Dai campi ai circuiti: il parametro
In questo paragrafo analizzeremo la definizione di bipolo, introdotta in regime stazio- nario, con l'obiettivo di verificarne l'estendibilità anche al regime dinamico. La tratta- zione che intendiamo sviluppare è valida in generale per leggi di variazione temporale di qualsiasi tipo; ciò nonostante è molto utile, ai fini didattici, far riferimento ad una variazione temporale di tipo sinusoidale. Faremo dunque l’ipotesi che tutte le grandez- ze elettriche varino nel tempo con legge sinusoidale; sarà facile, poi, estendere i risulta- ti trovati ad un regime dinamico qualsiasi. Se in particolare ci limitiamo ai soli sistemi lineari, se, cioè, assumiamo valido il principio di sovrapposizione degli effetti, una volta noto il comportamento di un sistema in regime sinusoidale, è possibile ricavarne il com- portamento in condizioni di variabilità temporale diverse semplicemente sovrapponen- do gli effetti.
Osser viamo in primo luogo che, se il tempo entra in gioco in maniera esplicita, non mar- ginale, bisogna tener conto di tutti i termini nelle equazioni di Maxwell; il campo E, dunque, non può più essere ritenuto irrotazionale,
e il campo J non è più solenoidale,
B = 0J + 0 0
E t. E = - B
t ,
O, anche:
La presenza dei due termini B/ t e E/ t complica notevolmente il problema, sia per- chè intr oduce un legame tra i due campi, sia perchè, r endendo rotazionale E e non sole- noidale J, non ci consente, a rigore, di parlare di bipoli.
Non potendosi più introdurre una funzione potenziale per E, infatti, le tensioni non sono più esprimibili come differenze di potenziale e l’integrale di E lungo una linea dipende in generale dalla linea stessa e non solo dai due punti estremi. Sembrerebbe quindi, e così è in effetti, che la seconda legge di Kirchhof f, cada in difetto.
E ancora, dato che il flusso di J attraverso una superficie chiusa non è nullo, ma pari al flusso di E/ t, anche la prima legge di Kirchhoff viene a cadere in difetto.
La domanda che ci poniamo a questo punto è la seguente: si possono individuare con- dizioni in cui sia ancora possibile, questa volta però solo in via approssimata, utilizzare la definizione di bipolo anche in regime non stazionario? La risposta è affermativa e per comprenderne le ragioni occorre approfondire quanto stiamo chiedendo.
Con riferimento alla figura A2.1, osserviamo che l'integrale di linea del campo elettrico E, tra i morsetti A e B di un sistema a due mor- setti, lungo due distinte linee 1e 2, differi- sce per la derivata del flusso del campo B attraverso una superficie S che si appoggi al contorno costituito dall'unione delle due linee.
Sotto questo aspetto un tale sistema potrà essere considerato una buona approssima- zione di un bipolo se il termine legato alla variazione del flusso del campo magnetico è trascurabile rispetto ad uno qualsiasi dei due termini a primo membro:
E dl
1
- E dl
2
= d
dt B dS
S
J = - t .
Fig.A2.1
Dove è una qualsiasi linea che va da A a B sviluppandosi tutta all'esterno del sistema, e S è una superficie che si appoggia su di una linea ottenuta chiudendo con una linea che va da A a B e che giace sulla super ficie S che delimita il sistema.
Analogamente, per la non solenoidalità del campo di densità di corrente, la cor rente entrante in un morsetto differisce da quella uscente per il termine legato alla variazione del flusso della densità di corrente di spostamento:
Anche in questo caso si potrà parlare di bipolo se è possibile trascurare tale contributo rispetto alla corrente entrante o uscente da uno dei morsetti.
In particolare questa condizione può essere scritta in maniera diversa se si considera che, avendo assunto trascurabile il flusso del vettore densità di corrente di spostamen- to, la circuitazione di B dipende dal solo flusso di J:
Ne consegue che la corrente I può essere espr essa attraverso la circuitazione di B.
B dl 0
S
J dS . I >> 0
S
E t dS . I1 - I2 = 0
S
E t dS.
E dl >> d
dt B dS
S
.
In conclusione, affinchè, in r egime dinamico, un sistema possa essere trattato, sia pure con una certa approssimazione, come un bipolo, occorre che siano verificate le seguen- ti condizioni:
dove è una linea generica che va da un mor- setto all’altro, S è una superficie che si appoggia sulla linea chiusa che si ottiene chiu- dendo con una linea qualsiasi che giace tutta sulla superficie che delimita il bipolo - super- ficie che abbiamo indicato con S - e c è una linea chiusa che si concatena una sola volta con il bipolo stesso, come mostrato in Fig.
