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Dei contrasti tra giurisprudenza di merito e giurisprudenza di legittimità circa il venir meno dell’esecuzione a seguito del difetto sopravvenuto del titolo del creditore procedente, pure in presenza di intervenuti titolati - Judicium

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www.judicium.it ROBERTA TISCINI

Dei contrasti tra giurisprudenza di merito e giurisprudenza di legittimità circa il venir meno dell’esecuzione a seguito del difetto sopravvenuto del titolo del creditore procedente, pure

in presenza di intervenuti titolati

Sommario:1. Le evoluzioni giurisprudenziali. – 2. Gli argomenti: differenze tra intervento dei creditori e pignoramento successivo. – 3. Segue: la disciplina dell’art. 629 c.p.c. – 4. I limiti della lettura condivisa dal Tribunale di Cuneo in relazione alle cause del difetto sopravvenuto del titolo. – 5. Principi del processo esecutivo a confronto.

1. Le evoluzioni giurisprudenziali.

Il provvedimento1 che si annota2 torna sulla questione della sorte del processo esecutivo in ipotesi di sopravvenuta inefficacia del titolo del creditore procedente, qualora siano intervenuti altri creditori titolati.

Stando all’ordinanza in commento, “nel procedimento di esecuzione forzata a cui partecipino più creditori concorrenti, le vicende relative al titolo invocato da uno dei creditori (sospensione, sopravvenuta inefficacia, estinzione) non possono ostacolare la prosecuzione dell’esecuzione sull’impulso del creditore, il cui titolo abbia pacificamente conservato integra la sua forza esecutiva” 3.

L’importanza della decisione, oltre che dal valore teorico e pratico della questione decisa, deriva dal suo collocarsi in palese contrasto con la recente Cass. 13 febbraio 2009, n. 35314 che

1 Leggibile anche in CG, … con nota di CAPPONI, Ancora sull’autonomia tra azioni esecutive concorrenti.

2 Reso in sede di reclamo avverso il rigetto dell’istanza di sospensione ai sensi dell’art. 624 c.p.c. L’ordinanza decide di due reclami riuniti. Il primo, proposto ai sensi degli artt. 630 e 178 c.p.c. avverso il provvedimento di rigetto

dell’istanza di estinzione, è dichiarato inammissibile, trattandosi nella specie di una ipotesi di estinzione atipica sottratta alla disciplina degli artt. 630 ss. c.p.c. Il secondo, dotato di finalità essenzialmente cautelare e volto ad assicurare gli effetti della decisione sulla causa di opposizione all’esecuzione pendente, ha ad oggetto l’impugnazione della decisione del GE di rigetto della domanda del debitore volta ad ottenere la sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’art. 624 c.p.c. Quest’ultimo rimedio, pure ammesso, è rigettato nel merito.

3 La decisione richiama due risalenti precedenti di legittimità: Cass. 17-08-1973, n. 2347; Cass. 28-01-1978, n. 427.

4 In questa Rivista, 2009, 330 ss., con note di PILLONI, Intervento di creditori titolati, difetto sopravvenuto del titolo esecutivo del precedente e arresto della procedura esecutiva e di METAFORA, Gli effetti della revoca del titolo esecutivo sui creditori intervenuti muniti di titolo e sull’aggiudicazione; in CG, 2009, 985, con nota di CAPPONI, Difetto

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sembrava aver posto il punto sul problema offrendo una soluzione opposta a quella qui privilegiata.

Sul tema poche sono state le decisioni5. Risale al 19786 un precedente di segno contrario, nel quale si esclude che l’intero processo sia destinato a cadere in ipotesi di sopravvenuta inefficacia del titolo esecutivo, qualora nella procedura siano intervenuti altri creditori titolati. Nel 2009 (con la citata n.

3531) la III sezione della Corte di cassazione stabilisce, di contro, che “la caducazione del pignoramento iniziale compiuto sulla base di decreto ingiuntivo poi revocato, se non integrato da pignoramenti successivi, travolge ogni intervento, titolato o meno, con la conseguenza che i creditori intervenuti, anche se muniti di titolo, non possono proseguire l’azione esecutiva”.

