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Indagine sulle conoscenze sulle vaccinazioni e sulla percezione del rischio degli utenti che afferiscono all'ambulatorio vaccinale dell'Azienda Sanitaria di Matera

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Scuola di Specializzazione in

Igiene e Medicina Preventiva

Direttore: Prof. Gaetano Privitera

Tesi di Specializzazione

Indagine in merito alle conoscenze sulle vaccinazioni e sulla

percezione del rischio degli utenti che afferiscono

all’ambulatorio vaccinale dell’Azienda Sanitaria di Matera

Candidato Relatore

Dott. Francesco Dell’Aglio Chiar.mo Prof. Gaetano Privitera

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2

A Giuseppe

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1. INTRODUZIONE

pag. 3

1.1 Introduzione alla vaccinologia pag. 3

1.1.1 Cenni storici pag. 3

1.1.2 Immunità e immunizzazione: fondamenti biologici delle

vaccinazioni... pag. 6 1.1.3 Classificazione dei vaccini……….. pag. 8

1.1.3.1 Vaccini vivi attenuati………. pag. 9

1.1.3.2 Vaccini inattivati……… pag.10

1.1.4 Costituenti dei vaccini……….. pag.13

1.1.5 L’immunità di gregge……… pag.15

1.1.6 Vaccinazioni obbligatorie e raccomandate……….. pag.18

1.2La comunicazione e la percezione del rischio in ambito vaccinale…pag.24

1.2.1 La comunicazione………..pag.24 1.2.2 La percezione del rischio in ambito sanitario e vaccinale……pag.27

1.2.3 La comunicazione in ambito vaccinale………..pag.31

1.2.4 Il web e le vaccinazioni……….pag.36

2. SCOPO DELLA RICERCA

………..pag.42

3. MATERIALI E METODI

………..pag.44

4. RISULTATI

………..pag.46

4.1 Caratteristiche socio-demografiche………pag.46

4.2 Età………..pag.46

4.3 Livello di istruzione………pag.47

4.4 Professione………pag.48

4.5 Fonti di informazione………..pag.49

4.6 Affermazioni sulle vaccinazioni………..pag.51

4.7 Decisioni su vaccinazioni “future”………..pag.61

4.8 Analisi di secondo livello……….pag.62

5. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

………pag. 69

(4)

4

1. INTRODUZIONE

1. 1 INTRODUZIONE ALLA VACCINOLOGIA

1.1.1 Cenni storici

Si ritiene che in India e in Cina venisse praticata qualche forma di inoculazione vaccinale già prima del XVI secolo (Lombard, 2007). Lo studioso Ole Lund riferisce a tal proposito: “I primi esempi documentati di variolizzazione provengono dalla Cina e dall’India del XVII secolo, dove si praticava l’inoculazione di materiale estratto dalle croste di soggetti affetti da vaiolo in soggetti sani allo scopo di prevenire la malattia. Il vaiolo fu un’importante causa di morte per parecchi secoli, basti pensare che nel XVIII secolo fu responsabile dell’8-20 % di tutte le morti in numerosi Paesi europei. Probabilmente la pratica di “vaccinare” fu ideata però in India nel 1000 A.C.” (Lund, 2005).

Addirittura in un testo ayurvedico, il Sact’eya Grantham, si fa riferimento alla pratica dell’inoculazione a scopo vaccinale (Chaumeton, 1822).

La pratica della variolizzazione, cioè dell’inoculazione, nel soggetto da immunizzare, di materiale prelevato da lesioni vaiolose, fu introdotta in Inghilterra grazie all’opera di Lady Mary Montagu (che la apprese in Turchia), moglie di un ambasciatore britannico in Turchia, la quale suscitò interesse e fece scalpore facendo inoculare i propri figli; tuttavia tale pratica rimase di eccezionale applicazione fino a quando Emmanuel Timoni propose alla Royal Society nel 1724 un articolo contenente la descrizione scientifica della variolizzazione (Henricy, 1796).

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5 Il problema della variolizzazione (in sostanza l’antenato della moderna vaccinazione) era che la somministrazione di virus vaioloso vivo poneva seriamente a repentaglio la vita del soggetto: sebbene la mortalità si aggirasse intorno al 10% di quella attribuibile al vaiolo contratto per la via ordinaria, non si può certo dire che fosse trascurabile. Inoltre, fino alla guarigione, il soggetto era portatore del vaiolo e contagioso per tutti coloro che non fossero immuni dalla malattia.

La vera rivoluzione messa in atto da Edward Jenner nell’ultimo decennio del XVIII secolo risiede nell’idea di utilizzare per l’immunizzazione materiale proveniente da lesioni del vaiolo bovino (cow-pox) anziché umano (smallpox). Il vaiolo bovino può colpire anche l’essere umano, ma lo fa in maniera molto più lieve rispetto allo smallpox. Ad una mungitrice di mucche che aveva contratto il vaiolo bovino, egli estrasse il siero dalle pustole presenti sulle mani e lo inoculò in un bambino di 8 anni attraverso due incisioni sul braccio. Sei settimane più tardi, Jenner infettò il bambino con il virus del vaiolo umano: il bambino non contrasse la malattia. Questo dimostrava che la sua ipotesi era corretta.

Il metodo fu denominato ‘vaccinazione’ proprio perché il siero utilizzato era di origine vaccina.

Da allora sono passati oltre duecento anni, durante i quali la vaccinazione contro il vaiolo, pur con alti e bassi, ha condotto alla completa eradicazione della malattia: l’ultimo caso di trasmissione naturale di vaiolo nel mondo si è verificato in Somalia nell’ottobre 1977. La malattia è stata dichiarata globalmente eradicata (unico caso a tutt’oggi se si eccettua la peste bovina eradicata nel 2011 ma che non colpisce l’essere umano) due anni più tardi, notizia poi ufficialmente confermata nel maggio 1980 dall’Assemblea Mondiale della Sanità (WHA). (Manuale per il controllo delle malattie trasmissibili, American Public Health Association, 18esima edizione, pag. 723).

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6 Fig. 1: La copertina di un libro biografico su Edward Jenner

Decisivi passi avanti nella creazione di vaccini furono realizzati grazie al lavoro di Louis Pasteur un secolo più tardi. Mentre Jenner si avvalse di un virus ‘naturalmente’ attenuato (il vaiolo bovino) per l’immunizzazione, Pasteur riuscì a trovare il metodo per attenuare artificialmente i microrganismi, in modo da rendere la tecnica della vaccinazione virtualmente estendibile a qualsivoglia agente patogeno. Inizialmente partì con il colera dei polli (Ullmann, 2007), poi passò all’antrace e infine giunse a creare il primo vaccino antirabbico ad uso umano guarendo un bambino di 9 anni (Trueman C. "Louis Pasteur". HistoryLearningSite.co.uk.).

Il terzo memorabile passaggio nella storia delle vaccinazioni è senza dubbio la preparazione, negli anni ’50 del secolo scorso, di due vaccini contro la poliomielite: il primo creato da Salk e Younger nel 1954 (IPV) attraverso l’inattivazione chimica con formaldeide del virus coltivato su rene di scimmia; pochi anni più tardi Sabin sviluppò un vaccino completamente diverso che utilizzava ceppi di virus polio attenuati e da somministrare per bocca (OPV) (Bartolozzi, Manuale delle vaccinazioni, pag.185, 2006.)

La vaccinazione anti-polio si è diffusa così capillarmente nel mondo occidentale che la poliomielite da virus selvaggio è stata completamente eliminata nella maggior parte

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7 dei Paesi. Tuttavia non abbiamo ancora ottenuto l’eradicazione globale della malattia nonostante gli straordinari successi finora riportati: siamo passati dalle decine di migliaia di casi annuali ai soli 406 casi al livello mondiale registrati nel 2013 (http://www.polioeradication.org/Dataandmonitoring/Poliothisweek.aspx).

Negli ultimi 30 anni la preparazione di nuovi vaccini ha avuto una notevole accelerazione tant’è che è stato sviluppato un vaccino ogni anno.

1.1.2 Immunità e immunizzazione: fondamenti biologici delle vaccinazioni

La difesa dalle infezioni dipende sostanzialmente da due tipi di reazioni messe in atto dal nostro organismo:

- immunità innata (o congenita): immediatamente operativa in risposta alle infezioni ma aspecifica nella sua azione; suoi componenti sono le barriere epiteliali della cute e degli apparati gastroenterico e respiratorio, i fagociti leucocitari (neutrofili e macrofagi), cellule specializzate note come natural killer (NK) e varie proteine plasmatiche circolanti tra cui spiccano quelle del sistema del complemento.