A2.2:
Cerchiamo di valutare in quale campo dei parametri tali condizioni sono soddisfatte e quale è l’errore che si commette quando si accetta l’approssimazione che ne consegue.
Per farlo, adoperiamo una tecnica ben nota e molto utile per chiarire in quali condizioni alcuni ter mini di una equazione siano trascu- V = E dl >> d
dt B dS
S
,
I = B
0
dl
c
>> d
dt 0E dS
S c
; B
0
dl >> d
dt 0E dS
S
.
Fig. A2.2
rabili rispetto ad altri e per trovare le relative soluzioni approssimate. Tale tecnica pre- vede tr e passi successivi: analisi dimensionale delle equazioni che descrivono il model- lo, riduzione in scala delle variabili dipendenti ed indipendenti, e perturbazione.
Cominciamo dal primo passo. È buona norma, quando si intende valutare il peso rela- tivo dei diversi termini di una equazione, mettere l’equazione stessa in forma adimen- sionale. Questo è in realtà, a sua volta, il primo passo di una metodologia che va sotto il nome di analisi dimensionale, leggermente caduta in disgrazia, ma a torto, con l’av- vento dei moderni mezzi di calcolo.
Cosa esattamente intendiamo con questa terminologia è semplice a dirsi. Ogni equa- zione che abbia un qualche senso fisico mette a confronto termini che hanno la stessa dimensione, termini cioè misurati nella stessa combinazione di determinate unità di misura. Se scriviamo ad esempio
A + B + C = D + E + F ...,
vorrà dire che A, B, ecc. hanno tutti le stesse dimensioni, altrimenti non avrebbe senso sommarli o confrontarli. Il semplice artificio di dividere l’intera equazione per uno dei suoi termini, per esempio F, ci fornisce un’altra equazione, equivalente alla prima, nella quale però compaiono solo termini adimensionali, cioè numeri puri.
È evidente dunque che ogni relazione che abbia un senso quantitativo deve potersi ricondurre ad una forma adimensionale. Il procedimento però non è univoco. Infatti ogni termine sommato nell’equazione formale di cui stiamo discutendo, potrà essere a sua volta combinazione di termini con altre dimensioni. Una maniera particolarmente significativa di rendere adimensionale una equazione è quella di dividere ogni grandez- za che in essa compaia esplicitamente, per una grandezza della stessa dimensione presa come riferimento. In tal modo nell’equazione risultante compaiono soltanto variabili, dipendenti o indipendenti che siano, adimensionali e particolari combinazioni (prodot - ti o rapporti) delle grandezze di riferimento, anche esse adimensionali. A tali combina- zioni si dà il nome di prodotti adimensionali.
Sorge subito una domanda: perchè in ogni prodotto adimensionale, presente nella equazione, compare una determinata combinazione delle grandezze di riferimento e non altre? La risposta a questa domanda è spesso l’inizio di una più approfondita com- prensione del significato dell’equazione in esame. Senza dilungarci su questo tema1, che
1Al riguardo si può consultare: C.C.Lin e L.A.Segel: Mathematics Applied to Deterministic Problems in the Natural Sciences, Macmillan Publishing Co., Inc.,New York, 1974, e H.L.Langhaar: Dimensional Analysis and Theory of Models, John Wiley & Sons, Inc., London, 1951.
è però di estremo interesse, proviamo ad applicare il procedimento di adimensionaliz- zazione descritto alle equazioni di Maxwell, che riscriviamo nella forma
Si è usato il simbolo P per indicare la densità di carica, per ragioni che saranno subito chiare. Naturalmente la densità di corrente è, in generale, somma di un termine dovu- to alle correnti impresse Jext, ed un termine di corrente di conduzione E, che rispetta la legge di Ohm. Vi sono dunque regioni dello spazio occupato da conduttori di con- ducibilità .
Le variabili dipendenti che compaiono nelle equazioni, sono E, B, P,J e le variabili indipendenti r e t, la prima nascosta dal simbolismo del operatore .
Indichiamo con E, B, P, J, L e T le rispettivamente grandezze (scalari) di riferi- mento:
L = riferimento per le lunghezze, T = riferimento per i tempi,
E = riferimento per il campo elettrico, B = riferimento per il campo magnetico, J = riferimento per la densità di corrente, P = riferimento per la densità di carica, e con e, b, , j, x, le nuove variabili definite come:
e = E/E ; b = B/ B ; P/P ; j = J/J ; x = r/L ; t/T.