Seppure non dotata dell’efficacia fortemente persuasiva delle pronunce delle Sezioni Unite, la convinzione diffusa (pure nelle critiche sul merito della decisione) era nel senso di leggere quella sentenza come un “arresto giurisprudenziale” destinato ad avere eco tra i giudici di merito non meno che nella stessa giurisprudenza di legittimità7. L’ordinanza del Tribunale di Cuneo conduce verso lidi opposti, non solo perché si schiera in contrapposizione rispetto alla soluzione fatta propria dalla Corte di cassazione, ma anche perché è il sintomo della proiezione dei giudici di merito verso contrasti giurisprudenziali, i quali – non è da escludere – potrebbero condurre la stessa Corte Suprema a nuovi ripensamenti.

2. Gli argomenti: differenze tra intervento dei creditori e pignoramento successivo.

Gli argomenti utilizzati dal Tribunale di Cuneo sono in linea di massima apprezzabili (è bene perciò discostarsi da quando sostenuto dalla Corte di cassazione), anche se la soluzione nel caso di specie è discutibile e rischia di creare conflitti tra i principi fondanti l’esecuzione forzata8.

Senza tornare su strade già profondamente battute dagli Autori che hanno commentato l’arresto di legittimità n. 3531/099, ci limiteremo in questa sede a porre a confronto la più recente

sopravvenuto del titolo esecutivo e intervento dei creditori titolati; in RDPr, 2009, 1717 ss., con nota di CORRADO, Intervento e pignoramento successivo: l’intervento non è una scelta “di rischio”.

5 E’ da notare che Cass. 13-02-2009, n. 3531, cit. invoca a sostegno della propria tesi alcuni precedenti (Cass. 19-01- 2005, n. 985; Cass. 25-06-2004, n. 11904; Cass. 28-05-1999, n. 5192), relativi a fattispecie diversa da quella presa in esame. Il che è frutto di un equivoco di fondo in cui è caduta la Suprema Corte nel rappresentare il caso di specie.

Dell’equivoco offre una chiara dimostrazione CAPPONI, Difetto sopravvenuto, cit., 938 ss.

6 Cass. 28-01-1978, n. 427. In senso conforme, vd. Cass. 17-08-1973, n. 2347.

7 Così la dottrina che si è occupata della questione. In critica alla soluzione offerta dalla Cassazione, CAPPONI, Difetto sopravvenuto, cit., 938 ss., spec. 940; PILLONI, Intervento dei creditori, cit., 330; CORRADO, Intervento, cit., 1717.

Favorevolmente, METAFORA, Gli effetti, cit., 319.

8 Sul punto, amplius infra §§ 4 e 5.

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decisione di merito con quella di poco anteriore della Corte Suprema. Il che curiosamente induce a riflettere sul valore di ciascuno degli argomenti utilizzati, essendo essi posti, in maniera uguale e contraria, a sostegno tanto dell’una quanto dell’altra tesi.

Occorre innanzi tutto muovere dalla natura dell’intervento titolato, quale autonoma azione di espropriazione10 (a differenza di quello non titolato, identificabile in una azione satisfattiva)11, di identico contenuto rispetto a quella del creditore pignorante e attributiva delle medesime facoltà e poteri riconosciuti a quest’ultimo12. Partendo da tale indiscussa convinzione, le prime discrasie tra la tesi della Corte di cassazione e quella del giudice di merito sono individuabili nel modo di leggere analogie e differenze tra l’atto di intervento ed il pignoramento successivo13.

9 Si tratta peraltro di un tema ampiamente dibattuto in passato e rinvigorito dal diverso valore che le riforme del 2005-2006 hanno attribuito al titolo esecutivo ai fini dell’intervento. Assumendo una posizione in linea con quella fatta propria dall’ordinanza del Tribunale di Cuneo, ROMANO, Espropriazione forzata e contestazione del credito, Napoli, 2008, 369 ss., assimila del tutto le posizioni del creditore pignorante e dei creditori intervenuti muniti di titolo – anche ai fini che qui interessano – proprio alla luce del mutato contesto normativo. Il che finisce per creare una equivalenza tra ruolo e funzioni dell’intervento e del pignoramento successivo. Tra i due modelli la differenza

principale si sostanzierebbe nel fatto che, a differenza che nel pignoramento successivo, in caso di intervento gli effetti nei confronti dei terzi si produrrebbero solo a far data dal giorno dell’intervento stesso. In critica, cfr PILLONI,

Intervento dei creditori, cit., 342 ss.; METAFORA, Gli effetti della revoca, cit., 320 ss. spec. 322, osservano come i limiti di siffatta ricostruzione si incontrano soprattutto con riferimento al pignoramento avente ad oggetto beni immobili, dal momento che – a differenza del pignoramento – l’atto di intervento non è soggetto a trascrizione (il che creerebbe problemi in punto di opponibilità ai terzi dell’atto di intervento). Per superare l’ostacolo ROMANO, op. cit., 370 propone di rendere trascrivibile anche l’atto di intervento, soluzione difficilmente concretizzabile stando alla attuale disciplina delle trascrizioni.