- immunità acquisita (o adattativa): normalmente silente, risponde ‘adattandosi’ al peculiare insulto infettivo attivandosi, espandendosi e generando potenti e specifici meccanismi volti a neutralizzare i germi; suoi componenti principali sono i linfociti e i loro prodotti.

La risposta adattativa può essere di due tipi: umorale, ad opera di anticorpi prodotti da linfociti B attivati (plasmacellule), e cellulo-mediata, ad opera dei linfociti T. In linea di massima possiamo affermare che gli anticorpi proteggono da patogeni extra-cellulari mentre i linfociti T svolgono un ruolo cruciale nel fronteggiare infezioni da parte di germi intra-cellulari (Kumar, 2013, pag. 98-99).

Si noti come l’immunità acquisita da un individuo può essere trasferita ad un altro soggetto, come nel caso del passaggio trans-placentare di anticorpi dalla madre al feto o anche nella vita post-natale con l’assunzione dei medesimi tramite il colostro. In questi casi si parla di immunità acquisita passiva ed è esclusivamente di tipo umorale.

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8 Il neonato a termine possiede infatti un corredo anticorpale nel sangue uguale o solo leggermente inferiore a quello della madre: dopo 20-24 settimane di gravidanza la placenta diviene permeabile alle IgG materne (Pillitteri, 2009, pag. 202) e la loro concentrazione nel sangue fetale aumenta progressivamente sino a raggiungere al termine dell’8° mese quella presente nel sangue della madre. Pertanto il nato prima della fine dell’8° mese ha livelli di anticorpi materni progressivamente sempre più bassi quanto più corta è la durata della gestazione.

Esiste anche un’immunità acquisita passiva ottenuta artificialmente (immunizzazione passiva): consiste nella inoculazione di un anticorpo preformato con l’obiettivo di mettere immediatamente a disposizione dell’organismo gli strumenti di cui esso ha bisogno per contrastare un’infezione di solito già in atto, trovando pertanto applicazione prevalente in campo terapeutico. Gli anticorpi possono essere ottenuti dalla stessa specie (omologhi) o da specie differenti (eterologhi): l’impiego di sieri eterologhi, di solito allestiti in animali di grossa taglia (cavalli) che vengono sottoposti a trattamento immunizzante con il materiale (anatossina) nei confronti del quale si desidera la produzione di anticorpi per poi essere salassati, è diminuito drasticamente nel corso dei decenni a causa dei rischi connessi con il loro utilizzo (malattia da siero). Vale comunque la pena di notare che la sieroterapia rimane, a tutt’oggi, il presidio fondamentale nelle infezioni da germi esotossici dove il protagonista della malattia non è tanto il germe in sé ma l’esotossina da esso prodotta, per cui la terapia deve essere rivolta ad impedire il legame tossina-cellula (come nel caso del tetano o del botulismo) (La Placa, 2012, pag. 42).

Questi sieri hanno una composizione ben definita (monoclonali o oligoclonali) a differenza delle -globuline omologhe iperimmuni policlonali, costituite da un cocktail di anticorpi la cui composizione rispecchia le esperienze immunologiche degli individui da cui esse provengono; trovano impiego nel trattamento di alcune infezioni batteriche e in soggetti ipo- o agammaglobulinemici. Il limite principale dell’immunizzazione passiva, a prescindere dall’origine e dalla composizione del preparato, è che la difesa offerta è di breve durata (2-4 mesi), perché il tempo di dimezzamento delle immunoglobuline umane è di circa 20 giorni.

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9 La vaccinazione (immunizzazione attiva) ha invece come obiettivo quello di ricreare artificialmente in un soggetto recettivo ad una determinata malattia infettiva un’immunità attiva attraverso l’utilizzo di sostanze (vaccini) idonee a funzionare da stimolo antigenico provocando le modificazioni tessutali e umorali necessarie per assicurare la difesa contro la noxa infettiva senza però esporre l’organismo ai pericoli di quest’ultima. La vaccinazione assicura all’ospite una protezione di lunga durata ma spesso richiede un variabile (2-3 settimane) tempo di latenza prima di essere effettiva; anche per questo motivo i vaccini vengono per lo più utilizzati a scopo profilattico in individui sani. Molto probabilmente si renderanno disponibili nel prossimo futuro anche vaccini ‘terapeutici’ (per es. per il papillomavirus o per l’HIV) (Gasparini R e Franco E, 2010) .

In aggiunta all’immunizzazione attiva e passiva più recentemente è stata introdotta l’immunità adottiva: essa si realizza allorquando un soggetto che abbia ricevuto un trapianto di midollo osseo acquisisca anticorpi specifici (e quindi immunità) già presenti nel donatore; per es. positività per anticorpi contro l’HbsAg sono di frequente riscontro in soggetti trapiantati che in precedenza erano sieronegativi per quell’antigene.

1.1.3 Classificazione dei vaccini

I vaccini possono essere distinti, in base alla loro costituzione, in due grandi tipologie:

vivi attenuati e inattivati.

I vaccini vivi attenuati vengono prodotti selezionando delle varianti apatogene (o scarsamente patogene) del microrganismo in questione che conservano tuttavia la capacità di indurre una risposta immunitaria adeguata nell’ospite. Dal momento che nel caso dei virus la selezione di varianti apatogene dotate di proprietà antigene adeguate e non soggette a mutazione inversa nei riguardi della patogenicità è più agevole di quanto non lo sia per i batteri, i vaccini vivi attenuati virali sono più numerosi di quelli batterici (La Placa, 2012, pag. 45).

Un vaccino inattivato è allestito uccidendo innanzitutto il microrganismo responsabile della malattia, di solito mediante agenti chimici o calore e procedendo ad elaborazioni successive a seconda dei casi; questi vaccini possono contenere infatti il germe intero

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10 o componenti di esso. Questi ultimi (vaccini “frazionari”) possono essere a base proteica: tossoidi o a subunità (batteriche o subvirioniche) o polisaccaridica: puri o coniugati.

1.1.3.1 Vaccini vivi attenuati

Per sviluppare un vaccino costituito da batteri o virus attenuati viene usata una variante geneticamente attenuata isolata da un paziente con una forma lieve di malattia oppure l’attenuazione viene indotta opportunamente con artifizi di laboratorio, tramite passaggi ripetuti su particolari terreni di coltura o in presenza di condizioni ambientali in grado di ridurre fortemente la virulenza dell’agente patogeno. A prescindere dalla metodica adoperata, il punto chiave è che il microrganismo contenuto in questa tipologia di vaccini deve potersi replicare nell’organismo ospite per poter stimolare una risposta immunitaria e generare conseguentemente una protezione; è importante notare che tale reazione immune è virtualmente identica a quella generata dall’infezione naturale giacché il nostro sistema immunitario non discrimina tra forme selvagge e varianti attenuate del germe. Nella maggior parte dei casi sarebbe necessaria una sola dose di vaccino somministrato per via iniettiva (sottocute) per ottenere una protezione valida, tuttavia dato che una piccola (e imprevedibile) percentuale di soggetti vaccinati non risponde adeguatamente alla prima dose, si consiglia comunque una dose di richiamo (CDC, 2012, pag. 5).

I vaccini vivi attenuati sono influenzati negativamente dalla presenza in circolo di anticorpi (per es. a seguito di trasfusioni, somministrazioni di immunoglobuline o di origine materna) diretti verso l’antigene; la risposta dell’ospite può risultare in tal caso limitata, soprattutto nel caso del virus del morbillo. Per questa ragione bisogna considerare un sufficiente intervallo di tempo fra la somministrazione di sangue o di prodotti di derivazione ematica (immunoglobuline) e l’inoculazione di vaccini vivi. Il principale inconveniente di questa classe di vaccini è rappresentato dalla possibilità che si manifestino effetti collaterali anche gravi a causa della replicazione incontrollata del germe nell’organismo ospite: in realtà ciò si può verificare solo in soggetti immunodeficienti (per es. affetti da leucemia o in trattamento con determinati farmaci) per i quali è comunque sconsigliata la somministrazione di questi prodotti.

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11 In linea teorica è possibile che un microrganismo attenuato possa, una volta inoculato nell’organismo ospite, subire una retromutazione tornando alla forma selvaggia determinando la malattia naturale; tale possibilità, già di per sé remota, è stata dimostrata solo per il vaccino orale antipoliomielitico tipo Sabin (non più utilizzato in Italia) che si è reso responsabile di poliomielite paralitica associata al vaccino (VAPP) con una frequenza di 1/750.000 (Racaniello, 2006).

Trattandosi di microrganismi vivi, questi vaccini devono essere conservati in condizioni particolari essendo molto sensibili alla luce e al calore.

