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Conclusioni
Con il Trattato sull’Unione Europea firmato a Maastricht il 7 febbraio del 1992, si è giunti alla realizzazione di un mercato unico europeo. Le questioni che emergono, riguardano il ruolo dell’educazione e dell’insegnamento europei, evitando quindi il rischio di una negativa omologazione delle pratiche educative e la tentazione di rinchiudersi nelle proprie prerogative e/o specificità.
Nel documento sono tre i principi che rappresentano il punto di riferimento per una politica europea dell’educazione e per una ricerca comparata: la sussidiarità, il principio della coesione sociale e il principio dell’integrazione.
Il Consiglio Europeo per quanto concerne la sussidiarità, ha sostenuto che quest’ultima “…è un concetto dinamico […] Essa permette alla comunità di esprimersi e di espandersi dove le circostanze lo richiedono e, inversamente, di limitarsi quando il suo intervento non è più giustificato.
Fondandosi, quindi, sul criterio dell’efficacia dell’intervento, la sussidiarità non esclude a priori la comunità o i suoi membri, […] ma dà luogo ad una ripartizione fluida di poteri… ”.270
Il principio della coesione sociale si impegna, invece, a “…promuovere il progresso economico e sociale dei popoli nel contesto della realizzazione del mercato interno e del rafforzamento della coesione e della protezione dell’ambiente, nonché ad attuare politiche volte a garantire che i progressi compiuti sulla via dell’integrazione economica si accompagnino a paralleli progressi in altri settori…”.271
270 Albarea, R., (1996). Scuola primaria e educazione musicale in Europa: comparazione di curricula e implicazioni interculturali. Milano: Franco Angeli, p.52.
271 Consiglio delle Comunità Europee - 1992, p.4.
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Per principio di integrazione si intende, infine, il rispetto nei confronti della storia, della cultura e delle tradizioni di ogni singolo Paese, con l’intenzione di rafforzare la solidarietà tra i popoli.
Il nodo centrale della questione consiste, infatti, nella considerazione di un pluralismo europeo che si caratterizza per la sua ricchezza di diversità e per il bisogno di giungere ad obiettivi comuni e unitari di dialogo tra i Paesi.
Il primo elemento che in un certo senso accomuna le politiche scolastiche europee, è l’esigenza di valutare e dimostrare in maniera concreta la spesa dell’offerta educativa dal punto di vista dell’erogazione dei beni e dei servizi, verso la quale non è assolutamente estranea l’idea che il sistema scolastico europeo sia paragonato ad un’impresa pubblica.
Ed è proprio da qui che parte un’attenta riflessione sul problema della formazione dei docenti, dell’autonomia didattica, finanziaria, organizzativa, di sviluppo e di ricerca e del problema delle metodologie adottate; tutti elementi questi, che entrano a far parte della pianificazione di un curriculum europeo.
Il secondo elemento è rappresentato invece, dal bisogno di “…definire un corretto equilibrio tra decentramento e centralizzazione delle istituzioni formative. Per cui, i sistemi scolastici di Paesi che si sono caratterizzati per una struttura istituzionalmente e burocraticamente centralizzata, hanno teso verso processi di decentramento in forme più o meno accelerate 272…, mentre i sistemi scolastici tradizionalmente decentrati e con forte autonomia decisionale, come ad esempio il Regno Unito, hanno propeso verso forme che, in qualche misura, hanno cercato di instaurare un maggiore controllo del potere centrale…”.273
272 La Spagna in questo senso, è forse il Paese che ha avviato i più consistenti cambiamenti.
273 Albarea, R., (1996). Scuola primaria e educazione musicale in Europa: comparazione di curricula e implicazioni interculturali. Milano: Franco Angeli, p.68.
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Negli ultimi anni nella maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea, le riforme della scuola si sono sempre di più intrecciate con il decentramento amministrativo, insieme al conferimento dell’autonomia alle istituzioni scolastiche. Infatti, sono state introdotte direttive che hanno spostato gran parte del potere decisionale e di gestione dallo Stato centrale verso le autorità regionali, locali o municipali e verso gli istituti scolastici.
La Spagna per esempio, oggi è una forma decentrata, intermedia tra lo Stato regionale e lo Stato federale perché, nonostante nasca con forma regionale, ha acquisito progressivamente tratti e connotazioni di tipo federale e ha dato origine ad un modello fortemente decentralizzato.
Nel 1993, prima del conferimento dei poteri del 1999, anche la Segreteria di Stato della Scozia ha deciso di ampliare il processo di decentralizzazione avviato dal Regno Unito, adottando una organizzazione che è tuttora di attualità e che prende il nome di Devolved School System (DSM).
