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AAPPPPUUNNTTII DDII EEPPIIDDEEMMIIOOLLOOGGIIAA

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Academic year: 2021

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(1)

A A P P P P U U N N T T I I D D I I E E P P I I D D E E M M I I O O L L O O G G I I A A

a cura del Dr. Paolo Pandolfi

(2)

I

IN NT TR RO O DU D UZ ZI IO O NE N E A AL LL L’ ’E EP PI ID DE EM MI IO OL LO OG GI I A A

Che cos’è l’Epidemiologia?

L’Epidemiologia studia la distribuzione delle malattie e le relative determinanti nelle popolazioni umane. Il termine deriva dalla parola ‘epidemic’ che a sua volta sembra derivare da epidemeion, una parola usata da Ippocrate quando descrive una malattia che sta “visitando il popolo”.

Un moderno uso del termine restringe l’interesse alla popolazione umana, ma allo stesso tempo è stato allargato lo studio a qualunque malattia, incluse quelle ben lontane da una forma transitoria. Perciò gli epidemiologi studiano le malattie croniche come l’asma così come le malattie acute, tipicamente infettive come il colera, che meglio possono essere collegate all’idea di “epidemia”. Inoltre oggi la metodologia epidemiologica è stata adottata anche da aree e discipline non puramente rivolte all’uomo; si pensi all’epidemiologia veterinaria od a quella molecolare. E’ evidente, tuttavia, la forte relazione che queste discipline hanno rispetto all’obiettivo di perseguire la salute dell’essere umano.

La distribuzione della malattia studiata è spesso di tipo geografico, ma anche le distribuzioni per sesso, età, classe sociale, stato civile, gruppo razziale e tipo di occupazione (tra le altre) sono spesso interessanti. A volte la stessa popolazione geografica è confrontata in tempi diversi per investigare gli andamenti (trends) della malattia.

Ad esempio, consideriamo il cancro alla mammella come malattia di interesse. Questa rappresenta una delle principali cause di morte tra le donne nei paesi industrializzati, ma gli studi epidemiologici hanno mostrato che essa è molto più comune nelle latitudini più a nord che nelle altre parti del mondo.

Comunque, queste differenze geografiche sembrano essere in decremento a partire dagli anni

’90; per esempio, studi fatti negli USA suggeriscono un declino nella morte per cancro alla mammella, mentre studi fatti in Giappone suggeriscono un incremento. In generale, i tassi di tumore alla mammella sono risultati crescenti al crescere dell’età e sono più alti nelle donne con elevato stato socio-economico e che non hanno mai contratto matrimonio.

Le determinanti della malattia sono i fattori che “precipitano” la malattia.

Lo studio della distribuzione della malattia è essenzialmente un esercizio descrittivo; lo studio delle determinanti considera l’eziologia della malattia.

(3)

Per esempio, il trovare con una analisi descrittiva che le donne che non hanno mai contratto matrimonio sono più inclini al cancro alla mammella porta a investigare sul perché questo dovrebbe accadere. Forse i fattori causali sono legati a caratteristiche della riproduzione, come ad esempio la mancanza di un qualche tipo di protezione che potrebbe essere conferita dall’allattamento al seno.

Sono stati fatti molti studi relativi a queste problematiche nell’ambito dell’epidemiologia del tumore al seno.

In generale, i fattori studiati dipendono dalla particolare malattia in questione e dalle ipotesi a priori. Esempi tipici potrebbero essere l’esposizione agli inquinanti atmosferici, gli stili di vita particolari (come abitudine al fumo o specifiche abitudini alimentari) e le caratteristiche biologiche (come il livello di colesterolo e la pressione del sangue).

Ci riferiremo a un qualunque potenziale agente eziologico sotto studio come a un fattore di rischio per la malattia di interesse. E’ evidente in questo caso che per alcune patologie, tipicamente nelle infettive, un fattore di rischio diventa anche unico agente causale di malattia, mentre in altri fenomeni morbosi (è l’esempio delle malattie tumorali) non emerge in modo chiaro ed univoco un solo agente causale ma una molteplicità di agenti che pesano in modo differente nel determinare una specifica malattia.

Lo scopo essenziale dell’epidemiologia è informare i professionisti della sanità e, in generale, il pubblico sui provvedimenti che occorre prendere per migliorare lo stato di salute generale.

Sia le analisi descrittive sia quelle eziologiche ci aiutano a raggiungere questo scopo.

Le analisi descrittive forniscono una guida per l’allocazione ottimale dei servizi sanitari e il target della promozione della salute.

Le analisi eziologiche possono dirci che cosa fare per ridurre la nostra (o delle altre persone) probabilità di sviluppare la malattia in questione.

I dati epidemiologici sono essenziali per la pianificazione e lo sviluppo dei servizi sanitari.

L’epidemiologia è generalmente considerata una branca della medicina che tratta con le popolazioni piuttosto che con gli individui. Mentre i clinici ospedalieri considerano il miglior trattamento e il miglior consiglio da dare a ogni paziente individuale, perché questi si comporti nel migliore dei modi, l’epidemiologo considera quale consiglio dare alla popolazione generale, così da ridurre il carico generale di malattia.

È da sottolineare lo stretto legame tra epidemiologia e statistica.

(4)

Quest’ultima rappresenta lo strumento indispensabile per comprendere alcuni fenomeni legati alla frequenza ed alla distribuzione delle malattie. Le tecniche statistiche, inoltre, permettono di valutare sia il grado di correlazione tra un evento ed il fattore di rischio ipotizzato, sia il grado di incertezza che necessariamente si ha nelle condizioni di osservazioni campionarie.

L'EVOLUZIONE DELLA SCIENZA EPIDEMIOLOGICA

EPIDEMIOLOGIA= Studio sulla popolazione

L’epidemiologia può essere definita come la disciplina che si occupa dello studio delle malattie e dei fenomeni ad esse correlati attraverso l’osservazione della distribuzione e dell’andamento delle patologie nella popolazione, ovvero attraverso l’individuazione dei fattori di rischio che ne possono condizionare l’insorgenza.

1) IPPOCRATE (V° SECOLO A.C.)

Tracce di concetti epidemiologici si ritrovano già negli scritti di Ippocrate (V° secolo a.C.), il quale aveva osservato che alcune patologie umane erano correlate a condizioni ambientali o individuali.

PATOLOGIA

AMBIENTE CIRCOSTANTE

Per i successivi 2000 anni le cause delle malattie, pur sottoposte ad attente osservazioni, non furono mai oggetto di indagini analitiche.

2) JOHN GRAUNT (XVII° SECOLO)

PRIME ANALISI SU MORTALITA' E NATALITA'

L’epidemiologia come disciplina autonoma si sviluppa inizialmente nel Regno Unito, dove si conducono i primi studi epidemiologici degni di tale nome.

John Graunt pubblicò nel 1662 un’analisi della mortalità e della natalità a Londra, soffermandosi sulle differenze per sesso, età e stagionalità.

Inoltre, valutò analiticamente l’entità di una epidemia di peste che colpì la città in quegli anni. Fu uno dei primi studiosi a riconoscere il valore delle statistiche correnti, base di partenza, anche oggi, di molte ricerche epidemiologiche.

(5)

3) WILLIAM FARR (XIX° SECOLO)

Due secoli più tardi William Farr elaborò un sistema di raccolta dei certificati di morte, imponendo la segnalazione della causa accanto ai dati anagrafici.

4) JOHN SNOW (META' DELL'OTTOCENTO)

APPLICAZIONE DEL METODO EPIDEMIOLOGICO PER LO STUDIO DELLE CAUSE DI MALATTIA

( LE EPIDEMIE DI COLERA A LONDRA)

Ma il primo vero EPIDEMIOLOGO moderno è John Snow, medico inglese che aprì la grande tradizione della medicina preventiva anglosassone svolgendo, in due occasioni, a metà del XIX° secolo, indagini epidemiologiche sul colera quando ancora non ne era noto l’agente etiologico.