Vaccini vivi attenuati disponibili in Italia

Batterici Virali Antitifico (orale) Antitubercolare (BCG) Antimorbillo-rosolia-parotite Antivaricella Antizoster Anti febbre gialla

Anti rotavirus

Antiencefalite da zecca (TBE)

Tab. 1: Vaccini vivi attenuati disponibili in Italia

1.1.3.2 Vaccini inattivati

Un vaccino inattivato viene realizzato permettendo inizialmente al batterio di crescere in un terreno di coltura o al virus di propagarsi nella linea cellulare, dopodiché i microrganismi vengono inattivati (uccisi) mediante calore o meglio ancora tramite agenti chimici (di solito formalina). Nel caso si debba utilizzare solo una parte del germe (vaccino frazionario), il microrganismo viene ulteriormente trattato per purificare quei componenti necessari alla preparazione del vaccino.

Trattandosi di vaccini ‘uccisi’ non si possono replicare nell’ospite e pertanto non c’è alcuna possibilità che causino la malattia corrispondente nel soggetto, anche se fosse immunodeficiente.

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12 Per la stessa ragione non vengono influenzati dalla presenza di anticorpi circolanti ma necessitano sempre di somministrazioni multiple: in linea di massima la prima dose non riesce a indurre un’immunità protettiva ma svolge un ruolo di primer per il sistema immunitario; dopo la seconda somministrazione (e in alcuni casi la terza) si sviluppa una risposta immune consistente. Quest’ultima, a differenza di quanto avviene con i vaccini vivi, non ricalca la reazione caratteristica dell’infezione naturale, ma è prettamente di natura umorale poiché essendo impossibilitata la replicazione del germe, si inibisce anche la capacità di produrre proteine citosoliche e di conseguenza il processamento dei relativi antigeni per la via dell’ MHC di I classe. Ciò determina in ultima analisi una mancata attivazione delle risposte T linfocitarie (Kindt TJ, 2007, pag. 484).

Tra i vaccini inattivati contenenti il germe intero, gli unici tuttora utilizzati sono quello anti-polio tipo Salk, anti-rabico e anti-epatite A (virali) e anticolera (l’unico batterico). Molto più utilizzati invece i vaccini inattivati contenenti solo alcune componenti del microrganismo:

Vaccini inattivati disponibili in Italia

Interi Frazionari

Proteici Polisaccaridici

Antipolio tipo Salk Antiepatite A Antirabico Anticolera -Tossoidi Antidifterico Antitetanico - A subunità Antiepatite B Antipertosse acellulare Antiinfluenzale Antipapilloma virus Anticarbonchio Puri Antipneumococ co 23-valente Coniugati Antipneumoco cco 13-valente Antimeningoco cco Anti HiB

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13 I vaccini a base polisaccaridica sono una particolare sottoclasse di vaccini inattivati a subunità preparati a partire dai polisaccaridi della capsula di alcuni batteri. Possono essere puri o coniugati.

In quelli puri (ormai poco utilizzati) viene utilizzata esclusivamente la capsula batterica come stimolo antigene: ciò ha l’inconveniente di non riuscire ad indurre una risposta immune soddisfacente nei primi 3-5 anni di vita. Questa incapacità è da mettersi in relazione col fatto che mentre gli antigeni proteici normalmente inducono un’attivazione sia delle cellule B che delle cellule T con conseguente risposta anticorpale, il polisaccaride “nudo” è di gran lunga meno immunogeno giacché innesca una risposta timo-indipendente, non stimola infatti le cellule T perché nei primi anni di vita il sistema immunitario è ancora parzialmente immaturo.

Nei soggetti adulti, invece, il vaccino polisaccaridico puro riesce ad attivare comunque i linfociti B, pur senza la collaborazione dei linfociti T CD4 +, ma non è in ogni caso in grado di generare cellule della memoria, di qui la transitorietà dell’ efficacia di questi prodotti vaccinali e la ridotta risposta ad un nuovo incontro con il polisaccaride (Bartolozzi G, 2012).

Per superare questi inconvenienti, sul finire degli anni ’80 del secolo scorso Robbins e Schneerson svilupparono il prototipo del vaccino polisaccaridico coniugato: il polisaccaride viene coniugato chimicamente ad una proteina di supporto (spesso si tratta dell’anatossina difterica o tetanica) e il complesso macromolecolare così generato si comporta da antigene cellula T-dipendente, in grado di stimolare una risposta immune anche nei lattanti e nei bambini più piccoli e di generare una memoria immunitaria anche negli adulti (Robbins JB e Schneerson R, 1990).

I vaccini a base proteica contro la difterite e il tetano sono costituiti da anatossine: con questa denominazione (tossoidi per gli anglofoni) si intende indicare esotossine batteriche che abbiano perso il potere tossico mantenendo inalterate le proprietà antigeni. Questo risultato viene ottenuto generalmente trattando le tossine con formaldeide. Lo sviluppo di una risposta anticorpale verso l’anatossina è sufficiente a prevenire la comparsa di qualsiasi segno morboso nell’organismo le cui difese antibatteriche saranno sufficienti ad aver ragione dei batteri infettanti, del resto

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14 scarsamente virulenti e con nessuna tendenza a diffondere oltre il punto di penetrazione iniziale.

Alcuni vaccini costituiti da subunità del germe vengono preparati tramite tecniche di ingegneria genetica e sono noti anche come vaccini ricombinanti: l’esempio più fulgido è rappresentato dal vaccino contro l’epatite B. Anziché purificare l’antigene di interesse (nella fattispecie l’HbsAg) dal siero di soggetti portatori di HBV (come avveniva in passato), il gene che codifica per la proteina in questione viene inserito, grazie all’opera delle ligasi, in un plasmide che si integra nel genoma di Saccaromyces cerevisiae e che infine produrrà la proteina che ci interessa a volontà.

1.1.4 Costituenti dei vaccini

I vaccini sono formati da diversi costituenti: - antigene/i immunizzante/i

E’ il principio attivo del vaccino e può essere costituito da un germe intero attenuato o inattivato, da tossine modificate (tossoidi) o da componenti proteiche o polisaccaridiche e immunologicamente attive di microrganismi. In alcuni casi l’antigene è rappresentato da una sola molecola, come nel caso del vaccino contro l’epatite B (HbsAg) e contro i papillomavirus (HPV), altre volte sono presenti quattro o più molecole immunizzanti (per es. nel vaccino acellulare contro la pertosse).

- Liquido di sospensione

Normalmente si tratta di acqua distillata sterile o soluzione fisiologica sterile. Per alcuni vaccini, tuttavia, può succedere che nella fiala siano presenti componenti del terreno dove il germe si è replicato. Al fine di minimizzare la presenza di queste impurità sono stati proposti numerosi protocolli e controlli di qualità (Currier, 2008). Questa evenienza è stata sollevata qualche anno fa per il sospetto che a seguito dell’utilizzo di terreni di origine bovina, possano essere presenti nella soluzione del vaccino prioni derivanti dall’uso di tessuti animali affetti da encefalopatia spongiforme bovina (BSE). Sebbene il rischio sia solo teorico e nessun caso di trasmissione per questa via sia stato documentato (Castle P e Robertson JS. 1999), per evitare tale remota possibilità la Food and

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15 Drug Administration (FDA) ha richiesto alle aziende produttrici di vaccini di utilizzare materiali di origine bovina provenienti da Nazioni nelle quali non si

siano mai manifestati casi di BSE

(www.fda.gov/BiologicsBloodVaccines/Vaccines/QuestionsaboutVaccines/ucm 143522.htm).

- Conservanti

A volte è necessario utilizzare sostanze conservanti per garantire la sicurezza a lungo termine dei prodotti vaccinali: 2-fenossietanolo, fenolo e, in passato, il thimerosal (sodio-etilmercurio-tiosalicilato). Quest’ultimo è stato usato sin dagli anni ’30 sia nei vaccini (soprattutto nelle confezioni multi-dose) che nei sieri anti-veleno, preparazioni di immunoglobuline e soluzioni antisettiche per uso oftalmologico fino a quando, nel 2002, il suo utilizzo in campo vaccinale è stato completamente abbandonato a causa delle polemiche sorte circa l’asserzione, poi scientificamente disconfermata (Doja A e Roberts W, 2006) che i vaccini contenenti mercurio come conservante contribuirebbero al sorgere di autismo e di altri disordini neurologici.