Le equazioni di Maxwell riscritte nelle nuove variabili, tenendo conto che t = (1/T ) e E = - B
t, E = P
0
,
B = 0J + 0 E t , B = 0.
r= (1/L) x, assumono la form a :
dove rè il gradiente rispetto alla variabile r, mentr e xè quello rispetto alla variabile x. I prodotti adimensionali che si sono naturalmente posti in evidenza sono appunto
e .
Si noti che in j sono comprese sia le correnti impresse che quelle ohmiche.
Nel seguito, a volte, ometteremo il simbolo x sotto il nabla, sottintendendo che, se le variabili sono espresse con lettere minuscole, l’operatore opera sullo spazio x r/L e non sullo spazio r.
Nei parametri adimensionali e compare la grandeza che, come è noto, rappresenta la velocità di propagazione dei fenomeni elettromagnetici, e quindi anche della luce, nel vuoto.
Va sottolineato che, fino ad ora, non è stato necessario dare un particolar e significato fisico alle grandezze di riferimento L, T etc. Esse possono assumere qualsiasi valore, purché naturalmente abbiano le dimensioni richieste.
Si osservi che il tempo di riferimento T compare esclusivamente nella combinazione che abbiamo indicato con il simbolo e che in tale parametro compare, a numeratore, la lunghezza di riferimento L. La chiave del discorso che vogliamo sviluppare è rac - chiusa proprio in questa particolare caratteristica della struttura delle equazioni di Maxwell.
Fin qui la pura adimensionalizzazione. Torniamo ora al discorso iniziale e precisamente ai limiti di validità delle approssimazioni che ci eravamo proposti di verificare. Se met -
c = 1 0 0, = L
cT , = cB
E , = 0L J
B , = P L
0E .
x e = - b ,
x e = ,
x b = j + e ,
x b = 0 ;
tiamo in forma adimensionale anche queste relazioni avremo:
Ricompaiono i parametri nelle stesse combinazioni precedenti.
Fino a questo punto non abbiamo avuto alcun bisogno di stabilire chi sono E, B, P, J, L e T . Ci siamo limitati, infatti, a rendere adimensionali le equazioni.
Supponiamo ora di volerci porre il problema di stabilire l’ordine di grandezza dei vari ter mini in gioco. Supponiamo per esempio di voler confrontare j e e/ nella terza equazione. Farebbe comodo poter ridurre tale confronto a quello tra le costanti moltiplicative e . La cosa è possibile se si scelgono E, J e T in maniera tale che e, j e e/ siano dello stesso or dine di grandezza (ovviamente ci riferiamo ai moduli dei rispettivi vettori). Cominciamo da T . Supponiamo di assumere che tutte le variabi- lità temporali siano di tipo sinusoidale. Per esempio,
con =2 f frequenza angolare. Si ha:
L’ordine di grandezza della derivata è, quindi, volte quello della funzione. Se ponia- mo quindi T=1/ (per coerenza bisognerebbe porre T = 2 / , ma è evidente che si tratterebbe di una inutile complicazione) l’ordine di grandezza della derivata rispetto a
e lo stesso di quello della funzione derivata:
E
t = E r cos ( t + ).
E(r,t) = E(r) sin ( t+ ), e dx >> b
S
dsx ,
b dx
C
>> e
dsx
Sc
.
Infatti T = 1, e la funzione coseno è di ordine di grandezza unitario.
Per poter confrontare anche termini che contengono E e J o B conviene scegliere E, J e B in modo tale che e, j e b siano anche essi dello stesso ordine di grandezza. Ciò in generale non è possibile con una unica scelta per tutta la regione di spazio interessata dal fenomeno. Certamente però potremo dividere tale regione in regioni parziali in cui con una unica scelta di E, J e B questo avvenga. A patto di accettare una suddivisio - ne comunque piccola ciò sarà certamente possibile (vedi nota precedente).
Con le scelte illustrate avremo che in ogni regione sarà:
dove con il simbolo si è indicata l’eguaglianza in ordine di grandezza. Si noti che E e B così definiti sono i valori dei campi medi in modulo - E e B, è bene sottolinearlo, sono degli scalari! - e quindi potrebbero anche essere definiti attraverso i rispettivi valori medi quadratici, cioè
ener gia (massima nel tempo) associata ad E nel volume V;
energia (massima nel tempo) associata a B nel volume V.