Qualche anno più tardi, nel 1997, dopo vicissitudini parlamentari durate diversi anni, anche l’Italia decide di adottare questa organizzazione 274. Il terzo elemento interessa, invece, le modalità di partecipazione alla vita scolastica e ai servizi di istruzione, degli insegnanti, degli esperti dell’educazione e di tutte quelle componenti sociali e professionali che sono coinvolte nell’offerta educativa.
In Europa esistono diverse tipologie di insegnanti dove la maggior parte di coloro che insegnano nelle pre-primaria e nella scuola primaria sono insegnanti di classe e per quanto riguarda invece la scuola secondaria di primo e secondo grado, tutti gli insegnanti sono specializzati nel proprio settore disciplinare.
A queste due categorie si aggiungono i docenti che insegnano nelle scuole speciali o coloro che sono insegnanti di sostegno per l’integrazione
274 Albarea, R., (1996). Scuola primaria e educazione musicale in Europa: comparazione di curricula e implicazioni interculturali. Milano: Franco Angeli, p.12
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scolastica dei soggetti disabili e questo è senza dubbio il caso dell’Italia, dove l’integrazione scolastica rappresenta un’esperienza importante che ha accompagnato il cambiamento della scuola italiana.
Il quarto elemento riguarda infine il problema della gestione delle istituzioni scolastiche, “….che dovrebbe essere più agile e flessibile, senza per questo arrivare a vere e proprie forme di privatizzazione, nonché quello della qualità ed efficienza dell’istruzione e dell’educazione; elementi, quest’ultimi, che sono strettamente correlati al grado e alle modalità di autonomia delle istituzioni scolastiche e all’esigenza di rendere conto dei risultati scolastici, accompagnata da una maggiore attenzione ai processi messi in atto dalle differenti tradizioni culturali e educative dei singoli Paesi…”.275
In Europa, nonostante la presenza di organizzazioni scolastiche storicamente molto differenti, federali come in Spagna e in Italia, solo due paesi presentano una tradizione di autonomia scolastica particolarmente sviluppata, attuata, in entrambi i casi, in seguito a “guerre scolastiche” tra le reti pubblica e privata276.
Si tratta del Belgio e dei Paesi Bassi, i cui sistemi educativi sono tradizionalmente gestiti da poteri organizzatori che beneficiano di ampie libertà. Così, in Belgio, nelle tre comunità (fiamminga, francese e tedesca), la manovra di cui hanno goduto gli istituti scolastici pubblici e privati nell’ambito della didattica, delle risorse umane e della gestione, si basa, sia sul quadro costituzionale che garantisce la libertà di insegnamento, che sulla gestione dell’istruzione. Ma ad eccezione di questi paesi, l’autonomia delle scuole non fa parte della tradizione europea.
275 Albarea, R., (1996). Scuola primaria e educazione musicale in Europa: comparazione di curricula e implicazioni interculturali. Milano: Franco Angeli, p.70.
276 Eurydice (2007). L’autonomia scolastica in Europa. Politiche e modalità di attuazione. Belgio:
Eurydice, p.11
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Quindi è solo a partire dagli anni 80’, che il movimento comincia a svilupparsi; è il caso, infatti, della Spagna, dove la Legge sul Diritto all’Educazione, LODE pone, a partire dal 1985, le prime basi dell’autonomia scolastica.
Nello stato spagnolo, la nuova Legge sull’Educazione del 2006 (LOE), ha rafforzato il principio di autonomia scolastica in ambito didattico, di risorse umane e di gestione finanziaria.
Nel Regno Unito (Inghilterra e Scozia), la Legge di Riforma dell’istruzione del 1988, ha aumentato l’autonomia degli istituti trasferendo loro competenze negli ambiti della gestione finanziaria e delle risorse umane, compiti che storicamente erano affidati alle autorità educative locali (Local Education Authorities, LEA).
La stessa legge introduce il controllo a livello centrale del programma di istruzione e dei provvedimenti per la valutazione degli studenti, riducendo in questo modo l’autonomia delle scuole in questo ambito di attività.
Nell’Irlanda del Nord, la Legge di Riforma dell’Istruzione ha introdotto nel 1989 delle riforme simili.
È il decennio degli anni novanta, quindi, che ha segnato realmente la quasi generalizzazione delle politiche di autonomia scolastica in Europa.
Il concetto di autonomia scolastica si collega alle numerose scuole di pensiero che hanno, nei diversi periodi, più o meno fortemente influenzato le misure per la sua attuazione. Storicamente, come abbiamo visto nel caso del Belgio e dei Paesi Bassi, l’autonomia scolastica sviluppata come riflesso della libertà di istruzione, è legittimata da considerazioni di ordine religioso e filosofico.