John Snow, nella prima epidemia del 1857 osservò che tutti i casi erano distribuiti attorno ad una sola delle numerose pompe erogatrici di acqua potabile della City londinese.

Da qui dedusse il possibile ruolo dell’acqua nella diffusione della malattia e, ordinando la chiusura della famosa Broad street pump, riuscì a porre fine all’epidemia e ad identificare l’acqua stessa come veicolo di trasmissione dell’ancora sconosciuto agente eziologico del colera.

Alcuni anni più tardi, un altro episodio di colera colpì soltanto i quartieri meridionali della città; grazie alle nozioni precedentemente acquisite, Snow concluse brillantemente la sua indagine epidemiologica, non solo scoprendo che la maggior parte dei contagiati era stata rifornita di acqua potabile dalla Southwark and Vauxhall Company, ma risalendo anche alle modalità del contagio: e cioè al fatto che quest’ultima impresa di distribuzione attingeva l’acqua dal Tamigi, contaminata dalle fognature, alla sua uscita dalla città, mentre la società concorrente, la Lambeth Company, tra i clienti della quale si erano registrati solo pochi casi di colera, la attingeva all’entrata della città.

Questo esempio, oltre a testimoniare come già nel XIX° secolo, pur in possesso di mezzi scarsissimi (mancanza di registri, censimenti, ecc.) si era tentato lo studio di varie malattie, ci fa capire come l’indagine epidemiologica non richieda la conoscenza dell’agente eziologico

(6)

ma cerchi piuttosto di fornire indizi per individuarlo; infatti, non passarono molti anni dagli studi di Snow che Robert Kock giunse all’isolamento, proprio dall’acqua, del Vibrio cholerae.

5) L'EPIDEMIOLOGIA MODERNA (DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE)

Arriviamo così all'epidemiologia moderna. Nascono sin dal 1948 i primi trials clinici strutturati (è di questo anno l’articolo sull’efficacia degli antibiotici nel trattamento della tubercolosi) ovvero i primi studi epidemiologici sperimentali che tanto peso avranno per la farmacologia moderna e per le evidenze di efficacia di interventi di natura terapeutica o di tipo diagnostico.

Cambia inoltre il campo di azione dell’epidemiologia con i lavori del medico Richard Doll e dello statistico Austin Bradford Hill (1954) che fondano l’epidemiologia delle malattie cronico-degenerative. D’altronde le nuove terapie contro gli agenti infettivi che hanno determinato il drastico abbattimento della mortalità per le malattie infettive nei paesi occidentali, associate alle migliorate condizioni di vita hanno permesso un allungamento della vita media spostando l’attenzione dell’epidemiologia proprio verso quelle patologie tipiche dell’età avanzata classificabili in due grandi categorie: i tumori e le malattie del sistema cardiocircolatorio.

Gli anni ‘70 ed ‘80 vedono invece lo sviluppo dell’epidemiologia ambientale; più recentemente (anni ‘90), infine, l’epidemiologia si mette al servizio della nuova rivoluzione culturale del mondo medico che fa della medicina basata sulle evidenze il vero cavallo di battaglia. Attualmente l’interesse sulla genetica, in particolare sulla mappatura del genoma, ha spinto parte degli epidemiologi verso una nuova ed interessantissima branca:

l’epidemiologia molecolare.

IN QUESTO PERIODO L'EVOLUZIONE DELL'EPIDEMIOLOGIA E' ANDATA DI PARI PASSO CON UNA SEMPRE MAGGIORE APPLICAZIONE:

 DEL METODO STATISTICO (supportato da capacità di calcolo sempre più potenti rese possibili dai personal computer)

 DEL METODO QUANTITATIVO IN GENERE NELLE SCIENZE BIOLOGICHE (sviluppo delle capacità informative)

(7)

DEFINIZIONE E SCOPI DELL'EPIDEMIOLOGIA

NUMEROSE NEL TEMPO SONO STATE LE DEFINIZIONI FORNITE PER L'EPIDEMIOLOGIA

Ecco un esempio di come è stata definita dal Dizionario di Epidemiologia di Last JM et al:

The study of the distribution and

determinants of health-related states or events in specified populations, and the

application of this study to control of health problems

IN SINTESI SI PUO' AFFERMARE CHE:

"L'EPIDEMIOLOGIA E' LA SCIENZA CHE HA PER OGGETTO LO

STUDIO DELL'INSORGENZA DELLE MALATTIE NELLA

POPOLAZIONE UMANA, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLO

STUDIO DELLE CONDIZIONI E DEI FATTORI CHE LE

DETERMINANO"

(8)

GLI AMBITI DI ATTIVITA' EPIDEMIOLOGICA SI SVILUPPANO SU DUE LIVELLI:

IN PARTICOLARE L'EPIDEMIOLOGO:

1. osserva il fenomeno oggetto di studio

2. lo descrive quantitativamente ricorrendo ad adeguate misure di esposizione e di insorgenza di malattia

3. ne studia e descrive la distribuzione nel tempo e nello spazio

4. formula ipotesi circa le sue cause

5. disegna e conduce studi appropriati a saggiare le ipotesi

6. analizza i dati raccolti e interpreta i risultati ottenuti valutando le possibili fonti di distorsione

7. stima l'impatto di utilizzazione, a fini preventivi, dei risultati della propria ricerca

8. valuta l'impatto reale, sulla popolazione, delle misure adottate sulla base delle sue conclusioni

E' IMPORTANTE SOTTOLINEARE CHE LA QUALITA' DELLE CONCLUSIONI NON PUO' MAI ESSERE SUPERIORE A QUELLA DI DATI RACCOLTI

CO C ON NO OS SC CI I TI T IV V O O

DI D I I I NT N TE ER RV V E E N N TO T O

(9)

SCOPI PRINCIPALI DELL'EPIDEMIOLOGIA

A) DESCRIVERE

B) VERIFICARE EVENTUALI ASSOCIAZIONI TRA CARATTERISTICHE INDIVIDUALI O FATTORI DI RISCHIO E FENOMENI MORBOSI

MODALITA' DI PRESENTAZIONE DELLA FREQUENZA DEGLI EVENTI

1) DESCRIZIONE DEL NUMERO DI EVENTI

2) RAPPORTI

3) PROPORZIONI

4) TASSI

5) ODDS

FREQUENZA EVENTI

DISTRIBUZIONE EVENTI

(10)

D

DE ES SC CR RI IZ ZI IO O NE N E D DE EL L N NU UM ME ER RO O D DI I E EV VE EN NT TI I

La descrizione del numero di eventi soddisfa soltanto un'esigenza amministrativa di quantificazione del fenomeno ma non risponde a quesiti epidemiologici (il numero dei casi non dà informazioni particolari se non rapportato alla dimensione della popolazione).

Per presentare i dati ai fini epidemiologici occorre sempre mettere in relazione il numero di eventi (NUMERATORE) con la popolazione alla quale i casi appartengono (DENOMINATORE). In questo senso si può parlare di rapporti e di proporzioni, odds e tassi.

RAPPORTI

Esprimono la relazione tra due quantità indipendenti tra loro; sono rappresentati da una frazione in cui il numeratore non è incluso nel denominatore (ad es. rapporto uomini/donne, numero di morti da traffico per 100.000 veicoli circolanti, rapporto litri di latte prodotti su popolazione bovina censita).

PROPORZIONE

E' un tipo di rapporto particolare in cui il numeratore è sempre incluso nel denominatore e quindi indica una relazione quantitativa tra una parte ed il tutto. Il risultato può assumere valori da 0 ad 1, ovvero, se espresso in percentuale da 0% a 100%. Non ha mai una relazione con il tempo.

ODDS

Rappresenta il rapporto tra la probabilità di un evento (successo) e la probabilità del non evento (fallimento). (ad es. numero nati maschi su numero nati femmine, numero di parti a termine su numero di aborti).