In queste condizioni si ha:
Il pr odotto adimensionale è, dunque, la radice quadrata del rapporto tra energia magnetica ed energia elettrica - massima nel tempo - nel volume in esame.
Un discorso particolare richiede la scelta di L. Se infatti vogliamo che gli integrali nella prima diseguaglianza siano di ordine di grandezza unitario, in modo che la sola condi- zione << 1 sia sufficiente ad assicurarci che il termine a secondo membro sia effetti- vamente trascurabile, occorre che L sia pari alla dimensione caratteristica del sistema in
= cB E
= WB WE. WB = 1
2 B2
0
= 1 V
1 2
B2
0
dV, WE = 1
2 0E2 = 1 V
1
2 0E2dV, j e b e b , E = E r sen t + = T
t E r sen t + = T E r cos t + .
esame e che si convenga di considerare linee , lungo le quali calcolar e l’integrale di E, di lunghezza comparabile.
In realtà, a voler essere più precisi, non occor re richiede- re che per qualsiasi linea esterna al bipolo l’integrale di E non dipenda dal percorso;
noi vogliamo applicare tale p r oprietà alle maglie della rete, e quindi a linee che, potremmo dire, si discostano in maniera ragionevole dal grafo della rete stessa. Per brevità parler emo di linee ragionevoli e, per chiarire le idee, escluderemo linee irra - g i o n e v o l i che si sviluppino lungo numerose spire come quella mostrata, per esempio, in Fig. A2.3.
To rniamo ora al nostro
“quasi-bibolo” o predicato tale. Vediamo subito che l’ordine di grandezza dei termini che vorremmo trascurare è dettato da e ; dove = L/cT=L /c. A questo punto, se potessimo affermar e che non dipende da , il nostro obiettivo sarebbe raggiunto.
Si immagini infatti di partir e da un regime stazionario (quindi T infinito e nullo) nel quale le leggi di Kirchhoff sono valide ed è legittimo, dunque, considerare ogni ogget- to a due morsetti un bipolo, e si aumenti gradualmente la frequenza; evidentemente cresce ed i termini che rendono non valide le leggi di Kirchhoff crescono proporzio- nalmente.
Fig. A2.4 Fig. A2.3
Se però immaginiamo di ridurre contemporaneamente la dimensione complessiva del sistema in esame, possiamo pensare di compensare ogni diminuzione di T con una cor- rispondente diminuzione di L. I termini sotto accusa ridiventano trascurabili.
Fig. A2.5
Questo discorso “ingenuo” serve semplicemente a confermare l’idea, già intuibile fin dalla analisi dimensionale, che per sistemi di dimensioni sufficientemente piccole non sorgono problemi: anche a frequenze piuttosto elevate essi possono comportarsi come bipoli.
È questo il punto che interessava evidenziare in prima battuta, ma, naturalmente, non è sufficiente. In combinazione con il parametro , infatti compare sempre anche il para- metro ; nulla ci dice che resti invariato al variare di . L’analisi del comportamento di richiede un esame più dettagliato della struttura specifica del sistema all’interno della sfera di raggio L. Per ora abbiamo solo evidenziato questo rapporto tra dimen- sione del bipolo e lunghezza d’onda caratteristica della dinamica c=cT, rapporto che è arbitro della validità dell’approssimazione circuitale. Proviamo a metter un po’ di numeri nelle formule. Come è noto c = 3x108m/s quindi, anche per frequenze dell’or- dine del MHz, c=3.102=300 m! Ciò fa comprendere i motivi della bontà dell’appros- simazione circuitale anche per frequenze piuttosto elevate.
Dai campi ai circuiti: il parametro
Per approfondire l'analisi del regime lentamente variabile, o quasi stazionario, dobbia- mo ora necessariamente prendere in considerazione anche il parametro . Al variare di , infatti, non è detto che esso resti invariato: tutto dipende da come sono stati scelti i campi di riferimento E, J e B. Per analizzare questo aspetto supponiamo di variare esclusivamente modificando T , o se si vuole la frequenza f=1/T. Al variare di f, in un sistema geometricamente ed elettricamente definito, i campi elettrici e magnetici varia- no, non fosse altro perché variano i termini di interazione B/ t ed E/ t. Variano quin- di anche E e B e, di conseguenza, . Dobbiamo dunque assumere che tale parametro sia funzione di . A questo punto entra in gioco il terzo passo della metodologia: la per- turbazione.
