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MARIA ANGELA ZUMPANO

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Academic year: 2022

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MARIA ANGELA ZUMPANO

1. Urgenza e necessità che evidentemente non sono tali, stante il rinvio dell’entrata in vigore.

Urgenza che sempre più spesso pare risolversi in approssimazione: vengono fatti dei tentativi, in attesa di negoziare la soluzione meno indigesta (e pazienza se, poco tempo dopo, il disastro vanamente annunciato indurrà a ritirarla). Il tutto con norme infilate all’interno di leggi ipertrofiche, giustificate da titoli tanto ambiziosi quanto generici. Potrà anche esser vero che tra efficienza della giustizia e rilancio del sistema economico esiste una qualche correlazione, certo è che l’operazione in corso esprime lo stesso difetto delle misure economiche tampone in assenza di un vero e proprio piano economico di sviluppo del Paese: alla lunga lo impoveriscono.

Rispetto alle innovazioni che ci riguardano, la patente di urgenza fa credere che ora sia indispensabile mettere un freno all’impiego troppo disinvolto dei mezzi di impugnazione. Bene, se così fosse, la selezione dovrebbe esser fatta per un verso sui magistrati, le cui decisioni evidentemente non convincono o non appagano gli utenti, e per altro verso sulla classe forense, la quale dovrebbe scoraggiare sul nascere le richieste temerarie di una clientela ostinata. Il discorso però si farebbe lungo, perché un Paese che aspira a diventare seriamente competitivo dovrebbe investire sulla cultura … università e scuole post-universitarie che debbono sostenersi soltanto con le tasse degli iscritti non potranno di fatto selezionare giuristi capaci, eppure è questa la direzione in cui sono progressivamente andate tutte le “riforme”; quanto ciò influisca, inesorabilmente, sulla formazione dei futuri magistrati e avvocati dovrebbe esser chiaro a chiunque.

2. La prognosi sull’esito infausto, con terminologia presa a prestito dalla scienza medica, rivela la triste sorte del malato cronico ovvero il processo; dato che non si riesce a curarlo, si taglia la spesa sui farmaci. Abbiamo “scoperto” che la soppressione delle preture ha ingolfato le corti di appello, era prevedibile eppure si è andati avanti lo stesso. A questo punto sarebbe più logico avviare una ristrutturazione, però questo richiede tempo e risorse che non ci sono o che non si vogliono impiegare, dunque si escogitano misure di dubbia efficacia come l’art. 348-bis. Ma se è vero che in Italia la litigiosità è insopprimibile, il soccombente ci proverà sempre; tanto varrebbe, allora, dare la precedenza agli appelli fondati, invece si costringono le Corti a dedicarsi subito a quelli (apparentemente) infondati, nell’illusione che sgombrando il ruolo dagli uni si avrà più tempo per gli altri.

Beninteso, il regista avverte che lo stralcio non deve prendere troppo tempo e delinea la strada:

l’ordinanza che motiva il rigetto per inammissibilità deve farlo succintamente; ma questa sarebbe regola aurea e non solo per le ordinanze, sennonché la capacità di sintesi non si improvvisa, richiede dapprima elaborazione, approfondimento del materiale da sintetizzare, in definitiva tempo … qual è allora il suggerimento? un “rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa”, in pratica si suggerisce di confermare la sentenza di primo grado letta all’impronta e copia-incollata, se poi si rinviene anche un precedente che calza, tanto meglio. Possiamo aspettarci che il

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soccombente con questo si acquieti? No, e infatti non se lo aspetta neppure il mitico personaggio, il quale non trova di meglio che scaricare sulla Corte suprema il compito non assolto dal giudice d’appello, facendole riesaminare la decisione di primo grado. Ha senso tutto ciò? Ha senso sgravare gli uffici distrettuali a scapito di quello centrale? Certo che no, ed ecco che viene servito l’antidoto:

non è ammesso il vizio di motivazione sulle questioni di fatto che hanno determinato l’inammissibilità dell’appello; un meccanismo esemplare per escludere in modo veloce qualsiasi controllo sulla ricostruzione dei fatti; basta saperlo.

3. Una prima parte della modifica è innocua, giacché non si coglie la differenza tra fatto controverso, e fatto che è stato oggetto di discussione tra le parti; salvo intendere che quel “tra le parti” implicitamente sopprima il sindacato sui fatti prospettati d’ufficio, e sarebbe gravissimo.

Altra cosa la restante parte della modifica, che mira a eliminare ogni sindacato sulla logicità della motivazione. Tale restrizione sembra però velleitaria e tutto sommato inutile, poiché da un lato l’obbligo di motivazione costituzionalmente garantito imporrà pur sempre che una motivazione coerente vi sia, e dove non vi fosse, si giungerebbe facilmente a invocare il controllo della S.C. per violazione di legge (costituzionale); dall’altro lato, i difetti di insufficienza e contraddittorietà finirebbero per confluire nel vizio di forma della sentenza o nella violazione del principio della domanda. D’altro canto sappiamo tutti che l’apertura verso la quaestio facti è stata una libera scelta della S.C., e c’è da dubitare che basti la soppressione di qualche aggettivo all’interno del n. 5 per indurla a mutare indirizzo, ove non lo voglia.

Posto invece che d’ora in poi lo volesse, in Cassazione l’errore che rileva è solo quello da omessa pronuncia, il giudice non ha preso in esame un punto di fatto discusso, cioè ha denegato giustizia; se invece lo ha fatto (come che sia), la partita si chiude in quel grado. Nulla di male se alla base ci fosse un globale ripensamento sistematico: il giudizio di fatto si fa essenzialmente in primo grado, le impugnazioni devono solo servire a correggere gli errori, la Cassazione torna a fare il giudice di legittimità. Non sembra però che l’ispirazione sia stata questa (basta considerare il sempre più esteso favor per il rito sommario), né che al riguardo si sia meditato abbastanza.

Chi ha studiato la procedura civile nel periodo tra la novella del 1950 e quella del 1990 ha avuto dinanzi a sé una materia complessa e tuttavia affascinante, perché consentiva di colmare eventuali vuoti di memoria con la logica, applicando il ragionamento a un sistema nel quale comunque si

“entrava”. Ma uno studente della procedura civile attuale potrebbe fare altrettanto? Riesce difficile crederlo.

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