In parte l’equivoco si creò perché fino a una decina di anni fa tutti gli studi tossicologici in tal senso erano concentrati sul metilmercurio, una sostanza notoriamente neurotossica e rinvenibile in Natura in grande quantità soprattutto nei pesci predatori. Tuttavia nei vaccini, sin dall’inizio, veniva aggiunto un composto di etilmercurio, le cui proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche si rivelarono essere ben diverse da quelle del metilmercurio: l’etilmercurio infatti viene eliminato rapidamente dal sangue attraverso le feci e le urine dopo somministrazione per via parenterale e l’assunzione di thimerosal non aumenta le concentrazioni di mercurio nel sangue al di sopra dei valori considerati sicuri (Pichichero ME, 2002). Attualmente le più importanti istituzioni scientifiche sono concordi nel sostenere l’assoluta assenza di correlazione tra il thimerosal e l’autismo e, soprattutto, una pubblicazione recentissima sembra aver spazzato via ogni ombra di dubbio sulla correlazione tra vaccini e autismo, aggiungendo oltretutto un importante tassello alle conoscenze eziopatogenetiche su questo complesso disturbo: le alterazioni

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16 istopatologiche riscontrate nei soggetti autistici sarebbero provocate da difetti nello sviluppo della corteccia cerebrale che si manifesterebbero già prima della nascita (Stoner R, 2014).

- Gelatina

E’ usata talvolta come stabilizzante, soprattutto nei vaccini MPR e anti-varicella.

Alcune reazioni anafilattiche al vaccino anti-MPR non sono da attribuire alle proteine dell’uovo in esso contenute, come si è ritenuto per parecchio tempo, tanto più che tali reazioni sono state però documentate anche in bambini non allergici alle uova, in cui è invece stata dimostrata la presenza di IgE anti gelatina. Tali anticorpi sono stati riscontrati in molti bambini che avevano manifestato reazioni sistemiche di tipo immediato a questo vaccino. E’ stato pertanto ipotizzato che le reazioni avverse fossero dovute alla gelatina presente come stabilizzante, insorte in soggetti che per qualche motivo si erano sensibilizzati (con produzione di IgE) a tale antigene. (Sakaguchi, 2000)

- Antibiotici

Sono spesso inseriti per impedire la crescita batterica: quelli più utilizzati sono neomicina, streptomicina, polimixina B e aminoglicosidi. La penicillina non è mai presente.

Chiunque abbia presentato una reazione anafilattica ad un antibiotico presente nel vaccino non deve ricevere il vaccino contenente quella sostanza anche se la quantità presente è bassissima (come di solito è).

1.1.5 Immunità di gregge

Le vaccinazioni hanno un doppio obiettivo: protezione del singolo individuo e protezione della collettività all’interno della quale i soggetti vaccinati sono inseriti. L’effetto protettivo indiretto della vaccinazione garantito ai soggetti che vivono nella comunità è noto come immunità di gregge (herd immunity). Essa si realizza quando la percentuale di soggetti vaccinati supera un livello soglia tale da bloccare la catena di trasmissione dell’agente infettivo nella comunità garantendo così la protezione anche dei soggetti suscettibili ma non vaccinati. Affinché questa protezione di gruppo possa

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17 realizzarsi, l’individuo vaccinato, oltre ad essere protetto dallo sviluppo della malattia, deve risultare anche immune nei confronti dello stato di portatore asintomatico dell’agente infettivo.

In un senso teleologico e globale possiamo dire che le vaccinazioni mirano all’eradicazione di un agente infettivo. Per eradicazione si intende la riduzione a zero della prevalenza globale di una data malattia infettiva nell’Uomo, di solito attraverso l’estinzione del suo agente causale.

Le condizioni perché un agente infettivo possa essere eradicabile sono: - l’assenza di serbatoi non umani

- la contagiosità breve e l’assenza di portatori cronici - la disponibilità di un vaccino efficace

- l’esistenza di immunità permanente dopo l’infezione naturale e dopo la vaccinazione - microrganismo geneticamente stabile

- quadro clinico sufficientemente specifico

- i casi asintomatici dovrebbero essere in numero limitato (Dowdle, 1998)

Obiettivi meno ambiziosi dell’eradicazione sono il

contenimento: l’incidenza della malattia e delle sue complicanze si riducono fino ad un livello tale non rappresentare più un problema di Sanità Pubblica

eliminazione: la malattia scompare in una determinata area geografica perché è stata sensibilmente ridotta la circolazione dell’agente infettivo che però non è del tutto scomparso.

L’eradicazione può essere considerata un’eliminazione estesa a tutto il Globo con scomparsa dell’agente infettivo.

Per comprendere appieno il concetto di immunità di gregge e l’impatto di differenti strategie di vaccinazione è necessario introdurre il concetto di tasso di riproduzione di base del germe, indicato con Ro: viene definito come il numero medio di casi secondari

prodotti da un caso di infezione primaria in una popolazione interamente suscettibile; per es. nel caso del morbillo, infezione notoriamente molto contagiosa, si calcola un valore di R0 pari a 12-17 mentre nella parotite tale valore è compreso tra 4 e 7

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18 in base alla quota di popolazione che è realmente suscettibile (soggetti non vaccinati, non immuni e vaccinati non responders) ottenendo così il tasso di riproduzione effettivo RE:

RE = R0S

dove per S si intende la quota (frazione) di contatti ancora suscettibili.

E’ evidente che per un virus come quello del morbillo, con un R0 elevato, saranno

necessarie elevate coperture vaccinali per eliminare la malattia dalla popolazione. RE = 1 è la condizione soglia per la persistenza di un’infezione all’interno di una

popolazione (endemia). Se è invece superiore a 1, l’agente infettivo si sta diffondendo nella popolazione potendo determinare un’epidemia; al contrario se RE < 1 il germe si

sta estinguendo.

Supponiamo di avere a disposizione un vaccino la cui efficacia sia pari al 100 % e che ci interessa eliminare un’infezione che determina un’immunità permanente. A questo punto decidiamo di vaccinare una determinata percentuale di popolazione (i vaccinati, che chiamiamo “v”), quindi 1-v saranno i suscettibili dopo la campagna di vaccinazione. In realtà una quota parte dei soggetti non vaccinati sarà comunque immune all’infezione perché magari l’aveva contratta naturalmente in precedenza, quindi i soggetti realmente suscettibili al tempo “t”, che indichiamo come S(t) sono minori o al limite uguali a 1-v:

S(t) ≤ 1-v

Moltiplicando i termini della disuguaglianza per R0 otteniamo:

R0S(t) ≤ R0(1-v)

Ma R0S(t) non è altro che RE quindi

RE ≤ R0(1-v)

Considerata questa disuguaglianza, per ottenere l’estinzione dell’agente infettivo in questione dobbiamo quindi fare in modo che

R0(1-v) < 1

Risolvendo il tutto per “v” si ricava:

v > 1-1/R0

Questa è una formula fondamentale giacché permette di correlare la copertura vaccinale (v) critica con R0 che è un parametro più semplice da conoscere rispetto ad

(19)

19 RE. In sostanza possiamo così calcolare semplicemente il numero di persone da

vaccinare per eliminare un agente infettivo da una popolazione.

Bisogna tuttavia considerare che, avendo finora ipotizzato un’efficacia vaccinale del 100 % (poco realistica), la formula viene modificata come segue

v > 1/VE(1-1/R0)

dove VE è l’efficacia del vaccino.

Se prendiamo il caso del morbillo, R0 è circa 16, se fosse disponibile un vaccino efficace

al 100 %, sarebbe sufficiente una copertura vaccinale del 93,75 % per giungere all’eliminazione della malattia; se il vaccino invece fosse efficace nel 95 % dei casi, la copertura dovrebbe essere superiore, pari almeno al 98,7 %

Si capisce dalla struttura della formula che è impossibile eliminare una malattia per cui esista un vaccino con efficacia inferiore a (1-1/R0). (Rothman KJ, 2012, pag. 114-118).

Fig. 2: Dinamiche di trasmissione

1.1.6 Vaccinazioni obbligatorie e raccomandate

Con le vaccinazioni si perseguono, dunque, due obiettivi importanti: la protezione del singolo individuo e della collettività nei confronti della possibile aggressione da parte di un germe patogeno (herd immunity). Questi due obiettivi rientrano appieno da quanto

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20 stabilito dalla disciplina costituzionale del nostro paese. Con l’art. 32 della Costituzione infatti “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” e nel comma successivo si legge che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Furono così introdotte le vaccinazioni obbligatorie, intese come trattamenti sanitari che risultano giustificati non già da particolari e individuali situazioni, ma da una valutazione complessiva delle esigenze di tutela della salute dei cittadini.

I programmi di vaccinazione obbligatoria hanno contribuito, perlomeno inizialmente, al successo delle vaccinazioni in molti Paesi. Questi programmi si sono basati su leggi che prevedevano che una buona parte della popolazione venisse vaccinata per poter risiedere in un determinato Paese (Salmon DA, 2006).