Dato che, infatti, la nostra attenzione è rivolta al campo dei parametri in cui è picco- lo, possiamo immaginare di sviluppare i campi caratteristici E, B e J in serie di poten- ze di .
dove evidentemente E0,J0e B0sono i campi quadratici medi che si ottengono nel regi- me limite che si raggiunge per = 0, cioè T = , che d’ora in poi chiameremo regime limite stazionario.
Con riferimento all’andamento di , possiamo distinguere essenzialmente tre casi:
1) Il campo elettrico caratteristico E tende ad un limite finito al tendere di a zero, mentre il campo magnetico caratteristico B va a zero come :
E0 0; B0 = 0
2) Il campo magnetico caratteristico B tende ad un limite finito al tendere di a zero, mentre il campo elettrico caratteristico E va a zero come :
E0 = 0; B0 0
3) Entrambi i campi caratteristici E ed B tendono ad un limite finito quando va a zero:
E0 0; B0 0
E = E0 + E1 + E2 2 + ...
B = B0 + B1 + B2 2 + ...
J = J0 + J1 + J2 2 + ...
(A2.1)
Avremo di conseguenza i tre casi corrispondenti per : 1) tende a zero come .
2) va all’infinito come 1/ .
3) tende ad un limite finito quando tende a zero.
In altri termini, se immaginiamo di sviluppare in serie di potenze di , il primo ter- mine di tale sviluppo va come , come 1/ o è indipendente da , rispettivamente.
Proviamo ad esaminare il primo caso. Se, dunque, va a zero come , sostituendo tale dipendenza nelle diseguaglianze che avevamo in precedenza evidenziato, avremo:
dove, naturalmente:
Vediamo che, al tendere di a zero, la prima delle diseguaglianze può essere soddisfat- ta, mentre, in generale, la seconda non lo è.
Sostituendo ancora la dipendenza di da nelle equazioni di Maxwell in forma adi- mensionale (solo in quelle che contengono il parametro , naturalmente), si ottiene:
1
=
cB1E0 . e dx >> 1 2 b
S
dsx ,
b dx
C
>> 1
1
e
dsx
S c
;
Dove:
Come si vede, nella prima equazione compare a secondo membro, al tendere di a zero, un termine che va come 2. Se è piccolo, trascurando i termini che lo conten- gono, le equazioni in forma non adimensionale prendono la forma:
Sono le equazioni caratteristiche del modello che va sotto il nome di modello del campo Quasi Stazionario Elettrico (Q.S.E.). In tale modello il campo E, nel limite in cui tende a zero e trascurando termini che vanno a zero come 2, può ancora essere considerato irrotazionale e fatto discendere da un potenziale; inoltre le equazioni del campo elettri- co possono essere risolte indipendentemente da quelle del campo magnetico, ed il ter- mine E/ , una volta trovato E, può essere trattato come un termine “sorgente”, noto, per il campo magnetico.
Cerchiamo ora di esaminare più a fondo le caratteristiche fisiche di un sistema nel quale le approssimazioni descritte siano valide. In primo luogo, affinchè il campo magnetico caratteristico, al tendere di beta a zero, sia nullo, deve, evidentemente, essere nulla, nel regime stazionario, anche la densità di corrente caratteristica.
Ciò implica che nel regime stazionario, all’interno del sistema che stiamo considerando, deve essere impedito il passaggio della corrente. Deve esserci, quindi, una regione carat- terizzata dalla presenza di un dielettrico perfetto, interposta tra i due morsetti* . Il
E0 0, B0 = 0, J0 = 0.
E = 0 E
= P
B = 0J + 0 0
E t B = 0
= 0LJ1 B1 .
x e = - 1 2 b ,
x b = 0 j + 1
1
e .
nostro sistema sembra avere le caratteristiche, dunque, di un condensatore, come sche- maticamente rappresentato in Fig. A2.6.