TASSI

Il tasso è un tipo particolare di proporzione che introduce la variabile tempo quale caratteristica essenziale. Con il tasso si intende indicare il numero di eventi che si sviluppano in una popolazione specifica durante un determinato periodo di tempo (t).

(11)

L

LA A P PR RE EV VA AL LE EN N ZA Z A E E L L' 'I IN NC CI ID DE EN NZ ZA A

Rappresentano le due più importanti misure di frequenza degli eventi in epidemiologia e sono l'analogo dei tassi di mortalità nell'ambito della morbosità (tassi di morbosità).

In termini generali nei tassi di morbosità il numeratore è rappresentato dal numero di casi di una specifica patologia mentre al denominatore viene riportata la popolazione che è esposta al rischio di contrarre quella malattia.

PR P RE EV VA AL LE EN N ZA Z A

La PREVALENZA è la proporzione della popolazione affetta dalla malattia in esame in uno specifico momento del tempo.

Indica, pertanto, un'immagine fotografica della popolazione al momento del rilievo. Come tutte le proporzioni è rappresentata da un numero che può assumere valori da 0 ad 1.

Conoscere la prevalenza è fondamentale negli studi descrittivi ed è essenziale in pianificazione sanitaria per la stima della domanda di servizi sanitari.

In base all'intervallo di tempo analizzato si possono calcolare due differenti tipi di prevalenza:

la Prevalenza puntuale o di punto e la Prevalenza di periodo o periodale.

a) PREVALENZA PUNTUALE o DI PUNTO (t

0

)

Considera ed analizza l'evento in uno specifico istante. In altre parole, viene calcolata in un unico momento di osservazione e stima la probabilità di un individuo di essere un caso in un certo momento (t0).

(12)

10

K

istante) medesimo

nel e popolazion la

ono costituisc che

soggetti (N

totale e

Popolazion

istante dato

un ad malattia di

esistenti casi

di

P N 

 

In questo caso il valore ottenibile può subire notevoli oscillazioni legate alle caratteristiche proprie della malattia in esame. In generale si tende a sovrastimare i casi a lunga durata.

b) PREVALENZA di PERIODO o PERIODALE (t

1

- t

0

)

Considera ed analizza l'evento in uno specifico periodo. Essa stima la probabilità che un individuo sia un caso in qualsiasi momento in un arco di tempo (t) intercorrente tra due specifici momenti (t0 e t1).

10

k

periodo) medesimo

nel e popolazion la

ono costituisc

che soggetti di

(N

totale e

Popolazion

periodo nel

rilevati malattia

di casi di

P N 

 

Questa misura può sostituire altre misure di frequenza quando è impossibile definire l’epoca esatta di inizio della malattia (es. alcune patologie psichiatriche).

Nel numeratore vengono inclusi i casi di malattia già iniziati prima del tempo t0 ma ancora in corso al tempo t0, e i casi che insorgono nello stesso intervallo.

La prevalenza di periodo è una misura efficiente se la popolazione è fissa, cioè costante in quantità e qualità dei soggetti e se il denominatore rimane costante nel tempo t, altrimenti è di scarso valore.

La prevalenza di periodo è strettamente dipendente dal tipo di patologia e dall’ampiezza dell’intervallo di tempo considerato: se la malattia in esame è cronica è evidente che più ampliamo il tempo dell’osservazione, maggiore sarà il numero di casi presenti e la prevalenza.

(13)

La prevalenza fornisce, quindi, uno spaccato della popolazione in un certo momento di tempo indicando la proporzione di individui malati, ma non ci dà alcuna informazione sulla velocità con cui compaiono nuovi casi in seno alla popolazione. La misura di frequenza che stima la velocità del cambiamento dello stato di salute della popolazione è l’incidenza.

L'entità della prevalenza di una malattia dipende dall'incidenza visto che una maggiore frequenza di nuovi casi tenderà ad aumentare il numero di casi esistenti; inoltre la prevalenza dipende dalla durata della malattia.

Guarigioni

Incidenza

Morti

SERBATOIO DELLA PREVALENZA

(14)

FATTORI CHE INFLUENZANO LA PREVALENZA

Diminuito da:

Durata più breve della malattia

Elevato tasso di letalità per la malattia

Diminuzione di nuovi casi

(diminuzione incidenza) Immigrazione persone sane

Emigrazione casi

Miglioramento del tasso di guarigione dei casi

Aumentato da:

Maggiore durata della malattia

Prolungamento della vita dei pazienti senza guarigione

Aumento dei nuovi casi (aumento dell'incidenza) Immigrazione di casi Emigrazione di persone sane

Immigrazione di persone suscettibili

Miglioramento delle capacità diagnostiche

(15)

I

IN NC CI ID DE EN NZ ZA A

L'INCIDENZA considera il numero di nuovi eventi in una popolazione in un determinato periodo di tempo.

In pratica mentre la prevalenza descrive la proporzione di individui di una popolazione affetti da una malattia in uno specifico momento, l'incidenza descrive la velocità di spostamento dallo stato di salute allo stato di malattia.

Pertanto, l’incidenza misura la frequenza con cui le persone si ammalano indipendentemente da quanto a lungo rimangono malate.

Per contare quante persone si ammalano bisogna definire l’arco di tempo durante cui osserveremo l’intero gruppo.

Ovviamente negli studi epidemiologici in cui lo scopo è quello di indagare i fattori di rischio o le cause delle malattie ovvero di studiare l'efficacia delle misure preventive, l'interesse è focalizzato sullo spostamento degli individui dallo stato di salute allo stato di malattia.

Il denominatore a cui rapportare i casi sarà diverso a seconda che noi siamo interessati ad ottenere una stima del rischio individuale di ammalarsi dei soggetti esaminati, oppure ad ottenere una stima complessiva della velocità con cui parte del gruppo esaminato passa da uno stato di salute ad uno di malattia.

Nel primo caso l'incidenza è espressa come Incidenza Cumulativa (IC) e nel secondo come tasso di Densità di Incidenza (DI):

a

a) ) RI R I SC S CH HI IO O o o I I NC N CI ID DE EN NZ ZA A CU C UM MU UL LA AT TI IV VA A

Indica la probabilità di contrarre la malattia in un definito intervallo di tempo. Si calcola come la proporzione di individui, inizialmente sani, che si ammalano nel periodo di osservazione.

(16)

La popolazione candidata all’inizio dello studio è la popolazione priva di malattia ed a rischio all’inizio del periodo.

Sia il numeratore che il denominatore includono esclusivamente individui che all'inizio del periodo erano sani (liberi dalla malattia) e che pertanto sono a rischio di contrarre la malattia.

Il numeratore è generato (proviene) dal denominatore. Essendo una proporzione, la IC è una misura priva di dimensioni e può assumere solo valori da 0 ad 1.

La lunghezza del periodo di osservazione influenza direttamente l'IC: più è lungo il periodo di osservazione maggiore sarà la IC.

E' importante in questi casi prendere in considerazione questa variabile.

Anche la mortalità per altre cause può influenzare la IC: alcuni individui deceduti per cause diverse da quelle studiate avrebbero potuto sviluppare la malattia in studio se non fossero deceduti.

Quindi:

Il rischio è rappresentato da una proporzione, è adimensionale e indica la probabilità di un individuo di ammalarsi di una certa malattia in uno specifico lasso di tempo (condizionatamente al fatto che il soggetto non si perda all’osservazione o non muoia per qualsiasi altra causa durante lo stesso periodo).

Il rischio individuale non è direttamente conoscibile, ma viene stimato come Incidenza Cumulativa (IC) della malattia in esame, riferita ad una popolazione che ha le stesse caratteristiche (età, sesso, ecc.)

Quando il periodo è abbastanza piccolo, come ad esempio la durata di un’epidemia, questo tipo di incidenza prende il nome di TASSO D’ATTACCO.