Attualmente in Italia sono obbligatorie 4 vaccinazioni:

- antidifterica: Legge 6/6/1939, n. 891 - antitetanica: Legge 5/3/1963, n. 292 - antipolio: Legge 4/2/1966, n. 51 - antiepatite B: Legge 27/5/1991, n. 165

Oltre alle quattro vaccinazioni obbligatorie, il Ministero della Salute raccomanda l’esecuzione di altre sette vaccinazioni (cosiddette raccomandate) per la prevenzione di pertosse, alcune forme di meningite (attraverso i vaccini contro l’haemophilus influenzae tipo B, lo pneumococco e il meningococco C), morbillo, parotite, rosolia, varicella e infezioni da papillomavirus umano (HPV).

Tra l’altro la profilassi delle malattie infettive e le relative vaccinazioni, sia obbligatorie che raccomandate, sono state incluse, più recentemente, nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza (LEA) (DPCM 29/11/2001).

Nel corso degli anni l’obbligatorietà dell’atto vaccinale è stata abolita nella maggior parte delle Nazioni, salvo in alcune tra cui l’Italia, la Grecia, la Francia ed alcuni Paesi dell’Est (Bartolozzi, 2012, pag. 224). L’aver previsto per legge (Legge 210/92 e Circolare Ministeriale n. 500/92) la possibilità di ricevere un indennizzo per l’eventuale nocumento derivante dalla prestazione sanitaria, imposta per legge, rinforzava ancora

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21 di più il concetto che l’obbligatorietà fosse accettabile, nell’ottica di una tutela della collettività, se esiste una copertura economica per i danni che ne potrebbero derivare. Se tuttavia consideriamo che:

 oggigiorno in Italia un genitore può rifiutare la vaccinazione del proprio figlio, incorrendo al massimo in una sanzione amministrativa, che spesso non viene neppure pagata perché i genitori fanno ricorso e conseguentemente alcune ASL preferiscono non procedere legalmente sia perché economicamente oneroso sia perché inasprisce i rapporti col cittadino . Inoltre la magistratura minorile archivia le segnalazioni di mancata vaccinazione, tranne quando, raramente, configurano una situazione di reale carenza delle funzioni genitoriali. Oltretutto, a seguito del DPR 26/1/1999, n. 355, è stato stabilito che il bambino non vaccinato può comunque essere ammesso a scuola. (Bartolozzi, 2012, pag, 226)

 Dinanzi ad un genitore che rifiuti la vaccinazione, la possibilità che cambi idea non è certo legata all’esistenza di un atteggiamento sanzionatorio da parte delle istituzioni sanitarie che tutt’al più peggiora la situazione, ma, piuttosto, al mantenimento della porta del dialogo sempre aperta.

 La suddivisione delle vaccinazioni in obbligatorie e raccomandate determina l’errata percezione che esistano vaccinazioni più importanti (le prime) e vaccinazioni meno rilevanti (quelle raccomandate).

Appare evidente come mai l’orientamento prevalente negli Stati europei sia la raccomandazione vaccinale, non più l’obbligo. Pionieristica in questo senso è stata la scelta maturata in Veneto, la prima Regione italiana ad abolire l’obbligatorietà della pratica vaccinale, formalmente sancita dalla Legge Regionale n.7 del 23 marzo 2007. Particolarmente importante appare l’istituzione di un Comitato tecnico scientifico con il compito di valutare “l’andamento epidemiologico delle malattie per le quali la presente legge sospende l’obbligo vaccinale ed il monitoraggio dell’andamento dei tassi di copertura vaccinale nel territorio regionale” (art. 3) ripristinando eventualmente l’obbligo vaccinale in caso di pericolo per la Salute Pubblica (art. 4).

(22)

22 Fonte: Rapporto sulla sorveglianza postmarketing dei vaccini in Italia, Anno 2012, AIFA – Tab. 3

Vaccinazioni dell'età pediatrica - Anno 2011

coperture Vaccinali al 24° mese (per 100 Abianti), calcolate sui riepiloghi inviati dalle Regioni e pp.AA

POL3 DTP3 DT-DTP3 EPB3 MPR1-MPRV M-MPR1-MPRV HiB3

Piemonte 95,9 95,9 96 95,9 92,2 92,2 95,4 Valle d’Aosta 95,6 95,2 95,3 94,8 86,2 86,4 94,9 Lombardia 97 96,9 97,1 96,2 93,9 94,6 95,9 P. A. Bolzano n.p. n.p. n.p. n.p. n.p. n.p. n.p. P. A. Trento 95,9 95,7 95,8 95,5 89 89,1 95,1 Veneto 95,3 95,3 95,3 95,1 92,3 92,5 94,7 Friuli V. Giulia 96 96,2 96,7 95,4 91,6 91,6 95 Liguria 96,7 96,7 96,7 96,7 85,6 85,7 96,3 Emilia-Romagna 96,5 96,2 96,6 96,3 92,8 92,9 95,4 Toscana 96,2 95,8 98,6 95,9 92,1 92,2 95,2 Umbria 97,8 97,8 97,8 97,4 94,7 94,7 97,5 Marche 97,2 97,1 97,1 97,1 92,3 92,4 97,1 Lazio 96,6 96,5 96,5 99,9 90 90 96,8 Abruzzo 99,1 99,1 99,1 99,1 91,9 91,9 99,1 Molise 99 99 99 99 89,7 89,7 99 Campania 91,9 91,9 91,9 90,2 86,5 86,5 88,1 Puglia 96,9 96,9 96,9 96,9 92,7 92,7 97,2 Basilicata 98,6 98,6 98,6 98,6 92,4 92,4 98,6 Calabria 95,4 95,4 95,4 95,4 82,5 82,5 95,4 Sicilia 94,8 94,8 94,8 94,8 90,1 90,1 94,8

(23)

23

Sardegna 96,1 91,4 96 96 92,7 95,8 96

ITALIA 96,4 96,1 96,6 96,3 90,6 90,8 95,9

Se analizziamo i dati più recenti sui tassi di copertura vaccinale nelle varie Regioni italiane, possiamo notare come il Veneto, a 4 anni dalla sospensione dell’obbligo vaccinale, si assesti leggermente al di sotto della media nazionale per quanto riguarda i vaccini che compongono l’esavalente ma, sebbene di misura, ancora al di sopra della soglia di copertura del 95 % considerata ottimale dal Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2012-2014 (PNPV 2012-2014, pag. 7).

Fig. 3 - Fonte: Copertura Vaccinale a 24 mesi (coorte 2012) E Monitoraggio Della

Sospensione Dell’Obbligo Vaccinale semestrale al 31/03/2013 – Allegato A alla DGR n. 1679 del 24 settembre 2013

(24)

24 I dati più aggiornati raccolti ed elaborati dal Comitato Tecnico che monitora semestralmente i tassi di copertura sul territorio regionale ci rappresentano un trend negativo, con coperture in lenta ma progressiva flessione.

Una quota parte del gap rilevabile tra la coorte 2011 e quella 2012 è dovuta a bambini per i quali la vaccinazione viene rimandata ad un momento successivo perché alcuni genitori ritengono che le prime dosi vengano effettuate su bambini troppo piccoli; ma esiste una percentuale di bambini (in aumento) per cui i genitori hanno invece espresso un rifiuto della vaccinazione. In entrambi i casi, ma in misura maggiore per i ‘ritardatari’, è possibile il recupero dei soggetti attraverso l’implementazione di strategie comunicazionali atte ad informare per limitare i rifiuti vaccinali e per motivare i genitori indecisi alla vaccinazione del figlio.

(25)

25

1.2 PERCEZIONE DEL RISCHIO E COMUNICAZIONE IN AMBITO

VACCINALE

1.2.1 La comunicazione in ambito sanitario

La comunicazione è un processo di interazione che prevede lo scambio di informazioni e di influenzamento fra due o più persone: essa presuppone l’esistenza di un

messaggio che da un trasmittente deve arrivare ad un ricevente. Vi è una differenza sostanziale tra informare e comunicare. L’informazione consiste nell’invio di un “pacchetto” di dati che acquistano significato

per chi li riceve grazie ad un’opera di decodifica.

Fig. 4 – Modello di Shannon-Weaver

Il modello in figura, che rappresenta egregiamente il significato di informare, è quello di Shannon-Weaver: la fonte codifica un messaggio, che diventa un segnale, viaggia su un canale e diventa segnale ricevuto (con una parte che viene a mancare o viene aggiunta durante la trasmissione, rispettivamente chiamate spreco e rumore), che va decodificato affinché diventi il messaggio ricevuto (Shannon CE, 1948).