10 Sulla natura dell’intervento quale autonoma azione, cfr. GARBAGNATI, Espropriazione, azione esecutiva e titolo esecutivo, in RTDPC, 1956, 1360; SALETTI, Processo esecutivo e prescrizione. Contributo alla teoria della domanda esecutiva, Milano, 1992, 45 ss.

11 Sulla distinzione tra azione di espropriazione e azione satisfattiva, rispettivamente caratteristiche dell’intervento titolato e non titolato, cfr. GARBAGNATI, Il concorso dei creditori nel processo di espropriazione, Milano, 1959, 70;

ANDRIOLI, Il concorso dei creditori nell’esecuzione singolare, Roma, 1937, 11; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1965, 174; MONTESANO, La cognizione sul concorso dei creditori nell’esecuzione ordinaria, in RTDPC, 1968, 561; LUISO, Diritto processuale civile, Milano, 2009, III, 125; CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2010, 54.

12 In questo senso anche l’ordinanza in commento, secondo cui “il creditore titolato, spiegando intervento, propone una autonoma azione, fondata su un titolo esecutivo diverso ed autonomo rispetto a quello del creditore

procedente”.

13 In critica alla ricostruzione offerta da Cass. 13-02-2009, n. 3531, cit. circa la differenza tra intervento dei creditori e pignoramento successivo, cfr. CORRADO, Intervento o pignoramento successivo, cit., 1720.

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Pure avendo piena autonomia all’interno di una procedura esecutiva già in corso, l’intervento titolato deve distinguersi per sostanza ed effetti dal pignoramento successivo14, solo quest’ultimo in grado di evitare che un vizio formale del primo atto di pignoramento possa riverberarsi e ripercuotersi sulle successive posizioni. E’ noto il tradizionale discrimen tra il pignoramento successivo, il quale avendo effetto indipendente, potrà sorreggere l’esecuzione anche in caso di caducazione del primo pignoramento, e l’intervento, anche titolato, nel quale la caducazione del pignoramento avrà l’effetto di travolgere la posizione di tutti gli intervenuti, incapaci di compiere atti di impulso della procedura, una volta caduto il suo atto iniziale15. In altri termini, “soltanto utilizzando [il pignoramento successivo] i creditori ottengono il risultato di evitare che un vizio formale del primo atto di pignoramento […] si ripercuota su quelle ulteriori posizioni, mentre limitandosi ad intervenire essi corrono il rischio di vedere travolta l’azione esecutiva, da essi esercitata in tali forme, come conseguenza della predetta invalidità dell’atto introduttivo del processo”16.

Il medesimo raffronto tra natura e funzioni dell’intervento titolato e del pignoramento successivo è posto dalla pronuncia di Cassazione n. 3531/2009 a fondamento della tesi opposta.

Sostiene la III sezione della Corte che “non troverebbe difatti spiegazione la fattispecie del pignoramento successivo, se il creditore munito di titolo fosse comunque posto al riparo da qualsiasi conseguenza pregiudizievole per il solo fatto dell’intervento, mentre le norme sul pignoramento successivo indicano, di converso, non soltanto una ovvia esigenza processuale di accorpamento in un unico processo delle varie pretese creditorie, ma ne disciplinano proprio uno specifico effetto “cautelare” che si affianca e si aggiunge a quello tipico del semplice intervento titolato”. Ne deriva che “l’intervento non è altro che manifestazione di volontà collaterale ed accessoria, da parte del creditore, di partecipare ad un processo che altri ha legittimamente fondato su un proprio titolo esecutivo e legittimamente iniziato con l’atto inaugurale di quel processo, il pignoramento. Sicché la scelta tra intervento e pignoramento successivo […] è scelta “di rischio”, scelta, cioè, che non potrà non tenere conto della possibile futura caducazione del titolo del creditore procedente, rischio tanto più evidente quando tale titolo sia (o sia addirittura già stato) passibile di impugnazione”17.

