico nell'Advisory Council for Local and Regional Authorities, nato nel 1988, con la funzione di consigliare e supportare l'azione della Commissione.

38 Hooghe afferma che:“The Committee of the Regions is also divided between richer North and poorer South, between local and regional representatives, and between representatives from federal countries and those from unitary countries. The result is that the opinions formulated by the CoR tend to be bland, reflecting the lowest common denominator across diverse and divided membership”, p.82. Per ulteriori precisazioni sul CdR, vedi infra (capitolo 3).

39 Sul tema della democraticità del processo decisionale in Europa, vedi infra (capitolo 3).

40 Hooghes, op.cit., pag.33: “This is perhaps the main reason why it is so difficult to describe the outcome of either state building or European Integration as a static system organized around some coherent set of political principles”.

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Così come per l'analisi della teoria neo-funzionalista, le direttrici che vengono percorse nell'illustrare il “realismo” sono il processo di integrazione europea, per vedere il ruolo in esso giocato dagli Stati nazionali, e il percorso di “regionalizzazione”, a cui si è assistito negli ultimi venti anni in Europa.

Tale teoria fornisce un paradigma sostanzialmente opposto a quello fin qui presentato e spesso costruisce le proprie assunzioni in forma di critica all'approccio neo-funzionalista. Hoffmann41 contesta il neo-funzionalismo fin dai presupposti, che consistono nella presenza di processi decisionali depoliticizzati, da cui avrebbe preso avvio l'azione del livello sopranazionale e quindi il percorso di integrazione europea. Si rifiuta di accettare, poi, l'idea che da tale ambito di “bassa” politica, l'ente sopranazionale si sia potuto permettere di arrivare ad occuparsi di questioni di “alta” politica; così facendo Hoffmann aggredisce il concetto neo-funzionalista di spillover, ripreso anche dal modello di multi-level governance.

Il contesto del dopoguerra avrebbe poi acuito la ricerca della massimizzazione del benessere nazionale, in ottica assolutamente egoistica, che portò gli Stati a scongiurare la possibilità di altri conflitti militari, poiché oltremodo costosi in termini economici e sociali.

Il processo di integrazione è dunque, visto in questa ottica, innescato dalla volontà di cooperazione dei Paesi, motivata dall'interesse individualista ed egoistico delle singole autorità nazionali che, perseguendo finalità economiche, cercano in ambito internazionale di sfruttare le “interdipendenze asimmetriche” che si creano nel sistema. L'espressione “interdipendenze asimmetriche” viene coniata da Moravcsik, che vuole sottolineare come la connessione intergovernativa sia vantaggiosa, nel complesso, per tutti gli Stati, che altrimenti non accetterebbero di incamminarsi sulla via dell'integrazione europea; esistono però delle asimmetrie nelle relazioni tra i Paesi, che fanno sì che uno Stato sia più propenso a cedere al compromesso di un altro; allora la parte più forte, in questa situazione, trarrà maggiori profitti da una data politica comunitaria42.

Hoffmann è dunque profondamente convinto che lo Stato non sia una forma di gestione del potere politico obsoleta, ormai destinata a lasciare il passo ad una

41 Hoffmann S. “Obstinate or Obsolete? The fate of the Nation-state and the case of Western Europe”, 1966, vol.95, Deadelus.

42 Moravcsik A., “The choice for Europe”, Cornell University Press, New York, 1998, pag.235: “European integration exemplifies a distinctly modern form of power politics, peacefully pursued by democratic states for largely economic reasons through the exploitation of asymmetrical interdipendence and tha manipulation of institutional commitments”.

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dimensione sovranazionale (che oltretutto, secondo il modello multi-level

governance, avrà addirittura la capacità di rimodellare gli assetti interni).

Ciò che quindi non si deve fare, dice Keating, è cadere nella trappola che ci induce a vedere il vecchio Stato come un forte centro di potere in contrapposizione a quello moderno, debole e costretto a dividere il potere con il livello sopranazionale e sub-nazionale, sotto la pressione economica della globalizzazione che rompe i confini statali43.

Il contributo di Hoffmann consiste dunque nell'affermare l'esistenza di una cooperazione intergovernativa tra Stati, che possiede una relativa capacità vincolante nei confronti dell'azione individuale di questi: in effetti la sua riflessione non contempla una teoria dell'integrazione propriamente detta.