E’ evidente che il flusso si svolge in maniera unidirezionale, venendo a mancare una delle caratteristiche principali della comunicazione (etimologicamente “mettere in comune, far partecipe”), cioè la retro-azione (feed-back) che la rende un processo

(26)

bi-26 direzionale. Lo scambio di informazioni può essere visto come un sotto-insieme del processo comunicativo il quale implica chiaramente la trasmissione di informazioni ma crea anche una relazione circolare tra i due interlocutori i quali in maniera cooperativa negoziano una certa visione della realtà influenzandosi reciprocamente.

La comunicazione inter-umana è quella che avviene tra esseri umani. Suo presupposto fondamentale è che gli interlocutori dispongano di un repertorio comune di simboli e un set di regole a comune, fondamentalmente un linguaggio condiviso. A seconda del contesto in cui si svolge lo scambio comunicativo possiamo distinguere varie forme di comunicazione inter-umana:  Interpersonale  In piccoli gruppi  Nelle organizzazioni  Pubblica  Di massa

ognuna con ben precise peculiarità.

Se invece consideriamo i temi affrontati e i luoghi in cui avvengono gli scambi possiamo definire la comunicazione sanitaria come un sotto-gruppo della comunicazione inter-umana che si mantiene focalizzata sulle interazioni comunicazionali che avvengono nell’ambito dei luoghi di cura e i cui contenuti si

riferiscono a tematiche legate alla Salute. Un modello semplice che può essere utilmente applicato al mondo della

comunicazione sanitaria (Berlo DK, 1960) che pur mantenendo lo schema di base del modello cibernetico di Shannon-Weaver ha il pregio di esplicitare i singoli fattori che determinano l’efficacia e l’andamento di ogni step del processo comunicativo:

(27)

27

Tab. 4 - Modello di Berlo-SMCR (Source-Message-Channell-Receiver)

FONTE

MESSAGGIO

CANALE

RICEVENTE

-

Conoscenza di tecniche comunicative -Atteggiamento d’apertura e disponibilità -Cultura -Struttura -Contenuto -Codice -Vista -Udito -Tatto -Olfatto -Gusto Conoscenza di tecniche comunicative -Atteggiamento d’apertura e disponibilità -Cultura

Conoscenza di tecniche comunicative: con questa dizione si intende includere varie capacità e competenze innate o acquisite tra cui la conoscenza astratta del processo comunicativo, la capacità d’ascolto e di empatia, l’abilità di scelta del modo e del canale con cui trasmettere il messaggio a seconda del tipo di interlocutore che si ha davanti. Una delle tecniche utilizzabili a questo proposito (e decisamente sottovalutata) per migliorare l’efficacia di questi fattori è la Programmazione Neuro-Linguistica (PNL) di Bandler e Grinder; un'altra è l’Analisi Transazionale.

Atteggiamento d’apertura e disponibilità: è auspicabile che i soggetti coinvolti nello scambio presentino un’apertura mentale reciproca al fine di recepire al meglio i messaggi scambiati.

Cultura: si intende il grado di cultura generale dei singoli soggetti. In linea di massima quanto più elevato sarà il livello culturale, tanto più elastica e flessibile sarà la mentalità, pronta e disponibile a confrontarsi con l’altro.

Messaggio: il contenuto del messaggio è l’informazione che vogliamo inviare. Il ‘modo’ in cui ciò viene effettuato è determinato dai singoli elementi che compongono il messaggio e dalla struttura intrinseca del messaggio (digitale, analogica e quindi verbale, para-verbale e non-verbale) che in definitiva ci consentono (spesso inconsciamente) di stabilire il codice che utilizziamo per rapportarci con l’altro.

(28)

28 Canale: questo è il mezzo con cui si invia il messaggio e può essere scelto tra i cinque sensi che abbiamo a disposizione. La scelta non dovrebbe essere casuale ma andrebbe fatta dopo un rapido e attento esame preliminare dell’utente per valutare quello da lui preferito (utilizzando per es. la PNL), dal momento che nessuno di noi li usa tutti con eguale intensità e frequenza. (Borella VM, ibid. pag. 18-19).

1.2.2 La percezione del rischio in ambito sanitario e vaccinale

La comunicazione in ambito vaccinale, rispetto ad altre aree della comunicazione sanitaria, presenta problematiche particolari legate alle particolarità dell’atto vaccinale. Mentre si è più propensi ad assumere un farmaco per risolvere sintomi che ci affliggono e gli eventuali effetti collaterali sono considerati un accettabile “prezzo” da pagare pur di guarire dal nostro disturbo, nel caso del vaccino si tratta di accettare la somministrazione di un preparato biologico che ci protegge da una malattia causata da un germe con il quale forse verremo a contatto nel futuro, ciò a fronte di possibili effetti collaterali da scontare però nell’immediato. La notevole efficacia di importanti campagne vaccinali condotte nel secolo scorso ha reso sempre più rare (o addirittura inesistenti) patologie per le quali si è ridotta di pari passo la percezione della loro pericolosità, rendendo ancor meno appetibile la scelta di vaccinarsi.

La vaccinazione è un intervento sanitario complesso con forti implicazioni familiari e sociali. È rivolto al singolo individuo, ma contemporaneamente è finalizzato a un risultato di salute pubblica. Inoltre, coinvolge principalmente bambini piccoli, che in genere sono in salute. Ed è proprio la paura di compromettere questo stato di buona salute che spaventa molti genitori, preoccupati da eventuali effetti collaterali o reazioni avverse causate dal vaccino.

Così, negli ultimi tempi, l‘attenzione dei genitori, è spesso focalizzata sui possibili effetti collaterali delle vaccinazioni.

E’ fondamentale però che l’utente abbia ben chiari i due elementi di confronto: ciò che si può prevenire vaccinandosi (con il rischio vaccinale connesso) e ciò che accade se viene contratta la malattia.

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29 Appare pertanto chiaro come mai la comunicazione in questo settore sia strettamente correlata alla capacità di comunicare il rischio connesso alle pratiche vaccinali.

Comunicare il rischio può essere definito come quel processo che aumenta la capacità di selezionare le diverse percezioni e le diverse comunicazioni sulle conseguenze di certe scelte (Ruhrmann, 2008). Il suo scopo è mettere un soggetto nella condizione di poter decidere razionalmente se sottoporsi ad un determinato trattamento piuttosto che ad un altro (per es. un intervento chirurgico o una cura medica) o, nel caso nostro, scegliere se sottoporsi o meno ad una vaccinazione (per es. “Mi conviene vaccinarmi contro la febbre gialla se devo andare in Messico?”).

Intanto conviene precisare la differenza tra pericolo e rischio, due termini spesso confusi nel linguaggio comune:

 Il pericolo è la proprietà intrinseca di un oggetto, di una situazione o di una persona di arrecare un danno (un incendio, un’esplosione, un ago).

 Il rischio è la probabilità che hanno quello stesso oggetto, situazione o persona di provocare l’effetto nocivo.

Il rischio in sé stesso (R) è calcolabile come il prodotto della probabilità (P) che si abbia un danno per la sua gravità (G), ovvero R = P x G (Rowe WD, 1977).

Questo significa che se il vaccino Y ha il 30 % di probabilità di provocare l’effetto collaterale Z, la cui gravità è 0,01 in una scala da 0 a 1, allora in questo caso il rischio in sé stesso (R) sarà pari a R = 0,3 x 0,01 = 0,003. Questo potrebbe essere il caso del dolore in sede di iniezione nei giorni successivi alla somministrazione del vaccino anti-difto-tetanico, un effetto collaterale banale e trascurabile ma piuttosto frequente. La formula riportata può aiutare a discriminare quantitativamente tra eventi rari ma molto gravi ed eventi frequenti ma lievi; il problema di questa definizione nasce nel momento in cui sta a noi stimare uno o entrambi questi parametri: mentre la probabilità spesso è nota, stabilire numericamente la gravità può essere difficile. Ecco perché ognuno di noi non conosce in realtà il rischio in sé stesso (R) ma ha una percezione del rischio che si forma automaticamente dentro di noi a seguito di un processo più o meno inconscio di stima. E’ in base a tale percezione che gli individui rispondono ad una situazione per prendere decisioni e non sulla base di un livello di rischio oggettivo e alla sua valutazione scientifica (Renn O., 1992).