3. Segue: la disciplina dell’art. 629 c.p.c.

14 Approfonditamente sul punto cfr. PILLONI, Intervento dei creditori, cit., 336.

15 Così CAPPONI, Manuale, cit., 54.

16 Così il Tribunale di Cuneo 30-09-2009, qui in commento.

17 Cass. 13-02-2009, n. 3531, cit.

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Dissenso profondo tra i due modi di leggere la questione ruota intorno al dato normativo degli artt. 500 e 629 c.p.c.

Secondo la tesi fatta propria dal Tribunale di Cuneo, a conferma dell’interpretazione prescelta si colloca l’art. 629 c.p.c.18, il quale – nell’imporre che l’estinzione del processo esecutivo per rinuncia presuppone una declaratoria in tal senso, oltre che del creditore procedente, anche di tutti i creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo - va intesa come espressione di un “principio generale in forza del quale, se – dopo un valido pignoramento – viene meno il diritto del pignorante a procedere ad esecuzione forzata, gli intervenuti titolati restano efficaci al fine di far proseguire il processo esecutivo”. Il che d’altra parte va letto in combinato con l’art. 500 c.p.c., il quale “non condiziona affatto il diritto degli interventi titolati di provocare i singoli atti esecutivi alla permanenza di analogo potere in capo al creditore pignorante”.

In direzione opposta si colloca la Corte di cassazione rispetto all’art. 629 c.p.c., del quale afferma il carattere “derogatorio” rispetto al principio generale secondo cui il pignoramento iniziale del creditore procedente, se non “integrato” da pignoramenti successivi, travolge ogni intervento, titolato o meno, nell’ipotesi di sua successiva caducazione. Trattandosi di norma derogatoria, essa

“conferma che, al di fuori di tale eccezionale […] ipotesi normativa, la prosecuzione dell’azione esecutiva ad opera degli interventori muniti di titolo postula necessariamente la permanenza attuale di una valida procedura esecutiva, fattispecie all’evidenza impredicabile nell’ipotesi di caducazione del titolo originario”19.

La valutazione in termini esattamente opposti dell’art. 629 c.p.c. dimostra come non si tratti di un argomento dirimente e come esso non basti a sorreggere da solo né l’una né l’altra opzione.

Non ha senso qualificarlo come “regola generale”, e perciò idonea a dimostrare la tesi secondo cui il venir meno del titolo esecutivo non preclude la prosecuzione dell’esecuzione quando altri creditori titolati siano intervenuti, se poi la sola qualificazione – inversa – come “regola eccezionale” può bastare per sorreggere la tesi opposta. In fondo, il dettato dell’art. 629 c.p.c. è troppo collegato con il caso specifico dell’estinzione per rinuncia agli atti per ritenere che possa sorreggere fenomeni seppure collegati non del tutto corrispondenti.

La disposizione va calata nel contesto della fattispecie estintiva da collegare all’atto volontaristico della rinuncia e di per sé non basta per dare risposta al diverso problema della sorte dell’esecuzione nel caso di venir meno del titolo esecutivo del creditore procedente, problema la cui soluzione dipende dalla soluzione di altre questioni, non ultima quella del ruolo del titolo esecutivo (rectius, della sua permanenza) all’interno della procedura20. E’ perciò che risulta difficile darne una precisa qualificazione in termini di “regola generale”, ovvero di “eccezione”. In altre parole, la specificità della fattispecie che rappresenta non consente di qualificare l’art. 629 c.p.c. né come

18 Invoca l’art. 629 c.p.c. ROMANO, Espropriazione forzata, cit., 371. Contra PILLONI, Intervento dei creditori, cit., 340.

19 Cass. 13-02-2009, n. 3531, cit.

20 Sul punto, infra §§ 5 e 6.

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norma generale, né come regola eccezionale, essendo piuttosto una disposizione da calare nel particolare contesto dell’estinzione del processo esecutivo per rinuncia.

4. I limiti della lettura condivisa dal Tribunale di Cuneo in relazione alle cause del difetto sopravvenuto del titolo.

A ben vedere, il problema ruota tutto intorno all’individuazione delle cause che determinano il venir meno del titolo esecutivo. La distanza tra le due tesi sta in ciò che la prima (quella della Cassazione) si disinteressa della causa da cui deriva l’inefficacia del titolo; il solo fatto che quest’ultimo sia venuto meno basta per provocare la caducazione dell’intera esecuzione.