(17)

b) TASSO D'ATTACCO

Solitamente calcolato nel corso di analisi di patologie infettive; è il rapporto tra nuovi casi di malattia in un tempo t (in genere periodo massimo di incubazione) e la popolazione a rischio (esposti al contagio).

Si possono distinguere due tipi di tasso d’attacco:

 PRIMARIO quando si contano solo i nuovi casi che si verificano nella popolazione;

 SECONDARIO quando si contano solo i casi insorti in seguito ai primi.

ATTENZIONE:

Sia l'incidenza cumulativa che il tasso di attacco si riferiscono ad una popolazione statica (popolazione chiusa = non ci sono nuove entrate né uscite per morte).

Nella proporzione che esprime il rischio, il denominatore è l’insieme degli individui che sono potenziali casi di malattia, cioè la popolazione esposta al rischio di ammalarsi, all’inizio del periodo di osservazione (popolazione candidata).

Questo tipo di incidenza misura la probabilità intesa in senso classico come rapporto tra il numero di eventi (casi di malattia) verificatisi e tutti gli eventi possibili, e la formula generale è:

studio dello

inizio all' candidata

e Popolazion

tempo di

periodo specifico

uno in casi nuovi di

t N t periodo nel

Cumulativa

Incidenza 0 1

La bontà della stima del rischio di ammalarsi è subordinata al fatto che i soggetti non vengano perduti di vista durante il periodo di osservazione.

Poiché questa misura è una probabilità condizionata al non verificarsi di altri eventi (perdita all’osservazione), IC è una buona stima dell’incidenza in periodi t1-t0 abbastanza brevi in cui

(18)

individuo a rischio appartenente alla popolazione iniziale saremo in grado di dire se è divenuto un caso oppure no.

Una C

OORTE

si dice F

ISSA

se per tutto il periodo di osservazione si mantiene costante la numerosità e il tipo di persone che la compongono.

Se, invece, il periodo di osservazione è lungo, è verosimile che si registrino perdite di soggetti (a causa di emigrazioni, mancanza di collaborazione o, più naturalmente, perché i soggetti muoiono per cause diverse da quelle in studio) dei quali non potremo mai sapere se sarebbero diventati casi.

Più lungo è il periodo di osservazione, maggiori sono le perdite di soggetti.

In simili condizioni l’Incidenza Cumulativa, calcolata come sopra, ha un valore molto limitato e necessita una correzione per la riduzione della popolazione iniziale. Ammettendo che tutti i soggetti persi allo studio siano stati presenti in media per metà tempo di osservazione, l’IC diviene:

10k

2 ) Persi - studio dello

inizio all' candidata

ne (Popolazio

tempo di

periodo specifico

uno in casi nuovi di

Cumulativa N

Incidenza  

Per le malattie croniche con lungo periodo di latenza come i tumori, l'incidenza cumulativa può essere calcolata su base anche quinquennale, decennale e ventennale, mentre per le altre malattie più comuni si preferisce la base annua.

Un altro problema che riguarda l'incidenza cumulativa è dato dal fatto che, qualora si tratti di malattie comuni ed a rapida guarigione (influenza, raffreddore), uno stesso soggetto potrebbe ammalare due volte nel periodo di tempo considerato e portare un ipotetico rischio totale ad un valore superiore ad uno, in che non avrebbe alcun senso logico.

In questo caso particolare, il valore dell'incidenza si riferirebbe al numero di eventi e non al numero di persone che ammalano rispetto a quelle a rischio.

Salvo precisazione contraria, IN TUTTI GLI STUDI SI CONSIDERA SOLITAMENTE L'INSORGENZA DEL PRIMO EVENTO.

(19)

c) DENSITA' DI INCIDENZA

Se la popolazione non solo può perdere soggetti ma anche acquistarne durante il periodo di studio, allora stimare il rischio individuale può essere inutile.

Infatti che significato ha misurare il rischio delle singole persone quando, se c’è un ricambio continuo di soggetti, ciascuna di queste rimane esposta al rischio di ammalarsi per un periodo di tempo diverso?

In questi casi è più appropriata una misura che descriva il cambiamento dello stato di salute della popolazione, complessivamente considerata (relativamente alla numerosità della popolazione e al periodo di osservazione).

Questa misura è il tasso di densità d’incidenza (DI).

Il tasso istantaneo è una misura rapportata al periodo di tempo di riferimento e rappresenta la forza di impatto potenziale della malattia sullo stato di salute della popolazione.

Però, poiché le dimensioni della popolazione cambiano continuamente e noi non sempre siamo in grado di esprimerle istante per istante come funzione matematica del tempo, dobbiamo descrivere l’insorgenza dei casi come densità media di incidenza di un determinato intervallo di tempo (come per la velocità, in cui, non essendo in grado di misurare lo spazio percorso in un istante, parliamo quasi sempre di velocità media in cui tutto lo spazio percorso viene rapportato al tempo).

La Densità di Incidenza, quindi, misura la concentrazione di nuovi casi di malattia in uno spazio le cui dimensioni sono popolazione a rischio e tempo.

Graficamente la densità di incidenza può essere rappresentata come in figura 2, in cui le dimensioni della popolazione sono poste in grafico in relazione al tempo. L’area sotto la curva è lo spazio (popolazione-tempo) in cui si osservano i nuovi casi di malattia (rappresentati dai punti neri). La densità con cui si distribuiscono i punti, nello spazio, rappresenta la misura di frequenza.

(20)

Figura 2 - Rappresentazione grafica del concetto di densità di incidenza. I punti sono i nuovi casi di malattia in una popolazione candidata.

La Densità di Incidenza è anche definita tasso di incidenza e rappresenta la misura basilare della frequenza di malattia.

La Densità di Incidenza considera il numero di casi che si verificano nel corso del periodo di osservazione su una popolazione a rischio costituita dalla somma dei tempi di osservazione di ciascun soggetto fra la sua entrata nello studio e la sua uscita dal gruppo di candidati alla malattia.

10k

malattia di

rischio a

tempo di

i individual

periodi dei

Somma

) t - (t periodo definito

un durante casi

nuovi di Incidenza N

di

Densità  0 1

Il denominatore è dato dalla somma di tutti gli intervalli di tempo t a rischio individuali per ognuno degli N soggetti della popolazione.

In termini matematici:

N i

t

i 1

Tempo e

Popolazion

Se invece la popolazione è sufficientemente stabile tanto da assumere che tutti i soggetti siano stati esposti al rischio di sviluppare la malattia per l’intero periodo di osservazione (t), allora:

(21)

) ( Tempo

e

Popolazion  N  t

Figura 2 – Legenda: X = momento di insorgenza della malattia __ = malattia in corso

-- = senza la malattia

Soggetto n° 10 ---X____

9 ---X________________________________

8 ---

7 ---X_________________________________

6 ______________________________

5 --- 4 ----X_________________________

3 --X__

2 --- 1 ---X_____________________________________________

________________________________________________________________

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

momenti di osservazione (ad es. giorni)

Nell’esempio proposto nella Figura 2 (area tratteggiata) la DI viene calcolata dal rapporto tra i 2 casi verificatisi nell’intervallo 2-4 e il numero di persone osservate e il tempo di osservazione (ad esempio in giorni).