Fig. A2.6
Non si tratta ancora, però, di un bipolo, nel senso prima descritto, in quanto la secon- da diseguaglianza non è soddisfatta; si potrà, dunque per un tale sistema parlare di ten- sione indipendente dal percorso di integrazione, ma non è assicurato, per qualsiasi superficie, che la somma delle correnti entranti sia eguale a quella uscente. Basta pen- sare per esempio ad una superficie che passi nella zona occupata dal dielettrico. Se però ci limitiamo a considerare esclusivamente superfici che tagliano entrambi i conduttori di accesso al sistema - se, in altri ter mini, consideriamo soltanto superfici tutte esterne ad una superficie che delimita l’intero sistema in esame, e che ne caratterizza la sua dimensione complessiva - allora è possibile fare in modo che anche la seconda disegua- glianza sia soddisfatta. Considerando, infatti, l’equazione di continuità per la densità di corrente, o, se si vuole, la terza equazione di Maxwell, si vede immediatamente che il flusso del vettore J attraverso una tale superficie, e quindi anche la somma di tutte le correnti entranti nel sistema, può essere diverso da zero solo se all’interno della super- ficie stessa si verifica una variazione della carica totale contenuta; in particolare, quin - di, la carica totale contenuta deve essere diversa da zero perché la corrente entrante sia diversa da quella uscente.
E 0, B J
0 0
= 0,
0
= 0.
A questo punto interviene il modo in cui il sistema è alimentato dall’esterno. Se assu- miamo, infatti, che il sistema esterno, che alimenta il bipolo, soddisfa la condizione di portar e ad un morsetto, per ogni t, la stessa quantità di carica che toglie dall’altro, allo- ra evidentemente la carica totale contenuta in esso resterà costante e, quindi, anche l’al- tra condizione risulterà soddisfatta; a patto, naturalmente, di limitarsi a superfici che non entrano nel bipolo, e quindi tagliano entrambi i morsetti di accesso.
Resta da dire quale sarà la caratteristica elettrica - cioè il legame tensione corrente ai morsetti - del bipolo condensatore. Per far ciò basta considerare una superficie che taglia il dielettrico contenuto. Si avrà che la corrente entrante sarà pari al flusso di E/ t; d’altra parte il campo elettrico deve risultare proporzionale alla tensione ai mor- setti, che è il suo integrale di linea tra i morsetti stessi. Se ne conclude che la corrente è proporzionale alla derivata della tensione.
I E/ t dV/dt, ovvero:
.
Il coefficiente di proporzionalità coincide - si potrebbe dimostrare - con il coefficiente di proporzionalità tra carica e differenza di potenziale del caso statico, e rappresenta la capacità del condensatore.
In maniera analoga si può trattare il caso in cui diver ge come 1/ Se ripr endiamo in esame le due diseguaglianze messe in evidenza in precedenza, e sostituiamo la dipen- denza di da , scopriamo che, mentre la seconda è certamente soddisfatta, la prima non può esserlo per qualsiasi superficie e linea considerate:
I = C dV dt . I1 - I2 = 0
S
E
t dS = dQtot dt .
dove, naturalmente:
Si verifica un fenomeno analogo nelle equazioni di Maxwell in forma adimensionale:
Dove, naturalmente:
Compare ancora un termine in 2, che, se trascurato, porta al modello del campo Quasi Stazionario Magnetico (Q.S.M.). In forma non adimensionale, si ottiene:
E = - B t
,
E
= P
,
B = 0J, B = 0.
= 0LJ0 B0 .
x e = - -1 b ,
x b = 0 j +
2
-1
e .
-1
=
cB0E1 . e dx >> -1 b
S
dsx ,
b dx
C
>>
2
-1
e
dsx
S c
,
con J = Jest+ E, in generale. Se dunque è presente la sola cor rente esterna Jest, si avrà, anche questa volta, che le equazioni del campo elettrico e quelle del campo magnetico sono separate. Sarà possibile, almeno in linea di principio, risolvere prima quelle del campo magnetico e, successivamente utilizzare il termine B/ come un termine “sor- gente”, noto, nelle equazioni del campo elettrico.
Possiamo, anche questa volta, esaminare più a fondo la natura di un sistema fisico in cui tale modello possa essere ritenuto valido. Perché vada come l’inverso di occorre, abbiamo visto, che sia nullo il corrispondente campo elettrico nel caso statico, e diver- so da zero quello magnetico.
Ne consegue che nel sistema in esame deve essere pr esente una corrente anche in regi- me stazionario e quindi, al suo interno, deve esistere un percorso, tra un morsetto e l’
altro, che si sviluppa tutto in materiale conduttore. Ma c’è di più: dato che il campo elettrostatico deve essere nullo, il conduttore interessato da corrente deve esser e per- fetto.
Fig. A2.7
È chiar o, a questo punto che il sistema “ricorda” un induttore, come schematicamente rappresentato in Fig. A2.7; ma dal nostro punto di vista esso non può essere ancora considerato un bipolo. Infatti mentre la condizione sulle correnti è certamente verifica-
E
0= 0, B
00, J
0
0.