Diversamente, il Tribunale di Cuneo ritiene necessario dover esaminare la causa del difetto sopravvenuto: occorre verificare caso per caso se ciò incida sulla (o dipenda dalla) invalidità del pignoramento o degli altri atti introduttivi dell’esecuzione, ovvero se l’invalidazione del titolo non si estenda all’esecuzione nel suo complesso. Possono perciò riverberarsi in danno dei creditori intervenuti titolati “soltanto le invalidità che colpiscono il pignoramento in quanto tale (e cioè concretatesi un vizio del processo esecutivo) e non anche invece quelle che ineriscono i presupposti della (o gli atti prodromici alla) azione esecutiva, quali sono il titolo esecutivo e il precetto” (nel caso di specie, il titolo esecutivo rappresentato da un decreto ingiuntivo era divenuto inefficace per mancata tempestiva notifica ai sensi dell’art. 644 c.p.c.; inefficacia nelle more dichiarata ai sensi dell’art. 188 disp. att.).

In linea di massima, va preferita quest’ultima opzione perché, oltre a trovare conferma in una disciplina che in nulla milita verso lidi opposti, è sicuramente più apprezzabile sul piano dell’opportunità. E’ senz’altro da ritenere – con la dottrina maggioritaria21 – che, guardando alle ragioni che in concreto rendono improseguibile l’azione del creditore procedente, se il vizio invalida il pignoramento (così nel caso di impignorabilità dei beni, ovvero quando sono lesi diritti di terzi che hanno proposto opposizione ex art. 619 c.p.c., ovvero quando sono viziati gli atti prodromici o è viziato lo stesso atto di pignoramento) è inevitabile che, venendo meno l’atto iniziale dell’espropriazione, venga meno anche l’intero processo esecutivo, e con esso siano travolte le posizioni di tutti gli altri creditori intervenuti. Quando invece, pur essendo valido l’atto di pignoramento o gli atti prodromici, l’azione del creditore si arresta perché viene meno l’efficacia esecutiva del titolo o la sua stessa esistenza, non essendo caducato l’atto iniziale dell’esecuzione, il creditore non potrà più compere atti, una volta venuto meno il potere derivatogli dal titolo esecutivo, ma gli altri i creditori muniti di titolo esecutivo potranno ben giovarsi del pignoramento (comunque valido) e coltivare l’esecuzione sfruttando il potere loro riconosciuto dall’art. 500

21 In questo senso specificamente CAPPONI, Difetto sopravvenuto, cit., 941. Sul tema cfr. anche PETRILLO, Sui poteri processuali dei creditori intervenuti, muniti di titolo esecutivo, in caso di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo del procedente. Sui poteri di sospensione del G.E. e sui possibili rimedi, in questa Rivista, 2007, 548.

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c.p.c.22 (“norma che non condiziona l’esistenza del potere degli intervenuti titolati alla permanenza del parallelo potere in capo al creditore procedente”23). Pure volendo prescindere dall’art. 629 c.p.c., non può infatti trascurarsi l’autonomia che l’art. 500 c.p.c.24 riconosce agli intervenuti titolati25.

La questione si complica quando si cerca di descrivere con precisione la linea di confine tra le cause di invalidità e/o inefficacia del titolo che non si riverberano sulla validità dell’esecuzione e quelle che invece pregiudicano l’intera procedura. Ad alterare gli equilibri soccorre la regola generalissima che legge il titolo esecutivo quale “condizione necessaria e sufficiente” per procedere ad esecuzione forzata26, regola secondo cui esso, fondamento e legittimità dell’esecuzione stessa, deve esistere sin dall’inizio della procedura e permanere per tutta la sua durata, non potendo in alcun modo venir meno sino alla conclusione27. Trattasi di regola che parrebbe essere insuscettibile di eccezioni, neppure nell’ipotesi in cui la procedura esecutiva sia corredata di interventi (titolati o meno).

Correttamente, se ne è suggerita una precisazione sul piano “soggettivo”28: alla condizione che, in applicazione del principio tempus regit actum gli atti iniziali siano validi, l’importante è che vi sia un titolo esecutivo – quale che sia – a guidare l’esecuzione dall’inizio sino alla sua conclusione, il che però può avvenire su impulso di uno qualsiasi dei creditori titolati, anche qualora il titolo del creditore procedente sia venuto meno29.