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30 La percezione del rischio è sostanzialmente una forma di distorsione della realtà tanto più accentuata quanto maggiore è la distanza tra il rischio reale e quello percepito. La capacità di comunicazione del rischio, gioca dunque un ruolo fondamentale: in assenza di un termine di paragone oggettivo (come spesso avviene), l’orientamento delle persone sarà altamente condizionato dai messaggi a cui esse sono esposte. Gli individui utilizzano delle scorciatoie mentali per prendere decisioni e formarsi un giudizio sulle situazioni. Tali scorciatoie, note come “euristiche”, velocizzano e rendono più snello il nostro modo di approcciarci alla Realtà ma possono generare degli errori di giudizio, detti bias (Rubinelli S., Comunicazione e salute, pag. 179). Esistono diverse tipologie di questo genere di valutazioni “a occhio”:

 Disponibilità (Availability heuristic)

Vengono ricordati più facilmente gli eventi maggiormente accessibili cosicché le loro frequenze sono sovrastimate. Se un certo rischio viene citato spesso, o per qualche motivo ci ha colpito, la gente tenderà a sovrastimarlo. Se per es. ci viene ripetuto che la vaccinazione anti-meningococcica può provocare un’encefalite, a prescindere dal fatto che ciò sia reale o immaginario, saremo portati a credere che tale evenienza si verificherà proprio nel nostro caso.  Ottimismo (optimistic bias)

In alcuni casi siamo portati a sotto-stimare l’occorrenza di alcuni rischi per la nostra salute: ciò è molto frequente per esempio nei riguardi della vaccinazione anti-influenzale, che viene da molti rifiutata in quanto riteniamo poco probabile contrarre l’influenza

 Omissione (omission bias)

Le persone in genere credono che un errore di omissione sia meno serio di un errore contrario. Ecco perché molti genitori preferiscono non vaccinare (a rischio di contrarre la malattia) anziché vaccinare e rischiare gli eventuali effetti collaterali.

 Ambiguità (ambiguity aversion)

Se si percepisce che su un determinato argomento esiste incertezza da parte di esperti si propenderà per il comportamento omissivo, rifiutando la

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31 vaccinazione. Ciò può accadere nel caso della vaccinazione anti-MPR correlata artificiosamente all’insorgenza di autismo.

 Comportamento di massa (Bandwagoning)

Si intende la tendenza delle persone a prendere le decisioni della maggioranza come indicatore di ciò che è più saggio fare senza valutare completamente le opzioni.

 Immunità indiretta (Free-riding)

Alcuni preferiscono non vaccinare in quanto si sentono protetti dall’effetto scudo generato dalle vaccinazioni effettuate dalle altre persone (Leask J, 2002) Queste distorsioni determina tre tipi di effetti, che Tversky e Kahneman illustrano come parti di quella che hanno denominato Prospect Theory (Kahneman e Tversky, 1979).

Il primo è chiamato effetto di certezza e definisce il fenomeno per cui le persone, tra due scelte orientate ad un utile, tendono a preferire quella con risultato certo anche se con utile più basso. Quando invece una scelta fosse orientata ad una perdita, le persone preferiscono non rischiare (effetto di riflessione). Infine l’effetto di isolamento deriva dalla propensione degli individui a isolare spesso probabilità consecutive, invece di trattarle insieme, comportandosi a volte in maniera incoerente.

In ambito vaccinale (e non solo), l’operatore della salute impegnato nella comunicazione al paziente, è spesso concentrato sul contenuto delle parole confidando sul fatto che “il messaggio arriverà perché è vero e corretto” (Arigliani R, 2012), trascurando il fatto che gli esseri umani comunicano sia con il modulo verbale (digitale) che non verbale (analogico) (Watzlawick P, 1971, pag.52-59).

I livelli di comunicazione sono in realtà 3: 1. Verbale: le parole

2. Para-verbale: il timbro, il tono, il volume della voce 3. Non-verbale: la postura, la gestualità.

Mentre il primo livello (digitale) attiene al contenuto del messaggio, il secondo e il terzo livello (analogici) vanno a determinare la relazione che si instaura tra i due interlocutori. E’ emerso, a seguito degli studi (Mehrabian e Wiener, 1967; Mehrabian e

(32)

32 Ferris, 1967 ) di Albert Mehrabian e poi successivamente riconfermati, che l’efficacia di una comunicazione, in linea di massima, dipende:

per il 7 % dal modulo verbale

per il 38 % dalla componente para-verbale per il 55 % dal non-verbale

Ciò non stupisce se si considera che il linguaggio del corpo è filogeneticamente antecedente a quello verbale e pertanto tutti noi siamo portati inconsciamente a tener presente ciò per giudicare chi abbiamo davanti.

Ogni discrepanza tra il linguaggio non-verbale/para-verbale e il linguaggio verbale genera in chi riceve il messaggio sensazioni di disagio, di sfiducia o di chiusura. Perciò la comunicazione è efficace quando i canali verbale, para-verbale e non-verbale trasmettono lo stesso significato (congruenza della comunicazione). In caso di incongruenza, il nostro interlocutore crederà a quanto coglie nel non verbale.

Inoltre sia le parole che i silenzi, l’attività o l’inattività hanno tutti valore di messaggio e influenzano nella stessa misura l’interlocutore che non può non rispondere a queste ‘sollecitazioni’, perché “non si può non comunicare” (Watzlawick P, ibid. pag.44). In ambito sanitario, l'impossibilità di non comunicare va tenuta costantemente presente nel rapporto coi pazienti: sono proprio loro che spesso prestano un'elevata attenzione ai comportamenti apparentemente sotto-soglia dell'operatore, ai suoi silenzi, di cui tendono a sovrastimare il valore comunicativo. Per questo motivo il successo dell’azione dell'operatore può aumentare soprattutto grazie ad una maggiore consapevolezza e controllo di tutti gli aspetti del proprio comportamento.

Forse sarebbe auspicabile che gli operatori sanitari (come anche la comunicazione istituzionale) si avvalgano più spesso del supporto di esperti del settore in grado di trasmettere il messaggio ‘vestendo’ in un certo senso le parole.

1.2.3 La comunicazione in ambito vaccinale

Presupposto fondamentale per ottenere una comunicazione efficace è senza dubbio la costruzione preliminare di un canale di dialogo che consenta lo stabilirsi di un’alleanza terapeutica con l’utente. A questo scopo il professionista della salute deve far fruttare al meglio le sue abilità relazionali: autoconsapevolezza, ascolto attivo, empatia.

(33)

33 Autoconsapevolezza del proprio schema riferimento culturale, del proprio sistema di valori e pregiudizi, delle proprie emozioni hic et nunc, delle personalissime mappe concettuali e sovrastrutture cognitive (in sostanza il proprio setting interiore).

L’empatia è la capacità di entrare nel mondo percettivo dell’altro e sentirsi come a casa propria (Rogers CR, 1951), escludendo qualsivoglia attitudine affettiva personale e ogni giudizio morale, raccogliendo informazioni dal suo punto di vista, cercando di comprendere ciò che pensa e ciò che prova.

Nel contesto medico/sanitario e vaccinale è fondamentale però che l’altro percepisca lo ‘sforzo’ che stiamo compiendo in modo tale che la posizione mentale empatetica provenga sia dall’operatore che dall’utente.

Affinché la relazione empatica si realizzi correttamente (anche se non esiste una modalità pedeterminata) bisogna fare attenzione ad alcuni aspetti che possono influire negativamente in tal senso:

- non essere sicuro degli aspetti tecnici dell’informazione vaccinale - scarsa padronanza degli strumenti di comunicazione

- dedicare poco tempo al colloquio o non averne a sufficienza - non avere sufficiente serenità interiore

- essere infastidito dall'altra persona

- non sospendere il mio giudizio su ciò che l’altro è o fa (Arigliani R e Arigliani M, 2011) Strettamente connesso all’empatia è l’ascolto attivo, un’abilità comunicativa che mira alla creazione di un rapporto positivo con l’altro e di un clima non giudicante. Esso prevede che l’ascoltatore riporti, riformulandolo, quanto ascoltato dall’interlocutore, restituendo il messaggio originario per facilitare la comprensione e allo scopo di delucidare. In tal modo prova a ridurre le incomprensioni e la possibilità di errore legati ad una non adeguata raccolta dell’anamnesi vaccinale e della dimensione soggettiva del significato o della paura legata alle vaccinazioni.

Molto utile per l’operatore vaccinale è il decalogo sulla comunicazione in ambito vaccinale elaborato da Raffele Arigliani (Arigliani R, 2012):

(34)

34 Decalogo sulla comunicazione in ambito vaccinale

1. Sono convinto del lavoro che faccio? Ne sono soddisfatto? Ho voglia di farlo? 2. Mi pongo l’obiettivo che il cittadino si senta accolto? (Ad esempio: dalla nostra

puntualità, da ambienti puliti ed adeguati, da una stretta di mano, da un sorriso…

3. Faccio in modo che recepisca non solo dalle nostre parole ma dalla congruità complessiva tra verbale e non verbale, un agire non paternalistico ma finalizzato a sviluppare empowerment e libertà di scelta? (ad esempio: dichiarazioni preliminari chiare e senza equivoci, del tipo: buongiorno signora siamo qui a offrirle la possibilità di conoscere il calendario vaccinale più aggiornato e per rispondere ad eventuali dubbi e incertezze…)

4. Faccio in modo che vi sia uno spazio di ascolto e di dialogo che preceda la proposta?

5. Nel caso di eventuali resistenze, sono disponibile ad ascoltare in maniera professionale? (Per es. tecniche di ascolto attivo)

6. Sono disponibile a non giudicare?

7. Desidero avere un atteggiamento non di contrapposizione, ma di accoglienza e tuttavia assertivo?

8. Vi sono conflitti irrisolti all’interno del mio team di lavoro?

9. Conosco bene le vaccinazioni che propongo? Sono realmente convinto della loro utilità? Quanto temo i problemi legati al vaccino?