E0 = 0, B0 0, J0 0.
ta, non lo è in generale quella sulle tensioni. Sviluppando infatti l’integrale di linea del campo lungo una linea chiusa - che si chiuda, appunto, all’interno, lungo il conduttore - si ha che il contributo, dovuto al tratto interno della linea, è nullo, a causa della pre- senza del materiale conduttore, e, quindi, la circuitazione coincide con la tensione ai morsetti che è, a sua volta, pari alla derivata del flusso concatenato dalla linea chiusa.
Tale flusso, però, dipende dalla scelta della linea nel suo tratto esterno.
D’altra parte, immaginiamo di suddividere la superfi- cie che si appoggia sulla linea chiusa in due distinte parti, in maniera tale che una delle parti, quella che chiamer emo esterna, si appoggi sul tratto esterno della linea e su di una linea che giace sulla superficie che delimita il nostro sistema, così come mostrato in Fig. A2.8.
Con questa suddivisione potremo distinguere due contributi alla derivata del flusso.
Se supponiamo che ragioni costruttive impongano che il flusso esterno sia molto più piccolo di quello interno - come, per esempio accade quando all’inter- no il conduttore si sviluppa in numerose spire, così come schematicamente mostrato in Fig.A2.8 -, allora potremo trascurare il contributo corrispondente. Si noti che tale situazione implica necessariamente che la linea esterna sia ragionevole, nel senso che abbiamo dato in precedenza a questo termine. Del resto è nostra intenzione applicare questa proprietà alle maglie di una rete: se queste costi - tuiscono linee irragionevoli vuol dir e che si è mal schematizzato il sistema fisico che la rete rappresenta.
In conclusione, trascurando il contributo del flusso esterno, la tensione diventa una d.d.p. e il sistema un bipolo induttore ideale. La sua caratteristica si determina facil- mente considerando che la derivata del flusso è proporzionale a quella del campo magnetico e quest’ultima, non essendoci nel modello Q.S.M. corrente di spostamento, è proporzionale alla derivata della corrente.
i>> e V = d i dt dB
dt dI
dt
V = L dIdt . V = d i
dt + d e dt .
Fig. A2.8
Dove il coefficiente di proporzionalità L prende il nome di induttanza del bipolo.
Il modo in cui abbiamo ricondotto il sistema descritto a soddisfare le condizioni perché possa essere visto come un bipolo, può sembrare un po’ forzato; l’introduzione del con- cetto di linea “ragionevole” può apparire artificioso. In effetti non c’è niente di artifi- cioso nelle considerazioni fatte, e, comunque, esse sono necessarie e definiscono chia- ramente i limiti entro i quali si può parlare di un bipolo induttore.
Infine il caso in cui tende ad un limite finito al tendere di a zero:
dove, naturalmente:
I secondi membri delle diseguaglianze sono entrambi di ordine , e, se è possibile tra- scurarli, entrambe le diseguaglianze risultano verificate.
Se è molto piccolo, dunque, e possiamo trascurare i termini in (non più in 2, si noti!), allora nelle equazioni in forma non adimensionale avremo:
È quello che possiamo a buon diritto chiamare modello del campo Quasi Stazionario E = 0
E
= P
B = 0J B = 0
0
=
cB0E0 . e dx >> 0 b
S
dsx ,
b dx
C
>>
0
e
dsx
Sc
;
di Corrente (Q.S.C.). Anche se le sue equazioni coincidono con quelle del campo sta- zionario di corrente, si ricordi che in questo caso i campi non sono costanti nel tempo.
L’elemento nuovo che si presenta, quando resta finito al tendere di a zero, è la pre- senza di un mezzo a conducibilità finita. Infatti, come abbiamo già detto, in questo caso debbono essere non nulli tutti i campi nel limite stazionario:
Il fatto che J0 sia diverso da zero, implica la presenza di un conduttore; d’altra parte, la presenza di un campo elettrico anche nel limite stazionario, richiede che tale con- duttore sia “non perfetto”.
È evidente, a questo punto, che l’analisi non può più spingersi oltre, e non può essere chiarita la natura fisica del sistema che consenta le approssimazioni descritte, se non si identifica un opportuno modello per la conduzione all’interno del sistema stesso. Sarà tale modello che determinerà la caratteristica del bipolo in esame.
Supponiamo, per esempio, di poter ritenere adeguato un modello di conduzione di tipo ohmico:
J = E.