22 CAPPONI, Difetto, cit., 941; PETRILLO, Sui poteri, cit., 552.

23 CAPPONI, Difetto, cit., 941.

24 Vi è chi esclude che anche tale disposizione possa condurre verso la surrogabilità del creditore procedente con i creditori intervenuti una volta venuto meno il titolo del primo. Così METAFORA, Gli effetti, cit., 319, secondo cui la facoltà per i creditori intervenuti di “provocare gli atti dell’espropriazione” deve intendersi unicamente nel senso che il creditore titolato può semplicemente sopperire all’inerzia del creditore procedente per far proseguire il processo, senza che da essa possa desumersi l’ulteriore regola per cui i creditori muniti di titolo non sono travolti dalla caducazione del titolo esecutivo del creditore procedente.

25 CAPPONI, op. loco cit. osserva che la conservazione in vita del processo esecutivo risponde anche al principio tempus regit actum, nel senso che “allorché il processo abbia avuto un valido inizio secondo la fondamentale regola tempus regit actum, non vi è ragione per privare i concorrenti titolati del potere, riconosciuto loro dalla legge processuale, di compiere autonomamente gli ulteriori atti della procedura ben iniziata”.

26 SATTA, Commentario, III, cit., 70. In giurisprudenza, sulla qualificazione del titolo esecutivo quale “condizione necessaria e sufficiente”, cfr. Cass. 21-11-2001, n. 14727.

27 Cass. 6-04-2006, n. 8112; Cass. 3-08-2005, n. 16262.

28 Per queste osservazioni vd. CAPPONI, Ancora sull’autonomia tra azioni esecutive concorrenti, cit., …

29 CAPPONI, Ancora, cit.

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Qui si pone il problema. La regola da ultimo citata – anche a prescindere dal profilo soggettivo – impone che un titolo esecutivo vi sia sempre e comunque, per tutta la durata della procedura. Quando perciò il titolo del procedente viene meno con efficacia retroattiva, la sua sopravvenuta mancanza non può essere compensata dalla presenza di un qualsiasi creditore intervenuto titolato (che – ovviamente – ha spiegato intervento in data successiva al pignoramento), perché il titolo esecutivo, venuto meno ex tunc è come non fosse mai esistito30. Si deve dare conto quindi di un periodo più o meno lungo (anteriore all’intervento titolato) in cui la procedura è vissuta in assenza di titolo31.

Si pensi ad esempio (per rimanere nella categoria dei titoli giudiziali) alla riforma integrale32 in appello di una sentenza esecutiva di primo grado33. In questo caso l’esecuzione non può più proseguire sulla base del titolo del creditore procedente, ma non può proseguire neppure sulla base del creditore titolato intervenuto successivamente, perché il titolo del creditore procedente “è come non fosse mai esistito”34 (vi è stato cioè uno spatium temporis in cui l’esecuzione ha proceduto in mancanza di titolo).

D’altra parte, per effetto dell’art. 336 c.p.c., la riforma in appello della sentenza di primo grado invalida (retroattivamente) tutti gli atti dell’esecuzione - ad eccezione di quelli dalla legge espressamente sottratti (così per la vendita forzata ex art. 2929 c.c.) – ivi incluso il pignoramento35; il che significa ricondurre l’ipotesi a quelle della (sopravvenuta) invalidazione del processo

30 Al problema non offre soluzione la tesi – pure condivisibile – secondo cui, una volta avviato legittimamente il processo esecutivo da parte del creditore procedente, si radica “una compressione della sfera patrimoniale del debitore non delimitata dal credito dell’istante e della quale possono beneficiare tutti gli intervenienti, anche in assenza di aggressione esecutiva autonoma” (PILLONI, Intervento dei creditori, cit., 339). Ferma restando la

equipollenza tra creditore procedente e creditori intervenuti titolati, quanto al potere di condurre l’esecuzione – una volta avviata validamente – il dubbio che si pone nel testo è nel senso di superare la convinzione secondo cui

l’esistenza di un titolo esecutivo (quale che sia) deve accompagnare dall’inizio sino alla sua conclusione il processo, per tutta la sua durata. Problema che si scontra con le ipotesi di invalidazione retroattiva del titolo, nelle quali non è di aiuto l’intervento successivo dei creditori titolati.