Per cui il soggetto n°:

1) si è ammalato prima del giorno 2 di osservazione e non viene contato né al numeratore né al denominatore;

2) non si ammala per niente e non contribuisce al numeratore (casi), ma poiché per tutto il tempo dell’osservazione è esposto al rischio di ammalarsi contribuisce al denominatore come 2 giorni-persona;

3) non viene contato perché scompare prima che inizi l’osservazione;

4) si è ammalato prima del giorno 2 e viene escluso come il caso n° 1;

5) non si ammala come il n° 2 e viene trattato come lui;

(22)

6) come il n° 1 e il n° 4;

7) si ammala il giorno 3 e quindi viene registrato nella nostra osservazione come un caso (viene incluso nel numeratore); contribuisce al denominatore per tutto il tempo in cui è stato a rischio di ammalarsi, quindi il giorno-persona, prima di diventare un caso;

8) come il n° 2 e il n° 5;

9) si ammala proprio all’inizio del primo giorno di osservazione per cui viene registrato come un caso, ma non contribuisce al denominatore perché, rispetto all’osservazione, il suo tempo “a rischio” è zero;

10) si ammala dopo il giorno 4 per cui viene contato come il n° 2, il n° 5 e il n° 8.

Il conto totale è: 2 casi / 9 giorni-persona = 0.22 casi per ogni giorno-persona.

Questa misura di frequenza (in genere rappresentata in anni-persona) è particolarmente utile quando l'evento studiato si verifica più volte nella stessa persona (ad es. incidente lavorativo) o quando il gruppo osservato è un gruppo dinamico con ingressi ed uscite che riducono il tempo complessivo di partecipazione allo studio.

In pratica con la DENSITA' DI INCIDENZA il numero totale di individui che passano dallo stato di salute a quello di malattia durante il periodo di osservazione è il risultato di tre fattori:

1) la dimensione della popolazione 2) la lunghezza del periodo

3) la forza della morbosità che opera in quella popolazione

ATTENZIONE:

LA DENSITÀ DI INCIDENZA SI UTILIZZA IN CASO DI STUDIO SU POPOLAZIONE APERTA

(DINAMICA).

COORTE DINAMICA = popolazione non costante nel periodo di osservazione; di alcuni soggetti si perdono le tracce, altri si trasferiscono, altri entrano a far parte dello studio in un periodo successivo.

(23)

COORTE STATICA = popolazione senza movimenti interni ad essa in grado di alterare il denominatore.

La scelta di quale misura di incidenza adottare (stima del rischio o stima del tasso) dipende dagli scopi che lo studio si prefigge: il rischio è idoneo a predire la malattia nel singolo individuo e il tasso è più corretto per saggiare ipotesi eziologiche.

In quest’ultimo caso, il tasso è indicato soprattutto quando si studiano malattie con un lungo periodo di latenza, per cui il periodo di rischio a cui deve essere esposta la popolazione è molto esteso e il periodo di osservazione per ciascun soggetto nello studio rappresenta solo una parte del tempo totale in cui l’individuo è a rischio di ammalarsi.

Quando invece il periodo di osservazione copre tutto il periodo di rischio (ad esempio, un follow-up in un’epidemia) allora le inferenze causali possono essere fatte utilizzando stime del rischio, anziché del tasso.

Per comprendere meglio la differenza tra tassi e rischi possiamo fare un esempio:

Consideriamo la mortalità in un istituto dove vivono 500 persone; per semplificare supponiamo che non ci siano nuove ammissioni o dimissioni dall’istituto durante un intero anno (che la popolazione sia cioè fissa) dal 1° gennaio al 31 dicembre.

Durante questo periodo di tempo, 18 dei soggetti istituzionalizzati muoiono.

Se i decessi sono distribuiti uniformemente durante l’anno, la popolazione media (cioè il denominatore su cui calcolare il tasso di mortalità) nel periodo considerato sarà 500-18/2, cioè 491.

Il tasso di mortalità è quindi 18/491, ovvero 3.7 per 100 per anno.

Ma la probabilità di morire è 18/500, ovvero 0.036.

Se vogliamo misurare l’incidenza dell’epatite virale A nella stessa comunità (data la mortalità sopra descritta) e abbiamo osservato 28 casi durante l’anno, dovremmo togliere i casi, mano a mano che si verificano, dal denominatore popolazione a rischio, dato che l’epatite virale A conferisce l’immunità.

(24)

Assumendo ancora che i casi siano distribuiti in modo uniforme lungo l’anno, il denominatore del tasso di incidenza è 500-(18+28)/2, cioè 477; il tasso è quindi 28/477, ovvero 5.8 per 100 per anno.

La probabilità di contrarre l’epatite viene invece calcolata usando come denominatore 500- 18/2, cioè 491, per cui è 28/491=0.057.

(25)

R

RE EL LA AZ ZI IO ON NI I T TR RA A P PR RE EV VA AL LE EN NZ ZA A, , I I NC N CI ID DE EN N ZA Z A C CU UM MU UL LA AT TI IV VA A E E DE D EN NS SI IT TA A' ' D DI I I IN NC CI ID DE EN NZ ZA A

Si è già affermato che la prevalenza dipende dall'incidenza e dalla durata della malattia. Una tale associazione può essere espressa in modo sintetico come segue:

P/(1 - P) = DI x D in situazione di stabilità

P = DI x D se consideriamo malattie rare (dove P è bassa)

L'incidenza cumulativa dipende dal tasso di incidenza e dalla lunghezza del periodo di rischio ed è influenzata dalla mortalità per malattie diverse.

CI = DI x t se malattia con bassa I o quando il periodo di rischio è breve

La relazione tra Incidenza, Prevalenza e Durata della malattia può fornire utili indicazioni ai pianificatori in sanità pubblica per predire le necessità future di strutture e servizi sanitari, come ad esempio quando l’incidenza di un certo tipo di malformazione congenita come la spina bifida ed il tempo medio di sopravvivenza dei bambini affetti sono note.

Legenda:

(1-P) = soggetti liberi dalla malattia CI = Incidenza Cumulativa

DI = Densità di Incidenza t = periodo di rischio D = Durata della malattia P = Prevalenza

(26)

Un altro tipo di eventi, oggetto di studio in epidemiologia, e la cui frequenza può essere quantizzata, sono i decessi che possono essere classificati in:

 

morti per una specifica malattia;

 

morti per altra causa ma con una specifica malattia in corso;

 

morti per altra causa in persone non affette dalla malattia in esame.

Queste tre categorie sono gli elementi fondamentali per misurare la mortalità in una popolazione. Come per l’incidenza anche per la mortalità possiamo stimare il tasso oppure il rischio.

Il tasso di mortalità dovuto ad una specifica malattia è calcolato come il rapporto tra il numero di morti per quella causa specifica e il numero di persone esposte al rischio di morire per la specifica malattia.

Analogamente all’incidenza:

Tempo e

Popolazion

malattia la

per Morti Mortalità

di

Tasso 

Il denominatore, però, è diverso da quello usato per il calcolo dell’incidenza perché include non solo i sani, ma anche coloro che si sono ammalati della malattia in questione (che sono a rischio di morire), mentre l’incidenza doveva tenere conto solo dei sani.

Il tasso di letalità dovuto ad una malattia è stimato dallo stesso rapporto, ma nel denominatore la popolazione è costituita dalle persone affette dalla malattia considerata.

Nell’analisi della mortalità per malattie croniche è bene tenere presente che il tasso osservato per una specifica malattia è influenzato dalla presenza di altre cause di morte che competono con la malattia a cui siamo interessati.

Pertanto, quando si confronta la mortalità in due gruppi, anche se si prende in considerazione una causa specifica è necessario tenere conto anche della mortalità totale nei due gruppi.

(27)

E

ES SE ER RC CI IZ ZI I S SU UL LL LE E M MI IS SU UR RE E D DI I F FR RE EQ Q UE U EN NZ ZA A

Esercizio 1: morbosità da infarto del miocardio.

Negli anni ’50 è stato condotto uno studio su 667 conducenti di mezzi di trasporto londinesi di sesso maschile. I soggetti, selezionati in quanto ad un primo esame non presentavano alcuna evidenza di infarto né di angina, sono stati seguiti per 5 anni. In questo periodo, nelle diverse classi di età si sono verificati i seguenti casi di ischemia cardiaca:

Tabella 1 – Casi di ischemia cardiaca per classe di età nei conducenti di mezzi di trasporto pubblico londinesi. Maschi.