In termini di variabili adimensionali:
Inserendo tale relazione nelle equazioni di Maxwell in forma adimensionale, e nel limi- te in cui tende a 0 ed ad 0, si ottiene:
x e = - 0 b ,
x e = ,
x b =
0
e +
0
e ,
x b = 0 ; j = E
J e . E0 0, B0 0, J0 0.
dove
= 0L c,
è il nuovo parametro adimensionale che prende il posto di .
All’interno del materiale conduttore bisognerà in primo luogo confrontare l’ordine di grandezza dei due termini / 0e / 0, ovvero e . È facile verificare che la condi- zione >> corrisponde alla condizione:
Il tempo caratteristico eprende il nome di tempo di diffusione delle cariche. Se il tempo di diffusione delle cariche è molto minore del tempo caratteristico della dinamica del fenomeno, allora il termine legato alla densità di corrente di spostamento può essere tra- scurato nella corrispondente equazione di Maxwell. Il modello che ne scaturisce è anco- ra un modello Quasi Stazionario Magnetico, nel quale, quindi, la distribuzione dei campi all’interno del conduttore, a causa della presenza del termine proporzionale a
B/ t nella prima equazione, dipende dalla frequenza.
Per analizzare quanto questo termine sia influente, occorre caratterizzar e la geometria del conduttore. Supponiamo, per semplicità - ma i risultati sono facilmente generaliz- zabili -, che il sistema goda di una simmetria cilindrica e che sia a il raggio del condu- tore, come mostrato in Fig.A2.9. In tal caso possiamo porre:
Per cui:
In queste condizioni, perché sia tra- scurabile il termine in 0 , occorre che sia:
o anche:
0
>> 0 ,
0 = c 0 a 2 . B0 = 0I
2 a, E0 = J0 = I
a2 .
e = 0 << T.
Fig. A2.9
02
Tenendo conto dell’espressione di 0, si ottiene:
m= 0 a2 << T.
In pratica, se il tempo caratteristico m, che prende il nome di tempo di dif fusione del campo magnetico attraverso la dimensione trasversale del conduttore, è trascurabile rispetto al tempo caratteristico del fenomeno in esame, allora è possibile ritenere prati- camente nullo il rotore del campo elettrico ed assumere, anche all’interno del materia- le conduttore, un modello Quasi Stazionario di Corrente. Si noti che la condizione tro- vata può anche essere espressa, introducendo lo spessore di penetrazione,
nella forma:
Se queste condizioni sono verificate, dunque, la caratteristica esterna del bipolo in esame è imposta esclusivamente dalla conducibilità del materiale e della geometria del sistema. Si ha infatti:
V E J I ;
In altri termini V= RI (sarebbe opportuno in tal caso scrivere v(t) = R i(t), per ricorda- re che le grandezze tensione e corrente sono, in generale, variabili nel tempo), ed il siste- ma in esame è un resistore ideale, come mostrato in Fig. A2.10.
Si possono, naturalmente, studiare anche tutte le altre possibili combinazioni dei diver- si comportamenti all’interno del conduttore ed all’esterno di esso, rispettivamente.
Senza dilungarci sull’argomento, consideriamo solo il caso, peraltro molto importante sul piano pratico, in cui all’interno del conduttore sia da ritenersi valido un modello Q.S.C., mentre all’esterno non sia legittimo trascurare il termine B/ t, e quindi si renda necessario un modello Q.S.M..
a2
2 << 4 .
= T
0
Fig. A2.10
In tale caso, utilizzando ancora la scomposizione dei flussi concatenati precedentemen- te descritta, avremo:
Nella ipotesi di poter trascurare, anche in questo caso, il contributo dovuto al flusso esterno, la tensione ai morsetti è somma di due termini: il primo, essendo proporziona- le al campo E nel conduttore - dove si è supposto valido un modello Q.S.C. -, attraver- so il legame imposto dalla legge di Ohm alle grandezze specifiche, è proporzionale alla corrente totale I; il secondo, che dipende dalla derivata del flusso, risulta invece pro- porzionale a d B/dt e, quindi, a dI/dt, perché all’esterno del conduttore si è supposto valido un modello Q.S.M. In conclusione:
ed il sistema è un induttor e non perfett o, rappresentabile cir cuitalmente come un indut- tore con in serie un resistore.
V = R I + L dI dt , V = E dl
e
= E dl
i
+ d i dt + d e
dt .
E
0B
00, J
0