I realisti parlano dei singoli Paesi come unici attori esistenti, dotati di razionalità e di impostazione strategica, che svolgono un ruolo attivo nel processo di integrazione; così il livello sovranazionale “è la risultante di una prassi di ordinaria diplomazia basata sul principio della negoziazione attorno a posizioni comuni e minime”44. Da questa prospettiva le politiche comunitarie appaiono come il risultato della negoziazione tra i governi nazionali, che decidono di delegare la propria autorità limitatamente a certe questioni, su cui oltretutto svolgono un controllo continuo, finalizzato ad appurare che le azioni comunitarie, in effetti, diano un vantaggio al singolo Stato membro.

Gli esecutivi nazionali sono il fulcro del policy making europeo, in cui le relazioni rilevanti sono quelle intergovernative ed afferiscono a due dimensioni politiche: a livello europeo si costituisce un'arena politica di negoziazione tra i governi, mentre a livello interno si viene a plasmare un contesto definito dalle autorità sub-nazionali, che riescono in qualche modo ad influenzare la posizione statale, ma sempre rimanendo in una prospettiva di subordinazione. Dunque anche nella logica realista, il processo di integrazione corre parallelo alla definizione degli assetti di governance interni allo Stato membro45.

43 Vedi Keating M. “Territorial Politics. A zero-sum game? The New Regionalism, Territorial competition and Political Restructuring in Western Europe”, European University Institute, 1998, Firenze.

44 p.70, Damonte A., op.cit.

45 “Se aprecia frecuentemente una desconexion entre el analisis de los sistemas territoriales y la reflexiòn académica sobre el proceso de integraciòn europea. Ambas perspectivas deben complementarse. Por una parte, la comprensiòn del fenomeno en la Union europea desborda el mero analisis de los sistemas territoriales. Por otra, la perspectiva territorial contribuye a explicar algunos problemas relacionados con el proceso de integraciòn”, p.39, Condez Martines C., “La

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Si afferma poi che seppur sia esistito un effettivo slittamento delle competenze, che dallo Stato nazionale sono passate alla Comunità europea, questo non abbia fatto altro che rafforzare lo Stato stesso, che è l'unico in grado di attribuire legittimamente l'autorità alla Comunità.

Secondo il modello Stato-centrico, la dinamica comunitaria si risolve nelle interazioni tra gli Stati all'interno del Consiglio dei capi di governo, mentre la Commissione è un'istituzione accessoria, subordinata e incaricata del problem

solving, al fine di facilitare gli Stati nella definizione di alcune politiche di impronta

essenzialmente tecnica. Ciò non equivale ad affermare che la politica sia definita nel dettaglio dagli Stati, ma resta il fatto che le direzioni complessive sono sotto il loro controllo.

La multi-level governance, a questo proposito, sottolinea al contrario che esistono, presso l'Unione europea, non relazioni gerarchiche lineari, ma anzi un intreccio di competenze che si sviluppano sia orizzontalmente, tra Consiglio e Commissione, sia verticalmente tra il livello sopranazionale, nazionale e sub-nazionale.

Moravcsik46 afferma che il processo di integrazione, che sarebbe iniziato a causa di interessi essenzialmente commerciali47, che hanno portato i leader nazionali a fare scelte razionali, tra cui quella di regolare le coalizioni intergovernative. Così, fin quando gli interessi nazionali convergono, l'integrazione europea va avanti. Inoltre l'autore reagisce alle accuse dei neo-funzionalisti, in base alle quali il modello realista darebbe un gioco a somma zero, da intendersi come sistema in cui un gruppo di Stati vince a scapito degli altri, che registrano una perdita derivante dalla negoziazione ultimata. Moravcsik al contrario afferma che, anche nell'ottica realista, si può parlare di gioco a somma positiva, eliminando la possibilità di assestarsi su una posizione di minimo comune denominatore delle volontà dei singoli Paesi. Si riconosce infatti un valore aggiunto nell'azione sopranazionale, determinato dal disporre di un'informazione più completa, che va al di là delle asimmetrie informative; queste, d'altra parte, caratterizzano la posizione del singolo Stato, che non può guardare il sistema dall'esterno, come invece fa il livello sovranazionale. La Commissione è considerata dunque come un network istituzionalizzato della conoscenza ed è infatti

participacion regional en los procesos politicos europeos: Estado de la cuestion, Universidad de Almeria, 1998.

46 Vedi Moravcsik A., pag.2: “The EC has evolved... as a sequence of irregular big bangs”.

47 “When and why do EC governments delegate or pool decision-making power in authoritative international institutions? Why do they not always regain the prerogative to make future unilateral decisions?”, Morvcsik, op.cit.