Età Casi di ischemia cardiaca Soggetti esaminati

30 – 39 1 32

40 – 49 6 128

50 – 59 24 300

60 – 64 13 170

65 – 69 3 37

Totale 47 667

Domanda 1. Calcolare l’incidenza cumulativa di ischemia cardiaca per classi di età e rappresentare graficamente i risultati.

Domanda 2. Calcolare, per il totale dei soggetti, l’incidenza annuale media di ischemia cardiaca.

Domanda 3. Calcolare il numero di anni-persona di osservazione e la densità di incidenza per 100 anni-persona di osservazione.

Per studiare l’incidenza di infarto del miocardio viene effettuato il follow-up di un gruppo di 14 soggetti a rischio. I soggetti negativi ad un controllo effettuato il 1° gennaio 1951 vengono seguiti per quattro anni (1951-1954). Per ogni soggetto vengono fornite le seguenti informazioni:

(28)

Soggetto 1: vivo e negativo al 31.12.1954

Soggetto 2: infarto nel maggio 1953, vivo al 31.12.1954 Soggetto 3: infarto nell’agosto 1953, vivo al 31.12.1954 Soggetto 4: infarto nel marzo 1951, deceduto nel maggio 1953 Soggetto 5: perso al follow-up nel marzo 1954

Soggetto 6: infarto nel dicembre 1952, vivo al 31.12.1954 Soggetto 7: deceduto nell’aprile 1954

Soggetto 8: vivo e negativo al 31.12.1954

Soggetto 9: infarto nel marzo 1951, nuovo infarto nel marzo 1953, vivo al 31.12.1954 Soggetto 10: infarto nel luglio 1951, perso al follow-up nell’agosto 1952

Soggetto 11: infarto nel marzo 1953, vivo al 31.12.1954 Soggetto 12: infarto nell’aprile 1954, vivo al 31.12.1954 Soggetto 1: perso al follow-up nel gennaio 1953 Soggetto 14: infarto nell’aprile 1954, vivo al 31.12.1954

Domanda 4. Completare lo schema di follow-up della figura 1.

Domanda 5. Sulla base dello schema di follow-up della domanda 4 calcolare:

a. Il tasso di incidenza (densità di incidenza) di primo infarto nel 1953.

b. La prevalenza di soggetti con pregresso infarto al 31.12.1952.

c. L’incidenza media mensile (densità di incidenza) di primo infarto.

(29)

SO S OL LU UZ ZI IO ON NE E: :

D

Doommaannddaa 11::

Età Casi di ischemia cardiaca Soggetti esaminati Incidenza

30 – 39 1 32 1/32*100

40 – 49 6 128 6/128*100

50 – 59 24 300 24/300*100

60 – 64 13 170 13/170*100

65 – 69 3 37 3/37*100

Totale 47 667

D

Doommaannddaa 22::

L’incidenza annuale media di ischemia cardiaca = (47/667)/5 = 1,41/100 soggetti (47/677 è l’Incidenza totale; occorre dividere per il n° di anni, cioè 5).

D

Doommaannddaa 33::

L’incidenza annuale media di ischemia cardiaca = (47/667)/5 = 1,41/100 soggetti

7,6 8,1 8,0

4,7 3,1

0,0 1,0 2,0 3,0 4,0 5,0 6,0 7,0 8,0 9,0

30 – 39 40 – 49 50 – 59 60 – 64 65 – 69 Classi di età

In ci d e n za/ 1 00 so g g et ti

(30)

Età Anni-persona*

di osservazione

Incidenza /100 anni-persona

30 – 39 157,5

(31x5)+(1x2,5)

0,63**

(1/157,5*100)

40 – 49 625

(128x5)+(6x2,5)

0,96**

(6/625*100)

50 – 59 1440

(276x5)+(24x2,5)

1,67 (24/1440*100)

60 – 64 817,5

(157x5)+(13x2,5)

1,59 (13/817,5*100)

65 – 69 177,5

(34x5)+(3x2,5)

1,69**

(3/177,5*100)

Totale 3217,5

(620x5)+(47x2,5)

1,46 (47/3217,5*100)

* Per i casi si assume che, in media, l’infarto del miocardio si sia verificato a metà periodo:

ogni caso contribuirà, quindi, con 2,5 anni-persona di osservazione.

Ad esempio, nella fascia di età 30-39 anni abbiamo 31 soggetti che contribuiranno per 5 anni di osservazione e uno per 2,5 anni. Avremo, quindi, per quella fascia di età un totale di (31x5)+2,5=157,5 anni-persona di osservazione, e via di seguito.

** Tassi calcolati su pochi soggetti

DoDommaannddaa 44:: vedi figura

DoDommaannddaa 55::

a. Nel calcolo dei mesi-persona di osservazione nell’anno 1953, necessari per calcolare il tasso di incidenza di primo infarto, non vanno considerati i soggetti 4, 6 e 9 che, avendo già avuto un infarto, non sono più a rischio di “primo infarto”. Per calcolare il contributo in mesi-persona dei soggetti che hanno avuto il primo infarto nel 1953, si assume che l’infarto si sia verificato in media a metà del mese.

(31)

Di conseguenza, il contributo dei 14 soggetti sarà:

12 + 4,5 + 7,5 + 0 + 12 + 0 + 12 + 12 + 0 + 0 + 2,5 + 12 + 0,5 + 12 =87

e il tasso di incidenza di primo infarto nel 1953 = 3/87 = 3,45/100 mesi-persona.

b. Prevalenza di soggetti con pregresso infarto al 31.12.1952 = 3/13 = 0,231 = 23,1/100 soggetti.

c. Per il calcolo dei mesi-persona di osservazione contribuiranno tutti i 14 soggetti fino al mese in cui si è verificato il 1° infarto. Come al punto 5a, si assume che l’infarto si sia verificato a metà mese.

Incidenza media mensile di primo infarto:

9/(48+28,5+31,5+2,5+38,5+23,5+39,5+48+2,5+6,5+26,5+39,5+24,5+39,5) = 9/399 = 2,26/100 mesi-persona.

(32)

Esercizio 2.

Una coorte dinamica di 10 persone viene seguita per un periodo di quattro anni (dall'inizio 1980 all'inizio del 1984). Per 10 pazienti sono riportati data d'entrata in studio, data di uscita e tipo di esito (malato - sano):

Tabella 1 – Casi di ischemia cardiaca per classe di età nei conducenti di mezzi di trasporto pubblico londinesi. Maschi.

N Entrata Uscita Esito

1 1980 1984 Sano

2 1980 1983 Malato

3 1980 1981 Sano

4 1980 1982 Sano

5 1980 1981 Malato

6 1981 1983 Malato

7 1981 1984 Sano

8 1982 1983 Sano

9 1982 1984 Sano

10 1983 1984 Malato

Dopo aver costruito lo schema riassuntivo, calcolare:

a) Per i pazienti 1-5 l'incidenza cumulativa nei periodi 1980-1982 e 1980-1984;

b) Il numero totale di anni di osservazione;

c) Il tasso di incidenza persona/anno.

(33)

Esercizio 3.