È principalmente su questo terreno, nel XIX e durante quasi tutto il XX secolo, che si condurranno i giochi per l’autonomia scolastica277.
277 Eurydice (2007). L’autonomia scolastica in Europa. Politiche e modalità di attuazione. Belgio:
Eurydice, p.11
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Gli anni ottanta, infatti, segneranno un nuovo orientamento; le riforme sull’autonomia scolastica pertanto si inseriranno maggiormente nella tematica politica della democrazia partecipativa.
La scuola deve essere più aperta nei confronti della comunità in cui è inserita, così, in Spagna, nello spirito della Costituzione del 1978, la LODE mira, principalmente, a istituire l’autonomia scolastica come mezzo di partecipazione democratica.
La visione dell’autonomia scolastica si è evoluta ancora nel secolo attuale e nella maggioranza dei paesi; essa è ormai concepita come uno strumento esclusivamente al servizio del miglioramento della qualità dell’istruzione;
l’interesse, quindi, è particolarmente concentrato sull’autonomia didattica, che sembra avere maggiore pertinenza di correlazione con il miglioramento dei risultati scolastici.
In questo scenario, se poi si vuol tenere conto delle “raccomandazioni”
contenute nella Risoluzione Europea e nelle tante “dichiarazioni” e “libri bianchi” sugli aspetti della salute, dello sport, dell’attività fisica, non si può che affermare che l’intreccio tra educazione motoria-fisica e sportiva, salute e benessere della persona è sempre più intenso, e che solo una concreta integrazione progettuale di complesse “azioni didattiche” consente di dare risposte organiche per concorrere in maniera univoca al raggiungimento degli obiettivi relativi al “linguaggio del corpo”.
In questi ultimi anni, la scuola europea è stata sottoposta ad una serie infinita di proposte di cambiamento relativamente ai programmi scolastici, ai contenuti disciplinari, all’organizzazione didattica, ecc.
Il sapere e quindi le conoscenze, il saper fare nonchè le abilità, il saper essere cioè gli atteggiamenti del corpo e del movimento e dell’attività motorio-sportiva, costituiscono i tratti essenziali da apprendere, per il formarsi della personalità complessiva del soggetto.
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Per la progettazione motoria e sportiva, alcuni indirizzi e scelte metodologiche costituiscono ormai nella scuola europea un preciso orientamento, grazie all’azione culturale svolta negli ultimi dalle organizzazioni europee dei docenti di educazione fisica come l’Associazione EUPEA.
E se si vuole rispondere all’invito finale della Risoluzione Europea, cioè promuovere la consapevolezza del corpo e lo sviluppo della salute, attraverso una più alta integrazione tra sport e materie di studio, bisogna anche chiedersi come svolgere corrette azioni didattiche per raggiungere i diversi “macro-obiettivi” disciplinari secondo le indicazioni del MPI, oggi di nuovo MIUR, secondo un giusto equilibrio che non privilegi un ambito di apprendimento su un altro.
In altri termini si parla di:
• linguaggio motorio, e cioè di un linguaggio che esprime la motricità di base di ciascun studente e la personale capacità di far esprimere il proprio corpo;
• linguaggio sportivo, che rappresenta un’evoluzione del linguaggio motorio, attraverso il gioco motorio regolamentato e le espressioni atletiche
di vario tipo;
• linguaggio espressivo, che rappresenta una vasta gamma di attività in cui predomina la componente artistica;
• linguaggio mimico-gestuale, che esprime significati, stati d’animo, emozioni, che il soggetto volontariamente desidera esternare, sulla base di
una motivazione interna.
Il docente, quindi, partendo dalle capacità e dalle attitudini di ciascun alunno, può programmare interventi, per questo è utile costruire mappe concettuali capaci di sviluppare un “processo di apprendimento” che si
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prolunga oltre il tempo scuola e lungo un periodo di tempo che equivale alla permanenza dello studente nella medesima scuola.
In questo canovaccio di innovazioni, il laboratorio multidisciplinare, assume importanza a condizione però che si rispettino alcune regole fondamentali che devono rispondere all’acquisizione di molteplici competenze da parte degli studenti.
Il laboratorio rappresenta, quindi, una modalità di lavoro che incoraggia la sperimentazione e la progettualità e coinvolge gli alunni nel pensare, realizzare, valutare attività vissute in modo condiviso e partecipato con altri; esso, infine, può essere attivato sia all’interno sia all’esterno della scuola, valorizzando il territorio come risorsa per l’apprendimento”.278
278 Indicazioni MPI, 2007.