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spesso definita come epistemic community.

Resta però il fatto che tutto ciò è strumentale al vantaggio degli Stati, sia in senso economico che geopolitico, che di sicurezza internazionale.

E' interessante dunque proporre la ricostruzione che Moravcsik fa del processo decisionale inter-statale, secondo quello che lui definisce un “rationalist framework

of international cooperation”48. Così le negoziazioni tra i Paesi si articolano su tre

fasi49: la formazione delle preferenze nazionali; l'accordo tra gli Stati, in cui ognuno cerca una soluzione più efficiente di quella che si sarebbe potuta trovare internamente; infine si sceglie come e in che misura delegare all'istituzione sovranazionale la concretizzazione dell'azione negoziata, assicurandosi che non venga snaturato il contenuto dell'accordo stesso50.

1.6. Il Modello Inter-governamentale

La teoria dell'integrazione europea rappresenta un momento cruciale per la definizione della governance che si articola dal livello sovranazionale a quello sub-nazionale (e anche sub-regionale), passando ovviamente dallo Stato, un livello che con i suoi atteggiamenti fa sì che si tenda più verso il modello di multi-level

governance o, al contrario, verso un assetto Stato-centrico. Si ribadisce quindi come

la storia del processo di integrazione corra parallela allo sviluppo della governance interna ad uno Stato, dove si inserisce così l'azione regionale.

Dalla prospettiva realista emergono, dunque, modelli di governance applicabili all'arena politica nazionale; uno di questi ci è fornito da Reilly51 che formula un modello inter-governamentalista, funzionale alla sua analisi che studia il coinvolgimento dei governi sub-nazionali nel processo politico comunitario.

48 Si riporta l'espressione di Moravcsik senza tradurla visto che l'autore stesso nel testo dice di far attenzione, poiché per framework non si intende né modello né teoria. Quindi, per rispettare la volontà dell'autore, si è riportata l'espressione nella lingua originale.

49 Ricordiamo le tre condizioni che Moravcsik pone nell'arena delle negoziazioni, che sono: 1) la negoziazione avviene in un sistema non coercitivo di votazione, dove cioè uno Stato è libero di rifiutare l'accordo; 2) la politica inter-statale è comunque più vantaggiosa di quella unilaterale o di coalizioni di Stati; 3) il potere del singolo Stato è inversamente proporzionale al valore relativo che questo dà all'accordo in confronto a quello che per lui rappresenta il first best (preference intensity, che detta l'interdipendenza asimmetrica).

50 Così, secondo l'autore, per capire gli assetti europei, va analizzato il grado di conflittualità o compatibilità tra i vari paesi, vedere il bilanciamento dei guadagni e i trade off che si innescano. Ed è proprio da qui che parte la riflessione di quegli studiosi che vogliono vedere se la negoziazione europea sia un gioco a somma zero o a somma positiva.

51 Vedi Reilly A. “The role of sub-national government in the EU policy process: the case of the structural funds in Germany, Spain and the UK”, University of Birmingham, Institute for German Studies, 2000.

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Pertanto, dato un contesto di più attori interagenti, i principi fondamentali che definiscono tale modello sono:

a) l'esistenza di un vincolo che leghi i vari livelli di autorità; tale vincolo è dato dalle risorse di cui gli attori sono in possesso. Infatti per raggiungere gli obiettivi prefissati, le risorse devono essere scambiate tra i vari livelli;

b) nel decision-making i vari attori influiscono gli uni sugli altri, ma esiste una forza dominante che mantiene una esclusiva discrezionalità; infatti questa adotta le strategie definitive, seppur emergenti dalle regole del gioco fissate dalle interazioni degli attori, nell'arena politica;

c) ci possono essere variazioni del grado di discrezionalità della forza dominante, in base al potere relativo che gli attori hanno nel contesto politico.

Questa struttura mitiga fortemente le istanze della teoria realista ed infatti, mentre quest'ultima, nel rapporto tra Stato e istituzioni europee, poneva la volontà dell'esecutivo nazionale alla guida delle policy sovranazionali, qui si ammette un'interazione e una mutua influenza tra i diversi livelli.