Una coorte dinamica di 20 soggetti, reclutata tra il gennaio 1961 e il gennaio 1965, viene seguita fino al dicembre 1980 (20 anni globali di follow-up) al fine di valutare se gli esposti a un fattore di rischio hanno un'incidenza di tumore del polmone maggiore rispetto al gruppo di controllo. I dati riguardanti entrate, uscite, perdite al follow-up, malati sono illustrati nella tabella seguente:

N Exp Entrata Uscita Esito

1 Exp + Gen. 1961 Dic. 1980 Sano

2 Exp + Gen. 1961 Dic. 1965 Malato

3 Exp - Gen. 1961 Dic. 1980 Sano

4 Exp - Gen. 1961 Dic. 1974 Malato

5 Exp - Gen. 1961 Dic. 1980 Sano

6 Exp + Mar. 1961 Ago. 1979 Malato

7 Exp - Mar. 1961 Dic. 1966 Perso al follow-up

8 Exp - Mar. 1961 Dic. 1980 Sano

9 Exp + Mar. 1961 Mag. 1975 Malato

10 Exp + Mar. 1961 Dic. 1980 Sano

11 Exp + Gen. 1963 Dic. 1980 Sano

12 Exp + Gen. 1963 Dic. 1980 Sano

13 Exp - Gen. 1963 Dic. 1980 Sano

14 Exp - Set. 1964 Dic. 1974 Malato

15 Exp - Set. 1964 Mar. 1973 Perso al follow-up

16 Exp + Set. 1964 Ago. 1970 Malato

17 Exp - Set. 1964 Dic. 1979 Perso al follow-up

18 Exp + Nov. 1964 Dic. 1980 Sano

19 Exp + Nov. 1964 Mag. 1978 Malato

20 Exp - Nov. 1964 Dic. 1980 Sano

(34)

a) Calcolare l'incidenza persona/tempo della coorte dei 20 soggetti, prendendo il mese unità di tempo (per semplicità il mese in cui avviene la morte o la perdita al follow-up viene considerato per intero nel denominatore);

b) Calcolare l'incidenza persona-tempo sia per il gruppo di esposti che per i non esposti.

(35)

A

AL LT TR RE E I IM MP PO OR RT TA AN NT TI I M MI IS SU UR RE E E EP PI ID DE EM MI IO OL LO OG GI IC CH HE E

Oltre all'INCIDENZA e alla PREVALENZA, che costituiscono le misure più usate in epidemiologia, una serie di altri tassi rivestono grande importanza, specie in relazione al loro ruolo di indici di salute di popolazione.

Di seguito vengono riportati i tassi più importanti:

1) TASSO DI MORTALITA'

N° di morti in un anno Popolazione residente

2) TASSO DI NATALITA'

N° di nati vivi in un anno Popolazione residente

3) TASSO DI MORTALITA' INFANTILE

N° annuale di morti in bambini con età < 1 anno N° nati vivi in un anno

4) TASSO DI MORTALITA' NEONATALE

N° annuale di morti nei primi 28 giorni di vita N° nati vivi nello stesso anno

5) TASSO DI MORTALITA' POST-NEONATALE

N° annuale di morti tra il 29° giorno ed un anno di vita N° nati vivi nello stesso anno

6) TASSO DI MORTALITA' PERINATALE

N° annuale di nati morti (> 28 settimane) + morti nella 1° settimana di vita N° nati nello stesso anno (vivi + morti)

(36)

7) TASSO DI NATIMORTALITA'

N° annuale di nati morti (> 28 settimane) N° nati nello stesso anno (vivi + morti)

8) TASSO DI LETALITA'

N° di pazienti morti dopo diagnosi di una determinata malattia N° di casi diagnosticati della stessa malattia

9) TASSO DI SOPRAVVIVENZA (a 5 anni)

N° di pazienti ancora vivi dopo 5 anni dalla diagnosi di una certa malattia N° di casi diagnosticati della stessa malattia

(37)

LE L E M MI IS SU UR RE E D D I I A A SS S SO O CI C IA AZ ZI IO ON NE E (m ( m is i su ur re e e ep pi id de em m io i ol lo og gi ic ch he e d di i r ri is sc ch hi io o) )

Uno dei principali scopi dell’epidemiologia è quello di indagare sui possibili fattori che provocano o, più spesso, facilitano l’instaurarsi di una malattia.

Abbiamo già visto nelle prime lezioni come l’insorgenza delle malattie cronico-degenerative possa essere favorita da uno o più fattori di rischio, che sono pertanto associati ad esse.

Vedremo ora il concetto di associazione statistica che viene spesso evidenziata misurando il

RISCHIO RELATIVO.

Grado di dipendenza statistica tra due o più

eventi variabili

Questi eventi variabili sono quindi associati quando si verificano insieme più frequentemente di quanto ci si possa attendere per effetto del caso.

Se una popolazione può essere divisa in due gruppi secondo qualche classificazione o fattore, e in ciascuno di essi viene calcolato il rischio (incidenza, mortalità o qualsiasi altro) di una malattia, allora la malattia si dice associata al fattore se i rischi per i gruppi differiscono.

Esempio 1

Il cancro del polmone (incidenza o mortalità) è associato con il fattore fumo di sigaretta in quanto i tassi di cancro del polmone differiscono tra differenti categorie di fumatori nella popolazione. Da notare che l’associazione rappresenta una descrizione della relazione tra malattia e fattore molto più debole di quanto sia la relazione di causa-effetto. Se è possibile mostrare che il rischio varia sistematicamente con il livello del fattore, si dice che esiste una relazione dose-risposta tra il fattore e la malattia. La presenza di una relazione dose-risposta

ASSOCIAZIONE

in epidemiologia

(38)

costituisce un aspetto molto importante perché si possa passare dalla semplice associazione a una relazione di causa-effetto.

Esempio 2

Il cancro del polmone (incidenza o mortalità) è più frequente tra gli uomini che tra le donne.

Così il sesso e il cancro del polmone sono associati. Questa associazione, tuttavia, non è di tipo causale – gli uomini non necessariamente hanno una maggiore predisposizione biologica al cancro del polmone di quanto non sia per le donne, né esiste una relazione dose-risposta. In realtà, l’associazione tra sesso e cancro del polmone è ampiamente spiegata dalle differenze nel consumo di sigarette ( FATTORE DI CONFONDIMENTO).

ASSOCIAZIONE non implica dunque un rapporto di causalità, cioè che vi sia una relazione causale (rapporto causa-effetto), cioè che uno degli eventi induca o, quanto meno, favorisca l’insorgenza dell’altro.

ESISTONO in effetti tre tipi di associazione:

 ASSOCIAZIONE SECONDARIA o INDIRETTA: due eventi o più sono tra loro in relazione tra loro in quanto esiste un FATTORE CAUSALE COMUNE.

Esempio:

L’associazione tra bronchite cronica e tumore del polmone può essere considerata tra le associazioni indirette o secondarie. Vi è, in questo caso, un fattore di rischio comune (quasi sempre il fumo di tabacco ma può essere anche un inquinante ambientale) che può determinare l’insorgenza di entrambi gli effetti.

La dimostrazione che un’associazione tra due fattori è secondaria richiede lo svolgimento di studi epidemiologici che valutino, su base individuale, la presenza o meno delle diverse condizioni in studio e la sequenza temporale di comparsa.

NON CAUSALE o SPURIA o ARTIFICIALE: è determinata da una circostanza esterna (FATTORE DI CONFONDIMENTO) o da qualche distorsione (BIAS) della metodologia adottata.

(39)

Questi fattori, intervenendo durante lo svolgimento di uno studio, sono in grado di evidenziare associazioni del tutto artificiali tra supposti fattori di rischio e malattie.

Esempio:

Un esempio di associazione non causale, determinata da una circostanza esterna, è quella tra consumo di caffè e rischio di infarto al miocardio. In realtà tra i bevitori di caffè è alta la percentuale di fumatori (i due fattori sono quindi associati). E’ altresì noto che il fumo è un fattore di rischio per l’infarto al miocardio, il che porta ad avere un’associazione statisticamente significativa tra bevitori di caffè e infartuati; in questo caso il fumo di sigaretta ha agito da fattore di confondimento.

ESPOSIZIONE MALATTIA

(caffè) (infarto)

FATTORE DI CONFONDIMENTO (fumo)

CAUSALE DIRETTA: si ha quando una ben definita esposizione (ad esempio un fattore nocivo ambientale) provoca o aumenta il rischio di un determinato effetto (malattia, morte o altra condizione).

I fattori causali (o cause) possono essere necessari, sufficienti, possedere entrambi questi attributi o nessuno di essi.