10. Ho la capacità di trasformare in esempi “visibili” i concetti astratti che espongo? (Ad esempio: sento di fare una scommessa in cui so di certo che vincerò: suo figlio entro i 2 anni di età avrà almeno uno o due episodi di diarrea da rotavirus. Vorrebbe sapere come fare per evitarla o far sì che sia molto più lieve?)

Il colloquio pre-vaccinale è un momento centrale nel processo decisionale dei genitori. Il genitore, a prescindere dalle conoscenze o convinzioni personali, ha bisogno di ricevere quelle informazioni che possano ridurre il livello di ansia e fugare le preoccupazioni, che accompagnano soprattutto i primi appuntamenti con le

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35 vaccinazioni. È pertanto fondamentale che il pediatra prima e l’operatore del centro vaccinale poi si ponga nei confronti del genitore nella giusta prospettiva. Potremmo, a questo proposito, fornire poche importanti regole da tenere presenti nel colloquio pre-vaccinale per raggiungere questo scopo (ECDC, 2012):

Prendere il tempo necessario ad ascoltare dubbi e preoccupazioni del genitore

Di solito se i genitori esprimono i loro dubbi è perché hanno bisogno di conferme e di un parere esperto, e bisogna fare di tutto per gestire efficacemente lo scambio comunicativo: mantenere il contatto visivo, evitare interruzioni, attuare le tecniche di ascolto attivo. Pochi banali accorgimenti possono significativamente aumentare il livello di fiducia nei confronti del medico e diminuire lo stress della decisione.

Dimostrare di aver fatto ciò che si consiglia agli altri di fare

Un operatore sanitario che non abbia vaccinato i propri figli o che non sia egli stesso vaccinato non è credibile. Uno dei motivi del recente fallimento della vaccinazione anti-inflenza H1N1 in Italia è stato certamente figlio della scarsa fiducia che gli stessi medici avevano nei confronti della vaccinazione. Mai come in questo campo l’esempio vale più di mille parole (Lopalco PL, 2013).

Utilizzare storie ed esempi per parlare dei rischi che si possono correre non vaccinando il bambino.

Alcuni genitori gradiscono che vengano loro date spiegazioni in un linguaggio tecnico ma nella maggioranza dei casi l’utilizzo di esempi basati su storie vere raggiunge molto più direttamente lo scopo comunicativo: ciò colpisce sia la ragione che il cuore del genitore e facilita il processo di immedesimazione, necessario per prendere una decisione positiva. Molti giovani genitori non hanno mai sentito parlare di poliomielite e probabilmente non hanno mai visto un caso serio di morbillo o difterite. È necessario spiegare accuratamente cosa significhino oggi queste malattie, facendo presente che in molte parti del Mondo esistono ancora e sono palesi le conseguenze devastanti di cui sono foriere. La protezione del bambino dalla malattia e la rimodulazione della percezione del rischio a volte distorta, devono essere il centro concettuale dello scambio comunicativo nel corso del colloquio (Natter e Berry, 2005).

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36 E’ importante sottolineare che promuovere qualcosa per poi renderla scarsamente accessibile o poco confortevole è certamente tempo perso. Molto spesso una mancata vaccinazione è il risultato di manchevolezze di tipo organizzativo. L’assenza di sistemi di richiamo attivo è in alcune realtà una delle prime cause di mancata vaccinazione per la seconda dose di vaccino anti-MPR. Questa dose cade nel calendario piuttosto lontana dal ciclo primario di vaccinazioni (5-6 anni); pertanto i genitori tendono a dimenticarsene facilmente (Lopalco, 2013).

In base all’atteggiamento genitoriale nei confronti delle vaccinazioni, è possibile distinguere 5 gruppi di utenti, la cui identificazione può essere utile per impostare preventivamente delle strategie comunicazionali differenziate e personalizzate:

Obiettori: si tratta di antivaccinisti in senso stretto, mossi da motivazioni ideologiche e/o religiose, fra cui si annoverano veri e propri attivisti che conducono azioni di propaganda; difficilmente cambiano idea, anzi qualsiasi tentativo in tal senso sortisce spesso un effetto di rinforzo sulle loro posizioni.

Preoccupati: A questa categoria appartengono genitori molto informati sui vaccini, attivi nella ricerca indipendente di informazioni di elevato valore scientifico, poco inclini a dare peso a segnalazioni aneddotiche su effetti nefasti dei prodotti vaccinali (Downs, 2008), ma allo stesso tempo scettici su molti aspetti inerenti le vaccinazioni, tra cui per es. la tempistica delle somministrazioni e la necessità di vaccini combinati. In ultima analisi si tratta di genitori che vaccinano spesso in ritardo i propri figli e scelgono solo determinate vaccinazioni che ritengono più importanti di altre (Dempsey, 2011).

Esitanti: il genitore ‘esitante’, pur ricercando informazioni per conto proprio, è maggiormente legato, rispetto a quello della categoria precedente, al parere del proprio medico di fiducia, con il quale di solito contrae un rapporto molto stretto e non esita a sostituirlo con un altro che ritiene più competente (Benin, 2006). Pur essendo consapevoli del valore protettivo e dei benefici connessi alle vaccinazioni, questi utenti sviluppano un’elevata e spesso eccessiva percezione del rischio vaccinale.

A questo gruppo appartengono genitori che tendono a vaccinare i propri figli correttamente, secondo il calendario vaccinale consigliato, tralasciando solo talvolta alcune vaccinazioni non obbligatorie.

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37 Favorevole prudente: questa tipologia di genitore, pur essendo consapevole dell’esistenza di alcuni effetti collaterali, potenzialmente gravi, assume un atteggiamento più rilassato e ottimistico, speranzoso che in fin dei conti non potrà accadere nulla di grave (Miller, 2008). Pertanto esegue tutte le vaccinazioni.

Favorevole acritico: Il genitore di questo gruppo esegue sempre le vaccinazioni che gli vengono proposte, obbligatorie o raccomandate che siano, non ha particolari paure in merito all’atto vaccinale, nutre una fiducia acritica nel personale sanitario che, a suo avviso, ha realmente a cuore il bene degli utenti. Di solito si tratta di soggetti meno informati di quelli appartenenti alle altre categorie (Benin, 2006; Downs, 2008).

Secondo Julie Leask, che riporta questa classificazione, le percentuali corrispondenti di genitori appartenenti a ciascuna categoria sarebbero le seguenti (Leask, 2012):

Obiettori: < 2 % Preoccupati: 2-27 % Esitanti: 20-30 %

Favorevoli prudenti: 25-35 % Favorevoli acritici: 30-40 %

E’ chiaro che l’appartenenza ad una di queste categorie non è assoluta ma impostando strategie di comunicazione differenziate è possibile ottenere a volte lo ‘spostamento’ del genitore verso una classe di opinione più favorevole. Se ciò è molto improbabile per gli obiettori, è invece possibile e verosimile per la fascia dei ‘preoccupati’ e ancor più per quella degli ‘esitanti’. Naturalmente è possibile anche il contrario, cioè il passaggio ad un gruppo più orientato all’antivaccinismo a causa di errori comunicativi da parte di fonti istituzionali, alla disinformazione tramite campagne mediatiche e anche a seguito dell’erroneo utilizzo delle nuovi fonti informative, in primis il world wide web.

1.2.4 Web e vaccinazioni

Il radicale miglioramento del livello medio di scolarizzazione, la netta riduzione dell’analfabetismo e l’aumento della percentuale di diplomati e laureati (istat.it) negli

Figura

Tab. 1: Vaccini vivi attenuati disponibili in Italia
Tab. 2: Vaccini inattivati disponibili in Italia
Fig. 2: Dinamiche di trasmissione
Fig.  3  -  Fonte:  Copertura  Vaccinale  a  24  mesi  (coorte  2012)  E  Monitoraggio  Della  Sospensione Dell’Obbligo Vaccinale semestrale al 31/03/2013 – Allegato A alla DGR n
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