31 In questo senso, LUISO, Diritto, III, cit., 111.

32 Discorso ben diverso merita l’ipotesi in cui l’appello sia accolto in parte. In questo caso il processo prosegue, ma conservando come titolo quello reso all’esito della riforma parziale. Le regole esposte nel testo valgono quindi solo parzialmente e comunque non inficiano l’intera esecuzione, idonea a proseguire sulla base del titolo (parzialmente riformato) del creditore procedente.

33 Sull’efficacia retroattiva della riforma in appello di sentenza di primo grado cfr. Cass. 19-02-2007, n. 3758; Cass. 13- 04-2007, n. 8829; Cass. 05-08-2005, n. 16559. Analogamente Cass. 18-09-1995, n. 9863 con riferimento alla cassazione della sentenza d’appello.

34 Così LUISO, Diritto, cit., 111.

35 Cass. 30-04-2009, n. 10124; Cass. 06-12-2006, n. 26171.

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esecutivo per vizi propri del suo atto iniziale (il pignoramento). Per superare quest’ultimo argomento potrebbe invocarsi la lettura “soggettiva” dell’art. 336 comma 2 c.p.c. 36, nel senso che la norma produce un effetto espansivo con riguardo alle vicende del creditore che procede sulla base del titolo giudiziale riformato o cassato, ma nulla dice quando nella procedura esecutiva sono intervenuti altri creditori, i cui atti restano impregiudicati dalla riforma o dalla cassazione del titolo esecutivo giudiziale procedente37.

Ciò però non basta. La regola consente di conservare autonome le posizioni dei creditori intervenuti titolati rispetto a quella del procedente, ma non è sufficiente per vincere l’obiezione della sopravvenuta mancanza del titolo esecutivo anche solo per un momento dell’esecuzione.

Rebus sic stantibus, la soluzione fatta propria dal Tribunale di Cuneo, pure condivisibile quel criterio generale, non dovrebbe trovare applicazione nel caso di specie. Come si è visto, il difetto sopravvenuto del titolo esecutivo del procedente era conseguenza della dichiarazione di inefficacia del decreto ingiuntivo per mancata notifica nei termini; ipotesi questa che determina senz’altro una inefficacia ex tunc del titolo, neppure sanabile a seguito dell’intervento di altri creditori titolati.

Ben più facile è dare applicazione all’opzione del Tribunale di Cuneo quando il titolo esecutivo viene meno senza una invalidazione di esso (nonché dell’esecuzione) con efficacia retroattiva. Si pensi al caso dell’accoglimento di una opposizione all’esecuzione proposta dal debitore nei confronti del creditore procedente, a causa dell’inesistenza del diritto sostanziale (ad esempio per il sopravvenuto pagamento del debito)38. Qui il difetto sopravvenuto del titolo non comporta anche la mancanza di esso (quale che sia) all’interno dell’esecuzione, qualora vi siano altri creditori titolati; sicché il processo esecutivo può conservarsi in vita.

5. Principi del processo esecutivo a confronto.

Indubbiamente, la soluzione privilegiata dall’ordinanza in epigrafe meglio risponde a plurime ragioni di opportunità. Come correttamente osserva il giudicante, l’opposta tesi sarebbe causa di una irrimediabile instabilità del processo esecutivo, irragionevole rispetto alla posizione degli intervenuti, altrimenti onerati di valutare la stabilità del titolo che sorregge l’esecuzione e la sua intrinseca capacità di resistere a tutte le possibili forme di impugnazione, per di più senza essere in grado di conoscere gli elementi di fatto che potrebbero portare ad una revisione del titolo vantato

36 Sul tema, vd. CAPPONI, Difetto, cit., 942; PILLONI, Intervento dei creditori, cit., 342.

37 Anche se ciò – a dire il vero - si scontra con il fatto che per effetto dell’art. 336 comma 2 c.p.c. – essendo invalidati retroattivamente tutti gli atti della procedura – è colpito anche il pignoramento, del quale si giovano (a differenza che nel pignoramento successivo) pure i creditori intervenuti.