I fattori causali (o cause) sono definiti:

A. NECESSARI: quando un certo effetto deve essere sempre preceduto da una particolare causa (es. malattie infettive).

L’effetto può tuttavia anche non essere il solo prodotto di quella causa (es.: la triade di

(40)

infezione materna con virus della rosolia, ma questo agente infettivo può provocare durante la gravidanza anche altri effetti come aborto, malformazioni cardiache varie, ecc.). Si comprende facilmente come quasi tutte le patologie infettive abbiano una causa necessaria, cioè una conditio sine qua non.

B. SUFFICIENTI: quando producono inevitabilmente uno specifico effetto.

Quest’ultimo effetto può, tuttavia, essere causato anche da altri fattori.

In medicina non è facile trovare esempi di cause sufficienti; uno potrebbe essere la Chorea di Huntington, malattia neurodegenerativa autosomica dominante a penetranza completa; in presenza della mutazione genetica (il gene responsabile è localizzato sul cromosoma 4), i soggetti svilupperanno inevitabilmente la malattia.

C. né NECESSARI né SUFFICIENTI: tipicamente nel caso di fattori di rischio in caso di malattie cronico-degenerative (subentra il concetto di aumento della probabilità di sviluppare una malattia).

I fattori causali delle malattie croniche, o condizioni che ne facilitano l’instaurarsi, sono normalmente definiti fattori di rischio e si dividono in:

a) FATTORI PREDISPONENTI, che creano le condizioni o aumentano la suscettibilità dell’individuo ai fini dell’instaurarsi di una patologia. Sono inclusi in questo gruppo fattori genetici, razziali ma anche altre condizioni come la depressione del sistema immunitario che predispone all’instaurarsi di numerose patologie infettive e tumorali.

b) FATTORI PRECIPITANTI, che facilitano il definitivo instaurarsi di una malattia in un individuo già suscettibile. Comprendono lesioni traumatiche, malattie intercorrenti e altre situazioni di debilitazione come la gravidanza, condizione che facilita il passaggio alla fase clinica di malattie già presenti in fase asintomatica.

c) FATTORI RINFORZANTI, che tendono a perpetuare o aggravare la presenza di una malattia o condizione morbosa come l’esposizione protratta agli stessi agenti patogeni.

(41)

I I C C RI R IT TE ER R I I D DI I C CA AU U SA S AL LI I TA T A' ' ( (s se ec co on n do d o H Hi il ll l - - 1 19 97 71 1) )

Il processo per definire se un’associazione è causale, ossia se vi sia o meno un rapporto causa-effetto, deve passare attraverso procedimenti in parte supportati dalla statistica in parte dalla logica della situazione.

Pur non essendo possibile fornire elementi di giudizio inconfutabili, nel processo di analisi di una possibile associazione causale diretta possono essere considerati una serie di criteri che sono illustrati nella Tabella seguente:

Linee guida per la determinazione di un’associazione causale tra fattore di rischio e malattia

Relazione temporale L’esposizione al presunto fattore di rischio precede sempre temporalmente l’insorgenza della malattia?

Plausibilità biologica Vi è un meccanismo d’azione conosciuto o plausibile (anche a livello sperimentale) che possa spiegare la relazione tra fattore di rischio e malattia?

Forza o grado Vi è una associazione statistica tra fattore di rischio e malattia (valore del RR o dell’OR significativamente superiore ad 1)?

Consistenza Vari studi, di diverso tipo e in diverse realtà, hanno portato a conclusioni simili?

Relazione dose-risposta All’aumentare dell’esposizione al fattore di rischio si riscontra un aumento dell’incidenza della malattia?

Assenza di fattori di confondimento

È stato analizzato il ruolo di tutti i fattori di rischio noti che hanno rilevanza nello sviluppo della malattia in studio?

I fattori illustrati possono essere riscontrati o meno in un’associazione e, qualora presenti, possono non dare risposte inequivocabili.

L’unico elemento fondamentale per poter parlare di associazione causale diretta è la presenza di una sequenza temporale, ossia il presunto fattore di rischio deve sempre precedere temporalmente l’insorgenza della malattia, ovvero la causa deve sempre precedere temporalmente l’effetto.

(42)

Capita infatti frequentemente che le associazioni indichino non già la presenza di un fattore di rischio ma di un fattore conseguente all’insorgenza della malattia (come potrebbe essere il caso delle infezioni da microorganismi opportunisti che colpiscono più frequentemente i malati di tumore, ma non per questo sono un fattore di rischio).

Il famoso statistico inglese Hill aveva previsto i seguenti criteri riguardanti le associazioni causali:

1) FORZA o GRADO DELL'ASSOCIAZIONE: è rappresentata da una misura di associazione (Rischio Relativo, Odds Ratio, Rischio Attribuibile). Può essere riportata ad una maggiore incidenza della malattia in studio nel gruppo degli esposti rispetto a quello dei non esposti: maggiore è il suo valore, maggiore è la probabilità che vi sia un rapporto causa – effetto.

2) CONSISTENZA: è la presenza del supposto rapporto di associazione in diverse condizioni, ad esempio diversi tipi di studi epidemiologici effettuati in differenti realtà geografiche. L'associazione è stata osservata ripetutamente da diverse persone, in luoghi, circostanze, momenti diversi.

3) SPECIFICITA' D’AZIONE: previsione di un unico effetto, cioè quel fattore di rischio dà una sola o poche patologie. Tale caratteristica si ritrova presente nelle malattie infettive, dove generalmente gli agenti etiologici manifestano gli effetti su un organo bersaglio ma quasi mai nelle malattie cronico-degenerative ove un singolo fattore di rischio (es. fumo) può provocare svariati effetti (tumori, bronchiti, malattie cardiovascolari).

4) RELAZIONE TEMPORALE: la causa deve precedere l'effetto (UNICO CRITERIO conditio sine qua non)

5) RELAZIONE DOSE-RISPOSTA: è strettamente correlata alla forza dell’associazione e prevede un aumento dell’effetto all’aumentare dell’esposizione. A volte, tuttavia, questo aspetto non è valutabile in quanto il fattore di rischio si presenta sotto forma di variabile

(43)

qualitativa dicotomica (presente o assente, come ad esempio la razza, il sesso, la familiarità).

6) PLAUSIBILITA' BIOLOGICA: è la possibilità logica, secondo le conoscenze in possesso (derivate anche da studi sperimentali), che l'esposizione possa causare la malattia. Tuttavia alcuni meccanismi biologici non sono del tutto conosciuti così che questo punto non deve essere considerato un elemento fondamentale nel processo di definizione di un’associazione causale.

Ad esempio, alla prima osservazione epidemiologica si ritenne non plausibile il fatto che il fumo di sigaretta (inalato attraverso le vie aeree) potesse aumentare il rischio del tumore dell’utero, fatto invece confermato da successive più accurate osservazioni sulla diffusione a livello ematico di alcuni componenti del tabacco.

7) COERENZA: con la storia naturale e la biologia della malattia.

8) REVERSIBILITA’: qualora si effettuino interventi volti alla rimozione di un fattore causale ci si dovrebbe attendere, dopo un necessario periodo di latenza, una riduzione dell'incidenza della malattia. Questo criterio molto importante è una sorta di evidenza sperimentale e può essere vagliato con l’esecuzione di studi preventivi basati sulla rimozione di uno o più fattori di rischio.

Nella tabella seguente viene dimostrato che l’incidenza persona/tempo dell’ictus cerebrale è ridotta in coloro che hanno smesso di fumare, ma continua ad essere superiore rispetto alla popolazione dei non fumatori.

N° casi di ictus (in 8 anni)

Persone / anno di associazione

I(p/t) ictus (per 100.000)

RR

Non fumatori 70 395.594 17,7 1,00

Ex fumatori 65 232.712 27,9 1,58

Fumatori 139 280.141 49,6 2,80

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