In questo modello, così come in quello di multi-level governance, occorre integrare due dimensioni distinte, ma tra loro comunicanti: da una parte l'interazione dell'Unione europea con i singoli Stati e dall'altra quella tra il singolo Paese e le sue sotto-articolazioni. Si rintracciano così influenze e relazioni che definiscono il

decision making ma ritroviamo, sia sul piano europeo che su quello nazionale, l'agire

di una forza dominante, rappresentata dallo Stato centrale52.

Ecco che tutti gli attori hanno l'incentivo a sfruttare le proprie risorse legali-costituzionali ma anche, e soprattutto, finanziarie e d'informazione, per avere dei vantaggi attraverso il tentativo di massimizzare la loro influenza sullo Stato centrale, per poter così incidere sui risultati. D'altra parte però è lo Stato che detiene il potere di definire in ultima istanza le decisioni: comunque sia ciò non esclude che esso stesso abbia l'interesse ad interagire con gli attori di livello comunitario e regionale. E' questo un modello molto flessibile, che mostra oggi la potenzialità di interpretare il decision making della politica di coesione in cui, più che in ogni altra policy, emerge la rilevanza del ruolo regionale e della Commissione. In base a questo

52 Anche Hooghe ammette che l'attore nazionale è fondamentale in tutte e due le dimensioni (e forse non casualmente lo fa in un testo del 2001) e dice “...and their preferences, including their policy goals and private desire to do well at the next election, travel with them whether they are negotiating with other government leaders, with other party leaders, or leaders of subnational governments”, p.78 op.cit.

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modello, allo stesso tempo, il ruolo preponderante resterebbe quello statale, in effetti preponderante nella definizione sia delle prospettive finanziarie che delle istanze regolamentari, per il prossimo periodo 2007-2013; di fatto, l'ipotesi che si tornerà a sostenere, è quella di una conferma dell'interfaccia forte dello Stato, in sede di programmazione dei fondi strutturali.

In questa prima parte però l'intento è stato quello di chiarire l'impostazione teorica, in cui si inquadreranno le riflessioni successive, e a tal fine si riporta uno schema che riassume le differenze sostanziali tra l'impostazione neo-funzionalista e quella realista:

Neo-funzionalismo

Realismo-intergovernativis mo

Attori chiave Gruppi di interesse

transnazionale e funzionari sovranazionali Capi di governo ed elite amministrativa degli Stati membri, con obiettivi specifici determinati dal rispettivo sistema politico nazionale Tipo di meccanismo negoziale Connessioni e feedback che ricompongono gli interessi nazionali in un interesse comune Decisioni basate sul minimo comun denominatore, con compensazioni per gli Stati minori

Caratteristiche

del policy

making

Spillover e fluidità

delle istanze Rigidità istanze, delle modificabili solo attraverso ulteriori accordi

interstatuali Fonte: adattamento di Damonte A. di Moravcsik A., in R.O: Keohane, S. Hoffmann (1991)

Per chiudere la descrizione dei due modelli, che si basano sulle teorie illustrate in precedenza, si propone un altro semplice schema, che riassume le relazioni tra i tre livelli chiamati in causa, e cioè quello sovranazionale, nazionale e sub-nazionale:

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MODELLO STATO -CENTRICO MULTI-LEVEL GOVERNANCE Risorsa chiave nelle dinamiche europee

Autorità legale Dipende da varie risorse: informazione, organizzazione,

expertise, capitale a

disposizione, legittimità

Competenze

decisionali Esclusive dello Stato Condivisione tra attori di diverso livello

Struttura del potere nel sistema europeo

Gerarchica Interdipendenza tra

attori di diversi livelli politici

Ora che si è illustrato l'approccio teorico, il passo successivo è interpretare la politica di coesione attraverso i due modelli descritti, per vedere quale dei due risulti più aderente al contesto stabilito dalla riforma 2006. Per fare ciò, si inizierà con l'analisi della prima riforma dei fondi strutturali, dell'anno 1988, per cercare di capire come si sia evoluta la politica regionale fino agli ultimi sviluppi, che caratterizzeranno i prossimi sette anni di programmazione.

Vale la pena anticipare come la critica sia andata, nel tempo, sostituendo all'iniziale entusiasmo, per l'avvento di un' “Europa delle regioni”, una posizione assai più contenuta, e in certi casi scettica, sull'argomento. Ciò che si è andato affermando è che né gli equilibri interni agli Stati membri né quelli interni alle istituzioni dell'Unione europea sono stati disposti ad una effettiva redistribuzione delle competenze a favore del terzo livello (regionale) che, in alcuni Stati membri, ha trovato comunque il modo di rafforzarsi.

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