38 Dubitativamente LUISO, Diritto, cit., III, 111.

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dal pignorante. Si tratterebbe di un onere troppo gravoso se si tiene conto che la solidità del titolo (la cui esecutività è anticipata ad uno stato in cui esso è corredato dalla massima precarietà39) non può dirsi assoluta neppure nelle sentenze già passate in giudicato – pur sempre sottoposte alle impugnazioni straordinarie40 – sicché sarebbe fin troppo difficile per i creditori intervenuti compiere verifiche sicure sulla validità del titolo stesso41.

Ove poi la procedura esecutiva fosse prematuramente chiusa a causa del sopravvenuto difetto del titolo (pure in presenza di intervenuti titolati), le conseguenze in punto di economia processuale sarebbero devastanti42. I creditori intervenuti – per vedersi soddisfatti - dovrebbero dare seguito ad una nuova e diversa procedura esecutiva. Il che, oltre a contraddire le elementari esigenze di economia processuale, contravverrebbe alla logica stessa dell’intervento, il quale – a differenza del pignoramento successivo – ha lo scopo di assicurare ai creditori intervenuti gli effetti del primo pignoramento.

Tuttavia, come si è visto43, vi sono casi in cui ad imporre la decadenza dell’intera procedura esecutiva a seguito del difetto sopravvenuto del titolo del procedente soccorre l’invalidazione del titolo con effetto retroattivo, il che (oltre ad incidere sulla validità del pignoramento), entra in conflitto con la regola che legge nel titolo esecutivo il “motore” dell’esecuzione forzata. Regola a cui, a questo punto, sarebbe opportuno introdurre delle eccezioni, se posta sul piano del bilanciamento di valori rispetto ad altri principi parimenti importanti in materia esecutiva.

Si torni brevemente al problema della riforma integrale in appello di sentenza esecutiva di primo grado, sulla quale sia stata iniziata validamente l’esecuzione. Plurime ragioni, alla fine dei conti, inducono a pensare che l’accoglimento dell’appello non possa perciò solo bloccare una esecuzione in cui siano intervenuti altri creditori titolati: l’autonomia di tali interventi rispetto all’azione del procedente, l’affidamento di essi circa la validità del titolo ed il troppo gravoso onere che ricadrebbe su di loro ove fossero gravati del compito di sindacare – in rito ed in merito - la validità/efficacia del titolo giudiziale del procedente, l’esigenza di conservare vitalità ad una

39 Si pensi alle sentenze provvisoriamente esecutive in primo grado ancora impugnabili. Così CAPPONI, Ancora sull’autonomia, cit., secondo cui “l’attuale tendenza ad anticipare il momento dell’esecutorietà del titolo giudiziale avrebbe quale contropartita l’imprevedibile instabilità delle esecuzioni, con un effetto di involontario bisticcio che finirebbe per annullare il vantaggio derivante dall’aver ottenuto il titolo in tempi più rapidi”.

40 Così l’ordinanza in commento ove si legge che “in un contesto di tal fatta, perfino la sentenza passata in giudicato (ipoteticamente aggredibile con una domanda di revocazione) non darebbe certezze definitive di tenuta, con conseguente svuotamento di qualsivoglia utilità dell’istituto dell’intervento”.

41 Sul punto vd. la decisione del Tribunale di Cuneo.

42 Per queste osservazioni, vd. CORRADO, op. cit., 1726.

43 Supra § precedente.

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procedura che altrimenti dovrebbe riprende dall’inizio, lo stesso ruolo che ricopre oggi il titolo esecutivo nella disciplina dell’intervento dei creditori.

Ci si può chiedere allora se tali ragioni bastino per derogare al principio del titolo esecutivo quale “condizione necessaria e sufficiente dell’esecuzione”. Forse si, tenuto conto del fatto che è in continua evoluzione il ruolo del titolo all’interno dell’esecuzione forzata e che – dato il difficile rapporto che lega l’atto al diritto attraverso cui esso è tutelato44 - non vi sono ragioni di giustizia sostanziale che impediscono nel caso che ci occupa di derogare ad un principio tutt’altro che inderogabile45.

44 VACCARELLA, L’esecuzione forzata dal punto di vista del titolo esecutivo, in Titolo esecutivo, precetto,opposizioni, Torino, 1993, 1 ss. spec. 90. Sulla natura genuina del titolo esecutivo nella sua astrattezza, cfr. per tutti SATTA, Commentario, III, cit., 69.

45 VERDE, Attualità del principio “nulla executio sine titulo”, in Riv. dir. proc. 1999, 963.

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